I teatri romani, pur ricalcando nelle grandi linee i teatri greci, se ne distinsero per alcuni caratteri come l’ubicazione – principalmente nei centri urbani o immediatamente fuori le mura costituendo una funzione di raccordo nello spazio urbanizzato – ma anche per la necessità di essere progettati fin dall’inizio sia sotto l’aspetto architettonico sia tecnico-strutturale.
Il teatro romano si qualifica come un’architettura caratterizzata, dunque, sia da un’immagine di spazio interno spesso molto racchiuso in sé, sia da un’immagine esterna che è partecipe della scena urbana; la veste architettonica copre di conseguenza un ruolo di notevole importanza e la fastosità della decorazione diventa un modo per commisurarsi al prestigio della città. Si utilizzano marmi pregiati e graniti per i rivestimenti, si realizzano decine di statue per abbellire atri e deambulatori, si completano gli spazi esterni con giardini, fontane e portici; sulla scena si creano architetture bellissime, ricche di movimento e giochi di luce.
Per la ripartizione del pubblico si progettano una serie di percorsi, ambulacri e scale ricavati nello spazio sottostante la cavea e coordinati con la trama strutturale dell’edificio; questi percorsi fanno capo ai vomitoria (ingressi secondari) che davano accesso alla cavea stessa, oppure in alto a un portico anulare con colonne, costruito sulla sommità della cavea come elemento formale di conclusione dell’architettura.
Solitamente,per la distribuzione del pubblico, si realizzava anche un corridoio anulare a metà cavea unitamente a una serie di scale radiali che definivano i vari settori di posti.
La costruzione del Teatro di Marcello, iniziata nel 46 a.C. da Giulio Cesare, fu portata a termine dall’Imperatore Augusto che volle dedicare l’edificio al nipote Marco Claudio Marcello, figlio di Gaio Claudio Marcello e di Ottavia sorella di Augusto.
Nato nel 42 a.C. e sposo di Giulia figlia di Augusto nel 25 a.C., Marcello, che era nipote e genero dell’Imperatore e nel quale erano riposte le speranze della dinastia giulio-claudia, a soli 19 anni nel 21 a.C. muore in circostanze misteriose a Baia. Una statua d’oro fu posta nel teatro durante la fastosa cerimonia d’inaugurazione svoltasi secondo alcuni autori nel 13 a.C., secondo altri nell’11 a.C.. Restaurato sia da Vespasiano, sotto il quale fu completamente rifatta la scena che da Alessandro Severo, era probabilmente ancora in funzione nel V sec. d.C.
La ricostruzione planimetrica dell’edificio teatrale, del quale è ignoto il nome dell’architetto progettista, si completa con alcuni frammenti della Pianta Marmorea Severiana su uno dei quali – il frammento relativo al settore post scaenam – sono rappresentati 4 edifici di piccole dimensioni e d’incerta interpretazione per i quali si è proposta l’identificazione con il tempio della Pietà e il tempio di Diana, preceduti dalle rispettive are, che le fonti letterarie localizzano in questa zona, e che probabilmente furono demoliti da Giulio Cesare per recuperare lo spazio necessario alla costruzione del teatro.
La scelta del luogo non fu casuale perché l’edificio si eleva proprio nell’area che la tradizione secolare aveva consacrato alle rappresentazioni sceniche dove si trovava il Theatrum et proscenium ad Apollinem, la più antica cavea teatrale collocata in asse con il Tempio di Apollo Medico. Il Teatro di Marcello fu costruito nella zona che, secondo il riordinamento urbanistico di Roma operato dall’Imperatore Augusto, fu la regione IX, all’estremità orientale del Circo Flaminio tra il Campidoglio e il Tevere, oggi compreso tra Via del Teatro di Marcello, Piazza di Monte Savello, Via del Portico di Ottavia e Piazza Montanara. Sugli interventi edilizi che Augusto predispose nel settore meridionale del Campo Marzio siamo ampiamente documentati dalle fonti letterarie, le quali ricordano il restauro delle opere architettoniche esistenti e la costruzione di nuovi complessi monumentali. Va comunque rilevato che, durante il principato di Augusto (30 a.C. -14.C.), al di là dei programmi pianificati per la pianura tiberina,ci furono delle calamità naturali: si ricordano, di fatto, otto inondazioni del Tevere e nove incendi, nel periodo compreso tra il 31 a.C. e il 15 d.C., che resero necessario il finanziamento per vaste operazioni di restauro.
Nella programmazione topografica e urbanistica di quest’area si ritrovano i temi più diffusi della politica urbanistica augustea, le architetture per lo spettacolo: precisamente, nell’arco cronologico compreso tra il 29 a.C. e l’11 d.C., furono costruiti l’Anfiteatro di Statilio Tauro, il Teatro di Marcello e il Teatro di Balbo, monumenti con una forte incidenza sull’opinione delle masse cittadine, essendo promotori di vita sociale e urbana più controllabile in queste strutture accentrate.
Esempio grandioso di architettura romana per la perfezione delle forme e l’armonica composizione degli spazi, il Teatro di Marcello campeggia tra le moderne costruzioni dell’attuale situazione urbana circondata da un’area archeologica dove si possono osservare, in deposito sul prato, pregevoli gruppi lapidei che rievocano i fasti dell’epoca: sono resti di fregi che, a dispetto delle mutilazioni e dell’estraneità al contesto in cui sono collocati e dell’impossibilità a ricollocarli nella giusta posizione, si ammirano egualmente nella loro antica bellezza.
Dei tre teatri stabili del Campo Marzio meridionale, il Teatro di Marcello è il meglio conservato e l’unico ancora leggibile nella sua unità; innalzato su una grande platea di calcestruzzo sotto la quale una palificata di rovere comprimeva il terreno argilloso, fu costruito su tre ordini architettonici: dorico, ionico e corinzio.
Costituito da ambulacri semicircolari ai quali accedeva il pubblico attraverso gli ingressi, fu concepito come edificio a sé stante e realizzato secondo i dettami vitruviani con una cavea semicircolare divisa in settori, orchestra semicircolare, portico in alto a chiudere la cavea, la scena con le tre porte e fondali o trigoni. Si è calcolata una capienza di circa quattordicimila spettatori, un diametro di circa m. 150 e un’altezza probabile di m. 32.
La facciata esterna della cavea, realizzata in travertino, conserva parte del primo ordine dorico, con un ambulacro coperto da una volta a botte anulare, e parte del secondo ordine ionico con un ambulacro coperto da una serie di volte radiali.
Del terzo ordine non rimane nulla e incerta è la sua ricostruzione anche se, per il Fidenzoni, l’edificio teatrale doveva terminare con un attico chiuso decorato da paraste corinzie delle quali si sono ritrovate alcune parti. La scena era fiancheggiata da due sale, riconoscibili sulla planimetria Severiana: di quella disposta ad est sono ancora visibili un pilastro e una colonna.
Il deambulatorio interno e i muri radiali del teatro sono in opera quadrata di tufo per i primi dieci metri, mentre nella parte più interna fino all’unghia della cavea i muri radiali sono in opera cementizia con un rivestimento in reticolato di tufo; le parti interne degli ambulacri sono in laterizio e le volte sono realizzate in opera cementizia. Nel vano terminale del corridoio radiale di centro, l’intradosso della volta conserva ancora parte della decorazione figurata con stucchi bianchi ripartiti in tondi e ottagoni, inquadrabili cronologicamente all’età antonina; questa decorazione ha fatto pensare che potesse trattarsi o di un sacello dedicato ad una divinità fluviale o infera, oppure di un sacrario dedicato agli Dei Mani di Marcello.
Gli unici elementi decorativi della facciata erano delle maschere teatrali scolpite a tutto tondo di enormi dimensioni, in marmo bianco prevalentemente lunense, recuperate in frammenti durante gli scavi degli anni Trenta. Esse riproducono in proporzioni molto maggiori del vero le maschere che gli attori indossavano durante le rappresentazioni sceniche, caratterizzate da tratti fortemente accentuati ed espressivi oltre che da una bocca smisurata che è il tratto più notevole della fisionomia della maschera antica.
Originariamente fissate alla chiave d’arco del primo e del secondo ordine dei fornici, mediante perni di ferro alcuni dei quali ancora in situ, dovevano essere ottantadue. L’esame e la ricomposizione dei frammenti consentono il riconoscimento di tre tipi scenici:
tragico, satiresco e comico; alcune di queste bellissime maschere monumentali dopo il restauro sono state collocate in esposizione permanente presso il secondo piano del Teatro Argentina, dove continuano a svolgere la loro funzione metaforica e decorativa, ma soprattutto ad affascinare.
“Il significato simbolico e magico che la maschera comporta, allo stesso tempo agli occhi di chi l’indossa e di coloro che è destinata a impressionare, ne fa un oggetto essenzialmente adatto a tradurre (ma all’inizio a provocare) il sentimento di malessere e di commozione che risulta dalla manifestazione del soprannaturale e dall’ambiguità inerente a queste manifestazioni, tenuto conto che per gli Antichi il soprannaturale non è estraneo ed esteriore alla natura, ma la penetra intimamente” (Henri Jeanmaire).
La documentazione archeologica, i frammenti della Pianta Marmorea Severiana e alcuni disegni rinascimentali contribuiscono a ricostruire la pianta del Teatro di Marcello della quale vi sono due diverse ipotesi limitatamente al post scaenam: la maggior parte degli studiosi, sulla base di un frammento della planimetria Severiana ritiene che lo spazio posteriore alla scena fosse delimitato da un grande muro a esedra che proteggeva il retroscena dalle frequenti inondazioni del Tevere. Diversa la ricostruzione planimetrica proposta dal Fidenzoni, per il quale il retroscena era chiuso a sud da un semplice muro.
Il Teatro di Marcello presenta una struttura chiara nella parte utilizzata fin dal X/XI secolo come fondamenta della roccaforte delle famiglie che si avvicendarono al dominio della zona circostante.
Secoli di abbandono sono quelli dell’età medievale: intorno all’anno 1000 la famiglia dei Pierleoni stabilì la propria dimora-castello sulle rovine del teatro e, nel XIV secolo, un esponente dei Savelli subentrato ai Pierleoni eseguì i primi lavori di restauro che si concretizzarono, come ancora oggi si può vedere, con la trasformazione nel XVI secolo dell’antica dimora in palazzo residenziale a opera di Baldassarre Peruzzi che rispettò pienamente le strutture antiche.
Alla morte del principe Giulio Savelli, ultimo discendente della famiglia, il palazzo fu acquistato dalla famiglia Orsini che lo ampliò e restaurò. Negli anni Trenta il teatro, divenuto proprietà del Comune di Roma, che aveva acquistato dalla duchessa di Sermoneta la parte del piano terreno adibita a carbonaie e magazzini, fu liberato dalle costruzioni adiacenti e ne furono messe in luce le antiche strutture degli ambulacri, consentendo una buona lettura dell’edificio.
Contestualmente furono eseguiti il restauro ed il consolidamento delle strutture, risarcendo le murature antiche per lo più con lo stesso paramento in sottosquadro.
Le parti di stucco cadute furono ricollocate sulle volte, si ripristinarono i gradini dove erano conservate le impronte e le ricostruzioni di strutture di una certa mole con funzione portante furono eseguite in mattoni.
La Commissione Storia ed Arte Antica responsabile dei lavori di restauro e consolidamento del Teatro di Marcello aveva autorizzato la costruzione di tutte le murature necessarie, come le pareti, i pilastri e i sottarchi,approvando anche la realizzazione degli speroni, indispensabili per dare solidità al complesso del monumento e del Palazzo Orsini, ma il problema si pose per il grande contrafforte occidentale del teatro, composto di archi e pilastri e sul quale i componenti della Commissione di Storia ed Arte Antica erano in disaccordo. Fu approvato comunque il progetto dell’ingegnere Giovenale di utilizzare la pietra sperone di Montecompatri che rispondeva alle esigenze fondamentali di stabilità più che al senso estetico, in quanto si utilizzava una pietra di colore scuro con sfumature giallo-verdastre del tutto estranea ai numerosi materiali utilizzati nel teatro e nei monumenti adiacenti.