Il massaggio è un’antica tradizione orientale, legata a complesse filosofie del corpo e dell’anima, e negli ultimi tempi si sono moltiplicate anche a Roma le sale di massaggio cinesi. Avete mai provato a suonare il campanello di questi locali sul piano stradale ma blindati verso l’esterno, da cui sembra che non esca mai chi ci lavora dentro? E quanto sono realmente professionali questi centri che aprono e chiudono di continuo? Quante ragazze che vi lavorano hanno un diploma credibile, leggibile e riconosciuto dalle nostre autorità? La protesta delle fisioterapiste nostrane ci rammenta il solito vuoto legislativo italiano. Mi sono divertito a leggere un articolo scritto da un certo Duilio La Tegola, “General Manager e Fondatore della Scuola di Massaggio Diabasi®”, che difende i professionisti italiani e spara a zero contro i centri cinesi su strada, coadiuvato dall’associazione culturale VIMO (Verifica Italiana Massaggi Orientali). Ne vien fuori una discreta competenza delle massaggiatrici cinesi, ma una carenza di formazione professionale come noi la intendiamo giuridicamente. Il progetto di questo signore? Testuale: “Conquistare la donna con il massaggio perfetto” OVVERO “La mia dura lotta per evitare che il maschio italiano frequenti i centri massaggio a luci rosse”. La prima parte del discorso è bizzarra: e perché non insegnare anche alle nostre mogli a fare i massaggi? Quanto all’altra metà della frase, si dà per scontato che in giro ci sia poca serietà.
Ma andiamo sul campo. Sempre sul piano stradale, come normali negozi, visti da fuori i centri di massaggio sono tutti uguali. O meglio: quelli Thai sono più curati e più invitanti, mentre quelli cinesi al massimo mostrano una targhetta luminosa da quattro soldi con scritto “aperto” e un campanello dietro a un vetro oscurato. Si direbbe che l’allestimento lo curi sempre la stessa ditta. D’estate magari una delle ragazze siede sulla soglia armeggiando col telefonino, ma è raro che la porta sia aperta, quindi l’unica cosa da fare è suonare. Mi apre una ragazza e vengo smistato dalla mama-san, la quale mi indica il camerino dove entrare e dove mi seguirà la ragazza. Lo spazio interno sembra molto compartimentato e pieno di tramezzi. Pago anticipato (30 euro la mezz’ora, 50 se un’ora, zero scontrini) ed entro nella stanzetta assegnata. Sull’igiene di questi posti se ne sentono di tutti i colori, ma l’insieme mi pare pulito e profumato. La ragazza non veste con una tunica come mi aspetterei, ma indossa una specie di costume da bagno intero tutto attillato e indossa un paio di pantofole che si leva appena può. Una musica di sottofondo – cinese, ovviamente – è diciamo gradevole. La ragazza mi fa cenno di spogliarmi. Resto in slip, ma devo levare anche quelli. Chiedo di farmi una doccia, lei acconsente e mi passa l’asciugamano di carta. Una volta che mi sono asciugato mi fa sdraiare sul lettino pancia sotto e solo in quel momento mi accorgo che c’è un buco dove infilare naso e bocca per respirare. Chiedo alla ragazza il nome: Nora, anzi “Nòla”. Nome d’arte, ma almeno facile da ricordare.
“Olio? – ma certo. Quale? E che ne so? Fai tu. Nel frattempo ascolto questa musica cinese commerciale e mi rilasso a pancia in giù. Il lettino è comodo e il lenzuolo pulito. Da fuori si sente la mama-san che parla ad alta voce con una delle ragazze; la voce è in acuto e la sta forse sgridando. Ma ormai vivo in un altro mondo, lontano dal traffico. Mi risveglia la voce di Nòla: “Massaggio nolmale o fòlte?” . Beh, meglio normale, la prima volta non si sa mai. Da questo momento le mani scorrono sulla mia schiena e lavorano le spalle con movimenti decisi e armoniosi, per poi scorrere lungo la spina dorsale. Le thailandesi conoscono i “punti” e premono su di essi, le cinesi no. Cerco di scambiare con Nòla quattro chiacchiere, ma conosce troppo poco la nostra lingua e la conversazione procede a pezzetti. In seguito tutti mi diranno che una massaggiatrice cinese conosce non più di dieci parole in italiano. Per fortuna quando dico “cervicale” capisce e le mani massaggiano il punto giusto. Praticamente ora mi si è seduta sulla schiena e in questo modo può gravare sulle sue braccia col peso del corpo. Altro olio è stato aggiunto e il mio collo viene strizzato come uno straccio. Il gioco si fa duro quando lei mi si para davanti in piedi e preme con le mani sulle mie spalle massaggiandomi con forza. Potrei aggrapparmi alle sue gambe ma non lo faccio. Poi saprò che le cinesine riconoscono i questurini perché non mettono mai loro le mani addosso! Mi sento comunque meglio, anche se quando la ragazza inizia a usare avanti e indietro anche l’avambraccio mi rendo conto della sua forza fisica. Comunque non deve lavorare dieci ore in un ristorante cinese o star dietro a una macchina da cucire dentro un capannone sul Raccordo anulare. In questi centri il lavoro non è in fondo massacrante e tra un cliente e l’altro le ragazze sfogliano riviste o seguono i loro sceneggiati. Comunque, potrebbero fare anche le commesse o le parrucchiere, dipende solo da chi le ingaggia, sempre e solo cinese.
Si scende. Ottimo il lavoro sulle vertebre lombari, visto che come chiunque lavora in ufficio e guida ogni giorno, soffro di lombosciatalgia. Ma quando il massaggio arriva alle gambe e ai glutei, mi rendo conto che la ragazza ora sta saggiando le mie reazioni. Resto indifferente, non offro esca. Basterebbe un gesto minimo per sentirmi discretamente proporre qualche extra, ovviamente dietro una mancia che andrebbe tutta a lei. La padrona non obbliga nessuna delle ragazze, ma di fatto chiude un occhio: più loro arrotondano, più può comprimere la loro paga, che – per quanto ne so – è così distribuita: nessun mensile, per ogni cliente 30% a mama-san, 20% a loro. Finale? Mi sento realmente rilassato e forse tornerò.