Tutti gli articoli di Gianleonardo Latini

Medio Oriente: Un Buco Nero dell’islamismo

Il conflitto israelo-palestinese aveva momentaneamente oscurato ogni notizia sul buco nero che si sta creando tra la Siria e l’Iraq.

Ora che Israele ha ritirato le truppe dalla striscia di Gaza, dopo un quotidiano lancio di razzi islamisti sul territorio israeliano e le inevitabili ritorsioni israeliane, sembra che oltre 2mila e la distruzione di edifici si è giunti ad una tregua indeterminata, l’attenzione si sposta un po’ più al di là dell’altra sponda del Mediterraneo. In quell’area che sembra risucchiata in un buco nero di mille anni addietro. Un buco nero che sembra voglia allargarsi verso il Libano, dopo la Siria e l’Iraq, allungando la lista delle ormai migliaia di morti sgozzati o con una pallottola in testa.

Un’area sempre meno sicura per le persone che seguono confessioni differenti dal dettame sunnita imposto dal nascente califfato dello Stato islamico.

Per fronteggiare l’avanzata dell’Isis (Stato islamico di Iraq e Siria), ormai più famigliarmente Is (Stato Islamico) qual sia dir si voglia, sono intervenuti gli Stati uniti con martellanti raid aerei per distruggere gli armamenti di cui miliziani islamisti si sono impossessati con la ritirata dell’esercito iracheno e facilitare l’azione delle milizie curde dei peshmerga.

L’Occidente, dopo tanta incertezza, ha deciso di appoggiare le forze curde nel contenimento dell’affermazione islamista tra la Siria e l’Iraq che, nel tentativo di allargare l’influenza dell’Is nell’area con i continui sconfinamenti in Libano, si può quantificare come un territorio ampio quanto l’Ungheria.

I curdi, combattendo anche con le armi dell’Occidente per la loro terra e la loro autonomia, difendono anche noi e per non far crescere la considerazione sul loro operato e mitigare le future richieste curde che gli armamenti non andranno direttamente nelle zone di guerra, ma passeranno per Bagdad per ribadire la centralità del governo iracheno a spese dell’autonomia del Kurdistan.

A facilitare l’intervento occidentale in Iraq è il palese o il tacito consenso che non solo i paesi arabi ma anche la Russia e la Cina hanno dato, cosa che non poteva avvenire per la Siria, certo non perché i cristiani erano al sicuro, ma per gli interessi incrociati sullo scardinamento degli equilibri nell’area e rischiare di trovarsi in una situazione d’interminabile conflitto modello libico.

È per questo che dopo l’esempio di leadership debole riscontra in Iraq con il governo Nuri al-Maliki, celata dalla voce grossa che esibiva con il risultato di alzare l’acredine tra gli sciiti e i sunniti, è ora la volta di un governo inclusivo di tutte le realtà culturali irachene, cercando una rappacificazione tra schieramenti e togliere agli islamisti consenso.

Nel grande gioco delle alleanze variabili si sceglie chi è più nemico dell’altro e non il più affine negli intenti e nei sistemi. Così è possibile trovare un esponente di primo piano del regime di Saddam come il generale Izzat Ibrahim al Douri guidare l’avanzata di quelli dello Stato islamico in Iraq solo perché sono più odiosi gli sciiti che gli jihadisti. L’Occidente riflette sulla possibilità di aprire un dialogo con Assad, un’ipotesi impensabile sino a pochi mesi fa, perché è sin dalla prima ora avversario dei jihadisti. I cristiani in Libano si alleano con gli Hezbollah che combattono in Siria affianco del regime di Assad contro gli islamisti, per non diventare dei bersagli come in Nigeria o in altre parti del Mondo. I cristiani nel Medio oriente, vittime predestinate come ogni altra minoranza, sono in cerca di protezione. Una situazione di persecuzione già evidenziata da Francesca Paci del libro del Dove muoiono i cristiani
(2011).

Una persecuzione delle minoranze, da parte jihadisti, che annovera non solo le comunità cristiane, ma anche yazide e shabak, oltre che turcomanne, atta a perseguire una pulizia etnica di balcanica memoria.

È l’arroganza dell’ex premier Nuri al-Maliki, con il suo fomentare le violenze settarie che ha insanguinato il Paese, ma anche l’ottusità statunitense nel cancellare un esercito che ha portato un laico come al Douri a scegliere di unificare le sue forse baathiste a quelle dei jihadisti.

Un’alleanza contro natura, se la realtà jihadista era da eliminare sotto il regime di Saddam, accomunati non solo nello scansare dal potere la maggioranza sciita, ma anche dai modi sbrigativi nell’eliminare i “problemi”.

Questa’esaltazione della violenza ha esercitato una forte attrazione per molti adolescenti annoiati e senza un’ideale di vita, portandoli a seguire degli invasati per esternare il loro lato teppistico. Giovani in cerca di una guida che non vivono necessariamente in periferie disagiate, ma provenienti anche da i ceti benestanti dell’Occidente, mossi dal disagio di vivere, il cosiddetto mal de vivre. Una realtà basata sulla disciplina e la cieca adorazione del capo che sarebbe stata l’ovvia conclusione dei farneticanti protagonisti dell’Arancia Meccanica o dei “perseguitati” Guerrieri della notte nel vedere un futuro inquadrati in milizie religiose di vari credo.

In questo scambio di fronti e di alleanze s’inserisce anche l’intervento di Alessandro Di Battista, deputato del M5S, che offre una giustificazione all’uso del terrorismo come unica arma per i ribelli, dimenticando che le milizie del nascente Stato islamico non sono dei dissidenti perseguitati, ma un’orda conquistatrice. Rincara la dose del politicamente “scorretto” i twitter del cosiddetto ideologo dei penta stellati Paolo Becchi che offre una lettura di consequenzialità nel dare le armi ai curdi con la salvezza delle due volontarie italiane.

Ribellarsi è giusto, ma quelli dello Stato islamico sono degli aggressori e non si può dare una parvenza di legittimità alla violenza perpetrata da un esercito di conquista e non di difesa. Un gruppo di persone che sono discriminate possono arrivare all’utilizzo della violenza, ma chi si organizza in una forza di conquista per formare dal nulla uno stato tirannico, imponendo le sue regole di vita, non può essere paragonato a chi viene perseguitato e si vede negato ogni diritto fondamentale.

L’esercito del califfato per uno stato islamico non è un popolo scontento in cerca di una vita pacifica, ma è in guerra con tutto il mondo che non professa il loro senso della vita, ma non per questo si deve escludere un dialogo, anche se per dialogare bisogna essere almeno in due per trovare un compromesso, e quelli delle bandiere nere non sembrano disponibili ad una convivenza con altre religioni.

Oscurantismo jihadisti che si sta affermando anche nel caos libico, scene di prigionieri mostrati al pubblico ludibrio in Ucraina o la giustizia sommaria nei confronti di sospette spie a Gaza, il tutto condito con la crudeltà contro la popolazione, fa retrocedere la storia dell’umanità di alcuni secoli.

La situazione israelo-palestinese e quella iracheno-siriana sono la dimostrazione di come gli organi d’informazione appaiono incapaci di seguire contemporaneamente le varie aree di conflitto nel Mondo se non sono ai nostri confini o coinvolgono i rapporti tra schieramenti ideologico-economici.

Solo l’Ucraina non ha perso spazio informativo, forse perché oltre ad essere in Europa sta compromettendo i già difficili rapporti con la Russia di Putin nell’ambito delle esportazioni e dei rifornimenti energetici invernali che in una crisi economica europea diventa un grande problema.

***********************************

Francesca Paci
Dove muoiono i cristiani
Editore: Mondadori
Milano, 2011
pp. 204
€ 17,50
EAN9788804606925

Franco Cardini
Cristiani perseguitati e persecutori
Salerno Editrice
Roma 2011
pp. 188
€ 12,50
ISBN 978-88-8402-716-0

***********************************

02 OlO I buchi neri per un islamismo Iraq Siria e il Califfato jihadisti_siria

Qualcosa di più:

Se la Siria non scalda più i cuori Articolo completo
Siria: Il miraggio della Pace
Siria: Dopo le Minacce Volano i buoni propositi
Siria: Vittime Minori
Siria: continuano a volare minacce
Ue divisa sulla Siria: interessi di conflitto
La guerra in Siria vista con gli occhi di Sahl

***********************************

02 OlO Medio Oriente conflitto israelo-palestinese Razzi sulla Pace Iraq Siria e il Califfato 095388-78531cd2-0564-11e4-ba4e-3b3727fd03ff

02 OlO I buchi neri per un islamismo Iraq Izzat Ibrahim al Douri Carta a sorpresa al-Douri_2566657b

Medio Oriente: la Pace tra Razzi e Cupole

Il riacutizzarsi del conflitto israelo-palestinese ha oscurato ogni notizia sul buco nero che si sta creando tra Siria e Iraq.

Israele e la Palestina sono proprio sull’altra sponda del Mediterraneo, ma anche la Siria non è poi tanto lontana e forse le ormai migliaia di morti sgozzati o con una pallottola in testa potrebbero pur meritare qualche attenzione, tanto più che non sembra ci sia qualcuno capace di fronteggiare l’avanzata dell’Isis (Stato islamico di Iraq e Siria) o Isil (Stato Islamico in Iraq e nel Levante) qual sia dir si voglia, è impegnato nella creazione di un califfato. Neanche le milizie kurde dei peshmerga, dopo un iniziale successo, non sembrano riuscire a contenere la conquista degli islamisti e i continui sconfinamenti in Libano fanno pensare a un tentativo di allargare l’influenza dell’Isil nell’area.

Probabilmente l’attenzione dei media per i razzi di Hamas su Israele e i raid israeliani sempre più micidiali sulla striscia di Gaza deriva dalla “facilità” dei giornalisti nel muoversi in quei territori e dalla possibilità di dare un volto alle vittime, iniziando dai tre adolescenti ebrei e dal loro coetaneo palestinese, colpiti dall’odio. Morti causati dalla manifesta incapacità delle due parti a riconoscersi e della comunità internazionale, nonostante l’impegno di aver messo in campo geni della diplomazia del calibro di Tony Blair, di offrire delle alternative ad una controversia sull’esistenza che si prolunga da oltre sessant’anni. Una mancata pacificazione dell’area israelo-palestinse coinvolge tutto il territorio mediorientale, influenzando leadership di movimenti e governi più o meno radicali, filo occidentali o islamico jiadaisti.

Nonostante il riavvicinamento dell’anima tradizionalmente palestinese di quello che era Al-Fatah e l’Olp, che governa in Cisgiordania, con quella radicale di Hamas, predominante nella “striscia” di Gaza, con governo di unità nazionale, le scelte politiche continuano ad essere due e il dialogo che cerca Abu Mazen da Ramallah è rifiutato da Hamas a Gaza City.

Un’escalation che mostra tutta la debolezza non solo di Hamas, ma anche di Benjamin Netanyahu e del Governo israeliano.

Due popoli due stati che potranno convivere solo con tanti muri divisori, necessari per renderli dei buoni vicini; sino a quando gli israeliani e i palestinesi saranno guidati da due leadership così deboli eppur intransigenti.

Israele vuol screditare l’accordo raggiunto tra ANP (Autorità nazionale palestinese) e Hamas in una condivisione del potere, mentre Hamas cerca di mostrare al Mondo il crudele volto sionista che distrugge moschee, scuole e ospedali, ma si glissa sul particolare che le componenti radicali palestinesi preferiscono quei luoghi per collocare le rampe di lancio per i razzi da lanciare sul territorio israeliano.

Come gli organi d’informazione, le varie cancellerie, mostrano tutta la loro incapacità a offrire uno sguardo globale, e non globalizzato, sulla situazione internazionale, così anche l’intellighenzia che popola questa Terra si accorge solo di alcune tragedie, come dimostra l’appello – versione completa in italiano –  di un centinaio di nomi di varie nazionalità per “esigere” dall’ONU che imponga un embargo sugli armamenti, come quello imposto al Sud Africa durante l’apartheid, verso Israele.

Il problema non può essere focalizzato sul blocco di forniture militari, ma deve salvaguardare la popolazione civile da periodiche esibizioni muscolari. Un tale embargo è più facile applicarlo a Israele, ma di difficile applicazione nei confronti dell’universo eversivo jidaista. Entrambi i contendenti non hanno solo la capacità di scavalcare embarghi e divieti, ma soprattutto la possibilità di fabbricarne in proprio.

Diventerà sempre più impellente una riflessione sui costi e i benefici di un tale conflitto che non migliora le condizioni di vita dei due popoli, anzi si potrebbe scoprire che di certe esibizioni militari ne beneficiano solo i gruppi che tendono a conservare il potere.

Sicuramente per Hamas, con l’attenuarsi del sostegno di sponsor importanti come la Siria e Iran, questo scontro sarà un’occasione per ribadire la sua vitalità, nonostante l’esilio del suo leader Khaled Meshaal in Qatar, mentre Israele, a costo di commettere numerose vittime “collaterali”, afferma la sua forza cieca perché nessuno si deve permettere di minacciarne la sua esistenza.

Il risultato, secondo il filosofo americano e teorico della “guerra giusta” Michael Walzer, è il rafforzamento di Hamas, mentre Netanyahu cerca una scusa per evitare la creazione di uno Stato palestinese.

Mentre un altro intellettuale di origine ebraica, Zygmunt Bauman, afferma che Israele non costruirà mai la pace con una politica della “doppia” giustizia e condannando Gaza a una sorta di enorme prigione a cielo aperto, dove i pescatori non possono allontanarsi più di tre miglia dalla costa per procurarsi quel poco per sopravvivere, sotto lo sguardo sospettoso della marina israeliana.

Non si può vivere sotto la minaccia di missili che possono cadere ovunque e in ogni momento, ma se Israele ha la sua cupola missilistica “protettiva”, Hamas si fa scudo della popolazione e dopo le ennesime vittime “collaterali” nelle strutture dell’Onu è indispensabile una tregua riflessiva, svincolata da ogni pretesa, perché non è in gioco solo la vita di donne e bambini, ma il futuro di una generazione allevata nell’odio e diffidenza verso il prossimo.

Non si può affermare che 2mila morti, in gran parte civili, si possa definire genocidio come asseriscono in molti, ma è sicuramente un massacro e un abuso contro l’infanzia. Un crimine perpetrato in forma differente da entrambe le parti. Un bambino di sei anni ha già vissuto per tre volte le giornate e le notti fatte di esplosioni e paura.

Non si possono vagliare i termini di una tregua. Una tregua è far cessare il micidiale rumore delle armi che preannunciano nuove vittime e non avvantaggiare una delle parti in conflitto. Indire una tregua per tramutare la situazione di non belligeranza in convivenza pacifica.

La tregua non è una soluzione, ma un’opportunità per trovarne una duratura svolta pacifica, come non ha mancato di sottolineare il Segretario di stato statunitense John Kerry in occasione del raggiungimento dell’ennesima tregua che sfumerà poche ore dopo. È un primo passo che purtroppo nessuna delle due leadership vuole fare, anzi cercano ogni possibile occasione per riprendere lo scontro. Una possibilità di risolvere la “questione palestinese” potrebbe essere quella di chiudere in una stanza la dirigenza delle parti in causa e non aprire sino al raggiungimento di un accordo di accettazione reciproca. Questa è la via “diplomatica”, poi c’è quella muscolare modello Orazi e Curiazi da svolgere come sfida in uno spazio desertico e con un numero di contendenti uguale per l’una parte e l’altra, per risolvere all’arma bianca una volta per tutte ogni controversia.

Due possibilità che appaiono improponibili in questa fase. Intanto gli artisti e gli intellettuali palestinesi e israeliani si schierano contro l’ennesima prova di forza dei due contendenti che alla fine non potranno sfoggiare una vittoria, nonostante gli immancabili comunicati trionfalistici, ma il cui unico reale risultato saranno le numerose vittime civili, donne e bambini, in numero sempre più elevato, lasciando un’infanzia orfana non solo dei genitori, ma anche vittime di mutilazioni fisiche e psicologiche.

Ora sembra che il primo passo per una tregua durevole sia stato fatto, ma cosa sono serviti gli oltre 2mila morti e i 17mila feriti, oltre alla distruzione di abitazioni, scuole e ospedali, se non ad incrementare astio tra i due popoli. L’apertura dei varchi della “Striscia” offre un’opportunità di nuovi affari per società, organizzazioni e liberi battitori, senza contare l’aggiornamento degli arsenali.

Non si poteva arrivare al dialogo prima? senza far soffrire una popolazione che vive in un territorio sotto sorveglianza e non creare un’immagine di vittima di Hamas.

***********************************

02 OlO Medio Oriente conflitto israelo-palestinese Razzi sulla Pace  Israele e Hamas ai tempi di Twitter

02 OlO Medio Oriente conflitto israelo-palestinese Razzi sulla Pace Gaza ieri pomeriggio Foto Epa 10513510_10152703762542985_1485880258921309692_n

Israeli strikes in Gaza destroy office of Hamas premier.

 

 

 

 

 

 

 

02 OlO Medio Oriente conflitto israelo-palestinese Razzi sulla Pace Caritas LapresseFo_42624726

 

Il Mondo chiuso della Traviata

La 50ma stagione dell’Opera Festival di Macerata, allo Sferisterio, si è inaugurata con La Traviata, alla quale seguirà Aida e Tosca. Tre personaggi femminili, seguiti sul podio da altrettante donne, com’è avvenuto per La Traviata con Speranza Scappucci.

La prima è stata La Traviata di Verdi, con la spettacolare riproposta scenografica “degli specchi” di Josef Svoboda del 1992, che il mal tempo, nonostante il ritardo di due ore della messa in scena, non è riuscito a mortificare la proposta scenica e la performance degli interpreti.

Josef Svoboda nel 1992 era convinto che La Traviata fosse un’opera da allestire in uno spazio chiuso, ma riuscì a rimanere fedele alla sua idea con l’utilizzo degli “specchi”, componendo una parete, dall’inclinazione variabile, con tante lastre di metallo per giocare con i riflessi dell’ambientazione scenografica proposta su teli stesi sul palco e quella degli interpreti, moltiplicando la loro presenza e limitandone apparentemente lo spazio di movimento.

Un escamotage scenografico che evidenzia un’umanità che agisce in un mondo chiuso, quasi come se fosse un acquario, intenta a divertirsi nel soffrire a far soffrire.

Un infinito palcoscenico ingabbiato dagli “specchi” che lo riduce a un “acquario” dove far muovere i personaggi che vengono trattati come dei burattini, mentre le scene scivolano sotto i loro piedi, nelle lavoro verdiano che marca il passaggio dall’opera dei miti e dei trionfi al melodramma intimistica.

Un ambiente chiuso in un’arena. Geniale per poter delimitare la vita della sfortunata Violetta Valery (Jessica Nuccio) grazie al tormentato Alfredo Germont (Antonio Gandìa), rimproverato, nell’Atto Secondo (scena XV), dal padre Giorgio Germont (Simone Piazzola) nell’aver cresciuto un tale figlio: Di sprezzo degno se stesso rende / Chi pur nell’ira la donna offende. / Dov’è mio figlio? più non lo vedo.

Povera Violetta, povera donna, sola / abbandonata in questo / popoloso deserto / che appellano Parigi, che alla fine lascia questa valle di lacrime con un fil di gran voce.

***********************************

06 Palco Il Mondo chiuso della Traviata DSC_5918 web 06 Palco Il Mondo chiuso della Traviata DSC_5929 web 06 Palco Il Mondo chiuso della Traviata DSC_5937 web

Lo spettacolo dell’Archeologia

Il varo della stagione del teatro Argentina ha vissuto momenti travagliati con il recente arrivo del neodirettore Antonio Calbi, ma tutto sommato mostra, tra proposte e riproposte, con i classici come Shakespeare e De Filippo, una varietà da tour de force, con il veloce susseguirsi di allestimenti tenuti in cartellone anche per soli tre giorni.

Teatro per tutti con Cantiere Roma Italia e, fresco di restauro, l’India rappresenta la sua contemporaneità con, tra gli altri, protagonisti artisti e compagnie romane di un percorso identificato come Prospettiva Roma per narrare il tempo della crisi e le sue contraddizioni. Una proposta che è anche un ritratto di Roma in altrettanti ventiquattro racconti, per riportare la città a teatro.

Roma è anche protagonista con il Teatro di Roma che dedica a Pier Paolo Pasolini, al suo spirito profetico, e alla sua attualità.

Il Teatro di Roma non si esime a fare da cassa di risonanza all’appuntamento milanese di Expo2015 con A tavola! – Riti del cibo e pratiche della cucina a Roma e nel Lazio – al Teatro Argentina (giugno-settembre 2015) e Il teatro è servito! – ciclo di spettacoli sul cibo – al Teatro India, oltre a L’esposizione universale di Luigi Squarzina.

Ma sopra a ogni iniziativa sono gli incontri sull’archeologia che si terranno a scadenza quindicinale all’Argentina ha dare un’occasione al teatro ad aprirsi alla città, offrendo al pubblico un ciclo di in sei appuntamenti (11 e 25 gennaio, 8 febbraio, 15 e 29 marzo, 12 aprile, alle ore 11 .00) che coinvolgerà archeologi, storici e altre figure di spicco del mondo culturale romano e non solo, come Luciano Canfora, Filippo Coarelli, Francesca Cenerini e Claudio Parisi Presicce.

Sei conferenze sullo straordinario patrimonio storico, artistico, archeologico e monumentale di Roma che gran parte degli abitanti ignora di avere magari proprio sotto casa.

Il ciclo di conferenze, raccolte sotto il titolo di Luce sull’Archeologia, si aprirà con la rievocazione della morte di Cesare, per dissipare una volta per tutte il luogo controverso del suo assassinio.

Segue un incontro dedicato ai luoghi del potere di Augusto, nell’ambito delle celebrazioni per il bimillenario della morte del primo Imperatore, per poi proseguire con i teatri di Roma antica nella pianura del Campo Marzio e alla loro straordinaria bellezza.
“Il Colosseo: mito e realtà” sarà il tema dell’appuntamento dedicato all’architettura per lo spettacolo più celebre al mondo, testimone di millenari eventi. Chiude l’incontro dedicato alle grandi donne di potere nella Roma tra il I sec. a. C. e il II sec. d.C.: “Le donne di potere nella Roma Imperiale”, un tributo di intelligenza, poesia e bellezza.

**************************

Per tutte le informazioni sul cartellone 2014/ 2015

**************************

Teatro Argentina e India ripartono con Cantiere Roma Italia image750-342x256Teatro Argentina e India ripartono con Cantiere Roma Italia image751-342x256

 

I canti di storie e il loro compendio

Sia Mimmo Cuticchio che Ambrogio Sparagna  non li avevo apprezzati dal vivo fino a quella sera di fine giugno alla Villa di Adriano a Tivoli. Uno spettacolo nel quale l’antica arte della narrazione si amalgamava con una musica popolare dalle mille sonorità mediterranee, quello dedicato ai Quattro Canti di Palermo, intendendo Canti come luoghi fisici (cantoni) trovando in piazza Vigliena, luogo di feste ed esecuzioni capitali, il centro virtuale di Palermo che può fregiarsi nei rispettivi angoli di altrettanti palazzi settecenteschi, come quinte teatrali dalle quali transita un’umanità che interpreta se stessa, dalla classica suddivisione a tre ordini sovrapposti (dorico, ionico e corinzio).

Lo spettacolo unisce il cunto (il raccontare), il canto e la musica per calarsi nel mondo variegato delle tradizioni popolari fatte rivivere attraverso l’eclettica figura di Giuseppe Pitrè, scienziato e studioso, che ha raccolto il più vasto patrimonio di storie, usi e costumi del popolo siciliano.

L’incontro di due singolari personalità come Mimmo Cuticchio e Ambrogio Sparagna, entrambi ambasciatori della cultura popolare nel mondo, permette di assaporare la freschezza e la varietà della lingua siciliana attraverso la narrazione del primo e la musica l’altro, in un intreccio tra la vita di tutti i giorni e il fantastico.

In I Quattro Canti di Palermo Mimmo Cuticchio modula la narrazione con tre tonalità, passando dalla sommessa cantilena trasognata alla narrazione discorsiva, sino a calarsi nelle vicende di paladini e garibaldini con una frammentazione dialettica che utilizza come evidenziatore e “rumorista” degli eventi.

Ad Ambrogio Sparagna, virtuoso dell’organetto, il compito di sottolineare i vari passaggi, grazie anche alle voci di Eleonora Bordonaro e Fabia Salvucci, accompagnate da Cristiano Califano (chitarra), Antonello Di Matteo (clarinetto, zampogna), Diego Micheli (contrabbasso), Erasmo Treglia (ghironda, torototela, ciaramella), Arnaldo Vacca (percussioni) e il suggestivo intervento del Coro Popolare diretto da Anna Rita Colaianni.

Il risultato è uno spettacolo dove la parlata siciliana si mescola alle sonorità rinascimentali della Francia meridionale e a quella della tradizione musicale dell’Italia dei territori, per offrire uno spaccato della storia vista con gli occhi del popolo e non degli eruditi e politici.

 *****************

06 Teatro I Canti Storie e il loro compendio Mimmo Cuticchio e Ambrogio Sparagna DSC_1810 06 Teatro I Canti Storie e il loro compendio Mimmo Cuticchio e Ambrogio Sparagna die-0_12146--400x320