Tutti gli articoli di Gianleonardo Latini

Roma Gianicolo: L’attesa ripagata

L’utilizzo dei mezzi pubblici a Roma comporta una certa incognita nell’attesa, ma con l’870 che dal periferico Trullo conduce al centrale ponte Vittorio, è un’attesa che viene ripagata con l’attraversamento del Gianicolo. Un panoramico spettacolo che si apre a Monteverde per concludersi a piazza della Rovere (lungotevere Gianicolense).

Il Gianicolo, detto anche Montorio – monte d’oro per il colore giallo della sabbia di cui è costituito -, divenne completamente pubblico quando nel 1883 i principi Corsini vendettero allo Stato e al Comune le proprietà sul colle e il versante orientale che degrada verso il Tevere e dove ora si trova l’Orto botanico, al quale si accede da via Corsini.

Un luogo quello del Gianicolo che racchiude la memoria garibaldina della difesa, nel 1849, della Repubblica Romana dalle truppe francesi, ma che già al tempo di Re Anco Marzio era considerato strategico per il controllo della riva destra del Tevere e di Ponte Sublicio.

Un tratto che inizia con il costeggiare le mura Gianicolensi, all’altezza di via Giacomo Carini, per arrivare a porta san Pacrazio, con il museo dedicato alla Repubblica Romana, e scendere per un brevissimo tratto via Garibaldi, alla prima a sinistra s’imbocca il viale alberato a senso unico della passeggiata del Gianicolo.

Un “tunnel” boschivo sulla cui sinistra c’è una fontanella ricavata da un sarcofago con due bocchette metalliche per l’acqua, addossata al muro di sostegno, in blocchi di tufo, dei giardini di Villa Aurelia dell’American Academy in Rome, mentre sulla destra il pendio che scema verso Trastevere è occupato dall’Orto botanico.

Poco prima di trovarsi sul piazzale dove svetta il monumento equestre a Giuseppe Garibaldi, realizzato da Emilio Gallori, nel prato sulla sinistra si vede la statua bronzea a Righetto, simbolo dei ragazzi caduti in difesa della Repubblica Romana nel 1849.

Oltre il prato di “Righetto” il viale alberato in senso contrario, con la cosiddetta “Casa di Michelangelo” che cela un serbatoio, costruito nel 1928, interrato all’interno del bastione e che solo nel 1941 viene completato con la facciata del palazzo ritenuto il domicilio romano dell’artista. Una facciata salvata dalla demolizione, conseguente ai lavori intrapresi sul colle capitolino per far posto al Vittoriano. Di fronte alla “Casa di Michelangelo” il monumento in bronzo a Ciceruacchio, opera dello scultore siciliano Ettore Ximenes, per omaggiare il patriota della Repubblica Romana Angelo Brunetti e immortalato da Nino Manfredi nel film “In nome del popolo sovrano”, regia di Luigi Magni.

Nel piazzale Giuseppe Garibaldi, oltre ad essere uno dei luogo più suggestivi e gratuiti per vedere Roma nel suo splendore è anche dove ogni giorno un colpo a salve di cannone segnala mezzogiorno (che erroneamente si vuole in ricordo alla breve vita della Repubblica Romana del 1849) e dal quale si può riconoscere una serie di luoghi come ad esempio il Campidoglio, il Pantheon e Trinità dei Monti.

Sul lato opposto del panorama su Roma “dentro” le Mura, il terrazzo, sotto al quale si snoda la strada delle mille curve, sull’interminabile tappeto di vegetazione che si allunga sino a san Pietro.

A corollario del luogo i busti di chi ha dato la vita per la Repubblica Romana, per poi scendere per un rettilineo, lasciando sulla destra villa Lante, sede finlandese della rappresentanza diplomatica presso la Santa Sede e dell’Institutum Romanum Finlandiae, che domina dall’alto Regina Coeli. A sinistra il monumento equestre di Anita Garibaldi, realizzato in periodo fascista dallo scultore Mario Rutelli e collocato sull’omonimo piazzale dove si affaccia la Scuola Materna Comunale in stile Montessori, subito dopo la romantica fontanella del Faro.

Prima di affrontare il primo tornante ecco sulla destra il Faro regalato a Roma dagli italiani d’Argentina, poi la quercia del Tasso ed ecco la discesa con il secondo tornante che porta all’ospedale pediatrico Bambin Gesù.

Di fronte al Bambin Gesù, sotto la Quercia del Tasso, con un piccolo teatro del 1619; un sarcofago utilizzato a fontanella e una meno esaltante parcheggio dell’Ama.

una fontanella del 1925 è decorata con una lira e una spada, simboli della poesia epica, che si riferiscono al suddetto piccolo teatro.

Si scende ancora e un nuovo terrazzo su Roma ci fa scoprire Castel sant’Angelo e la chiesa di san Luigi dei Fiorentini che sembra quasi di poter abbracciare, una strettoia in discesa modello andino ed ecco sulla sinistra la scalinata dell’ingresso conventuale di sant’Onofrio, con le decorazioni ispirate alla storia dell’anacoreta Onofrio, realizzate dal Cavalier d’Arpino in occasione del giubileo del 1600, luogo suggestivo ammirato da Goethe e Chateaubriand, laddove Torquato Tasso trovò rifugio e riposo.

Scivolando tra mura e bastioni pontifici, con un bus di dimensioni ridotte che facilita la guida in un percorso fatto per chi non soffre di mal d’auto, si arriva finalmente, con via della Lungara, a Trastevere.

 

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IL SOLE DOPO LA CURVA

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Scendi e curva
svolta ed ecco
disegnando la silhouette
del cipresso e del pino
la sfera ridente
ti offre il buon giorno

Stagliato nel cielo limpido
assorbito nella mattutina
foschia e dalle acque del fiume

Scendi e svolta
e sulla lunga scesa
tra un romanico e un barocco
l’arancione disco
dominando colli e cupole
rinnova l’augurio

Febbraio ’97

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Roma Mura Racconti Roma Gianicolo 870 con arcobaleno 02

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Roma Mura Racconti Roma Gianicolo 870 Gianicolo Crepuscolo Alberi

Roma Mura Racconti Roma Gianicolo 870 Panorama Gianicolo Castel S Angelo 54

La ricchezza delle differenze

Salvaguardare la diversità culturale, perché le differenze sono un arricchimento per la società e non un motivo di separazione tra le persone, bandendo ogni forma di omologazione, per aprirsi ai cambiamenti culturali.
Il 21 maggio si celebra in tutto il mondo la Giornata Mondiale della Diversità Culturale, proclamata dalle Nazioni Unite nel 2002, subito dopo l’adozione da parte dell’Unesco della Dichiarazione Universale sulla Diversità Culturale. Nel testo Razza e Storia scritto nel 1952 per l’Unesco, l’antropologo francese Claude Lévi-Strauss propone che la protezione della diversità culturale non resti confinata nella preservazione dello status quo: è “la diversità stessa che deve essere salvata, non la sua manifestazione e la sua forma visibile in cui ogni epoca ha racchiuso questa diversità”.

Una Diversità che non può essere un handicap, né relegata in un habitat protetto, ma deve interagire con le altre differenze. Differenze che non possono essere causa di conflitti, come il voler imburrare da sotto a sopra o viceversa, semplifica magistralmente Dr. Seuss nel suo libro per “ragazzi” La battaglia del burro per stigmatizzare la stupidità umana nel trovare differenze negli altri per ritenerli antipatici o nemici, solo perché non si comprende il loro modo di vivere.

Parlare un altro idioma o apprezzare un cibo piuttosto che un altro non può essere causa di separazione. Il prossimo non può essere visto con sospetto a priori, ma occorre provare a conoscerlo ed è strano che questa avversità si possa riscontrare in ogni ambito sociale.

Essere diffidenti verso un’espressività pittorica che non si limita all’arte che si compiace di sé stessa ma affronta tematiche sociali per rivendicare pari dignità ad ogni singola persona è un comportamento di una superficialità sconcertante. Una diffidenza che non emerge quando le stesse tematiche vengono affrontate con le parole, anzi avviene l’opposto.

Un esempio si è avuto lo scorso 21 maggio, nella suggestiva sala conferenze della Dante Alighieri, sotto il patrocinio dalla Commissione Nazionale Italiana per l’Unesco con la pièce teatrale Notte Nera, interpretato con pathos da Luisa Stagni, con la quale l’autrice Claudia Bellocchi affronta il tema dell’abuso e maltrattamento minorile.

Un monologo struggente che ha stimolato un dibattito sull’educazione nell’ambito scolastico dove il bullismo è una forma di abuso e dove varie realtà sociali cercano di operare per superare le differenze che gruppi sociali riscontrano in un singolo individuo nel suo essere schivo e quindi emarginato per la sua “diversità”.

La scrittura di Claudia Bellocchi sul tema dell’abuso fa parte di un più ampio discorso espressivo che coniuga l’opera pittorica e la videoinstallazione e che con la parola riesce ad offrire una visualità completa delle emozioni che tale violenza, non solo fisica, viene esercitata come prevaricazione di una persona su di un’altra.

Alla scrittura viene affidata tutta quella libertà espressiva, quando non viene censurata, che all’arte visiva viene negata se opera nel sociale e non si limita ad offrirsi come bell’oggetto o intervenire con performance provocatoria.

Alle diversità espressive nelle coniugazioni tematiche che introducono le problematiche della violenza, si affianca l’ipovedenza dell’attrice Luisa Stagni, protagonista della pièce, per comprendere le mille sfaccettature nell’approcciarsi, con differenti modalità, ad un pluralismo culturale al porsi verso il prossimo.

Limitare l’espressività ostacola il dialogo e la comprensione per una pacifica convivenza tra comunità e singoli.

Bei Gesti La ricchezza delle differenze Notte Nera

 

Biblici ammonimenti

Arne Dahl, pseudonimo di Jan Arnald (1963), con Come sigillo sul tuo cuore torna a indagare, dopo l’intrigo internazionale di Brama, sull’odierna società svedese, con i suoi complessi interrogativi morali, dove i poliziotti si trovano a confrontarsi con una Svezia ben lontana da quella delle cartoline: linda e accogliente.

La Svezia descritta da Arne Dahl non è quella degli svedesi ligi e sorridenti, ma quella degli sfruttatori e sfruttati, del lavoro nero e dell’evasione fiscale.

Così un’operazione di polizia contro dei migranti si trasforma in una esecuzione e da un suicidio, consumato nell’indifferenza del vicinato e scoperto da un ladro in un appartamento, prende le mosse un’indagine su di un pluriomicida.

Il Gruppo A, dell’elite della polizia, indaga su i due atti violenti e sui poliziotti coinvolti, dividendosi tra Stoccolma, con la sua periferia, e la provincia meridionale della Scania, mettendo sotto il microscopio il passato dei due defunti che non hanno apparentemente alcun collegamento.

Come nelle indagini del commissario Kurt Wallander, nato dalla penna dallo scrittore Henning Mankell svedese, la trama vive un crescendo da thriller psicologico.

Pazientemente la matassa della trama si srotola, tra viaggi a ritroso e ammonimenti biblici, mentre su tutto la natura nordica, con le sue nuvole e la pioggia, sovrasta le indagini Kerstin Holm e il suo tormentato rapporto con Dag Lundmark.

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Titolo: Come sigillo sul tuo cuore
Autore: Arne Dahl
Traduzione: Carmen Giorgetti Cima
Editore: Marsilio, 2014
Pagine: 368
Prezzo: € 18.00
isbn: 978-88-317-2000-7

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I Conflitti dopo l’11 settembre

Nei conflitti che si sono susseguiti si è avuta una deriva che non comporta l’uso di fare prigionieri e le vittime collaterali non sono un’eccezione, ma una consuetudine dovuta alla fretta o come sadico monito.

Una vittima collaterale di un drone statunitense è stato Giovanni Lo Porto ucciso, agli inizi del 2015, in un raid in una zona tra Pakistan e Afghanistan.

Conflitti più che guerre, senza un campo di battaglia circoscritto, dove il nemico può essere di fronte come alle spalle o ai fianchi.

Una sfida fatta più come un’esibizione muscolare, dove da una parte c’è chi arriva uccide e si dilegua e l’altra evita il contatto fisico con le vittime grazie alle nuove tecnologie da videogame.

Sembra di assistere da una parte alla guerra dei cent’anni con spadoni e saccheggi fronteggiare dall’altra gli effetti speciali alla George Lucas di Guerre Stellari.

Duellanti anonimi che operano nell’anonimato, tra la popolazione civile, senza farsi riconoscere, per una guerra innominabbile che ha fatto, dall’11 settembre 2001, un milione e 300mila le vittime, dati raccolti dall’International Physician for the Prevention of Nuclear War, Nobel per la pace nel 1985, che vengono ritenute per difetto, non conteggiando i conflitti più recenti di Libia, Siria e l’ultima a Gaza.

Guerre al terrore o umanitarie, all’Occidente e ai crociati, ma in sostanza il tutto si riduce per l’Occidente a un continuo rincorrere le visionarie follie di emiri e calliffati islamici: una vendetta continua con vittime collaterali di piloti virtuali che operano dall’altra parte del Mondo, mentre per i fanatici senza divisa, impegnati ad insinuare il terrore tra la popolazione, è una prassi mietere vittime senza distinzione.

Se da una parte il loro colpire è casuale, finalizzato a fare più morti possibili, senza alcuna “attenzione”, dall’altra si scegono bersagli da colpire con droni o bombe “intelligenti”.

Due epoche allo scontro, per due differenti visioni della società, per scoprire che la Religione non è più l’oppio dei popoli, ma l’adrenalina per un conflitto permanente.

In tutto questo chissà se Kant, criticando la ragione per far posto al trascendentale, avrebbe sospeso il sapere per far posto alla fede?

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Armeni: Prove di sterminio moderno

Per gli Armeni il 1915 è stato solo l’apice di una persecuzione iniziata sommessamente già alla fine dell’800, con l’emarginazione perpetrata dal sultano ‘Abd ul-Hamid per trovare un capro espiatorio per l’incapacità del governo di portare avanti una politica economica efficace e reagire alla disgregazione dell’Impero.

Un disfacimento, quello dell’Impero ottomano, che venne agevolato dai cambiamenti nell’area balcanica e dalla pressione delle nazioni occidentali.

Ogni potenza occidentale voleva un pezzetto dell’impero ottomano e così tra il 1911 al 1913 il sultano comincia a perdere la Libia, Albania, Macedonia e poi le numerose isole dell’Egeo.

Così in una Turchia che dava l’addio all’impero ottomano e con un’Europa sempre più presente nel Mediterraneo, un colpo di stato dei cosiddetti Giovani Turchi, d’impronta fortemente nazionalista e laica, voleva riscattare l’onore che la decadenza di una monarchia dedita ai sollazzi più che al governare, aveva perduto, trascinato il regno nel caos.

Un colpo di stato che cercava l’adesione anche nelle aree rurali e dei musulmani da ottenere con l’identificazione di un nemico e chi meglio della comunità armena, cristiana e dedita al commercio, per catalizzare la rabbia del popolo e fare il gioco nazionalista della futura classe dirigente.

L’establishment ottomano ideò l’annientamento armeno nell’Hotel Baron, nella città siriana di Aleppo, dove il proprietario di allora aveva recuperato da Naim Bey, responsabile del campo di deportazione di Meskene, gli ordini originali per lo sterminio. Documenti che vennero usati nel processo contro i responsabili del genocidio.

Un hotel, ora sulla linea di fuoco tra governativi siriani e insorti, amato da Lawrence D’Arabia e Agatha Christie, dove scrisse Assassinio sull’Orient Express, frequentato da Kemal Ataturk, il fondatore della Turchia moderna, e dal re Faisal I di Iraq e Siria., ma anche dal maresciallo Montgomery, De Gaulle, Nasser, Ceausescu e Tito, oltre che da Pierpaolo Pasolini e il miliardario David Rockfeller.

Anche se non si vuol chiamare genocidio, è sicuramente stato un massacro quello operato dai turchi, fiancheggiati dai militari tedeschi, perpetrato nei confronti della comunità armena in Turchia.

Intere famiglie furono costrette a lasciare le loro case e i loro averi, obbligate a marciare nel deserto, private di cibo e acqua. Un massacro ispirato dal partito dei giovani turchi ed eseguita, con la supervisione degli ufficiali tedeschi, dall’esercito turco.

Una sorta di crudele selezione naturale in un esodo forzato che ha portato alla morte per sfinimento più che un’uccisione diretta di cui la Turchia continua a negare ogni responsabilità, minacciando ogni persona o nazione che usa il termine genocidio per descrivere comunque la volontà di un gruppo di persone nel voler annientare una comunità ritenuta non organica alla società che volevano creare.

Un atto di violenza che continua a essere negato come genocidio dai governanti turchi che in questi ultimi cent’anni si sono susseguiti, più per evitare richieste di indennizzo che per un rigurgito di orgoglio nazionalistico.

Le condoglianze offerte da Recep Tayyip Erdoğan, già nel 2014 come premier e ora come presidente turco, per il massacro degli armeni come un dramma che accomuna tutta la Turchia, da parte dell’impero Ottomano, è la dimostrazione di voler scindere le due identità: le atrocità di un sultano non possono essere addebitate ad una repubblica nata con l’Assemblea Nazionale nel 1922.

00 OlO Armeni Annientare una comunità 2015 Genocidio 00 OlO Armeni Annientare una comunità Sultano Abdul Hamid II in veste di macellaio