Tutti gli articoli di Gianleonardo Latini

Una sicurezza negli schemi

In un periodo così complicato come quello nel quale stiamo vivendo, è rasserenante vedere delle composizioni geometriche, nelle loro svariate articolazioni, che costruiscono il senso dello spazio senza sviare l’attenzione.

Geometrie “secche” e “sfumate” proposte in una collettiva curata da Manuela Vannozzi con le opere puramente pittoriche di Bruno Aller, Salvatore Dominelli, Tancredi Fornasetti, Eliseo Sonnino e Uemon Ikeda.

Una mostra che offre un’occasione di confronto tra i differenti spazi pittorici concepiti con le geometrie come quelli di Bruno Aller, realizzati in una visione pittorica di forme che emergono dall’oscurità, lasciando alle curve il superamento della rigidità delle rette, mentre Salvatore Dominelli plasma la pittura in una poetica cromatica delle forme e delle sfumature, filtrando le geometrie attraverso una lente per alterarne la realtà.

Più rigide nella definizione di forme è Tancredi Fornasetti, con le sue immagini caleidoscopiche tratte da un glossario Futurista, utilizzato per “decorare” lo spazio pittorico, mentre Eliseo Sonnino gioca con le frammentazioni geometriche e Uemon Ikeda segue degli schemi proposti per una visione prospettica di spazi bidimensionali.

Differenti declinazioni di una visione geometrica della pittura che può, se l’osservatore vuole, far riflettere e perdersi con la fantasia in un mondo di forme più che di figure.

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GEOMETRIE ASTRAENTI
Dal 20 febbraio al 30 marzo 2015

Roma
Università eCampus
via Matera 18

Orario;
dal lunedì al venerdì
dalle ore 9.00 alle ore 20.00
il sabato dalle ore 9.00 alle ore 12.00
la domenica chiuso

Informazioni:
http://www.uniecampus.it/

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Islamia: Conflitti e Sconfitti

Il Dio dai molti nomi è capace di difendersi da solo da possibili offese e saper parlare al cuore di chi è disposto ad ascoltarlo.

Lasciamo al Dio giudicare gli insolenti che non rispettano la sacralità delle religioni, senza porlo allo stesso piano delle manchevolezze di politici e delle nostre umane debolezze.

I sacrifici umani non sono più di moda per quietare le ire della natura e l’inquisizione dovrebbe essere relegata alla narrativa.

È fuori da ogni possibile dialogo o contraddittorio la barbarie che si manifesta nel togliere la vita ad ogni qualsivoglia essere vivente, ma oltretutto la scelta di dare la morte diventa anche sfoggio di disumana crudeltà.

Atrocità espressa con un rogo, invenzione di truculenti film sui serial killer, è topica della decadenza dei costumi nell’Occidente che un certo Islam rifugge. Il problema potrebbe essere facilmente risolvibile con una sana separazione delle culture.
È una soluzione che può andare bene anche a quegli intolleranti di Pegida e a tutti gli oppositori del multiculturalismo.

Avversari di ogni confronto con gli Altri, probabilmente per una forma tumorale di sindrome d’inadeguatezza, si fanno fanatici dello scontro.

Un certo Occidente teme l’islamizzazione, come una parte dell’Islam rifiuta ogni contaminazione occidentale.

Ma non vi è alcuna necessità di confronto, ignoratevi, alzate dei muri per vivere in recinti e magiare i vostri cibi, che ognuno festeggi le proprie credenze e eventi.

Essere permalosi e precludersi ogni occasione di confronto non rende le persone felici, anzi ci si incancrenisce in un isolamento fondamentalista.

Anche la migliore delle persone ha sofferto almeno in un’occasione della sua vita una accentuata carenza di pazienza verso il vicino, rivolgendosi a lui con modi bruschi, esprimendo tutta l’intolleranza che un fastidioso mal di testa può far esplodere.

È in quelle occasioni che l’individuo dovrebbe riflettere quanto lui potrebbe migliorare nell’apprendere dal suo vicino.

Non può essere una colpa prediligere un cibo piuttosto che un altro o se la sua storia personale è differente dall’altra.

Conflitti che coinvolgono i fedeli di tre religioni monoteiste che paradossalmente hanno radici comuni in Abramo, ma con ritualità diverse. Una vera guerra del potere che nel mondo mussulmano non si esprime solo tra sunniti e sciti, tra arabi e persiani, ma soprattutto all’interno degli stessi sunniti. È sconfortante il livello di litigiosità dell’umanità nell’impegnarsi così tanto nel trovare le differenze e rimanere invece indifferenti su ciò che ci accomuna.

Il Mondo arabo, in fermento da anni, è in cerca di una democrazia che superi i governi autoritari teocratici, con la loro ispirazione oscurantista, e quelli laici protesi verso una modernizzazione sociale, ma lontani dall’idea di libertà d’opinione e d’espressione.

Un Islam dalle mille sfumature, con una maggioranza che non si riconosce nel fanatismo e lancia la campagna #NotInMyName (Non in nome mio) o i come nelle testimonianze dei 15 attivisti musulmani, tra blogger-giornalisti e artisti, che sfidano il settarismo.

Il vero nemico della convivenza è rappresentata dall’inadeguadezza di quelle bellicose minoranze che vogliono convertire le maggioranze con ogni mezzo e questo Samuel P. Huntington, nel suo saggio pubblicato su Foreign Affairs nel 1993, ben lontano dall’11 settembre 2001, The Clash of Civilizations?, approfondito successivamente nel libro Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, non lo aveva previsto, anche perché erano ancora lontane le manifestazioni per la democrazia nel mondo mussulmano.

Un Mondo mussulmano facilmente messo sotto accusa, dopo l’11 settembre, per ogni strage, come quella dei 77 norvegesi uccisi da un xenofobo autoctono. Un’islamofobia analizzata da Martha C. Nussbaum nel libro La Nuova intolleranza, del 2012, e superare la paura dell’Islam e vivere in una società più libera.

Prima erano le ideologie sociali a mobilitare i popoli, ma dopo la Guerra Fredda sono l’identità culturale, soprattutto la religione, ad alimentare i conflitti. Ma la distinzione non è così semplice. Anche all’interno di aree identitarie esistono dei distinguo tra gli uni – gli individui – propensi a capire, dagli altri – la massa – reclusi in dogmi o ancorati ad una visione arcaica della società per dare la caccia ai blasfemi che siano protesi verso un “modernismo”.

Distinzioni rituali che dilania tanto l’Occidente quanto l’Islam, senza escludere le altre realtà culturali di questo Pianeta, estremizzando il conflitto non tra civiltà, ma anche tra chi impone la separazione tra Potere e Sudditi. Il vero conflitto è tra chi si elegge a casta atta a manipolare un’identità religiosa o culturale per avere una schiera di seguaci e chi non vuole dare nulla per scontato, in cerca della conoscenza e della tolleranza, per capire ciò che ci circonda, scambiandosi le esperienze per progredire.

Un futuro auspicabile non dovrebbe contemplare sacrifici ad una Fede impersonata in un Dio o nello spietato profitto personale, ma un’equità nella condivisione ed avere una posizione relativista sulla quotidiana convivenza.

Ma per ora ci si continua a scannare per l’interpretazione di uno scritto o per un lembo di terra da strappare a quelle comunità che vi abitano da decenni se non da secoli, per alimentare conflitti che infliggono sconfitte anche a chi pensa di essere il vincitore.

 

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Morire di abbondanza / Morire di Fame

È ancor ben lontana, nell’anno dell’Expo milanese rivolto a nutrire il pianeta, l’autosufficienza alimentare e ciò è ben strano se si pensa che nel Mondo si sprecano annualmente più di 8 miliardi di euro di cibo. Questo è quanto emerge dal Rapporto 2014 Waste Watcher – Knowledge for Expo.

Una quantità inusitata di prodotti alimentari vengono gettati nella spazzatura, senza pensare agli ortaggi e alla frutta mandata al macero o lasciata marcire sugli alberi e nei campi perché non è economicamente conveniente raccoglierla.

La Fame uccide più dell’Ebola ma per l’Occidente non è poi così importante perché non è, per ora, la carestia a mietere vittime in quella parte di Mondo sufficientemente benestante anche quando subisce le imposizioni austere di quelli ancor più ricchi.

Il 2013 è stato l’anno europeo contro lo spreco alimentare, ma non ha dato grandi risultati offrire un anno di riflessione sulla dissipazione del cibo in una società “progredita”.

Si acquista più cibo di quello che si riesce a mangiare, nonostante il pericolo dell’obesità sia dietro l’angolo, non possiamo nevroticamente fare a meno di riempire dispense e frigoriferi.

Dispense e frigoriferi sempre più colmi e malattie causate dall’ingordigia fino alla bulimia sempre più frequenti mentre gran parte della popolazione soffre la fame.

Secondo Edward Glaeser, uno dei più noti economisti statunitensi, nel libro Triumph of the City (Trionfo della città), si misura la ricchezza della metropoli con la moltitudine di persone che sciupano più che consumare e danno così l’occasione agli indigenti di sfamarsi nei cassonetti dei supermercati e nelle discariche, grazie allo spreco altrui. Dopo il consumismo è ora la volta dell’esaltazione dello spreco, nonostante le periodiche crisi finanziarie, in cui si evidenzia la separazione tra la città ricca e quella sull’orlo della dismissione.

Una visione cinica della vita che non cancella l’assioma: cassonetti pieni – meno persone soffrono la fame.

Last Minute Market potrebbe essere paradossale risposta allo spreco, per offrire un concreto aiuto ai molti che soffrono la fame nelle città.

In collaborazione con Last minute market sono stati attivati due progetti che coinvolgono le realtà universitarie di Padova, Verona e Rovigo, per il recupero delle eccedenze alimentari.

Con le iniziative Re.Te Solida, Rebus e MenSana, che coinvolge l’Esu, si avvia un processo di sensibilizzazione per la riduzione dello spreco alimentare e dell’uso di plastica usa e getta.

La legislazione, in una società consumistica, non facilita il recupero, ma lo spreco ed è per questo che le tecnologie vengono in aiuto ai tanti impegnati a combattere la fame in una grande città come Milano con la realizzare di @BreadingApp per la onlus milanese Ronda della Carità e della Solidarietà, per il recupero delle eccedenze alimentari. Breading è una piattaforma digitale gratuita che ha lo scopo di recuperare le eccedenze alimentari, in particolare il pane invenduto, e distribuirle alle associazioni del terzo settore in Italia.

Lo spreco può essere sconfitto anche con gli orti urbani, sui terrazzi o nelle aree condominiali, ma anche salvaguardando l’agricoltura urbana come quella di Roma, argomento del programma di Linea verde (01/02/2015), dal parco regionale dell’Appia al progetto Corviale, passando per le centinaia di orti urbani nel cuore della città eterna come l’uva sull’Ostiense, i melograni a Centocelle e gli avocado a Monteverde.

Anche il programma Presa Diretta del 15 febbraio ha indagato sull’agricoltura italiana e lo sfruttamento sconsiderato della terra. Lo sfruttamento della Terra non è dovuta solo dalla cementificazione, come dimostrano le scelte poco oculate della Regione Lombardia proprio in occasione dell’Expo dedicato al tema “Nutrire il pianeta”, ma anche con lo sfruttamento dovuto alle colture intensive e all’uso massiccio di pesticidi, oltre al crescente utilizzo dei terreni agricoli per la produzione di biogas.

L’Expo 2015 non sarà solo una grande vetrina sul cibo e su come nutrire il Pianeta, ma anche l’occasione di fissare in una “Carta” i buoni propositi per un’economia che non escluda e senza iniquità, perché il divario tra Paesi ricchi e popolazioni povere sia colmato, come ammoniscono Papa Francesco e il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nel rispetto dei valori sanciti dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.

La “Carta” non è la sola iniziativa all’interno di Expo con l’intento di voler essere propositivi per dare un futuro all’equità alimentare, anche le donne danno il loro contributo con Women for Expo, visto che le agricoltrici sono la maggioranza.

Nella 21 edizione di Arte al Majorana, che si terrà al Liceo Majorana dal 20 al 27 aprile sotto la cura di Anna Cochetti e con la collaborazione di Daniela D’Alia, sarà dedicata Cibo. Un’edizione influenzata dai temi dell’Expo milanese che porterà gli artisti dalle differenti visioni a cimentarsi con: Arte in Scatola.

Altra iniziativa espositiva dedicata al Cibo è quella che rimarrà aperta fino al 14 giugno 2015, a Brescia, presso il Palazzo Martinengo, con l’excursus dai grandi maestri dal Seicento a Warhol.

Mentre dal 5 al 9 ottobre 2015, sempre a Roma, si terrà il convegno la “Preistoria del cibo”. Un’occasione per provare a dirimere il quesito sull’origine dell’uomo come vegetariano o carnivoro con la salomonica sentenza che le usanze alimentari dell’umanità derivavano, grazie all’estrema adattabilità della specie, al contesto climatico: un po’ come il maiale. Un’era nella quale per l’obesità come malattia bisognava attendere ancora qualche secolo, quando la “civiltà” divideva l’umanità in chi lavorava e chi si sollazzava.

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Per saperne di più:

La ricchezza della povertà – Roma Cultura
Gli Orti dell’Occidente
Slow Food
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The Death of Fat

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00 Bei Gesti Morire d'abbondanza Morire di carestia

Parigi Non ha paura

I tre giorni di terrorismo perpetrati a Parigi hanno rivelato all’Europa cosa è la Francia: una Nazione che non si piega al terrore e sono gli oltre due milioni di persone di ogni età, religione e nazione che scendendo in piazza ne hanno dato dimostrazione.

La Francia non si è chiusa a riccio, ma ha gridato di non aver paura, una partecipazione quella dell’11 gennaio che non si è riscontrata all’indomani degli attentati dell’11 marzo 2004 a Madrid o di quelli del 7 luglio 2005 a Londra, ma neanche in occasione dei quattro assassinati alla scuola ebraica di Tolosa nel marzo 2012 e gli altrettanti al museo Ebraico di Bruxelles nel 26 maggio 2014.

Quelli madrileni e londinesi sono stati degli attentati ben più cruenti per il numero dei morti e per aver portato il terrore nella quotidianità di ogni abitante che era in quei giorni sui trasporti pubblici.

Attentati in mezzo agli abitanti intenti a vivere le consuetudini di una città, come da anni avvengono quotidianamente nei mercati o davanti alle scuole in Iraq o Pakistan, in Nigeria o in Libia, mentre a Parigi a essere colpita è stata la libertà d’espressione nel suo contesto informativo, ma anche religioso. Due comunità ben definite, quella del magazine satirico Charlie Hebdo e quella ebraica che ha risvegliato nei francesi gli echi non assopiti dell’occupazione nazista.

Anche i francesi che non condividono l’irriverente sarcasmo dei vignettisti di Charlie Hebdo o non sono religiosi, ma sono figli di quell’Illuminismo, hanno portato in piazza con lo slogan “Je suis Charlie” e nel parlamento gli onorevoli di ogni schieramento hanno cantato l’inno francese.

È bello pensare che Voltaire abbia affermato: «Non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu lo possa dire».

Uno spirito illuminista così ben radicato, capace di coniugare un individualismo anarchico pur con il senso collettivo dello Stato, che non permette a nessuno di imporre un’univoca visione del Mondo.

Una partecipazione di massa “guidata” per una ventina di minuti da leader europei e internazionali che non sempre, nel miglior dei casi, hanno brillato come difensori della libertà d’espressione e vivono tutt’ora un’insofferenza cronica verso le critiche espresse in parole e immagini.

Ogni Potere soffre della libertà d’opinione, guardandola con circospezione, desiderando un’omologazione del pensiero per non andare incontro a fastidiose critiche e faticosi confronti, ma quando al Potere subentra la dogmatica certezza di una schiera di persone in cerca d’una sicurezza esistenziale, ogni possibile canale di dialogo è precluso e la convivenza diventa un miraggio, l’unica soluzione appare la separazione, l’innalzamento di un muro, se una delle parti non sceglie lo scontro, sperando che nella mente delle persone si possa fare spazio al dubbio.

Proprio il dubbio è il nocciolo che apre la strada alla comprensione dell’altrui pensiero, è ciò che permette l’evoluzione dell’umanità, raggiungibile anche attraverso le provocazioni tracciate con i segni e le parole della satira irriverente di un magazine come Charlie Hebdo.

L’irriverenza satirica non dovrebbe offendere la sensibilità altrui, perché la libertà d’espressione non può trovarsi in rotta di collisione con le altrui libertà, anche se l’altro ha sempre la possibilità di girare lo sguardo altrove, e fomentare proteste nei paesi musulmani al grido di “Je suis Muslim”.

Sarcastico verso ogni Potere e ogni nostra quotidianità, Charlie Hebdo mette in discussione non solo le certezze dettate dai leader, ma anche quelle che cerchiamo individualmente per sentirci parte di un gruppo che può trasformarsi in gregge.

Un magazine quello di Charlie Hebdo, pur colpito dall’intolleranza, continuerà a scardinare le certezze con altri vignettisti dissacratori della quotidianità, grazie anche a un milione di euro raccolto con le donazioni di 14.000 persone in tutto il mondo e sul cui settimanale in molti hanno cercato di fare soldi all’indomani dalla strage.

L’Istituto francese per la proprietà intellettuale (Inpi, analogo alla nostra Siae) ha ricevuto oltre 50 richieste per registrare il logo “Je suis Charlie” e sono molte le persone che si sono ingegnate a lucrare su un evento drammatico con t-shirt commissionate da enti e organizzazioni, ma anche con adesivi e spille in vendita su bancarelle siti web.

Je Suis Charlie Vigil

La Relatività della Felicità

La ricerca della Felicità, come recita la Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d’America, è uno dei diritti inalienabili, insieme alla Vita e alla Libertà che tutte le persone ambiscono a raggiungere, ma già Dante Alighieri in De monarchia introduce il tema della Felicità, sostenendo, nel primo libro, della necessità storica e filosofica della monarchia universale come garante della felicità terrena e celeste dell’uomo.

Il primo passo di questa ambiziosa ricerca è “Appattare” (dalla coloritura palermitana connettere) non solo il cuore con la testa, come Natascha Lusenti ha introdotto nella puntata dedicata alla Felicità di Ovunque6 su Radio2, condotta con Francesca Fornaro, ma anche con la fisicità del vivere: la pancia.

La Felicità trova un suo concretizzarsi oltre il filosofico, rivolgendo lo sguardo verso il prossimo, come consiglia Action for Happines con 10 “azioni” per vivere felici:
1. Giving (Dare). Fare qualcosa per gli altri.
2. Relating (Relazionarsi). Relazionare con le persone
3. Exercising (Esercitarsi). Prendersi cura del proprio corpo.
4. Appreciating (Apprezzare). Apprezzare il mondo che ci circonda.
5. Trying out (Provare). Imparare sempre cose nuove.
6. Direction (Obiettivo). Avere obiettivi da raggiungere
7. Resilience (Resilienza). Trovare le risorse utili per fronteggiare le avversità.
8. Emotion (Emozione). Avere un atteggiamento positivo
9. Acceptance (Accettarsi). Accettarci per come siamo
10. Meaning (Dare senso). Essere parte di qualcosa di più grande.

L’astrazione della Felicità non può trovarsi in un’umanità che si accartoccia su se stessa, in un esasperato individualismo, ma si può scoprire palpabile e intera, nella corrispondenza con nostro prossimo, accettandolo nel suo essere differente da noi e magari complementare. Una Felicità non solo interiore, ma soprattutto aperta verso al Mondo, per essere utilizzata come unità che misura il benessere di una comunità, il Fil (Felicità interna lorda), pari del Pil (Prodotto interno lordo), come da alcuni anni viene utilizzato nello stato himalaiano del Bhutan, trovando in alcuni economisti dei discepoli.

Nel 2008 il presidente Nicholas Sarkozy volle istituire una Commissione con il coordinata dai premi Nobel come Joseph Stiglitz e Jean-Paul Fitoussi per analizzare le misure che determinano il progresso sociale. La conclusione della Commissione ha determinato la necessità di spostare l’attenzione dall’economia al benessere delle persone non solo per il reddito, ma anche per la salute e istruzione, individuando nelle relazioni sociali e nell’ambiente alcuni coefficienti della Felicità.

Poi nel 2010 il Fil ha trovato in Cameron uno strano sostenitore con il suo il timido approccio con la distribuzione tra i cittadini di sua maestà un questionario. I cittadini vennero invitati, per determinare la Felicità nel contesto britannico, ha rispondere a delle domande come: Siete soddisfatti della vostra vita? Siete soddisfatti di vostra moglie (o di vostro marito)? Come giudicate la vostra salute fisica e mentale? Avete un lavoro e ne siete soddisfatti? Siete contenti di vivere nel vostro quartiere e avete paura del crimine? Siete soddisfatti del vostro salario? Avete ricevuto una buona istruzione? Vi fidate dei politici nazionali e locali?

La rilevazione, intitolata What matters to you? (Ciò che conta per te?), coinvolse 200 mila persone, promossa dall’Ufficio nazionale di statistica, per essere raccolte nel British Household Panel Survey, per elaborare l’indice di General well-being. Mentre l’OCSE  (Organizzazione per la Cooperazione e per lo Sviluppo Economico) nel 2012 sviluppò il SIGI http://genderindex.org/ (Social Institutions and Gender Index) per misura il livello di discriminazione delle donne in più di cento Paesi.

Guido Rossi, nell’intervista di Carla Ravaioli su Il Manifesto del 31/10/2010, afferma che il Pil non tiene conto della qualità della vita, obbligando ad una crescita smodata, causando anche delle guerre che non hanno senso.

L’Italia non poteva essere da meno e nel 2013 il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL) e l’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT) hanno pubblicato il rapporto Bes (Benessere Equo e Sostenibile). Un rapporto che doveva definire l’insieme di fattori che condizionano il progresso nel paese. Uno strumento d’avanguardia per monitorare le condizioni economiche.

Rapporti e iniziative che impegnano personale e fondi, ma che sembro dover rimanere tra le buone intenzioni dei politici incapaci di far tesoro di tali indicazioni per influire in modo positivo nella vita di tutti i giorni.

Il tema della Felicità è anche un Festival che nel primo fine settimana di dicembre ha ravvivato Catania.

Il concetto della Felicità può essere puramente personale, così quello che rende felice il sadico soddisfa il masochista, chi trova soddisfazione nel salato e chi nel dolce, c’è anche chi trova appagamento nel rendersi disponibili verso il prossimo e chi nel prossimo vede la sola origine di ogni fastidio o ancor peggio come fonte che prosciuga ogni vitalità.

Se è facile quantificare la ricchezza non è altrettanto semplice misurare la Felicità, come sostiene Martha Nussbaum dell’Università di Chicago, e si va incontro a quello che i filosofi chiamano «preferenze adattive».

L’economista e filosofo indiano Amartya Kumar Sen, Premio Nobel per l’economia nel 1998, riscontra nell’utilitarismo come fine in se stesso del piacere la capacitò ad adattarsi alle situazioni esterne. La Felicità in condizioni di estrema povertà si adegua al ribasso, così le persone saranno soddisfatti di pochissimo. Una forma di Resilienza nella sopravvivenza quotidiana che va oltre alla capacità di far fronte agli eventi traumatici e riorganizzare la propria vita dinanzi alle difficoltà.

Difficoltà che possono essere affrontate anche con la Gentilezza altrui, come tende a dimostra annualmente (13 novembre) con l’omonima Giornata Mondiale (World Kindness Day), trovando una sua continuità con il Movimento Italiano per la Gentilezza, in fin dei conti la gentilezza è spontanea e disinteressata, non è formale come la cortesia, salutare una persona che si incontra per strada può, se non felici, renderci sereni e uscire dalle turbe individualiste per affrontare la giornata.

Una gentilezza contagiosa migliora la società e sicuramente viene facilitata da un ambiente gradevole in una delle città che l’Annuale rapporto del Sole 24 Ore definisce tra le migliori in servizi e in Qualità della vita.

Anche il cinema d’animazione si è recentemente adoperato nella ricerca della Felicità con il film d’animazione, premiato ai European Film Awards, L’Arte della Felicità di Alessandro Rak.

Indicazioni per intraprendere il percorso nel raggiungimento della Felicità è anche il tema di un sito che apre un dialogo tra scienza e religione, tra filosofia e spiritualità che non si limita a convegni o conferenze, ma piuttosto al confronto.

Nel 2005 l’economista Richard Layard esplicava nel libro Felicità. La nuova scienza del benessere comune come la crescita economica degli ultimi decenni non ha reso le persone più felici, anzi si sono diffuse vere malattie sociali come l’ansia e la depressione. Un benessere economico circoscritto, con una crescita dell’infelicità diffusa, direttamente proporzionale al divario tra ricchi e poveri, dovuta all’egoismo e dalla logica dell’apparenza.

Il settimanale britannico The Economist, nell’ultimo numero del 2014, mette in dubbio, con l’articolo What Ebenezer Scrooge and Tiny Tim can tell us about economics (Cosa Ebenezer Scrooge e Tiny Tim possono dirci di economia), che la Felicità è direttamente proporzionale ai beni posseduti, prendendo ad esempio il personaggio dickensiano di Ebenezer Scrooge che, nonostante la sua ricchezza, è in A Christmas Carol (Canto di Natale) l’incarnazione della tristezza.

La Felicità non può essere circoscritta al semplice contesto materiale, al possesso delle cose come dimostra l’infelicità di Scrooge dovuta alla paranoia di perdere il denaro, considerando la ricchezza come un fine a se stesso, difatti le persone in dieci paesi più ricchi del mondo hanno una speranza di vita 25 anni superiore a quello di persone nei dieci più poveri. Sono le persone con più soldi, se lo Stato non fornisce i servizi, che può permettersi una migliore istruzione, più varie attività ricreative e di alimenti più sani, i quali migliorare la qualità della vita.

La copiosità del denaro posseduto da Ebenezer Scrooge non lo rende felice, come dimostra il personaggio disneyano Paperon de’ Paperoni, non viene solo accumulato e non utilizzato, ma tutto cambia quando viene condiviso per aiutare Tiny Tim.

Sono gli indigenti, più che i ricchi, ad offrire un esempio di altruismo, come ha potuto constatare il blogger statunitense Josh Paler Lin nel donare 100 dollari al senzatetto Thomas, tutto documentato in un video, per vedere che la sua prima necessità è stato l’acquisto di cibo per sé e altri clochard. Niente alcolici come si sarebbe aspettato il blogger, ma alimenti da condividere con gli altri senza fissa dimora.

Josh Paler Lin non ha cambiato la vita di chi vive della generosità altrui, con il donare 100 dollari, ma ha cambiato il suo approccio alla povertà, aprendo un crowdfunding che ha raccolto oltre 120mila dollari per aiutare Thomas a rifarsi una vita e trovare un lavoro.

Roberto Benigni nella seconda serata dedicata alla esegesi su I Dieci Comandamenti offre un punto di vista sulla Felicità: “La vita è un mistero, cercate la felicità che avete nascosto da qualche parte”.

Ma sarà sempre più difficile convivere con la felicità individuale se in questo Mondo l’infanzia diventa un obbiettivo dei conflitti, l’infanzia vittima di odio di chi è tanto vigliacco da non riuscire a colpire i padri e con una povertà che l’Onu si propone di sconfiggere entro il 2015 con la campagna End Poverty 2015, ma forse saranno necessari altri 15 anni come afferma Banca Mondiale?

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