Si parla spesso in questo nostro occidente (apparentemente) evoluto e tollerante della “diversità” e delle problematiche, spesso drammatiche, legate al “diverso”. Ma dalle prime pagine, dagli approfonditi saggi di filosofi e sociologi, fin nei salotti più colti e avveduti, la diversità di cui si discute è principalmente quella sessuale.
Non che non abbia l’omosessualità tuttora ,anche dalle nostre parti, talvolta risvolti preoccupanti se non addirittura tragici. Ma mi sembra di poter dire che non vivendo in una società di severa repressione morale e di fanatico integralismo religioso, la diversità sessuale sia se non universalmente accettata come assolutamente “naturale”, certamente ampiamente tollerata e anche giuridicamente in via di equanime risoluzione. Fatte salve ovviamente le eccezioni, spesso drammatiche, che sono conseguenze di ambienti arretrati e di depressioni culturali che sono “sacche” di violenza e di intolleranza. Non voglio esagerare ma credo che, oggi come oggi, la diversità preoccupante e meno accettata dalla società sia altrove.
Sia nella “diversità” congenita e necessaria di chi per temperamento, per scelta culturale e di vita, e sopratutto per diversa e “alternativa” percezione della realtà, è automaticamente relegato ai margini della collettività. Poeti, artisti, filosofi, ma anche individui di non particolari talenti estetici o scientifici, semplicemente perché non si immedesimano nella massa, non volendo e non potendolo fare, si trovano a impantanarsi nelle paludi mortificanti dell’emarginazione, dell’incomprensione,se non del rifiuto intollerante che è conseguenza (individuo/società) di una reciproca incompatibilità.
Purtroppo non tutti questi individui possono elevarsi al rango di genialità magari non amate ma comunque ammirate e rispettate (Beethoven, Michelangelo, Leonardo), genialità che pur nell’eccellenza del loro indiscutibile talento hanno sofferto i drammi della diversità. Ma si deve considerare il limbo deprimente della solitudine in cui,pur nelle nostre civilissime società, il “diverso” è relegato senza alcuna gratificazione culturale. Eppure si pensi che tale individuo, malcompreso, trascurato, o addirittura ritenuto superfluo e ingombrante, rappresenta pur il sale necessario, o se preferite la goccia d’aceto o d’amaro, che porta alle necessarie riflessioni sui valori effettivi di un pur civile consesso umano. Riflessioni e considerazioni malviste e intollerabili (pensate alla fine che fa il grillo che rimprovera Pinocchio!) perché distolgono dal godimento di una apparente ma appagante sensazione di “appartenere” al proprio tempo.
Perché la “diversità” in quanto tale si pone sempre in posizione critica e di inesorabile approfondimento di fronte alle cose e ai fatti ai quali pur esso appartiene per necessità storica.
Insomma, a dirla tutta, colui che è diverso dalla massa, astenendosi dai suoi rituali e dalle sue omologazioni, si pone di conseguenza alla giusta distanza dai fenomeni sociali e umani per osservare senza esserne travolto, assurdità, contraddizioni, menzogne e superficialità.
Tale individuo naturalmente, non omologandosi e non assecondando le universali e indispensabili illusioni di chi gode del suo tempo nel flusso irresistibile dell’onda generazionale in una reciproca accettazione delle regole inderogabili dello stare insieme:(fare le stesse cose negli stessi tempi e modi), non può essere bene accetto e tanto meno amato dalla massa.
Di conseguenza nella contemporaneità esso sarà sempre necessariamente sconfitto perché i molti preponderano sempre sull’uno, anche se talvolta, nelle conseguenze di una società che si trasforma criticamente, l’opera o semplicemente l’esempio, la presenza, la qualità del “diverso” viene ripresa in considerazione e riqualificata.
Questo nei casi e nelle eccezioni di personalità particolarmente forti ed emergenti. Per il diverso “comune” (contraddizione in termini!): l’asociale, l’introverso, il barbone, lo scontento, il misantropo, non resta che rassegnarsi alla sua “diversità” senza nemmeno compensi o riconoscimenti postumi, o tuttalpiù può tentare l’inganno, per sé e per gli altri, di un “inserimento” fallace e penoso in una massa che non comprende e non ama e da cui non è amato e compreso.