Tutti gli articoli di Gianleonardo Latini

Islamia: Mentre si distrugge la storia

Mentre il saccheggio e la distruzione nella culla della civiltà assiro-babilonese continua nelle zone sotto il controllo dei fanatici dell’Islamia, per la gioia dei trafficanti e dei collezionisti poco onesti di reperti archeologici, a Bagdad riapre il Museo nazionale iracheno.

Un Museo che ha atteso dodici anni per riaprire, dopo un notevole sforzo di ricostruzione e nel recupero di quasi un terzo dei 15mila reperti rubati nel 2003, se non con la indulgenza, sicuramente con l’indifferenza delle truppe statunitensi che, pur avevano occupato Baghdad, non hanno ritenuto strategico proteggere il patrimonio del nono museo del Mondo.

Una razzia che ha alimentato il mercato clandestino dalla Giordania agli Usa, dalla Svizzera al Giappone, sino all’utilizzo spregiudicato di eBay, che l’Fbi ha cercato di porre rimedio.

Ora questi preziosi manufatti di vetro, terracotta, metallo e avorio, oltre a pergamene e pietre, tornano ad essere esposti per testimoniare 7 mila anni di storia dell’umanità.

Una ricostruzione iniziata già nel 2005 con il protocollo d’intesa tra il Ministero degli Affari Esteri e il Consiglio Nazionale delle Ricerche, per la realizzazione del Museo Virtuale, e che non aveva alcuna ambizione di sostituire quello fisico di Baghdad, ma un’occasione per ricomporre una collezione ideale, con una selezione delle opere più significative del territorio iracheno e anche con manufatti custoditi nei musei di tutto il mondo.

Il Museo di Baghdad non è stato l’unica vittima di saccheggio, altre vittime sono seguite: in Siria come in Libia o in Egitto, alimentando un mercato grazie anche alla guerra iconoclasta del califfo, per tornaconto non solo dei mercanti senza scrupoli ma anche per finanziare il suo fittizio Stato islamico.

I Talebani con i Buddha, il saccheggio del museo di Baghdad sotto “occupazione” statunitense, Boko Haran che avversa e inveisce contro la cultura occidentale, il rogo della biblioteca di Timbuctu sono solo alcuni episodi per sradicare la memoria o solo per eliminare degli elementi di confronto tra culture.

Nella Germania nazista si metteva al bando l’arte “degenerata” delle avanguardie, per poi trafugarne le opere per la delizia dei gerarchi. I libri, ancor più pericolosi dell’arte delle immagini, sono sempre stati la vittima prediletta degli autoproclamati guardiani della moralità, siano governi o cittadini in consigli scolastici.

Uno sfogo su FaceBook grida: “Continuano questi imbecilli, violenti, maschilisti ed estremisti maomettani a distruggere il passato dell’umanità e della storia dell’arte – E’ toccato all’Assira Nimrud del 1000 a.c le ruspe radono al suolo le nostre radici. Sappiamo che è una provocazione ma fino a quando è tollerabile?”

Opere d’arte trafugate, magari dopo essere state distrutte “pubblicamente”, aree archeologiche rase al suolo – bulldozing – per magari aprire ad una futura speculazione edilizia, conquistare complessi petroliferi e di raffinazione, per vendere clandestinamente gli idrocarburi, sono alcune delle fonti di finanziamento per i gruppi terroristici.

Ogni prodotto non conforme alla personale idea di religione viene bandita e distrutta, ma anche sradicata dal luogo per essere venduta. Questa non è una guerra di culture, ma alla cultura globale.

Custodi della moralità che si alleano a produttori e trafficanti di droga per finanziarsi e colpire l’Occidente corrotto, ma anche per non farsi mancare nessuna comodità, neppure la Nutella, di cui tutto si può scrivere e dire, ma di certo non si può ritenere un prodotto della cultura islamica.

Terroristi ben lontani dalla vita “ascetica” di un Osama bin Laden, ma ben vicini all’adagio: Predicare bene e razzolare male.

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Una sicurezza negli schemi

In un periodo così complicato come quello nel quale stiamo vivendo, è rasserenante vedere delle composizioni geometriche, nelle loro svariate articolazioni, che costruiscono il senso dello spazio senza sviare l’attenzione.

Geometrie “secche” e “sfumate” proposte in una collettiva curata da Manuela Vannozzi con le opere puramente pittoriche di Bruno Aller, Salvatore Dominelli, Tancredi Fornasetti, Eliseo Sonnino e Uemon Ikeda.

Una mostra che offre un’occasione di confronto tra i differenti spazi pittorici concepiti con le geometrie come quelli di Bruno Aller, realizzati in una visione pittorica di forme che emergono dall’oscurità, lasciando alle curve il superamento della rigidità delle rette, mentre Salvatore Dominelli plasma la pittura in una poetica cromatica delle forme e delle sfumature, filtrando le geometrie attraverso una lente per alterarne la realtà.

Più rigide nella definizione di forme è Tancredi Fornasetti, con le sue immagini caleidoscopiche tratte da un glossario Futurista, utilizzato per “decorare” lo spazio pittorico, mentre Eliseo Sonnino gioca con le frammentazioni geometriche e Uemon Ikeda segue degli schemi proposti per una visione prospettica di spazi bidimensionali.

Differenti declinazioni di una visione geometrica della pittura che può, se l’osservatore vuole, far riflettere e perdersi con la fantasia in un mondo di forme più che di figure.

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GEOMETRIE ASTRAENTI
Dal 20 febbraio al 30 marzo 2015

Roma
Università eCampus
via Matera 18

Orario;
dal lunedì al venerdì
dalle ore 9.00 alle ore 20.00
il sabato dalle ore 9.00 alle ore 12.00
la domenica chiuso

Informazioni:
http://www.uniecampus.it/

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Islamia: Conflitti e Sconfitti

Il Dio dai molti nomi è capace di difendersi da solo da possibili offese e saper parlare al cuore di chi è disposto ad ascoltarlo.

Lasciamo al Dio giudicare gli insolenti che non rispettano la sacralità delle religioni, senza porlo allo stesso piano delle manchevolezze di politici e delle nostre umane debolezze.

I sacrifici umani non sono più di moda per quietare le ire della natura e l’inquisizione dovrebbe essere relegata alla narrativa.

È fuori da ogni possibile dialogo o contraddittorio la barbarie che si manifesta nel togliere la vita ad ogni qualsivoglia essere vivente, ma oltretutto la scelta di dare la morte diventa anche sfoggio di disumana crudeltà.

Atrocità espressa con un rogo, invenzione di truculenti film sui serial killer, è topica della decadenza dei costumi nell’Occidente che un certo Islam rifugge. Il problema potrebbe essere facilmente risolvibile con una sana separazione delle culture.
È una soluzione che può andare bene anche a quegli intolleranti di Pegida e a tutti gli oppositori del multiculturalismo.

Avversari di ogni confronto con gli Altri, probabilmente per una forma tumorale di sindrome d’inadeguatezza, si fanno fanatici dello scontro.

Un certo Occidente teme l’islamizzazione, come una parte dell’Islam rifiuta ogni contaminazione occidentale.

Ma non vi è alcuna necessità di confronto, ignoratevi, alzate dei muri per vivere in recinti e magiare i vostri cibi, che ognuno festeggi le proprie credenze e eventi.

Essere permalosi e precludersi ogni occasione di confronto non rende le persone felici, anzi ci si incancrenisce in un isolamento fondamentalista.

Anche la migliore delle persone ha sofferto almeno in un’occasione della sua vita una accentuata carenza di pazienza verso il vicino, rivolgendosi a lui con modi bruschi, esprimendo tutta l’intolleranza che un fastidioso mal di testa può far esplodere.

È in quelle occasioni che l’individuo dovrebbe riflettere quanto lui potrebbe migliorare nell’apprendere dal suo vicino.

Non può essere una colpa prediligere un cibo piuttosto che un altro o se la sua storia personale è differente dall’altra.

Conflitti che coinvolgono i fedeli di tre religioni monoteiste che paradossalmente hanno radici comuni in Abramo, ma con ritualità diverse. Una vera guerra del potere che nel mondo mussulmano non si esprime solo tra sunniti e sciti, tra arabi e persiani, ma soprattutto all’interno degli stessi sunniti. È sconfortante il livello di litigiosità dell’umanità nell’impegnarsi così tanto nel trovare le differenze e rimanere invece indifferenti su ciò che ci accomuna.

Il Mondo arabo, in fermento da anni, è in cerca di una democrazia che superi i governi autoritari teocratici, con la loro ispirazione oscurantista, e quelli laici protesi verso una modernizzazione sociale, ma lontani dall’idea di libertà d’opinione e d’espressione.

Un Islam dalle mille sfumature, con una maggioranza che non si riconosce nel fanatismo e lancia la campagna #NotInMyName (Non in nome mio) o i come nelle testimonianze dei 15 attivisti musulmani, tra blogger-giornalisti e artisti, che sfidano il settarismo.

Il vero nemico della convivenza è rappresentata dall’inadeguadezza di quelle bellicose minoranze che vogliono convertire le maggioranze con ogni mezzo e questo Samuel P. Huntington, nel suo saggio pubblicato su Foreign Affairs nel 1993, ben lontano dall’11 settembre 2001, The Clash of Civilizations?, approfondito successivamente nel libro Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, non lo aveva previsto, anche perché erano ancora lontane le manifestazioni per la democrazia nel mondo mussulmano.

Un Mondo mussulmano facilmente messo sotto accusa, dopo l’11 settembre, per ogni strage, come quella dei 77 norvegesi uccisi da un xenofobo autoctono. Un’islamofobia analizzata da Martha C. Nussbaum nel libro La Nuova intolleranza, del 2012, e superare la paura dell’Islam e vivere in una società più libera.

Prima erano le ideologie sociali a mobilitare i popoli, ma dopo la Guerra Fredda sono l’identità culturale, soprattutto la religione, ad alimentare i conflitti. Ma la distinzione non è così semplice. Anche all’interno di aree identitarie esistono dei distinguo tra gli uni – gli individui – propensi a capire, dagli altri – la massa – reclusi in dogmi o ancorati ad una visione arcaica della società per dare la caccia ai blasfemi che siano protesi verso un “modernismo”.

Distinzioni rituali che dilania tanto l’Occidente quanto l’Islam, senza escludere le altre realtà culturali di questo Pianeta, estremizzando il conflitto non tra civiltà, ma anche tra chi impone la separazione tra Potere e Sudditi. Il vero conflitto è tra chi si elegge a casta atta a manipolare un’identità religiosa o culturale per avere una schiera di seguaci e chi non vuole dare nulla per scontato, in cerca della conoscenza e della tolleranza, per capire ciò che ci circonda, scambiandosi le esperienze per progredire.

Un futuro auspicabile non dovrebbe contemplare sacrifici ad una Fede impersonata in un Dio o nello spietato profitto personale, ma un’equità nella condivisione ed avere una posizione relativista sulla quotidiana convivenza.

Ma per ora ci si continua a scannare per l’interpretazione di uno scritto o per un lembo di terra da strappare a quelle comunità che vi abitano da decenni se non da secoli, per alimentare conflitti che infliggono sconfitte anche a chi pensa di essere il vincitore.

 

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Morire di abbondanza / Morire di Fame

È ancor ben lontana, nell’anno dell’Expo milanese rivolto a nutrire il pianeta, l’autosufficienza alimentare e ciò è ben strano se si pensa che nel Mondo si sprecano annualmente più di 8 miliardi di euro di cibo. Questo è quanto emerge dal Rapporto 2014 Waste Watcher – Knowledge for Expo.

Una quantità inusitata di prodotti alimentari vengono gettati nella spazzatura, senza pensare agli ortaggi e alla frutta mandata al macero o lasciata marcire sugli alberi e nei campi perché non è economicamente conveniente raccoglierla.

La Fame uccide più dell’Ebola ma per l’Occidente non è poi così importante perché non è, per ora, la carestia a mietere vittime in quella parte di Mondo sufficientemente benestante anche quando subisce le imposizioni austere di quelli ancor più ricchi.

Il 2013 è stato l’anno europeo contro lo spreco alimentare, ma non ha dato grandi risultati offrire un anno di riflessione sulla dissipazione del cibo in una società “progredita”.

Si acquista più cibo di quello che si riesce a mangiare, nonostante il pericolo dell’obesità sia dietro l’angolo, non possiamo nevroticamente fare a meno di riempire dispense e frigoriferi.

Dispense e frigoriferi sempre più colmi e malattie causate dall’ingordigia fino alla bulimia sempre più frequenti mentre gran parte della popolazione soffre la fame.

Secondo Edward Glaeser, uno dei più noti economisti statunitensi, nel libro Triumph of the City (Trionfo della città), si misura la ricchezza della metropoli con la moltitudine di persone che sciupano più che consumare e danno così l’occasione agli indigenti di sfamarsi nei cassonetti dei supermercati e nelle discariche, grazie allo spreco altrui. Dopo il consumismo è ora la volta dell’esaltazione dello spreco, nonostante le periodiche crisi finanziarie, in cui si evidenzia la separazione tra la città ricca e quella sull’orlo della dismissione.

Una visione cinica della vita che non cancella l’assioma: cassonetti pieni – meno persone soffrono la fame.

Last Minute Market potrebbe essere paradossale risposta allo spreco, per offrire un concreto aiuto ai molti che soffrono la fame nelle città.

In collaborazione con Last minute market sono stati attivati due progetti che coinvolgono le realtà universitarie di Padova, Verona e Rovigo, per il recupero delle eccedenze alimentari.

Con le iniziative Re.Te Solida, Rebus e MenSana, che coinvolge l’Esu, si avvia un processo di sensibilizzazione per la riduzione dello spreco alimentare e dell’uso di plastica usa e getta.

La legislazione, in una società consumistica, non facilita il recupero, ma lo spreco ed è per questo che le tecnologie vengono in aiuto ai tanti impegnati a combattere la fame in una grande città come Milano con la realizzare di @BreadingApp per la onlus milanese Ronda della Carità e della Solidarietà, per il recupero delle eccedenze alimentari. Breading è una piattaforma digitale gratuita che ha lo scopo di recuperare le eccedenze alimentari, in particolare il pane invenduto, e distribuirle alle associazioni del terzo settore in Italia.

Lo spreco può essere sconfitto anche con gli orti urbani, sui terrazzi o nelle aree condominiali, ma anche salvaguardando l’agricoltura urbana come quella di Roma, argomento del programma di Linea verde (01/02/2015), dal parco regionale dell’Appia al progetto Corviale, passando per le centinaia di orti urbani nel cuore della città eterna come l’uva sull’Ostiense, i melograni a Centocelle e gli avocado a Monteverde.

Anche il programma Presa Diretta del 15 febbraio ha indagato sull’agricoltura italiana e lo sfruttamento sconsiderato della terra. Lo sfruttamento della Terra non è dovuta solo dalla cementificazione, come dimostrano le scelte poco oculate della Regione Lombardia proprio in occasione dell’Expo dedicato al tema “Nutrire il pianeta”, ma anche con lo sfruttamento dovuto alle colture intensive e all’uso massiccio di pesticidi, oltre al crescente utilizzo dei terreni agricoli per la produzione di biogas.

L’Expo 2015 non sarà solo una grande vetrina sul cibo e su come nutrire il Pianeta, ma anche l’occasione di fissare in una “Carta” i buoni propositi per un’economia che non escluda e senza iniquità, perché il divario tra Paesi ricchi e popolazioni povere sia colmato, come ammoniscono Papa Francesco e il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nel rispetto dei valori sanciti dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.

La “Carta” non è la sola iniziativa all’interno di Expo con l’intento di voler essere propositivi per dare un futuro all’equità alimentare, anche le donne danno il loro contributo con Women for Expo, visto che le agricoltrici sono la maggioranza.

Nella 21 edizione di Arte al Majorana, che si terrà al Liceo Majorana dal 20 al 27 aprile sotto la cura di Anna Cochetti e con la collaborazione di Daniela D’Alia, sarà dedicata Cibo. Un’edizione influenzata dai temi dell’Expo milanese che porterà gli artisti dalle differenti visioni a cimentarsi con: Arte in Scatola.

Altra iniziativa espositiva dedicata al Cibo è quella che rimarrà aperta fino al 14 giugno 2015, a Brescia, presso il Palazzo Martinengo, con l’excursus dai grandi maestri dal Seicento a Warhol.

Mentre dal 5 al 9 ottobre 2015, sempre a Roma, si terrà il convegno la “Preistoria del cibo”. Un’occasione per provare a dirimere il quesito sull’origine dell’uomo come vegetariano o carnivoro con la salomonica sentenza che le usanze alimentari dell’umanità derivavano, grazie all’estrema adattabilità della specie, al contesto climatico: un po’ come il maiale. Un’era nella quale per l’obesità come malattia bisognava attendere ancora qualche secolo, quando la “civiltà” divideva l’umanità in chi lavorava e chi si sollazzava.

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Per saperne di più:

La ricchezza della povertà – Roma Cultura
Gli Orti dell’Occidente
Slow Food
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The Death of Fat

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00 Bei Gesti Morire d'abbondanza Morire di carestia

Parigi Non ha paura

I tre giorni di terrorismo perpetrati a Parigi hanno rivelato all’Europa cosa è la Francia: una Nazione che non si piega al terrore e sono gli oltre due milioni di persone di ogni età, religione e nazione che scendendo in piazza ne hanno dato dimostrazione.

La Francia non si è chiusa a riccio, ma ha gridato di non aver paura, una partecipazione quella dell’11 gennaio che non si è riscontrata all’indomani degli attentati dell’11 marzo 2004 a Madrid o di quelli del 7 luglio 2005 a Londra, ma neanche in occasione dei quattro assassinati alla scuola ebraica di Tolosa nel marzo 2012 e gli altrettanti al museo Ebraico di Bruxelles nel 26 maggio 2014.

Quelli madrileni e londinesi sono stati degli attentati ben più cruenti per il numero dei morti e per aver portato il terrore nella quotidianità di ogni abitante che era in quei giorni sui trasporti pubblici.

Attentati in mezzo agli abitanti intenti a vivere le consuetudini di una città, come da anni avvengono quotidianamente nei mercati o davanti alle scuole in Iraq o Pakistan, in Nigeria o in Libia, mentre a Parigi a essere colpita è stata la libertà d’espressione nel suo contesto informativo, ma anche religioso. Due comunità ben definite, quella del magazine satirico Charlie Hebdo e quella ebraica che ha risvegliato nei francesi gli echi non assopiti dell’occupazione nazista.

Anche i francesi che non condividono l’irriverente sarcasmo dei vignettisti di Charlie Hebdo o non sono religiosi, ma sono figli di quell’Illuminismo, hanno portato in piazza con lo slogan “Je suis Charlie” e nel parlamento gli onorevoli di ogni schieramento hanno cantato l’inno francese.

È bello pensare che Voltaire abbia affermato: «Non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu lo possa dire».

Uno spirito illuminista così ben radicato, capace di coniugare un individualismo anarchico pur con il senso collettivo dello Stato, che non permette a nessuno di imporre un’univoca visione del Mondo.

Una partecipazione di massa “guidata” per una ventina di minuti da leader europei e internazionali che non sempre, nel miglior dei casi, hanno brillato come difensori della libertà d’espressione e vivono tutt’ora un’insofferenza cronica verso le critiche espresse in parole e immagini.

Ogni Potere soffre della libertà d’opinione, guardandola con circospezione, desiderando un’omologazione del pensiero per non andare incontro a fastidiose critiche e faticosi confronti, ma quando al Potere subentra la dogmatica certezza di una schiera di persone in cerca d’una sicurezza esistenziale, ogni possibile canale di dialogo è precluso e la convivenza diventa un miraggio, l’unica soluzione appare la separazione, l’innalzamento di un muro, se una delle parti non sceglie lo scontro, sperando che nella mente delle persone si possa fare spazio al dubbio.

Proprio il dubbio è il nocciolo che apre la strada alla comprensione dell’altrui pensiero, è ciò che permette l’evoluzione dell’umanità, raggiungibile anche attraverso le provocazioni tracciate con i segni e le parole della satira irriverente di un magazine come Charlie Hebdo.

L’irriverenza satirica non dovrebbe offendere la sensibilità altrui, perché la libertà d’espressione non può trovarsi in rotta di collisione con le altrui libertà, anche se l’altro ha sempre la possibilità di girare lo sguardo altrove, e fomentare proteste nei paesi musulmani al grido di “Je suis Muslim”.

Sarcastico verso ogni Potere e ogni nostra quotidianità, Charlie Hebdo mette in discussione non solo le certezze dettate dai leader, ma anche quelle che cerchiamo individualmente per sentirci parte di un gruppo che può trasformarsi in gregge.

Un magazine quello di Charlie Hebdo, pur colpito dall’intolleranza, continuerà a scardinare le certezze con altri vignettisti dissacratori della quotidianità, grazie anche a un milione di euro raccolto con le donazioni di 14.000 persone in tutto il mondo e sul cui settimanale in molti hanno cercato di fare soldi all’indomani dalla strage.

L’Istituto francese per la proprietà intellettuale (Inpi, analogo alla nostra Siae) ha ricevuto oltre 50 richieste per registrare il logo “Je suis Charlie” e sono molte le persone che si sono ingegnate a lucrare su un evento drammatico con t-shirt commissionate da enti e organizzazioni, ma anche con adesivi e spille in vendita su bancarelle siti web.

Je Suis Charlie Vigil