Tutti quelli che sviliscono l’e-book esaltando il gusto tattile del polpastrello sulla pagina stampata, annusando con voluttà l’aroma della cellulosa intrisa di inchiostro, del sudore assorbito dalla legatura, sinceramente io li trovo ridicoli: il feticismo è una perversione. Ma soprattutto, si continua a confondere la lettura con lo studio e la consultazione. Leggere un romanzo in poltrona non è lo stesso che dover scrivere un articolo entro poche ore su un argomento specializzato o dover mettere insieme o tenere sotto controllo una documentazione derivata dalle fonti più disparate e voluminose. Che poi i dispositivi per la lettura degli e-book sembra siano stati progettati da gente che legge poco è un’altra storia; si arriverà prima o poi a uno standard accettabile anche in quel campo, a patto che gli elettricisti ne discutano con chi i libri li legge sul serio. Solo a quel punto margini, luminosità e leggibilità raggiungeranno livelli civili. Aggiungo pure che un libro in digitale non può essere la semplice fotocopia elettronica della pagina stampata: a parte il diverso formato e orientamento della pagina, le note devono esser risolte con un link ipertestuale.
Io purtroppo la questione la vedo da un punto professionale: sono un bibliotecario e faccio questo mestiere da molti anni, durante i quali le risorse assegnate – spazio, soldi, personale – si sono sempre più assottigliate, sia per la crisi economica, sia per il disinteresse di politici e amministratori. E’ una situazione comune a molte biblioteche specializzate, e la ricaduta negativa sul servizio è disastrosa. E allora, in mancanza di spazio e personale, ben vengano i documenti che non occupano spazio fisico, si possono trasmettere via email in pochi secondi, sono facilmente accessibili, copiabili e stampabili. E basta con le fotocopie che distruggono i libri rilegati, con le raccolte di leggi e leggine che cambiano ogni giorno, con le annate rilegate della Gazzetta Ufficiale: quei tomi non servono a niente. E se una università tedesca o americana decide di trasferire in digitale l’intero corpus della letteratura latina classica e medioevale, benissimo, purché non si valga di edizioni critiche antiquate (per non pagare il copyright). E se le riviste accademiche fossero stampate in pdf invece che su carta, il risparmio sarebbe enorme, a patto di non cedere i diritti a editori monopolisti come Elsevier o Serra, che fanno pagare un’annata quanto un’auto di seconda mano. E invece ogni giorno mi devo sentire l’elogio della carta da parte di chi non deve tenere in ordine 20.000 volumi, tre quarti dei quali non sono mai stati consultati da nessuno. Quindi, almeno per il futuro cerchiamo di occupare meno spazio possibile.