Tutti gli articoli di Gianleonardo Latini

Ingoiare rospi gialli e verdi

L’accordo governativo, nonostante i continui scricchiolii, regge solo per il fatto che i pupari hanno un pupo da manovrare come il portavoce di due caratteristi d’avanspettacolo per uno spettacolo di ventriloquio.

Il pupo cerca di far andare d’accordo il giallo con il verde che è diventato blu, verde padano indipendentista con il blu sovranista più che nazionalista, ma i punti di attrito spaziano dalla gestione migratoria alla privatizzazione/nazionalizzazione e ora anche sulla revoca dei fondi alle scuole paritarie.

Sembra una gara per chi riesce ad ingoiare il maggior numero di rospi nella compagine giallo/verde per poi rimanere sulle poltrone e dimostrare quale visione del paese è migliore.

C’è chi grida e chi annuisce, ma anche chi fa il mimo in attesa di una pausa per parlare nel bailamme mentale in cui tale accordo ha fatto piombare l’Italia.

L’inizio ha visto un pareggio con i pentastellati che accettano un’alleanza con i leghisti fiancheggiatori di Berlusconi, mentre i leghisti hanno preso le distanze da Forza Italia.

Poi sono venute le controversie sulla flat tax e il reddito di cittadinanza, tanto che il ministro dell’economia più di una volta si è trovato a fare dei distinguo e frenare sull’attuazione di entrambe le proposte finanziarie e soprattutto lasciando operante il reddito di inclusione, criticato dal M5S e fortemente voluto dai governi Renzi e Gentiloni.

Anche il taglio delle pensioni d’oro è causa di attriti tra conviventi di governo, con la Lega che vuole alzare la soglia e Di Maio non intende fare marcia indietro per sostenere l’occupazione giovanile.

Sulla situazione migratoria i leghisti si presentano monolitici sull’imporre un blocco dei porti alle navi con naufraghi. Un blocco che coinvolge anche navi dello Stato italiano, come insegna il caso del pattugliatore della Guardia costiera Diciotti, arrivando a tenere segregate 177 persone per cinque giorni. I leghisti sono intransigenti, mentre i pentastellati sono su posizioni dialoganti, nonostante le minacce del loro responsabile politico e vice primo ministro verso l’Unione europea.

I leghisti hanno uno strano concetto di sovranismo se impediscono l’attracco in un porto italiano ad una nave della marina militare italiana perché ha salvato delle persone in balia del Mediterraneo.

Leghisti e pentastellati sembrano avere come unico bersaglio l’Unione europea e non i paesi che si oppongono alla ridistribuzione dei migranti e al superamento del Trattato di Dublino.

Una comunanza nel trovare la Ue il nemico dell’Italia che per i pentastellati non significa allearsi con l’Ungheria di Orban.

Dopo il crollo del ponte Morandi, a Genova, si riaccende lo scontro tra la visione leghista e quella pentastellata sulle nazionalizzazioni e le privatizzazioni. È a tale proposito che il prof. Carlo Maria Bellei, delll’Università degli Studi di Urbino, si “permette di chiarire al v. premier Di Maio, vista la “perplessità” pentastellata nel riscontrare l’apertura leghiste alla Società Autostrade, l’incompiuta storia delle concessioni, con una lettera aperta, e con la scelta centrodestra, Lega compresa, di eliminare nel 2008 tutti i vincoli dalla concessione ad Autostrade posti dal secondo governo Prodi.

Non ultima è la scelta di rivedere il finanziamento delle scuole paritarie, nella volontà del ministro pentastellato della pubblica istruzione di garantire il rispetto della legge sulla parità scolastica, oltre all’altalenante posizione sui vaccini.

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La fluidità di un Movimento
gennaio 2017

Il Grillo visto da Greblo
dicembre 2014

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Le ingiustizie di una vita privilegiata

È la storia della mia vita: se c’è una ciliegia col verme tocca sempre a me.
Zucchero “Candito” Kandinsky
da “A qualcuno piace caldo” (Some Like It Hot)

In una vita fatta di apparenze e appartenenze, le persone sono protese all’invidia e al livore più che alla benevolenza.

Anche un asceta può, per una frazione di secondo, pensare che il suo saio è più ruvido di quello indossato dall’altro sant’uomo. Leggendo “è più ruvido” come una rivalità sul “perché devo soffrire di più”? o anche “io sono più vicino alla santità”!.

Che pessime persone quelle che prendono senza essere disposte a dare, ma noi siamo liberi di non elargire, a meno che non si pensi ad un proprio tornaconto.

Un tornaconto che nessuno può garantire, come chi specula nel campo finanziario, si rischia per poter guadagnare, ma non ci si può lamentare se la ricchezza rimane lontana mentre la povertà è dietro l’angolo.

Spesso siamo noi stessi, con la cronica insoddisfazione, ad essere i peggiori nostri antagonisti, con il bel risultato di diventare dei parafulmini di guai, mentre gli altri possono essere dei “fortunati” individualisti o sono propensi a facilitare la vita altrui.

Nel libro “Stronze si nasce” di Felicia Kingsley, pseudonimo di una emiliana, la vita appare come un’interminabile susseguirsi di controversie mentali, di supposizioni, di illusioni e delusioni, ma non per questo si evita di esistere, anche perché un po’ tutti siamo delle persone non sempre specchiate.

È una storia nella più consolidata tradizione del romanzo “rosa”, dove ad un certo punto tutti si rivelano sleali o presuntuosi, ma tra l’ingenua apprendista samaritana che si dimostra poco affidabile per le infatuazioni, l’infingarda amica/nemica, l’amichevole “grillo parlante” e il “principe azzurro”, c’è lo “scudiero” di Azzurro a essere fuori dal coro, ma tutti sono ricchi, belli e anche famosi.

Non può mancare, nel rimanere nel cliché e alla fine di alti e bassi, la felice conclusione della “redenzione” di chi voleva fare la stronza, ma senza averne la spigliatezza e la disinvoltura di chi stronzi ci nascono.

La protagonista confonde le infatuazioni con l’amore, ma soprattutto non comprende quando il sesso è amore.

GL Libri La vita è ingiusta Libro****************************

Stronze si nasce
Felicia Kingsley
Editore:  Newton Compton2018, p. 443
Prezzo: € 10,00

EAN: 9788822713438

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Una Intellettuale Migrazione

Non è necessaria la diatriba accesa dall’appello di Roberto Saviano per contrapporsi al dilagante senso di egoismo, dopo che gli intellettuali appaiono come le fiaccole che illuminano il cammino per una nuova società e gli altri zotici che ignorano la storia e la realtà geopolitica. È restrittivo basarsi su chi ritiene l’avvento di una popolazione senza confini e su chi vuol difendere quello che non ha mai posseduto e perdere di vista il vero quesito: fare la cosa giusta o rinchiudersi impauriti in un angoletto buio di qualche periferia degradata.?

Sono proprio le periferie degradate, con la sua popolazione, ad essere uno degli argomenti di Paola Mastrocola, nel suo articolo “Quel muro tra buoni e cattivi” sul Sole 24 Ore di domenica 29 luglio 2018, a rispondere a Roberto Saviano, prendendo in considerazione lo scontento di vivere nello squallore, come motivo per scagliarsi contro chi affronta svariati pericoli per trovare un luogo dove vivere senza paura di morire per conflitti o per carestia.

Se per Paola Mastrocola il problema di tanto dissapore verso gli altri nasce dalle condizioni in cui versano le periferie, sarebbe più proficuo fare pressione sulle Amministrazioni per risanarle, invece di scegliere di fomentare una polemica sull’accoglienza.

Paola Mastrocola si sente a disagio tra gli scrittori che pontificano stando comodamente seduti sulle poltrone dei loro salotti, ma sono solo parole come quelle di Sandro Veronesi, nell’invitare, con una lettera aperta sul Corriere della Sera del 9 luglio, Roberto Saviano a mettere «i nostri corpi sulle navi che salvano i migranti», mentre Eraldo Affinati risponde all’appello con “L’impegno è agire, io lo faccio a scuola”.

Mentre non ci sono parole per tutti quegli atti di solidarietà svolti in silenzio, come quelle centinaia di famiglie che accolgono rifugiati.

È arrogante ergersi come quelli che fanno la cosa giusta, limitando il coinvolgimento a opportune prese di posizioni, ma difficilmente si può contare su di loro per un turno alla mensa e sicuramente non si può chiedere di aprire le porte dell’accoglienza in spazi fisici dei loro salotti a persone che non si conoscono.

Anche gli altri sono convinti di essere nel giusto e non essere razzisti, ma tutt’al più un po’ xenofobi, come dire ti odio un pochino, quanto basta per non volerti vedere. Poi ci sono quelli che strumentalizzano lo scontento per fare la loro “cosa” giusta, quella che gli permette di mangiare senza lavorare.

Polemiche aride, parole al vento, che non sono di alcuna utilità se non si è disposti a dare il buon esempio.

È il caso, per chi si dice Cristiano, ricordagli i vari riferimenti nell’Antico e Nuovo Testamento alla difesa dello straniero, della vedova e dell’orfano. Se sbandiera la sua appartenenza a una religione, impugnando la Bibbia come se fosse un moschetto, non si può esimere dal seguire suoi insegnamenti.

Insegnamenti come nei libri della Genesi (17:8) “A te e alla tua discendenza dopo di te darò il paese dove abiti come straniero”, dell’Esodo (22:21) “Non maltratterai lo straniero e non l’opprimerai, perché anche voi foste stranieri nel paese d’Egitto”, del Levitico (19:33) “Quando qualche straniero abiterà con voi nel vostro paese, non gli farete torto”, sino al Vangelo di Matteo (25,35-44) “Ero straniero e mi avete ospitato

Sono solo alcuni esempi di come si dovrebbe aver rispetto dello straniero e non si fa riferimento allo straniero danaroso che può comprare ogni cittadinanza che desidera, ma di quello che necessita protezione.

Non ci sono buoni o cattivi, ma solo chi è quotidianamente un esempio di vita e chi arringa le folle per propri interessi. Folle spesso pigre per usare le proprie capacità mentali, fermandosi e riflettendo, optando per un pensiero omogeneizzato, quello predigerito che non comporta fatica nell’accodarsi all’armento.

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Qualcosa di più:

Migrazione: bloccati prima o parcheggiati dopo
Africa: Il Sahel italo-francese non «combat»
Migrazioni, cooperazione Ue-Libia | L’ipocrisia sovranazionale

Migrazione | Conflitti e insicurezza alimentare
Migrazione in Ue: il balzello pagato dall’Occidente
Migrazione: Un monopolio libico
Migrazione: non bastano le pacche sulle spalle
Migrazione: umanità sofferente tra due fuochi
Migrazione: Orban ha una ricetta per l’accoglienza
Aleppo peggio di Sarajevo
Migrazione: La sentinella turca
Migrazione: Punto e a capo
Migrazione: Il rincaro turco e la vergognosa resa della Eu
Europa: la confusione e l’inganno della Ue
Europa e Migrazione: un mini-Schengen tedesco
Migrazione: Quando l’Europa è latitante
Un Mondo iniquo
Rifugiati: Pochi Euro per una Tenda come Casa
Siria: Vittime Minori
Europa: Fortezza d’argilla senza diplomazia
La barca è piena
Il bastone e la carota, la questione migratoria

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Il Verde d’Africa

I mille drammi che gli africani vivono possono passare in secondo piano nell’interesse delle redazioni telegiornalistiche, ma anche sull’informazione cartacea, escluse due/tre testate, non godono di molta attenzione, come padre Alex Zanotelli ha sottolineato nel rinnovare il suo appello per l’Africa.

Tra le situazioni che mancano di un monitoraggio continuo c’è la lotta intrapresa, una decina di anni or sono, dai paesi della striscia del Sahel contro il deserto, proponendo un rimboschimento lungo un’area di quasi 8mila km, larga 15, con la creazione di una barriera, una grande muraglia verde (Great Green Wall) che colleghi la costa atlantica africana a quella sull’Oceano Indiano, per impedire al deserto di spostarsi sempre più in basso.

Una grande muraglia verde per smorzare la forza dell’Harmattan, il vento secco e polveroso del Sahara, che nel Burkina Faso ha il volto di un gruppo di donne del villaggio di Kao, impegnate, con la realizzazione di un vivaio ed con il supporto della Ong Bambini nel Deserto, a tenere viva una barriera “frantumata” in forma triangolare per usufruire dell’aerodinamicita’ e far scorrere il vento, proteggendo le case e le coltivazioni.

Nel Ciad si è venuto a conoscenza, grazie ai post del missionario gesuita padre Franco Martellozzo, di una gioiosa attività di rimboschimento, che si rinnova ogni anno in concomitanza con la Festa dell’Albero.

Una Festa rallegrata dall’irremovibile entusiasmo di una bimbetta di 4 anni, che padre Franco Martellozzo chiama Bakhita, nel contribuire alle operazioni di scarico delle 400 piantine arrivate con un pick up.

Una campagna arboricola che il sultano di Baro ha voluto concludere non solo con canti e danze, ma con una cerimonia di premiazioni di tutti quelli che si sono impegnati in ogni villaggio, donando altre piantine da curare e uno zainetto per andare a scuola.

Questo entusiasmo delle giovani generazioni è probabilmente tramandato dalle loro madri, con la loro operosità ed ingegno nel quotidiano , visto il ruolo bellicoso o apatico del maschio, la locomotiva della società. Infatti, come viene evidenziato nel recente studio del World Farmers Organisation, il 43% dei contadini sono donne, anche se in alcuni Paesi la percentuale sale al 70%, e sono ancora le donne, secondo la Fao (agenzia Onu per l’alimentazione e l’agricoltura), a farsi carico dell’approvvigionamento del 90% della fornitura d’acqua domestica e tra il 60% e l’80% della produzione di cibo consumato e venduto dalle famiglie.

Un’operosità che trova negli Orti comunitari del Ciad una risposta alle multinazionali ed ai Fondi sovrani impegnati a fare incetta, con land grabbing, di terre fertili per imporre coltivazioni intensive di ciò che loro ritengono avere bisogno e non di quello che necessita alle comunità di quei territori per la loro quotidianità.

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Qualcosa di più:

Africa: una scaltra “Democrazia”
Africa: attaccati al Potere
Africa: le Donne del quotidiano
Gli orti dell’Occidente
Le loro Afriche: un progetto contro la mortalità materno-infantile
Africa: i sensi di colpa del nostro consumismo
Solidarietà: il lato nascosto delle banche
I sensi di colpa del nostro consumismo
Le scelte africane

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Migrazione: Bloccati prima o parcheggiati dopo

Un recente sondaggio mostra che non solo i “sovranisti” che sventolano periodicamente il progetto del blocco navale approvano una cintura di sicurezza nel bel mezzo del Mediterraneo, ma lo approvano anche uno su tre degli elettori del Pd, l’86 per cento in Forza Italia, il 75 per cento tra i sostenitori del Movimento 5 stelle, il 93 per cento dei leghisti.

È sconfortante leggere quanti cittadini seguono la proposta della Meloni senza riflettere quanto costa schierare dei mezzi navali, con aerei ed elicotteri ad affiancarli, in modo permanente con una spesa per le casse dello Stato ben superiore a quanto viene impegnato per il soccorso e l’accoglienza.

Sarà difficile trovare altri membri dell’Unione europea, forniti di mezzi navali, che si vorranno impegnare in un’operazione destinata a fallire per l’ampia area da presidiare e pattugliare.

Salvini e Meloni, dopo aver applaudito per l’operazione “crociera” dell’Aquarius, potranno contare sull’appoggio dell’Ungheria e dell’Austria, come magari anche della Repubblica Ceca e Slovacca, che come è risaputo sono dei paesi sprovvisti di una marina.

Il governo Prodi attuò un blocco navale davanti all’Albania, ma lo spazio d’intervento era ridotto e la Pinotti del governo Pd aveva già affrontato l’argomento e bollato come inattuabile perché potrebbe essere interpretato come un atto ostile. Un precedente blocco navale davanti alle coste libiche era motivato dalla situazione di conflitto e non ha avuto un esito positivo.

La proposta dell’allora ministra della Difesa Pinotti era indirizzata ad un’attività di sostegno alle unità libiche, prospettando azioni d’autodifesa dei nostri militari in quanto “lecite”.

Le commissioni congiunte Difesa ed Esteri di Camera e Senato per la missione italiana in Libia ha ottenuto il voto favorevole del Pd e di Forza Italia, lo schieramento pentastellato leghista si è espresso contrario, mentre FdI si è astenuta.

Comunque sia stato il comportamento dell’Italia nel passato ora è il 64 per cento degli italiani ad approvare il blocco navale per fermare i migranti.

Un blocco navale che si dovrà pensare come attuarlo, se otterrà l’appoggio di quell’Ue provvista di mezzi navali efficienti, escludendo da tale conteggio Malta e Cipro impegnate più a fare affari offshore che sentirsi europeisti.

Potrebbe essere attuato passivamente, mettendosi davanti alle bagnarole e gommoni, prendendo a modello il contadino che attrezza il suo campo con spaventapasseri, o forse apriranno il fuoco come l’agricoltore per spaventare gli inopportuni uccelli, ma i mezzi navali potrebbero provocare onde insidiose per i piccoli natanti, con il rischio del loro rovesciamento e causare dei morti.

Intanto l’autoritario ministro degli Interni decreta il blocco dei porti per le navi delle Organizzazioni non governative e annuncia consistenti investimenti nei luoghi d’origine dei migranti “fuggitivi”, ma non spiega se saranno elargiti ai governi corrotti o per progetti seguiti da organizzazioni indipendenti.

Si era pensato agli hotspot su piattaforme galleggianti o nei paesi solitamente usati per imbarcarsi, si è anche collaudata la collaborazione con la Turchia come paese filtro per entrare in Europa e l’utilizzo di isole greche, prendendo ad esempio la trovata australiana nel ghettizzare i migranti in un’isola come Manus in Papua Nuova Guinea, ma la proposta della Ue di usare paesi extra Unione come Albania e Kosovo come parcheggio potrebbe trovare dell’interesse da parte di Macron e Sanchez, promotori dell’istituzione di “centri chiusi” sul territorio europeo “nei Paesi di primo sbarco”, aprendo alla proposta italiana per cui “chi sbarca in Italia sbarca in Europa” e questo varrebbe per qualsiasi altro luogo dell’Unione, per superare il trattato di Dublino.

Gli hotspot si vogliono spostare sempre più in là della Libia, magari in Niger, così Agadez non sarà più solo la porta del deserto, ma quella dell’Europa, con il continuo esternalizzare i confini europei.

In Niger i militari europei e statunitensi sono già presenti per antiterrorismo, o Ciad, magari in Nigeria. Una soluzione meno impegnativa, appurato che la realizzazione di centri è rendere difficili i flussi migratori, non potrebbe essere una soluzione mettere in sicurezza luoghi di partenza e sovvenzionare piccole imprese per dare una prospettiva di vita dignitosa?

Dopo il summit della Ue di fine giugno sulla migrazione, dove tutti hanno cantato vittoria, quello appare sicuro è un’Europa schierata contro le Ong e irremovibile nel bloccare i flussi migratori, oltre a finanziare strutture repressive in ogni luogo, magari su modello Ellis Island, e tutto il resto su è su base volontaria, non più obbligatoria, fa esultare il Gruppo di Visegrád (Polonia, Rep. Ceca, Slovacchia e Ungheria).

Passi indietro rispetto ai precedenti summit e alla possibilità di aprire delle procedure di infrazione contro gli stati inadempienti. Ora è tutto volontario e l’Europa è sempre più in ordine sparso, trovandosi d’accordo solo nel foraggiare governi corrotti e non impegnarsi nel realizzare delle microimprese, come ci dimostrano i centinaia di milioni di euro per motovedette e addestramento di eserciti.

Un progetto di piscicoltura in Camerun, in Togo la coltivazione dei funghi, buoni e con ottime proprietà nutritive, a Tambacounda, in Senegal, una lavanderia, gli orti comunitari nel Ciad. Microimprese, seguite dalla Fondazione Magis, che non coinvolgono solo intere comunità per dare un’alternativa alla migrazione, ma offrono a gruppi di donne una via all’emancipazione. Nel futuro dell’Africa potrebbe esserci anche la produzione di bioplastica dagli scarti vegetali, grazie alla ricerca dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) e dall’interesse che ha mostrato il presidente della Costa d’Avorio.

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