Siamo a largo dei Librari, con le spalle all’oratorio restaurato. E’ un pomeriggio di settembre ma il Filettaro apre la sera. E mentre chiacchieriamo seduti ai tavolini del caffè, due bangladesi schizzano via lungo via dei Giubbonari con la mercanzia, evidentemente inseguiti dai vigili. E’ il gioco delle parti, la solita scenetta messa in onda quando Roma Capitale decide di fare sul serio per far contento il Messaggero o evitare i tweet di Salvini contro Virginia Raggi. La coppia che mi sta davanti si direbbe male assortita: lei è una stupenda brunetta, lui ricorda un po’ Morgan o Anonymous ed è l’archetipo del simpatico bel mascalzone. Lei infatti è sposata ed è allo stesso tempo sinceramente innamorata di questo divorziato con figli. Come finirà la storia? Non lo sanno nemmeno loro, questo lo ammettono mentre lentamente girano il cucchiaino nella tazzina del caffè. I tratti di lei sono dolci, è una siciliana elegante e sensuale e ha sempre il sorriso sulle labbra. Nel frattempo la partita a guardie e ladri continua: una robusta vigilessa sta facendo il giro della piazzetta, lasciando comunque un intervallo sufficiente a far scappare il “bangla” lungo l’altro lato della piazza. Lentamente sentiamo avvicinarsi anche una macchina che scandaglia via dei Giubbonari. Anche qui è un’operazione di facciata: se vuoi rastrellare sul serio una strada devi chiuderne entrambi gli accessi. Mi ero comunque distratto e la donna che ho davanti aspetta la risposta a chissà quale domanda. Chiedo di ripeterla e prendo tempo: mi chiede che voglio fare io. Risposta: nulla. Non provo emozioni, o almeno col tempo ho imparato a controllarle. E poi è da lei che aspetto una risposta, visto che sono suo marito ed è lei che vuole mettersi con un altro. Ho chiesto io di vederci a tre per fare due chiacchiere: devo sapere cosa vogliono fare, come e quando.
Dietro di me continua il passeggio domenicale, mentre un distinto venditore ambulante deve discutere con le guardie: lui non è scappato, ma è italiano e pensa di evitare la sanzione. Ben altro panorama la mattina dei giorni feriali verso le 8, quando c’è scuola: il vicino liceo statale Vittoria Colonna pullula di belle ragazze e ai tavolini c’è di tutto: ormai non esistono più ragazze brutte o poco curate, e forse per questo miss Italia non va più di moda: ormai basta uscir per strada e sembrano tutte finaliste.
Ritorno sui miei pensieri: mi preoccupa l’aspetto economico di una eventuale separazione. Già lei mi ha chiesto a chi resterà la macchina, e questa non gliela perdono. Lui poi non ha un posto fisso e chi chiede i soldi una volta, li chiederà anche dopo. Passi per il letto, ma i soldi no. Qui manco a farlo apposta siamo vicino al Monte, dove i traffici di oggetti e denaro avvengono da sempre e certe facce le conosciamo tutti da anni. Proprio al Monte comprai una macchina da scrivere usata, quando ancora non c’era la videoscrittura. Ma qui troppe cose sono cambiate da quando ero giovane, inutile fare l’amarcord. Devo infatti concentrarmi su quello che ho davanti, ma non è facile: quei due se non sono ancora andati a letto ci andranno presto e anche senza dirmelo lo capirò lo stesso. Nel frattempo mia madre sta lentamente spegnendosi in un lontano ospedale e quella casa dove una volta abitavamo in cinque ora è malmessa, enorme e vuota. Ieri insieme alla badante – una robusta contadina romena – abbiamo dato una riordinata alle stanze e soprattutto le abbiamo pulite da tutta la robaccia accumulata nel tempo: scarpe, indumenti in disuso, pentole in alluminio, certificati elettorali, bollette d’epoca, carte da regalo, riviste, decoder e cavi elettrici, verbali di condominio, fatture saldate mezzo secolo prima. Se la lasciassi sola, quella donna brava quanto ignorante butterebbe tutto, ma insisto per esaminare prima qualsiasi cosa trovi in armadi, madie e cassettiere. Decido io cosa va conservato e cosa va mandato in discarica, altrimenti andrebbero perduti anche i libri antichi di mio padre o le mie collezioni che non ho avuto il tempo né lo spazio per portare con me dopo il matrimonio, di cui tra pochi giorni ricorre l’anniversario. Mi viene da ridere: quest’anno non riesco a immaginarmi una cenetta a lume di candela, né è sicuro che, una volta sloggiato da casa di mia moglie, io possa abitare casa di mia madre: i fratelli la vogliono vendere e non avrei certo i soldi per riscattare le loro parti. Certo l’idea di non dover guidare più ogni giorno nel traffico o di poter entrare al cinema Farnese quando voglio resta un bel sogno: con lo stipendio che mi danno posso solo scegliere un’altra periferia. Magari con un teatro o un cinema di quartiere.