Cechov e i suoi patetici eroi/antieroi: sfaccendati, deboli, inutili a sè e agli altri, falliti, che continuamente, tra un gioco di società, la vodka e la vuota presunzione aristocratica, impietosamente buffi e tragici, si riconoscono per quel che sono, commiserandosi e compiangendosi per poi riprendere, se vuoi anche coraggiosamente, la loro malinconica fatuità. E lo scenario e il tempo è sempre quello: la villa campestre, la provincia che ingoia il velleitario e le sue pretese eroiche, la fine dell’estate e l’incipiente autunno con le sue prime piogge e il bel tempo che finisce alle soglie dell’inverno. Eppure come non amarli e compatirli?
Forse è una stagione e un tempo che in qualche modo conosciamo, il tempo di riconoscerci per quel che siamo, per come volevamo essere e non ci siamo riusciti.
Le rinunce e le debolezze di piccoli uomini e piccole donne. Penso alla provincia, a quella che conosco e che tanti slanci ha vinto col suo invincibile torpore. Domani, domani… il poi è figlio del mai dice l’antieroe Platonov.
Cechov anima grande e fervida, pure amava e compativa i suoi piccoli eroi, vili inutili e rinunciatari. Una generazione perduta nei suoi sogni, di lì a poco spazzata via e scomparsa nei giorni ardenti della Rivoluzione: la vecchia Russia, la nuova Russia, la Russia di sempre…..