Tutti gli articoli di Gianleonardo Latini

Parigi: Montparnasse la Riva della cultura

La Rive Gauche non è solo il Quartier Latin con i caffè letterari, saint-Germain e le suggestioni della chiesa di Saint-Sulpice che Dan Brown ha riversato nel Codice da Vinci o i giardini di Luxembourgo, la Sorbona e il Pantheon, ma è anche il Museo Nazionale del Medioevo di Cluny e le Terme romane con il ciclo di arazzi de La Dama con l’Unicorno, con fermata Cluny-Sorbona del Metro con la volta decorata dalle firme dei grandi di Francia.

Una Riva della Senna ricca di realtà museali come l’Istituto del mondo arabo (1987), con le caratteristiche moucharabieh per la ventilazione e la regolazione della luce esterna all’interno dell’edificio, grazie alle geometrie “variabili” della tradizione araba, ritenuta una delle grandi opere voluta da François Mitterrand e decisa sotto Giscard d’Estaing nel 1973, rappresenta la continuità della Grandeur parigina al di sopra di ogni schieramento, con l’intenzione di migliorare le relazioni diplomatiche tra la Francia e i Paesi arabi, proponendo in un differente allestimento la lettura parallela delle tre religioni abramitiche.

Dal V al VII arrondissement si arriva al Musée du quai Branly, inaugurato all’ombra della Torre Eiffel nel 2006, e ci si affaccia sul quartiere di Montparnasse, sul XV arrondissement, dopo aver transitato per il Musée d’Orsay come esempio di un museo realizzato dalla dismissione dell’omonima stazione per opera di Gae Aulenti. Il Musée du quai Branly è il completamento della missione del Musée de l’Homme, attualmente in attesa della riapertura nel 2015, nel ripercorrere le origini di molte culture. Un Museo, progettato dall’architetto Jean Nouvel, è un esempio di architettura nel verde e rivestito di vegetazione dall’ingegno di Patrick Blanc, l’ideatore dei Giardini verticali, con un giardino concepito dall’architetto paesaggista Gilles Clément con sentieri, collinette, camminamenti lastricati, passeggiate su ciottoli di torrente e piccoli bacini che predispongono alla meditazione.

Dal Musée du quai Branly ci si appresta a visitare Montparnasse (monte Parnaso) che deve il nome alla collina usata da alcuni studenti, nel XVII secolo, per declamare dei versi, promuovendola a dimora delle Muse per poi essere rasa al suolo per disegnare il Boulevard du Montparnasse, nel XVIII secolo, luogo di passeggiate e dalla Rivoluzione francese in poi quartiere caratterizzato da numerose sale da ballo e cabaret, tra cui il famoso Bal Bullier.

Addentrandosi nel quartiere è facile notare, sull’alberato boulevard Raspail, la Fondazione Cartier, un edificio caratterizzato dall’idea di trasparenza, dissolvenza e smaterializzazione che l’architetto Jean Nouvel ha realizzato in acciaio e vetro, arricchito dal verde verticale del botanico francese Patrick Blanc (1997), per proporre mostre di arte contemporanea.

Dal lato opposto del boulevard Montparnasse, come in altri quartieri parigini, vi è un cimitero storico con i suoi illustri ospiti come Baudelaire, Jean-Paul Sartre, Simonne de Beauvoir, Guy de Maupassant, Serge Gainsbourg e Philippe Noiret.

Imboccando rue Vercingetorix, all’altezza della Metro Gaité, si può raggiungere i giardini pensili dell’Atlantique e le architetture neo barocche e classiche di place de Catalogne, un vero trionfo del postmoderno. Un esempio della capacità parigina di combinare l’architettura ottocentesca con quella contemporanea che viene esaltato in place de Séoul con il complesso residenziale dalle ciclopiche colonne doriche di vetro del Echelles du baroque di Ricardo Bofill.

Nei pressi, tra giardini e vialetti lastricati, la chiesa di Notre Dame du Travail (Nostra Signora del Lavoro), costruita agli inizi del 1900 dall’architetto Jules Astrouc, si mostra esteriormente come qualsiasi altra chiesa gotica, ma l’interno, con le sue strutture metalliche, oscilla tra costruzione industriale e fienile del Midwest americano.

Una chiesa, con la struttura metallica della navata ispirata alle opere di Eiffel e Baltard, nata in un quartiere operaio come replica delle fabbriche di quell’epoca, costituita da 135 tonnellate di ferro e acciaio e come campana il bottino della guerra di Crimea.

Un altro insolito luogo di culto è la chiesa Saint Christophe de Javel (rue de la Convention) con le raffigurazioni di san Cristoforo che benedice ciclisti, aviatori e macchine. Non lontano, in rue d’Alleray 81, c’è Notre-Dame de l’Arche d’Alliance, al confine con il XIV arrondissement, un esempio di architettura sacra del XX secolo, realizzata dagli stessi architetti dell’edificio del Parlamento Europeo di Strasburgo.

Tornando indietro, non lontano dal Cimitero di Montparnasse e dalla Torre, in un cortile di un anonimo fabbricato al n. 5 Rue d’Odessa è possibile ammirare la facciata decorata con formelle di ceramica di gusto liberty del sobrio ingresso della sauna Les Bains d’Odessa riservata ai gay.

Montparnasse è anche, per non tradire la sua nomea di quartiere d’intellettuali, il luogo dove si organizzano gli incontri in piazza degli aderenti e simpatizzanti del Circul’Livre , per far circolare la cultura attraverso lo scambio di libri.

Tirare fuori da un armadio i libri dimenticati per condividerli con gli altri non è solo un’occasione per promuovere la lettura, ma un veicolo di coesione sociale nell’incontrare gli abitanti del quartiere.

**********************

Dello stesso argomento:

Parigi: Il trionfo del recupero (2 parte)

Parigi: Lo spettacolo dell’architettura (1 parte)

Parigi: I contrasti di una città

Parigi: La frenesia delle luci

Roma Parigi: Andata e Ritorno

I grattacieli davanti Greenwich

**********************

 

Reggia di Carditello: Il recupero dopo il saccheggio

Lo sport maggiormente praticato nel Bel Paese d’Italia è l’atto di pentimento, da buona nazione cattolica, per ogni mancata scelta. Atti di costrizione che vagano tra le politiche sociali e quelle sul patrimonio artistico, per non dimenticare le incertezze nella politica estera e nei diritti civili, amareggiano molte persone che continuano a meravigliarsi di quanti tesori l’Italia continui a celare nell’indifferenza degli amministratori sino a quando la pubblica opinione riesce a scalfire l’analfabetismo dilagante e porre all’attenzione la necessità di preservare un bene come la reggia borbonica di Carditello.

Il Ministero ai Beni Culturali ha acquisito la Reggia di Carditello, esempio di villa agricola, ma solo dopo aver che ha subito continui saccheggi. Forse sarebbe opportuno interrogarsi, prima di gioire, se una testimonianza di un’epoca e di un concetto di agricoltura possa essere occasione di grassi affari prima di gettare in un pozzo milioni di euro e poi lasciarla bella e splendente in mezzo a cinque discariche, senza collegamenti e soprattutto con un deficitario programma di valorizzazione turistica.

Il professore Stefano Settis gioisce, ma dopo La Grande Bellezza è oramai ufficializzato che – bellezza fa rima con mondezza – sarebbe utile evitare che le cinque discariche presenti nelle immediate vicinanze della tenuta agricola non compromettano il suo sogno di renderla apparentemente produttiva a fini didattico turistici.

È opinione dell’arch. Eugenio Frollo, del Forum di Agenda 21, che saranno sufficienti una dozzina di milioni di euro, più di quello che è costata per acquistarla, per rendere la Reggia adatta ad accogliere i visitatori e possibili eventi. Forse l’architetto è ottimista o non è a conoscenza della proverbiale voracità dei politici e degli amministratori per far lavorare tutti e al più allungo possibile, senza dimenticare che, a differenza delle discariche presidiate da militari per l’alto valor strategico, per decenni il complesso è stato lasciato in balia dei saccheggiatori, spogliandola di tutto, anche dei gradini.

Dopo i lavori cosa rimarrà dell’originaria struttura, e si potrà ancora definire un intervento di restauro o sarà una sorta di ricostruzione post terremoto?

Saranno “subito” disponibili tre milioni di euro per i primi lavori, poi una fondazione, con i Ministeri dei Beni culturali, dell’Ambiente e dell’Agricoltura, enti locali e associazioni impegnate sul territorio, dovranno gestire le successive fasi.

I preventivi saranno solo indicativi e le spese sicuramente lieviteranno e alla fine tanto lavoro e fondi per nulla, perché una testimonianza settecentesca, assediata dalla mondezza anche se legalmente ordinata, non avrà infrastrutture necessarie per la promozione e l’accoglienza.

Non sarebbe opportuno elaborare un progetto complessivo che non preveda solo l’organizzazione dei lotti dei lavori, ma anche come rendere in futuro accessibile e fruibile il parco e la dimora?

**************************

 01 Italia Beni Culturali Reggia di Carditello Il recupero di una villa borbonica reggia-carditello-300x225 01 Italia Beni Culturali Reggia di Carditello Il recupero di una villa borbonica da fanpage carditello-lavori-restauro 01 Italia Beni Culturali Reggia di Carditello Il recupero di una villa borbonica Parco1 01 Italia Beni Culturali Reggia di Carditello Il recupero di una villa borbonica reggia-carditello

 

Quando gli artisti sopperiscono al peggio

Accade raramente, ma accade, che il lavoro di eterogenei operatori del visivo vengono raccolti per stimolare l’invisibile in uno spazio misteriosamente claustrofobico di un rifugio antiaereo, coinvolgendo il visitatore nell’atmosfera che devastava la mente non tanto per il susseguirsi delle esplosioni ma per lo spasmodico attenderne l’arrivo e la inevitabile conclusione.

Diciannove artisti che si propongono, con tanti monologhi, per dar vita a una corale di tormenti in cerca di salvezza nel sottosuolo di dostoevskiana memoria, superando l’arroganza di essere unici, per trasformarsi in un malessere collettivo. Quello che era per Dostoevskij una critica all’ottimismo della ragione, perché umano desiderio anelare alla sofferenza, si trasforma in un’eterna espiazione. Racconti, con emozioni e sentimenti di oggi, di un passato che fu, proprio in quei luoghi tragici.

Non si può considerare una presunzione designare un rifugio antiaereo come spazio dell’arte, ma un’occasione per riflettere sul contemporaneo attraverso le immagini e i suoni, allontanati dalla luce del sole e della luna. Un’arte esiliata in un contesto di meditazione per effettuare una sorta di archeologia dei sentimenti, evitando prevaricazioni passionali, per dare spazio all’umanità nei suoi momenti più difficili, estromettendo l’esagitazione brutale della sopravvivenza.

Pitture, volumi e immagini per evocare la memoria di un luogo, ma anche quello che potrebbero essere oggi i rifugi nei paesi che godono della Pace, come per i migranti che cercano un posto dove sottrarsi allo sguardo delle autorità. Un luogo che in alcune realtà sono stati trasformati in attrazioni turistiche e in altri lasciati nel buio del degrado, ma che può diventare un’occasione per i numerosi artisti che non hanno un pieno riconoscimento del loro prezioso lavoro.

Un buio che esalta i sensi incorporei, rendendo timido il tatto, perché troppo legato alla realtà, e dare sfogo all’immaginazione. L’oscurità che esalta la “virtualità” dell’arte, offrendo l’occasione di essere risucchiati in un buco nero e poi emergere dal buio del pavimento, tra suoni evocativi di un’epoca, una serie di facce invocanti al cielo e dalle pareti emergono volti come ectoplasmi, come in una tantum, dell’intervento Parlami d’amore Mariù di KalhyBelloxi.

Immagini in trasparenza, fluttuanti come fantasmi, sono le presenze che avvolgono il visitatore proposte da Giorgio Fiume con Una Sola Moltitudine nell’interpretare il passare del tempo attraverso una folla vagante. Venera Finocchiaro testimonia con Senza Passi il transito di un’umanità sofferente, costretta a intraprendere strade diverse da quelle che avrebbe voluto, attraverso la definizione di una serie di “calzature”, modello gambaletto di gesso, per coniugare il cammino dolorante e la mancanza di orme caratteristiche dei singoli passi. Due rappresentazioni sul tema passaggio di una moltitudine anonima su questa Terra, costretta a migrare per guerra, persecuzione, carestia.

L’artista genovese Virginia Monteverde pone la donna al centro della sua opera Catarsi: un’istallazione di 5 pannelli in plexiglass, collocati in modo da ricomporre la Pietà di Michelangelo, restituendogli un’esistenza “liquida”. Alla base dei pannelli il visitatore potrà prendere delle cartoline speciali, raffiguranti la criptografia QR-CODE. Dei “francobolli” capaci di tramutarsi in suoni e immagini, attraverso la lettura di smartphone e iPad, che il visitatore potrà portare via con sé, per ascoltare e vedere l’opera anche fuori dal contesto espositivo. Crittogrammi che racchiudono non solo le immagini dell’opera, ma anche la voce di cinque donne che leggono delle frasi scelte da vari libri per rappresentare le proprie paure (autoidentificazione) e affermare la propria liberazione (affermazione). Un processo di liberazione che Catarsi riesce ad amplificare maggiormente se perseguito in luogo ossessivo e claustrofobico come il sotterraneo ad oltre 40 metri di profondità nella terra, un generatore di paure ancestrali e l’occasione di rinascita al tempo stesso, ma anche un luogo, per la sua valenza storica, di rifugio e di speranza, in cui può compiersi perfettamente il processo catartico insito nell’operazione artistica.

Giancarlo Cecchetti non si limita a essere il promotore dell’iniziativa, ma presenta l’installazione Pensierino della sera: quando tornerò a giocare in giardino? Un’opera che enuncia tutte le speranze dei bambini di ogni parte del Mondo ad avere un’infanzia lontano dagli orrori della guerra e il pensiero va ai conflitti balcani e al più recente siriano con le immagini di ragazzi che giocano tra le macerie

Emarginare la realtà in un’atmosfera onirica, farsi avvolgere dalla penombra, non avere paura dell’incognito nascosto dietro l’angolo, andargli incontro, affogare i propri tormenti nell’oscurità, allontanare i rumori esplosivi della malvagia realtà che vuole vinti e vincitori, carnefici e vittime.

Un luogo per salvaguardare l’umanità dalla brutalità dei quotidiani conflitti, affidando le proprie speranze ad una realtà che sia evoluzione dei propri sogni e non l’imposizione delle altrui volontà.

Sfumature di colore che si trasformano in tonalità di grigio per perdersi in un viaggio mentale nelle sensazioni degli autori delle opere nel momento della loro realizzazione.

I rifugi dagli eventi bellici dovrebbero essere salvaguardati non solo come testimonianza di un passato, ma anche come possibilità di spazi culturali isolati dal contesto per rileggerne la quotidianità.

Si può avere delle antipatie per uno o più artisti, ma i politici e gli amministratori dovrebbero andare di là del loro naso, superando i limiti di un’ottusa banalità e dare la giusta rilevanza a un evento ben più importante di una qualsiasi Arte Fiera, e non segregarlo a due misere settimane di “vita”, perché la mostra va oltre il trionfo dell’ovvietà del testo di presentazione, mostrando un panorama eclettico dell’arte.

L’iniziativa di Giancarlo Cecchetti offre ai visitatori delle opere di artisti (Antonella Aversa, Claudia Bellocchi e Carlos Mendes – in questa occasione in collaborazione con il nome KalhyBelloxi -, Cati Briganti, Marina Buening, Giancarlo Cecchetti, Venera Finocchiaro, Giorgio Fiume, Fabio Fontana, Ester Hueting, Pina Inferrera, Luisa Mazza, Debora Mondovì, Virginia Monteverde, Isabella Nurigiani, Alessio Paolone, Pasquale Pazzaglia, Valter Vari, Marilena Vita) che danno il meglio, per sopperire al peggio del quotidiano, e non propone delle parole di buoni propositi.

******************************

06 Mostre Colleferro Rifugi Giancarlo Cecchetti pensierino della sera 1IMMAGINAZIONI DAL SOTTOSUOLO

Luci e ombre della memoria

Collettiva d’Arte Contemporanea

Dal 25 gennaio al 9 febbraio 2014

Colleferro (Roma)

Rifugi di via Roma

Informazioni:

Tel. 06/97203204

Orario:

dal lunedì al venerdì

dalle 9 alle 12 e dalle 16 alle 19

il sabato e domenica

dalle 9 alle 13 e dalle 16 alle 19

******************************

 06 Mostre Colleferro Rifugi Immaginazioni dal sottosuolo Luci e ombre della memoria Venera Finocchiaro-SENZA PASSI- 06 Mostre Colleferro Rifugi Immaginazioni dal sottosuolo Luci e ombre della memoria GF-Install-Colleferro-Allestim 06 Mostre Colleferro Rifugi Immaginazioni dal sottosuolo Luci e ombre della memoria KalhyBelloxi panor

Quando i legami familiari non sono degli affetti

Il viaggio nel profondo della natura umana alla scoperta delle verità nascoste inizia quando Teddy, docente di un’università americana, ritorna con la moglie Ruth a Londra dopo anni di lontananza per presentarla al padre Max, allo zio Sam e ai fratelli Lenny e Joey. Elemento estraneo e perturbatore in un universo di cinque uomini misogini, Ruth scatenerà reazioni inaspettate ed effetti sconvolgenti all’interno del nucleo familiare che vedrà sovvertiti i ruoli tradizionali dall’unico personaggio femminile in scena. Cognata e nuora degli uomini di casa, Ruth diventa vittima e carnefice di un gioco al massacro che la svelerà in seguito come dominatrice di quella comunità maschile su cui imporre le proprie condizioni di donna libera e intraprendente.

In questo dramma feroce scritto nel 1964 da Pinter, uno dei più importanti autori di teatro del Novecento, si parla della crisi dell’uomo contemporaneo nella famiglia e dello scontro uomo-donna, utilizzando sulla scena il linguaggio ironico e bestiale di personaggi sgradevoli, terribili e crudeli.

Fino a qui, per sommi capi, la trama che Peter Stein non tradisce sia nell’ambientazione che nello spirito, con una scena essenziale e accenni filosofici sull’essenza del tavolo e del suo ruolo nel contesto universale. Bravi gli attori con Paolo Graziosi nel ruolo del volgare padre Max, Alessandro Averone caratterizza il personaggio Lenny come un dandy fasullo, Elia Schilton è commovente nel suo essere il trasognato zio Sam, mentre a Joey. il pugile a tempo perso e po’ suonato 24 ore su 24 è Rosario Lisma a dargli voce, Teddy, il docente di filosofia che si ritiene affrancato dal fetore della Londra postbellica è Andrea Nicolini, mentre Arianna Scommegna è una Ruth che da una titubante iniziale presenza in un contesto famigliare scardinato da ogni affetto, senza gruppi di sostegno o terapie di gruppo, prende possesso dello spazio non solo fisico, ma soprattutto mentale, rendendo il pugile Joeyla vittima darwinianamente predestinata.

Ogni personaggio è da solo, con la sua violenza e passività, a osservare gli altri come oggetti che parlano in una idiosincrasia nelle azioni.

Pinter dipinge a grandi macchie un’umanità grottesca, imprigionata negli individualismi microcosmici di fantasie egoistiche e illusioni ipocrite. Illusorie menzogne e sogni egocentristi in ordine sparso, salvo quando si ritrovano tutti uniti nello sfruttare l’ultima arrivata nel club maschilista.

******************************

06 Teatro Palladium Il ritorno a casa Pinter regia di Peter Stein foto  indexTeatro Palladium

piazza Bartolomeo Romano 8 (Garbatella)

IL RITORNO A CASA

14 – 26 gennaio 2014

di Harold Pinter

traduzione Alessandra Serra

regia di Peter Stein

con Paolo Graziosi, Alessandro Averone, Rosario Lisma, Elia Schilton, Andrea Nicolini e Arianna Scommegna

scenografia Ferdinand Woegerbauer

costumi Anna Maria Heinreich

assistente alla regia Carlo Bellamio

Informazioni:

tel. 06/684000311 (ore 10-14/15-19 lunedì riposo)

Sito web http://romaeuropa.net/palladium/

Orari spettacolo:

tutte le sere ore 21.00

giovedì e domenica ore 17.00

sabato ore 19.00

lunedì riposo

Durata: 3 ore

******************************

 06 Teatro Palladium Il ritorno a casa Pinter regia di Peter Stein foto.1

Parigi: Il trionfo del recupero

Quello di Parigi è uno sviluppo architettonico che ha coinvolto tutto il territorio, dal centrale Centre Pompidou al meno turistico ex quartiere industriale del 13esimo Arrondissement, con l’apertura negli anni ‘90 della biblioteca François Mitterrand e la passerella pedonale Simon de Beauvoir che la collega, con sinuoso ondeggiare, al parco di Bercy con il Palazzetto dello sport e la “scombinata” architettura della Cineteca Francese, un edificio nato nel 1996 come l’American Center per mano di Frank O. Gehry ma solo nel 2005, dopo nove anni d’inattività, è diventato il monumento alla cinematografia.

Partendo proprio da Bercy, scelta nel 1977 come area verde per la riqualificazione della parte est come esempio di recupero di un’area agricola prima che industriale, un’ex-area di stoccaggio vini, si possono apprezzare due differenti utilizzi delle botteghe artigiane di fine ‘800.

Una parte degli edifici a schiera, recuperati dall’abbandono, sono stati trasformati in un villaggio della gastronomia e dello shopping, inglobandoli in una sorta di centro commerciale Bercy Village, dove banche, agenzie di viaggio, parrucchieri, negozi vari, anche quelli per rendere felici gli animali domestici, si alternano a una svariata proposta gastronomica internazionale.

Mentre un altro complesso ospita l’Ecole de Boulangerie et de Patisserie de Paris, per formazione professionale nel campo della panetteria e pasticceria, oltre a quasi 2mila metri quadri dedicati alla collezione di Jean-Paul Favand ordinata nel Musée des Arts Forains. Un Museo dall’atmosfera giocosa delle feste di paese del XIX secolo, con giostre e automi per un accesso limitato a gruppi di almeno 15 persone, che vengono esaltate con Le Festival du Merveilleux dal 26 dicembre 2013 al 5 gennaio 2014.

Sempre sulla riva sinistra della Senna, prima della Bibliothèque Nationale, un altro ondeggiare, sul quai d’Austerlitz, riveste l’ex capannone industriale costruito nel 1907 da Georges Morin-Goustiaux che gli architetti Jakob + MacFarlane hanno trasformato nella Cité de la Mode et du Design dove si può vedere nelle periodiche feste del design i mille oggetti di arredo e scoprire i diversi utilizzi dei materiali naturali come il giunco che non serve solo a fare cesti o copricapo, ma anche rivestimenti, tappeti e mobili che incastrano bottiglie e quanto altro vi viene appoggiato. Nuovi utilizzi del giunco pensati da Juan Fernando Hidalgo Cordero.

La Cité de la Mode et du Design non è solo un contenitore che si limita a essere una vetrina per la creatività, ma anche luogo d’incontro per giovani che contribuisce alla trasformazione del quartiere.

Proseguendo sul quai d’Austerlitz è stato approntato uno spazio espositivo temporaneo per la Street Art nell’edificio La Tour 13 prima di essere demolito, dove una trentina di appartamenti con i suioi 9 piani sono stati decorati con graffiti, stencil, pitture acriliche, sculture e installazioni, da un centinaio di artisti provenienti da tutto il mondo compresa l’Italia.

La Tour è stata per Parigi quello che il 5 Pointz ha rappresentato per New York. L’edificio parigino è stato temporaneamente un luogo per l’arte urbana, mentre le newyorchesi testimonianze pittoriche sulle facciate dei palazzi di Long Island, nel Queens, saranno cancellati dopo vent’anni di creatività dalle ruspe degli speculatori Jerry e David Wolkoff e il luogo sarà recuperato dal degrado. Due storie parallele per rivitalizzare il mercato immobiliare con demolizioni e edificazioni.

A rinfrancare il panorama architettonico parigino contribuisce anche il recupero di un frammento di 4,7 chilometridella vecchia linea ferrovia sopraelevata per Vincennes che si sviluppa da Place de la Bastille, seguendo Avenue Daumesnil, fino al Boulevard Périphérique (porte Saint-Mandé), trasformato in Promenade plantée, conosciuta anche come Viaduc des Arts.

Unapasseggiata pedonale in un giardino pensile, nel XII arrondissement, sopra alle arcate trasformate in negozi e locali, beneficiando di affacci suggestivi per poter guardare i palazzi senza alzare lo sguardo e veder scorrere il quotidiano traffico ad una decina di metri sotto.

Il recupero del viadotto, progettato dal paesaggista Jacques Vergely e dall’architetto Philippe Mathieux, venne inaugurato negli anni ’90.

La grandeur parigina ha sacrificato la stazione Bastille, demolita nel 1984 per far posto al nuovo teatro dell’opéra alla Bastille, vedendo nel viadotto ferroviario un’opportunità di riqualificazione dell’area con una promenade vestita di vegetazione che poteva cambiare d’abito secondo le stagioni,

Di minor estensione è il parco sopraelevato newyorkese di High Line, a Manhattan, realizzato tra il 2006 e il 2011 sul tracciato ferroviario. Una promenade verde, realizzata dagli architetti Diller Scofidio+Renfro e dallo studio di architettura del paesaggio James Corner Field Operations, di poco più di un chilometro e mezzo che corre tra Gansevoort Street e la 30ª strada con l’idea di prolungarla sino alla 34ª strada.

dav

Roma più che un giardino pensile va una passeggiata sul viadotto del Gelsomino, sull’ex ferrovia vaticana, svettando con le sue 8 arcate a 15,30 metri sopra via Gregorio VII, aspettando quello tra i palazzi degradati di San Lorenzo, sulla Tangenziale Est, sugli edifici industriali trasformati in luoghi della cultura universitaria.

Meno esaltante è la sorte che è toccata all’antica fabbrica di ceramiche Boulenger, trasforma in Le Manoir de Paris. Una casa stregata, un contenitore a metà strada tra un museo e un parco di divertimenti, nel 10e arrondissement, per far sussultare i visitatori davanti ai misteri e le leggende parigine, nel quartiere delle porcellane.

******************************

Dello stesso argomento:

Parigi: Lo spettacolo dell’architettura (1 parte)

Parigi: I contrasti di una città

Parigi: La frenesia delle luci

Roma Parigi: Andata e Ritorno

I grattacieli davanti Greenwich

******************************