La festa della Repubblica dovrebbe essere un momento di unione di tutte le componenti civili di una società, e invece quest’anno si è visto di tutto: reparti ridotti all’osso, frasi insolite per un presidente della Camera, provocatorie assenze di generali in pensione e di politici, parole come “inclusione” lasciate nell’ambiguità iniziale. Insomma, non ci siamo fatti mancare niente. Visto che io la parata del 2 giugno la seguo o vi partecipo da sempre in prima persona, mi sia permessa qualche osservazione personale.
La prima: la festa della Repubblica ha smesso da almeno dieci anni di essere celebrata con una parata esclusivamente militare. Quest’anno si sono visti 300 sindaci sfilare con la fascia tricolore, ma già il presidente Napolitano aveva gradualmente escluso dalla sfilata i mezzi meccanici e inserito come novità la partecipazione dei gonfaloni delle Regioni e delle organizzazioni di Protezione civile. I mezzi erano comunque ormai pochi, almeno per chi come me si ricorda le sfilate degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, quando i reparti sfilavano per battaglioni (falangi di 600 uomini; quest’anno gli scaglioni ne contavano 54!) e le vibrazioni di decine di carri armati facevano tremare pure il Colosseo. E pur militarista quale sono, sono anche il primo a dire che la festa della Repubblica deve mostrare pubblicamente tutte le componenti della società civile e non solo i militari in divisa e i corpi armati dello Stato. I volontari del Servizio civile universale sfilavano anche due anni fa, quindi inutile sbeffeggiarli. Resta casomai da chiarire cosa significa “società civile” e cosa volesse dire realmente il Ministro quando ha lanciato la parola d’ordine “inclusione” senza spiegarne il senso completo. Sulla società civile abbiamo una terminologia tradizionalmente chiara: sono cives quelli che godono dei diritti civili e hanno il diritto e dovere di esercitarli. In tempi neanche antichi i diritti civili riguardavano – come i servizi – solo una parte della società, ora sono stati gradualmente estesi verso l’esterno. Il limite in questo momento sono gli ultimi arrivati, i migranti e i nomadi, e si è visto quali danni produce l’accoglienza senza integrazione o, come oggi è più frequente dire, l’inclusione. Per quanto ne ho capito parlandone in giro, può darsi che ieri si volesse estendere la partecipazione alla sfilata (inutile ormai chiamarla parata) anche ad associazioni civili assistenziali o umanitarie, trovando però la discreta ma ferma opposizione dei vertici militari, i quali fanno meno rumore dei politici ma sanno bene come muoversi.
E qui passiamo al secondo argomento: l’ostilità dei vertici militari. Il Ministro Trenta non piace agli ufficiali di Stato Maggiore, i quali non hanno digerito i tagli alla Difesa, il Sindacato militare, l’inchiesta sui danni da uranio impoverito e i tagli alle pensioni dei generali con incarichi speciali. Sicuramente il Ministro si trova stretto fra Salvini che vorrebbe la sua testa e il proprio partito, che pur essendo pacifista e antimilitarista ottiene la Difesa e ovviamente impone le sue idee in materia. Sia chiaro: il “Dual Use” non lo ha inventato la Trenta: armi a parte, le Forze armate possono collaborare con la società civile e in fondo l’hanno sempre fatto. Piuttosto – cito dalla stampa di vario colore – è ingiusto chiamare la Trieste “la nuova nave dei Crociati”, come è ridicolo definirla “una nave di pace” o meravigliarsi sentendo dire: “ma imbarcherà anche aerei e armi”. Il compito della Trieste è il controllo del Mediterraneo, l’unica zona che ci dovrebbe interessare, ma non è una nave ospedale o un traghetto per migranti, anche se ha stive capaci e ben due sale operatorie, come la Cavour. Anche la nave San Giusto era stata finanziata con i fondi della Protezione civile, avendo spiccate capacità di trasporto e scarico rapido. Né è colpa della Trenta se i soldati professionisti sono ormai più che quarantenni: come nella società civile, le assunzioni sono state bloccate per anni e non c’è stato ricambio. E quando i soldi mancano, le caserme non hanno manutenzione, mancano i pezzi di ricambio per i mezzi e l’addestramento viene ridotto.
Infine, un’ultima osservazione. I generali che hanno disertato la festa provengono tutti dall’Aereonautica, la forza armata che più ha bisogno di investimenti (vedi l’F-35) ed è più legata alla ricerca dell’industria aerospaziale e delle telecomunicazioni. I tagli alla Difesa hanno penalizzato soprattutto questo settore, dove le industrie premono da sempre sulle commissioni del Ministero. E’ un settore di punta della nostra industria e in effetti non andrebbe trascurato, viste anche le ricadute nel mercato commerciale e nell’export. A questo punto, la protesta dei generali in pensione ha un senso preciso. E se quelli in servizio non parlano è perché non sono abituati a farlo in modo esplicito, né gli è permesso alzare la voce senza rischiare la carriera. E purtroppo la storia italiana insegna che non di rado i vertici militari hanno seguito le indicazioni dei politici, ma senza crederci veramente. E mai come in questo momento la spaccatura è evidente.