Tutti gli articoli di Gianleonardo Latini

Migrazione: Umanità sofferente tra due fuochi

Migrazione Profughi

Il Rapporto Annuale 2017 che il Centro Astalli, ha presentato l’11 aprile, è una fotografia aggiornata sulle condizioni dei richiedenti asilo e rifugiati che durante il 2016 si sono rivolti alla sede italiana del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati, ma è stata anche un’occasione per riflettere sugli sviluppi dell’accordo dell’Unione europea con la Turchia e le nuove direttive decreto dei ministri Minniti-Orlando.

Un’umanità che non deve solo fuggire dalla morte, ma affrontare un cammino impervio tra montagne e deserti, evitando di essere venduti come schiavi, per poi trovarsi davanti a distese d’acqua e le barriere turche, affrontare le nuove norme d’accoglienza e la tenace ostilità della destra, le schizofreniche posizioni dei penta stellati e le fosche accuse gettate dalla magistratura catanese sul ruolo di alcune navi di Ong di “comodo” per spalleggiare il traffico di esseri.

Non è possibile fare di un sol fascio le Ong come Medici Senza Frontiere o Save The Children con quelle pseudo che battono bandiere dubbie, tant’è vero che il procuratore di Catania Carmelo Zuccaro sta concentrando la sua attenzione sulla maltese Moas o le tedesche.

Il procuratore di Catania ammette di non avere dei riscontri decisivi, ma la sua esternazione si basa su di una mera ipotesi, forse nata da un datato sospetto di Frontex. È triste se la Legge in Italia viene applicata su “sensazioni” o “sospetti” e non sulle prove dei fatti.

Ora Frontex, dopo aver attaccato le organizzazioni non governative di fare il gioco dei trafficanti di esseri umani, si corregge e attraverso il suo portavoce dichiara: “Salvare vite non è solo una priorità, ma anche un obbligo internazionale per tutti coloro che operano nel mare”.

Sulle polemiche di questi giorni sui rapporti di alcune Ong e scafisti, interviene anche il direttore dell’Iom (International Organization for Migration)  per l’Europa, Eugenio Ambrosi che sostiene come non sia di aiuto il fatto di “alimentare percezioni che mettono sullo stesso piano o confondono interessi criminali a scopo di lucro ed entità senza scopo di lucro che lavorano per salvare vite in mare”. Ma aggiunge “non possiamo essere ingenui. Il fatto che navi di soccorso di Ong operino così vicino alle acque libiche può essere sfruttato dai trafficanti”. E prosegue: “è necessario definire meglio il ruolo e le regole delle Ong e le risorse dell’Ue per l’obiettivo principale di garantire che nessuno muoia in mare”.

Una questione questa sulle responsabilità delle Ong nel traffico di esseri umani che un Movimento estremamente “fluido” come quello delle 5 Stelle, dalle mille opinioni che porta, certe volte, i suoi a disquisire, per noia più che per competenza, non si è fatto sfuggire per scavalcare in superficialità la Lega e i quattro gatti della Meloni che sventolano la bandiera della patria sovranità, ma è solo una vuota parola per mascherare da patriottismo il vero significato di egoisti.

Il direttore di Migrantes (Cei), mons. Giancarlo Perego, in un’intervista a Tv2000, afferma che al di là delle accuse da provare questa è una polemica “strumentale per portare lontano dall’impegno vero che dovrebbe essere di tutti i Paesi europei e i cittadini di fronte a un dramma che sta crescendo”, invece di trovare delle concrete soluzioni politiche che potrebbero proporre dei Corridoi umanitari attivati dalla collaborazione ecumenica fra cristiani della Comunità di Sant’Egidio, le Federazione delle Chiese evangeliche, le Chiese valdesi e metodiste, con un protocollo d’intessa firmato con il Ministero degli Affari Esteri e degli Interni.

Quello dei Corridoi umanitari non è solo una soluzione per salvaguardare la vita umana e garantire una migrazione avulsa da possibili infiltrazioni malavitose e terroristiche, ma soprattutto economicamente vantaggioso per l’Europa, invece di sperperare miliardi di euro solo per respingere.

La politica non dovrebbe strumentalizzare e accanirsi sulle Ong, ma trovare delle soluzioni che non siano la solita abitudine di ricorrere a un rimedio provvisorio, per una visione che invece travalichi la punta del naso modello Minniti-Orlando.

Con il decreto dei ministri Minniti-Orlando che prevede un Centro di permanenza per il rimpatrio a misura “umana” in ogni regione, eliminazione dell’appello dopo rifiuto al diritto d’asilo,  si velocizzano le procedure per la concessione del diritto di asilo e la possibilità di svolgere lavori di pubblica utilità gratuiti e volontari. Alcuni migranti si sono organizzati e hanno “adottato” un tratto di marciapiede o di mercato rionale romano nel tenerlo pulito, affidandosi al buon cuore del passante per raccogliere qualche euro.

Papa Francesco ha più volte stigmatizzato i Centri di permanenza come lager e simbolo della negazione di qualsiasi umanità. La migrazione rimane un proficuo affare, come dimostra lo stanziamento di 19 milioni di euro per garantire l’esecuzione delle espulsioni, mentre l’Ue destina alla sorveglianza, anche con droni, delle frontiere 4,5 miliardi di euro da spendere entro il 2020.

Non è tutto, l’Ue sta impegnando complessivamente una cifra vicino ai 600 milioni di euro non solo per la ricerca e lo sviluppo di progetti per la sicurezza nel Mediterraneo, ma anche per Frontex e per Eos (European organisation for Security), il principale gruppo europeo impegnato per la sicurezza, che spinge per la creazione di un gruppo di lavoro per studiare un sistema di controllo delle frontiere denominato “EU Border check task force”.

La migrazione non è solo un “affare” per tener fuori dall’Europa gli Altri, ma anche per accogliere chi riesce a mettere piede in uno dei 27 paesi dell’Unione. Ogni governo, chi più chi meno, destina fondi per gestire una crisi che dura da anni trasformando la disgrazia di molti in lavoro per alcuni e grazie a istituzioni pubbliche e private, oltre che a singoli cittadini, si possono garantire dei pasti, e con qualche difficoltà per dare dei posti letto ad ognuno.

Nell’anno passato, il Centro Astalli, ha potuto contare sull’8 per mille Cei, Migrantes, Fondazione Bnl e Segretariato sociale Rai, per poter coprire i 3milioni e 100mila euro spesi per i servizi offerti dalla sede romana.

I Gesuiti del Centro Astalli sono impegnati sull’accoglienza, mentre i Gesuiti di Magis lavorano per sviluppare delle realtà economiche di cooperazione tra gli abitanti dei luoghi dai quali proviene parte dei migranti.

La situazione migratoria continua ad essere affrontata soprattutto con la limitazione della libertà di circolazione per alcune categorie di persone, ignorando l’articolo 13 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani che l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò il 10 dicembre 1948, ma sottolineando invece l’articolo 45 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea sulla Libertà di circolazione e di soggiorno riguardante solo i cittadini dell’Unione.

****************************

Qualcosa di più:

Migrazione: Orban ha una ricetta per l’accoglienza
Aleppo peggio di Sarajevo
Migrazione: La sentinella turca
Migrazione: Punto e a capo
Migrazione: Il rincaro turco e la vergognosa resa della Eu
Europa e Migrazione: un mini-Schengen tedesco
Migrazione: Quando l’Europa è latitante
Un Mondo iniquo
Rifugiati: Pochi Euro per una Tenda come Casa
Siria: Vittime Minori
Europa: Fortezza d’argilla senza diplomazia
La barca è piena
Il bastone e la carota, la questione migratoria

****************************

Africa: Attaccati al Potere

Africa Attaccati al Potere-velazquez-papa-innocenzo-xIl cammino per una Democrazia diffusa in Africa è pieno di insidie, indire delle elezioni non significa che poi i risultati possono essere accettati pacificamente da tutte le parti.

In Gambia si è prolungato il balletto del “me ne vado” o “resisto” del presidente uscente, Yahya Jammeh, che dopo aver governato per 22 anni in modo autoritario, sembrava volersi farsi da parte dopo il risultato a lui sfavorevole, ma ecco che annuncia di non accettare il responso delle urne e il CEDEAO (Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale) si attiva per convincere il presidente ghanese a lasciare il potere.

La risposta di Jammeh, a due giorni dell’insediamento del presidente eletto Adama Barrow, si annuncia decretando lo stato di emergenza e l’Onu risponde con l’autorizzare l’Ecowas a intervenire militarmente per affermare la legittimità delle elezioni ed ecco che, sotto la pressione internazionale, Jammeh dichiara alla televisione di stato che lascerà il potere, prima però deve decidere dove andare, magari trasferirsi in Mauritania o Qatar, anche il Marocco si è offerto a dargli ospitalità, ma la sua meta finale è stata la Guinea Equatoriale, portando via con sé auto e preziose suppellettili su di un aereo cargo fornito dal Ciad, per un esilio dorato, garantito da una “buona uscita” di una decina di milioni di dollari delle casse dello Stato, e soprattutto lontano da qualsiasi commissione d’inchiesta che possa indagare sulle violazione dei diritti umani del padre-padrone del Gambia.

Mentre si consumava la sceneggiata di Jammeh che poteva portare ad un conflitto regionale, Adama Barrow, il nuovo e terzo presidente del Gambia, prestava giuramento nell’ambasciata del suo paese a Dakar (Senegal), un escamotage per non considerarsi in esilio.

Ora la situazione in Gambia, anche se Adama Barrow si è insediato, non è tranquilla con la difficile convivenza tra i soldati “fedeli” a Jammeh e le truppe dell’ECOWAS CEDEAO che sfocia in un continuo fronteggiarsi con scambio di colpi mentre le prigioni ospitano ancora gli oppositori della precedente amministrazione. Amnesty International chiede di indagare sulla morte di Solo Sandeng, esponente del Partito Democratico Stati (UDP), avvenuta dopo l’arresto e invoca la libertà per tutti i manifestanti fermati mentre chiedevano riforme elettorali, per una prova delle urne e della democrazia.

Un altro “attaccato” alla poltrona è il presidente Joseph Kabila, della RD Congo, che non sembra neanche voler indire le elezioni mentre il 92enne Mugabe si candita a succedersi, nel 2018, alla guida dello Zimbabwe.

La famiglia Kabila, in oltre dieci anni, ha creato un impero economico Africa Attaccati al Potere Kabila REUTERS1885896_Articoloche abbraccia tutti i settori dell’economia congolese e perché allora rischiare di perdere il potere sul Congo detto democratico e il controllo sull’estrazione dell’oro, diamanti, rame, cobalto e quant’altro è celato sotto la terra congolese, dando l’addio alla gratificante consuetudine di utilizzare una nazione come personale bancomat?

In Ciad il Presidente Idriss Déby per non lasciare la poltrona conquistata nel 1990 con un colpo di stato e consolidata nel 1996 con elezioni “costituzionali”, ha rimosso nel 2005 la limitazione a due mandati per poter mungere “ad libitum” le casse. Nell’aprile del 2016 è stato confermato per un quinto mandato per garantire la stabilità nell’area e combattere, grazie ai soldati della forza interregionale africana e le truppe francesi di stanza nel Ciad, i miliziani jihadisti che scorrazzano a nord sul confine libico, mentre imperversano a sud-ovest, tra Niger e Nigeria, gli integralisti islamici di Boko Haram, ma anche a est il confine con il Sudan non si può definire tranquillo.

Ancora più ad est è l’Eritrea ad essere governata con pugno di ferro da Isaias Afewerki, primo e unico presidente dal 1993, due anni dopo che il paese del Corno d’Africa conquistò l’indipendenza dall’Etiopia, che un rapporto della commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite, pubblicato l’8 giugno 2016 a Ginevra, lo ritiene autore di numerosi crimini contro l’umanità, come la riduzione in schiavitù della popolazione non solo per servire sotto le armi la dittatura, reclusione, sparizioni e tortura oltre a persecuzioni, stupri e omicidi.

Sulle coste del Mediterraneo è Abdelaziz Bouteflika che, nonostante le sempre più insistenti voci sul suo precario stato di salute, ad essere presidente dell’Algeria dal 1999 e a non voler scendere dalla poltrona, ma è forse solo il Fronte di Liberazione Nazionale, il suo partito, a detenere il potere e decidere i cambi di dirigenza. Le elezioni del 4 maggio potranno dare un’indicazione sulla stabilità dello stato tra i più estesi dell’Africa, e il decimo del mondo, come “baluardo” alla diffusione di un islamismo integralista.

Anche in Tanzania non è il presidente a avere una continuità, ma il Partito della Rivoluzione che dal 1964, anno della fusione di Tanganika e Zanzibar, non ha permesso ad altre formazioni politiche di intromettersi nella gestione del potere.

Pierre Nkurunziza, in Burundi, ha giurato nel 2015 per il terzo mandato come Presidente, in elezioni giudicate non regolari dagli osservatori internazionali, che hanno causato veri e propri scontri tra l’opposizione e i governativi, portando l’allora segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon a recarsi nel paese africano per avviare un dialogo. Una crisi politica che vive a tutt’ sospesa nella speranza di una ripresa di dialogo tra governo e oppositori.

Nel vicino Ruanda è Paul Kagame, presidente dal 2000, ad annunciare la sua candidatura per un terzo mandato alle elezioni del 2017. L’accesso ad un terzo mandato possibile con la modifica costituzionale, ottenuta con la vittoria del referendum popolare, del 18 dicembre scorso, così non potrà solo rimanere al potere per altri dieci anni, ma potrà successivamente ricandidarsi ancora per altre due volte! Quindi Kagame potrebbe rimanere al potere fino al 2027, forse fino al 2034, diventando praticamente un presidente a vita. Ecco chi ha ispirato il turco Erdogan a plasmare la costituzione, ma forse lo si può perdonare nel suo farsi re, visto il ruolo svolto nella conclusione del genocidio ruandese del 1994 e, anche se non sempre positivo, nella seconda guerra del Congo.

Charles McArthur Ghankay Taylor ha governato sulla Liberia per soli sei anni, ma in compenso ha fatto danni non solo nel suo paese, ma ha messo lo zampino anche nella Guerra Civile nella vicina Sierra Leone per assicurarsi i blood diamonds (diamanti insanguinati) e per questo venne dimissionato nel 2003 per poi essere il primo ex presidente africano ad essere condannato dalla Corte Speciale per la Sierra Leone (SCSL) e dalla Corte per i Crimini internazionali de L’Aia, con sentenza definitiva 2013, a cinquant’anni di reclusione.

Il destino di Charles Taylor potrebbe essere condiviso dall’attuale presidente sudanese Omar Hasan Ahmad al-Bashīr, accusato dalla Corte Penale Internazionale per i crimini in Darfur, e sulla cui testa pende una mandato di cattura internazionale. Al-Bashīr, presidente del Sudan dal 1989, ha potuto contare su di una sorta di sbadataggine o magari della negligenza di altri governi non solo africani per sfuggire al mandato di arresto per crimini di guerra e contro l’umanità emesso nel 2009 e da difese fantasiose come quella di Erdoğan basata su “un musulmano non può compiere un genocidio”.

In Mauritania Mohamed Ould Abdel Aziz è stato confermato, dopo un colpo di stato, presidente dal 2009 e nuovamente nel 2014. Ora si appresta ad indire un referendum costituzionale magari non solo per abolire il Senato, modificare la bandiera e l’inno nazionale, ma anche per trovare un escamotage per prorogare la sua presenza alla guida del paese, anche se privilegiando l’etnia arabo-berbera a cui appartiene lo stesso Abdelaziz, discriminando le etnie africane, puntando sul fatto di aver garantito sino ad ora la sicurezza del paese nonostante si trovi al centro di un’area instabile, come dimostrano le vicissitudini del vicino Mali, dove operano jihadisti di Al Qaeda nel Maghreb Islamico, formazioni indipendentiste Tuareg e criminalità comune.

Per fortuna l’Africa non è solo di governanti intenti a fare soldi e conservare ad ogni costo la poltrona, ma anche di presidenti come il namibiano Hifikepunye Pohamba che, allo scadere del suo mandato nel 2015, si è aggiudicato il premio Mo Ibrahim per il suo buon governo. Il premio è stato istituito nel 2007 dalla fondazione del milionario sudanese Mo Ibrahim ed è una speranza per Africa democratica.

Africa Attaccati al Potere Jose-Eduardo-dos-Santos-008Un altro esempio di responsabilità può essere il presidente Jose Eduardo dos Santos che, confermato nelle ultime elezioni del 2012 in Angola con il 75 per cento dei voti, ha dichiarato di non volersi presentare alle prossime elezioni di agosto, nominando come successore Joao Lourenco. Una decisione presa dopo 37 anni al potere iniziati 1979, con la morte di Agostinho Neto

****************************

Qualcosa di più:

Africa: le Donne del quotidiano
Le loro Afriche: un progetto contro la mortalità materno-infantile
Africa: i sensi di colpa del nostro consumismo
Solidarietà: il lato nascosto delle banche
I sensi di colpa del nostro consumismo
Le scelte africane

****************************

 

 

Turchia: Un regime che vuol governare facile

Turchia Un regime che vuol governare facileIl sultano Erdogan, dopo un tentativo di golpe, ha creduto di aver debellato l’opposizione e vincere con percentuali filosovietiche il referendum per una riforma costituzionale in senso presidenzialista forte, ma i SI, con il loro 51,2%, hanno solo evidenziato una Turchia divisa a metà.

Una Turchia divisa a metà, nonostante le prigioni sovrappopolate, tra una popolazione urbanizzata che guarda ad un futuro europeo e una rurale che si affida al custode della tradizione di una rifondazione ottomana.

Una maggioranza risicata che Erdogan cerca di esorcizzare con una battutina: “L’importante è vincere, 1-0 come 5-0”, ma da adito alle opposizioni di sospettare di brogli con 2,5miloni di schede sospette, anche se l’Alta commissione elettorale suprema (Ysk) boccia i ricorsi e ammette nel conteggio anche le schede senza timbro ufficiale.

L’ambizioso sogno di Erdogan di poter, Allah volendo, governare sino al 2034 ha anche l’avallo di Trump, mentre la Ue, tramite Osce (Organization for Security and Cooperation in Europe), afferma che sono stati «Violati gli standard internazionali».

Nonostante tutto Erdogan potrà festeggiare l’anniversario della repubblica turca, e magari del suo fondatore Ataturk, nel 2023 e continuare a gridare contro “le nazioni crociate”.

Forse in Turchia si sta collaudando una forma di Democrazia ibrida, dove un sistema di “governo nel quale, oltre al fatto che si tengano delle elezioni, i cittadini sono completamente tagliati fuori dalla conoscenza di tutto ciò che concerne il potere e le libertà civili.” (Da Wikipedia), diventerà una Democratura o una DittoCrazia? Qualunque sia il vocabolo è un sistema di governo che tanto piace a Trump e a Putin.

La Democrazia turca è sempre più squilibrata verso un sistema Autoritario, dove i Diritti Umani sono una pura Utopia barattati con una pretesa sensazione di sicurezza.

La detenzione di giornalisti con capi d’imputazione inconsistenti?????????????????????????????????????????????????????????come per il corrispondente del giornale tedesco Die Welt Deniz Yucel o non specificati come nel caso dell’italiano Gabriele Del Grande.

Si può ricondurre l’inizio di questo giro di vite sulle libertà civili alla repressione muscolare che il regime turco ha effettuato per arginare le proteste di Gezi Park del 2013, iniziate per salvaguardare l’omonimo uno spazio verde di Istanbul dalla speculazione immobiliare che lo minacciava.

Realizzare l’ennesimo ponte o tunnel tra la sponda asiatica e quella europea non dichiara comunque la sincera volontà del leader turco di essere disponibile al dialogo e avvicinare la Turchia all’Europa, quando è sempre più difficile discutere, ridere, contraddire la voce del padrone che si appresta alla reintroduzione della pena di morte.

È difficile pensare che delle periodiche chiamate alle urne per eleggere dei rappresentanti in Parlamento possa rendere una nazione democratica, come dimostrano le elezioni in Siria o in Kazakistan.

****************************

Qualcosa di più:

Turchia: il Sultano senza freni
Turchia: la diplomazia levantina
Turchia: Il sogno del Sultano diventa realtà
Migrazione: il rincaro turco e la vergognosa resa dell’Ue
Migrazione: La sentinella turca
Erdogan, il pascià autocrate

****************************

 

Trump: Un elefante nella cristalleria del Mondo

GL Trump Un elefante nella cristalleriaL’America di Trump si mostra a duro muso al G20 a Baden-Baden, dopo aver negato alla Casa Bianca la stretta di mano alla Cancelliera Angela Merkel, sia per maleducazione o forse solo per un’incipiente sordità, esprimendo tutta la sua contrarietà al libero commercio, alla salvaguardia dell’ambiente e all’accoglienza dei profughi.

Intorno a Donald Trump si sta avvolgendo non solo un’atmosfera di diffidenza, ma anche di gelo per i suoi comportamenti imprevedibili, ma che rispecchiano l’animo più semplice di una provincia incline ai complotti e al dare la colpa ad altri.

In Giappone Trump mette a dura prova le capacità degli interpreti nel tradurre il “trumpese”, mentre con il premier australiano tronca un colloquio telefonico, programmato di un’ora per ridurlo a 25 minuti, perché trovava sgradevole dover discutere sull’accordo raggiunto non solo sui temi del commercio transpacifico con l’amministrazione Obama, ma soprattutto per l’accoglienza negli Stati Uniti di 1250 rifugiati attualmente stipati in centri di detenzione sulle isole Nauru e Manus in Papua Nuova Guinea.

Sulla migrazione l’Amministrazione Trump si sta muovendo come un elefante frustrato, trovandosi a fare i conti con la Democrazia e le Leggi statunitensi e così, dopo la bocciatura del primo Ordine esecutivo, ci prova dando il via a rastrellamenti per espellere gli indesiderati e ad un secondo Ordine. Deportazioni di chi è non solo giudicato, ma anche sospettato di un crimine. Niente di eccezionale allontanare chi ha commesso dei crimini, ma tra le maglie della polizia sono rimaste impigliate anche le madri di famiglia accusate, per garantire un futuro ai figli, di essere entrate negli Stati uniti di nascosto.

Poi il tronfio presidente rinforza la sua posizione con due nuovi decreti emanati dal ministro della Sicurezza Interna, John Kelly, per regolamentare l’espulsione dei migranti senza documenti, mettendo a rischio la permanenza negli Usa della metà degli 11 milioni di stranieri.

Per evitare altre sgradite invasioni nel territorio statunitense sarà potenziata la barriera sul confine messicano con una nuova Muraglia, fissando i parametri per gara d’appalto della

barriera con un’altezza di 9 metri e di 2 di profondità, difficile da scavalcare o da tagliare ma dalla struttura “esteticamente gradevole” tanto da  essere battezzato il Muro meraviglioso.

L’Amministrazione statunitense ha esultato davanti ai recenti dati economici relativi all’Occupazione, con la creazione, a febbraio, di 235mila nuovi posti di lavoro, oltre le aspettative di Trump stimate in 190mila unità, e con la disoccupazione scesa al 4,7%.

Stimolare l’industria fossile, mentre riduce del 21% la spesa discrezionale del dipartimento dell’Agricoltura (Usda), evidenziando la sua avversione allo sviluppo rurale la cui economia  non se ne avvantaggerà. Smantellare, con l’ennesimo Decreto esecutivo, le politiche ambientali della precedente amministrazione per una ripresa selvaggia dell’estrazione del carbone, accertati gli alti costi e l’automatizzazione, che può offrire altre opportunità lavorative.

Il Presidente dal ciuffo ribelle lo aveva annunciato che avrebbe messo mano al bilancio federale ed ecco ingenti tagli a cultura e cooperazione, aumentando la spesa per la sicurezza, aveva anche promesso di abolire l’ObamaCare, ma Trump rimane sconfitto, per l’obiezione dei deputati anche repubblicani che la considerano poco incisiva o troppo scardinante,  nel primo tentativo di permutare la riforma sanitaria della precedente Amministrazione.

Ora Trump, dopo lo schiaffo ricevuto, si agita e inveisce contro tutti, ma non se la prende con se stesso, offrendo un’immagine poco presidenziale della sua incompetenza.

Un Elefante “frustrato” che dovrà affrontare una prova ardua nel proporre il suo piano di taglio alle tasse agli eletti repubblicani pronti a giudicarlo poco incisivo agli esponenti della destra conservatrice o irragionevole dai moderati.

Certo è difficile anche per un elefante vivere con un grave boicottaggio, sospeso come una lama sulla testa, dei suoi stessi affiliati.

****************************

Qualcosa di più:

Trump: un uomo per un lavoro sporco
Elezione di Trump | Quando l’improbabile è prevedibile

****************************

 

 

Egitto: Una Primavera che non è fiorita

GL Egitto Una Primavera non finita BallerinaIn Egitto Mubarak viene assolto per il massacro di piazza Tahrir, ma anche i suoi figli e tutto il suo entourage non soggiorneranno nelle prigioni egiziane, mentre per quella generazione che ha creduto di poter confidare nella Democrazia c’è un futuro in carcere, come sottolinea il New York Times nell’articolo How Egypt’s Activists Became ‘Generation Jail’ .

In sei anni si sono succeduti eventi che facevano sperare nel cambiamento, ma ora ci troviamo punto e a capo: una restaurazione in salsa egiziana.

Secondo il Politico, nell’articolo di gennaio The Arab Spring is far from over la cosiddetta “Primavera araba” non è finita e dal canto suo The New Yorker, in un lunghissimo resoconto di una conferenza stampa di Al Sisi, Egypt’s Failed Revolution, si dice che quella “rivoluzione” sia fallita.

Mentre Shukri al-Mabkhout, con il romanzo L’Italiano, offre una equilibristica lettura degli eventi tunisini, attraverso la storia d’amore tra Abdel Nasser e Zeina.

Una storia tormentata come metafora per le speranze che si dissolvono come i sogni di carriera in ambito accademico di Zeina, la brillante e bellissima studentessa di filosofia, e di Abdel Nasser che si trasforma da giovane idealista di belle speranze a giornalista di successo ma disilluso e stanco.

Tanti sacrifici per assaporare una diversa visione della società e poi trovarsi al punto di partenza, una specie di crudele gioco dell’oca miscelato al celebre Congresso di Vienna per una sorta di restaurazione con personaggi che hanno cambiato volto ma non le pratiche, ma con la differenza che per trovare il velo così presente nelle vita delle donne bisogna risalire a prima degli anni ‘60.

L’ex autocrate egiziano Hosni Mubarak, rovesciato nel 2011 dalle manifestazioni di piazza per poi essere messo sotto processo, è stato liberato e ha lasciato l’ospedale militare dove ha trascorso gran parte degli ultimi sei anni in detenzione.

Era impensabile, sino a qualche anno fa, dopo che il volto di Mubarak era stato rimosso da ogni edificio pubblico, vedere l’uomo che ha governato l’Egitto con fermezza dal 1981 fino al febbraio del 2011, superare le accuse di corruzione e di crimini verso il popolo, per essere addirittura rimpianto.

Non sono state sufficienti le 850 persone uccise dalle varie polizie, nei 18 giorni di rivolta, per rendere meno influenti le Forze armate nel contesto sociale egiziano. Il periodo successivo alla rivolta è stato caotico e quello siglato da Morsi non è stato meno confuso, inaugurando un periodo di instabilità che allontanò turisti e investitori dall’Egitto. La nostalgia per un governo forte ha facilitato Al Sisi nel farsi presidente.

Ora Mubarak, stando al suo avvocato Farid al-Deeb è andato nella GL Egitto Una Primavera non forita Al Sisivilla di Heliopolis, proprio nel quartiere cairota dove recentemente è stata rinvenuta la statua gigant di Ramses II, spezzata in più blocchi, misura 8 metri, insieme ad un’altra, di circa un metro, raffigurante Seti II e così non ci sono due faraoni senza il terzo!

Mentre Mohammed Morsi, il successore di Mubarak in carica da meno di un anno prima di essere defenestrato dall’esercito nell’estate del 2013, rimane per ora in carcere con l’accusa di terrorismo.

****************************

Qualcosa di più:

Egitto, ingabbia i Diritti
Egitto e caso Regeni: la polveriera egiziana
Omicidio Regeni. Diritti civili intesi dagli alleati ingombranti
Una pericolosa eredità in Egitto. Polvere di diamante di Ahmed Mourad
Egitto: un bacio eversivo. Tutti in piazza il 30 agosto
Islam: dove la politica è sotto confisca
L’Egitto sull’orlo dell’irreparabile
L’Egitto si è rotto
L’infelicità araba
Egitto: laicità islamica
Nuovi equilibri per tutelare la democrazia in Egitto
Egitto, democrazia sotto tutela
Primavere Arabe: il fantasma della libertà
Mediterraneo megafono dello scontento

****************************