Tutti gli articoli di Gianleonardo Latini

Ascetiche visioni urbane

Non è necessario utilizzare tutta la tavolozza o far vibrare il pennello in opulente composizioni pittoriche per creare interesse nell’osservatore, bastano delle calibrate strutture ascetiche, ricche di sfumature “monocromatiche”, per sintetizzare una visione del Mondo e soffermarsi nell’interminabile contemplazione di uno spazio pittorico non figurato.

Proprio una descrizione non figurata, fuori dalla convenzione che permette la distinzione di una casa da una persona, offre un’occasione di perdersi tra le modulazione di grigi frantumati da tracce di rosso e sospesi da compendi di nero che sono gli elementi caratterizzanti della creatività di Adriano Di Giacomo. Elementi che ho trovato confermati, in occasione della decima Giornata del contemporaneo dello scorso 11 ottobre, con la mostra omaggio nello Studio d’arte di via Poerio ad un anno dalla scomparsa.

Una ricognizione all’interno della ricerca condotta da Adriano Di Giacomo, curata da Anna Cochetti e sintetizzata sotto il titolo “Pandora Container ed altre Storie”, come testimonianza dell’impegno dell’artista per il sociale e l’ambiente.

Adriano Di Giacomo realizzò “Pandora Container” nel 1997 e anche quest’opera, al pari del famoso vaso, libera drammi e speranze. Miraggi che prendono vita attraverso numerose tonalità di grigio, ben differenti dal sopravvalutato libro, strutturate in geometrie spigolose.

Una selezione di opere, attraverso anche alle rielaborazioni fotografiche e video provenienti dall’Archivio privato dell’artista, che racchiudono l’universo di Adriano con le sue forme “modellate” sulle superfici pittoriche. Gradazioni di grigio, custodi di un Mondo interiore, come attualizzazione dell’esempio sironiano. Realizzazione di spazi su piani scivolosi che facilmente conducono alla luce o all’oscurità, espressione di una chiusura pessimistica, ma aperti a un futuro speranzoso, spalancato verso gli altri, rivolto alla metropoli, in un susseguirsi di bunker e barriere inneggianti all’incomunicabilità urbana.

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Studio d’arte contemporanea

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Ebola: il Virus nella cultura di massa

È dal 1976 che si conosceva l’Ebola e che si poteva fermare sul nascere, prima che la paura arrivasse all’Occidente, ma essendo un virus che si fece riconoscere in nazioni povere dell’Africa non aveva alcun interesse economico e sanitario.

Il virus, prima di sbarcare nell’Occidente e diventare un business, era stato, come ogni situazione apocalittica, una generosa fonte d’ispirazione per romanzieri e cinematografari. Una fonte magnanima, tanto più se è un virus con le implicazioni dell’Ebola rimasto circoscritto per decenni in un’area ben determinata dell’Africa, che ha trovato libero sfogo nella cultura di massa e nella narrativa di genere, per poi cominciare ad insinuarsi nell’Occidente industrializzato.

Nel cinema Virus letale (Outbreak), del 1995, con Dustin Hoffman, Rene Russo, Kevin Spacey, Morgan Freeman, Cuba Gooding Jr., Donald Sutherland e diretto da Wolfgang Petersen e Resident Evil del 2002, interpretato da Milla Jovovich, per la regia di Paul W. S. Anderson, sono l’esempio di due differenti modi di affrontare il pericolo invisibile. Nel primo è Dustin Hoffman che cerca di sconfiggere, negli anni ’90, il virus dall’Africa agli Stati uniti, mentre nel secondo è un virus modificato, nello scenario di un prossimo futuro, a mietere vittime e generando un’altra progenie.

Anche i videogiochi si sono nutriti di epidemie, traducendo Resident Evil in un video game e generando giochi sempre più complessi sulle malattie e sulle armi biologiche.

Anche nel videogioco Trauma Team si manifesta un’epidemia di un virus chiamato “Rosalia”, i cui effetti sono molto simili a quelli del virus ebola.

Nelle trame romanzesche l’Ebola e i suoi derivati sono utilizzati come una possibile arma con intento criminale come in Contagio di Robin Cook o Nel Bianco di Ken Follett e in Potere esecutivo e Rainbow Six di Tom Clancy.

Nel 2014 il virus fa un salto di qualità nelle paure dell’Occidente e nell’ambito commerciale con la messa in produzione di peluche dalle sembianze dell’Ebola. Una commercializzazione effettuata dalla Giant Microbes, azienda statunitense specializzata in morbidi microbi e virus, ma che non riesce a soddisfare addirittura le richieste.

Richieste che non si limitano ai peluche, ma anche alle magliette, in una sorta di esorcizzazione di ogni paura, ma l’unica azione che può mettere al momentaneo riparo è sostenere chi lavora sul campo per fermare questa malattia e salvare vite. Emergency ha realizzato due centri in Sierra Leone (Freetown) per fronteggiare l’Ebola, altre organizzazioni non governative come Medici senza frontiere sono impegnate a colmare i ritardi dei benestanti Paesi dell’Occidente che solo ora si rendono conto dei rischi di contagio in Europa e Usa. Gli Stati uniti, oltre a stanziare mld di dollari per la ricerca di un siero, hanno inviato i suoi marine per allestire ospedali e tenerli in sicurezza.

Anche per il singolo abitante di questa Terra è giunto il momento di partecipare attivamente collegandosi alla pagina Facebook.

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Il Grillo visto da Greblo

Non si può eludere il nodo grillino, ops penta stellato, con un manzoniano «Carneade! Chi era costui?» ruminato tra sé dal don Abbondio di turno o il più contemporaneo «Fassina chi?» echeggiato da Renzi in una conferenza stampa.

Il MoVimento 5 Stelle con il suo promotore Beppe Grillo e il guru Casaleggio viene da lontano, un po’ come la Lega, incanalando lo scontento sconnesso di un elettorato più interessato al cambiamento che all’ideologia.

Un elettorato che è emigrato, in gran parte, da Forza Italia alla Lega sino al Movimento di Beppe Grillo, per poi guardare ad un Pd renziano. Un elettorato irrequieto, confuso tra “antipartitocrazia” e “antipolitica”, ma che vuole scardinare i privilegi di pochi per non mortificare i molti, volendo porre in evidenza il tema del bene comune per contestare il patrimonialismo e le lobby.

Non si può ridurre il Movimento alle invettive di un esagitato che barcolla sulle esacerbate grida reazionarie a serie proposte di un popolo di sinistra, per poi stigmatizzarlo come guidato da un demagogo che ha sdoganato un linguaggio politicamente “scorretto” perché M5S possa arrivare con violenza ad essere udito e sentito nello stomaco dell’elettorato.

Beppe Grillo evita qualsiasi collocazione e afferma che lui non si è mosso, sono gli altri hanno modificato le varie linee politiche. In effetti sono da molti anni che Beppe Grillo, nei suoi spettacoli, porta avanti una rivendicazione ecologista, arricchita dalle proposte informatiche, per un nuovo sviluppo economico.

Un movimento con delle giuste rivendicazioni sociali, condite da rancorosi reflussi gastrointestinali verso il prossimo, coniugando l’intelletto alla pancia, per far ruotare il tutto intorno all’individuo come fideistica comunità, differenziandosi da una destra individualista e da una sinistra collettivista.

Le 5 Stelle del Movimento rappresentano: l’Istruzione, la Salute, l’Informazione, i Trasporti, lo Stato con i Cittadini, l’Energia e l’Economia, ponendo l’accento sulla differenza che intercorre tra casa e città – tra l’oikos e la polis – il privato e il pubblico.

In questo panorama sarebbe difficile individuare una filosofia da assegnare a Beppe Grillo, ma Edoardo Greblo sembra riuscirci con La filosofia di Beppe Grillo. Il movimento 5 stelle (2011), ma a tre anni dalla pubblicazione cosa rimane delle speranze riposte nella volontà di cambiare il rapporto tra Stato e Cittadini, tra il Progresso e l’Ambiente?

Una delle innovazione tentate dai PentaStellati è sopratutto l’utilizzo del web come spazio di un dibattito ininterrotto, strumento per “rendere” il cittadino in un elettore consapevole, coinvolgendolo nelle proposte e nelle scelte, anche se la partecipazione non sembra esaltante.

Sfogliare le pagine del libro di Edoardo Greblo può aiutare a riflettere sulle ambiziose mete e sulla difficoltà nel raggiungerle senza dover giungere a compromessi.

I risultati non sono esaltanti dal lato partecipativo: il cittadino rimane propenso a delegare i cambiamenti e non esserne protagonista, tutta al più esserne un comprimario che spinge il “campione” verso la volata finale.

Sono scoppiate, con Grillo nella politica attiva, tutte le contraddizioni che hanno corroso i rapporti tra eletti ed elettori. Così i gruppi impegnati a modificare la Costituzione o l’accesso e la tutela del lavoro bollano la schiera di persone che pongono dei dubbi sul da farsi come conservatori e dinosauri. Conservatori per il solo motivo di voler salvaguardare i diritti fondamentali e non sottostare alla coercizione dei Poteri “forti”, con pensieri deboli, sui cittadini.

Sarebbe utile rispolverare Gustave Le Bon e il suo trattato sulla Psicologia della Folla (Psychologie des foules) per disinnescare il carisma che certi politici esercitano sui cittadini e non far finta di essere degli attivi elettori solo perché si usa la rete per confrontarsi. Discernendo il virtuale e il reale, dalla parola ai fatti.

 

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Titolo: La filosofia di Beppe Grillo. Il movimento 5 stelle
Autore: Edoardo Greblo
Editore: Mimesis, 2011
Prezzo: € 12,00

EAN:9788857506944

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Finché c’è guerra c’è speranza

Nei primi anni ’70 Alberto Sordi dava vita, con amarezza, al personaggio di un mercante d’armi in crisi esistenziale per quello che faceva. Un film che sintetizzava l’adagio Mors tua vita mea, con la distruzione di un’Africa dilaniata da conflitti regionali come terreno di confronto tra l’allora Comunismo e Capitalismo e dove piccoli e grandi spacciatori d’armi avevano il loro tornaconto.

A quarant’anni di distanza dal film Papa Francesco bolla quei mercanti come “pianificatori del terrore, questi organizzatori dello scontro, come pure gli imprenditori delle armi” che “hanno scritto nel cuore: A me che importa?”.

Una condanna gridata dal Sacrario di Redipuglia, traslitterazione dallo sloveno di “sredij polije”” (terra di mezzo), dove riposano decine di migliaia di militari della Prima guerra mondiale.

Sono gli “affaristi della guerra” che basano la loro filosofia di vita sul profitto dovuto prima alla vendita di strumenti di morte e distruzione e poi nell’offrire l’occasione di fare affari per la ricostruzione.

Cosa c’è di più capitalistico nel rendere obsoleti armi e munizioni di qualche anno e inabitabili interi quartieri e città dopo essere stati investiti da bombe e razzi, per poi ridar “vita” ad un’economia stagnante con la ricostruzione?

Sino a quando il “benessere” si basa sul consumismo – il distruggere per ricostruire ne è il nodo fondamentale – sarà difficile che la maggioranza delle persone possano essere interessate al destino dei loro simili in aree di conflitto.

Non sono bastate due Guerre Mondiali con decine di milioni di morti e di stermini, perché qualcuno riteneva qualcun altro diverso da lui e per imporre una visione della società a chi non la condivide, per poter fermare i sobillatori di conflitti e gli spacciatori di morte.

Quando il biblico “A me che importa?” potrà avere un significato per la maggior parte della popolazione che non si interessa del fatto che “La guerra non guarda in faccia a nessuno: vecchi, bambini, mamme, papà…” sino a quando non saranno loro le vittime degli altrui interessi?

Nella Striscia di Gaza ci vorranno, secondo le organizzazioni non governative Oxfam http://www.oxfamitalia.org/ e la norvegese Shelter Cluster affiliate alle Nazioni Unite, 20 anni per la ricostruzione di 17 mila unità abitative, tra edifici danneggiati o distrutti, e non meno di 4 milioni di euro, oltre agli edifici pubblici come scuole e ospedali.

Con i 2143 morti, in gran parte civili e bambini, in 50 giorni di reciproci attacchi è Gaza ad aver subito un ennesimo colpo al fragile tessuto sociale e all’economia, mentre a fare affari sono stati i trafficanti di armi prima e poi, appena Israele autorizzerà l’apertura dei varchi, gli imprenditori edili di qualsiasi nazionalità. È uno strano modo per rendere omaggio al 2014 come Anno Internazionale di Solidarietà con il popolo Palestinese.

Ora che tra il governo israeliano e Hamas si è raggiunta una tregua che sembra reggere, a chi può importare di consolidarla per dare un futuro alle popolazioni di una terra martoriata?

È faticoso e difficile a dare un volto ad ognuna delle migliaia di vittime del Medio Oriente come di altre aree di conflitto. Le persone diventano, superato il numero di cinque forse anche dieci vittime, solo un numero tra tanti, senza nome ne volto.

È più facile che l’attenzione empatica si focalizzi su di un volto e un nome, mentre un’umanità seppellita dalle bombe, trafitta da proiettili o sgozzata da algide mani ispirate dalla missione salvifica di sterminare chi ha altri comportamenti, è una moltitudine che rientra nella quotidianità degli eventi.

Cosa c’è di più tenero di un musetto d’orso reso orfano da un eccesso di zelo per sollevare l’indignazione di una folla piena di compassione per un batuffolo di pelo?

A chi importa di un mendicante quando sono sempre più numerosi gli indigenti che s’incontrano per le strade, se si evita di incrociare il loro sguardo?

Gli organi d’informazione possono veicolare l’attenzione su di una tragedia che coinvolga pochi personaggi, ma riesce a banalizzare le stragi quando diventano quotidianità.

In un mondo proteso alla separazione più che alla condivisione è palese il trionfo dell’individualismo che porta a suggellare la frase “A me che importa?” sulla lapide dell’indifferenza colpevole di Caino nei confronti di Abele.

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L’Altra Crescita

In Italia c’è un’altra crescita: quella della povertà, come evidenzia l’ultimo rapporto della Caritas e con il pamphlet dell’Istat si ha la conferma.

È una crescita endemica che coinvolge tutto il Pianeta come anche nel ben formulato rapporto Gender Development Index, stilato dall’Onu sulla graduatoria dell’Indice di Sviluppo umano, dove la Norvegia primeggia e l’Italia conferma la posizione Italia al 26esima, ma per le donne è 61esima, evidenziando il divario delle opportunità (gender gap) tra i due sessi.

Il titolo del rapporto, False partenze, della Caritas è emblematico sui temi della povertà e dell’esclusione sociale, frutto non di un asettico studio teorico, ma una finestra sul fenomeno della povertà in Italia secondo l’esperienza di ascolto e osservazione svolta dalle 220 Caritas diocesane presenti sul territorio nazionale.

Dal 2007 al 2012 il numero dei poveri in Italia è raddoppiato, passando dai 2,4 milioni ai 4,8, pari all’8% della popolazione, contaminando ambiti sociali ritenuti sino ad ora immuni.

Un Rapporto che valuta la situazione dei servizi ecclesiali come le mense, centri di ascolto, consultori e strutture residenziali/dormitori, frequentati non solo da disoccupati o pensionati, ma anche da genitori separati/divorziati e famiglie in “ristrettezze” economiche.

L’Istat rincara la dose con la sua rilevazione del 12,6% delle famiglie in condizione di povertà relativa (per un totale di 3 milioni 230 mila) e il 7,9% lo è in termini assoluti (2 milioni 28 mila). Le persone in povertà relativa sono il 16,6% della popolazione (10 milioni 48 mila persone), quelle in povertà assoluta il 9,9% (6 milioni 20 mila).

Se le famiglie e gli anziani, ancor più se residenti nel sud dell’Italia, sono una fascia sociale a rischio di povertà, i single non anziani nel Nord hanno meno occasioni di preoccupazione.

I dati non cambiano sul rapporto dell’Undp (Nazioni unite per lo sviluppo), Human Development Report, anzi si dilatano e vengono letti su scala mondiale con 2,2 miliardi di persone povere o al limite dell’indigenza, mentre sono un 1,2 miliardi gli abitanti di questa Terra che vivono con 1,25 dollari al giorno o meno.

La situazione per la popolazione si aggrava se vive in aree di conflitto non solo come la Libia e la Siria, ma anche in Nigeria e in altri paesi potenzialmente prosperi, ma con ricchezza concentrata in poche mani.

Su tanti dati sconfortanti ci potrebbe far sorridere l’affermazione di Matteo Renzi riportata da Alan Friedman nell’intervista al Corriere: «Che la crescita sia 0,4 o 0,8 o 1,5%, non cambia niente dal punto di vista della vita quotidiana delle persone», se non fosse per il particolare che un punto di crescita vuol dire molto per l’economia italiana e per gli italiani.

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