In Egitto, dopo tre mesi, la Corte dichiara concluso lo stato d’emergenza, ma rimangono i sospetti e le paure nel poter manifestare le proprie idee. Le ansie e i timori nel gridare il proprio scontento che erano scemati sono ricomparsi, portando a pensare che in Egitto non sia cambiato nulla dopo migliaia di vittime della Rivoluzione.
La gente di piazza Tharir rientra nelle loro abitazioni e gli intellettuali tornano a sfoggiare prudenza nell’esprimere le proprio opinioni sul clima politico che sta scendendo sul paese.
In Italia vi era un’epoca, non troppo lontana, che sui giornali si leggeva di una Crisi guidata. Ora in Egitto si è varata la Rivoluzione guidata verso una Restaurazione e il popolo di Tharir si accorge di essere stato strumentalizzato dai militari.
Non rientra nell’ambito dei racconti di fantapolitica ipotizzare il ritorno dell’ancien regime. nell’attesa che si concretizzi un Egitto da nuova “repubblica”. Mubarak, dai suoi dorati arresti domiciliari nella residenza di Shark el Shiekh, potrebbe pensare a quanto impegno è occorso, in una versione araba del Gattopardo con il suo “tutto cambia affinché nulla cambi”ai suoi fidati militari per un giro a 360°.
Egiziani pedine di un gioco delle parti, con i militari buoni e quelli cattivi impegnati a recitare un ruolo per conservare la loro influenza sull’Egitto, mentre un’assemblea costituente di 50 membri, in stragrande maggioranza d’ispirazione laica, si appresta a varare una Costituzione, in sostituzione di quella approvata dall’esecutivo del deposto presidente Morsi, senza riferimenti alla sharia e alla legge islamica.
Un sistema politico in stile francese, dove è contemplato un bilanciamento nell’attribuzione dei poteri del presidente e quelli del primo ministro e una condivisione di responsabilità nel dichiarare futuri stati d’emergenza.
Una Costituzione che vorrebbe dare una dignità al ruolo femminile, anche se l’Egitto rimane un paese difficile rispetto ai diritti delle donne, come risulta dalle interviste che Thomson Reuters Foundation ha realizzato grazie alla collaborazione di centinaia di esperti nei 21 membri della Lega Araba più la Siria (sospesa dall’organizzazione nel 2011).
Un sondaggio che evidenzia come l’Egitto detiene il primato tra i paesi del mondo arabo in cui è difficile vivere per una donna, al secondo posto l’Iraq, mentre le Isole Comore, piccolo arcipelago nell’Oceano Indiano, è il migliore tra i membri della Lega Araba, anche senza libertà di espressione, non discrimina le donne in caso di divorzio, in politica (il 20% dei ministri) né sul posto di lavoro (il 35%), probabilmente grazie all’eredità francese, ma come ogni sondaggio deve essere interpretato.
L’Egitto è un paese dove le donne rischiano quotidianamente la sopraffazione fisica, anche se l’attuale governo proclama di voler ristabilire i diritti messi in discussione dalle scelte islamiste del precedente esecutivo.
Diritti che il Arabia saudita non sono neanche presi in considerazione e dove la Tunisia li sta mettendo in discussione. Non è solo l’Egitto ad essere un paese negato alle donne, è solo tra quelli più insicuri.
Se in Arabia saudita è negato alla donne di guidare, in Egitto la 22enne Ghadeer Ahmed ha lanciato su Facebook la campagna Andremo in bicicletta, nell’ambito del progetto Girls Revolution, per sconfiggere il tabù che considera inappropriato e “poco signorile” l’uso della bicicletta da parte delle donne.
Un Egitto che da una parte pensa ai diritti delle donne e dall’altra non intende rinunciare a un ferreo controllo sull’informazione.
Cambiano i volti del potere egiziano, ma i metodi per controllare e mettere a tacere il dissenso non muta. In certi casi si preferisce alla carcerazione l’emarginazione come è accaduto a Bassem Yussef con la sospensione della sua trasmissione satirica.
Una trasmissione che mise alla berlina il passato governo Morsi e si apprestava a fare lo stesso con l’attuale governo militare, anche se, come ha scritto lui stesso nella sua rubrica sul giornale arabo Al-Shorouk, «le cose ora sono molto più difficili».
Ironizzare sul generale Abdel Fattah al-Sisi, avendo provocato le proteste di molti ascoltatori, al trentottenne Youssef, con una formazione da cardiochirurgo, gli è costato il posto.
Era più semplice deridere Morsi e i Fratelli Musulmani, con la loro incapacità di governare invece dei militari che hanno “ristabilito” un equilibrio laico all’Egitto.
Un populismo religioso è stato sostituito con uno laico, ma chi critica le scelte e i volti del potere lo deve fare in silenzio e soprattutto con poco seguito, mentre Youssef, anche lui populista, rappresenta un modello da seguire.