Tutti gli articoli di Gianleonardo Latini

Parigi: La frenesia delle luci

A Parigi le donne appaiono sempre impegnate a raggiungere un luogo. Sono spedite nel loro incedere sicure sia che calzino scarpe con tacchi da 10 cm. che con le ballerine. Anche nei bistrot parlano e gesticolano frettolose. Affascinanti con la loro R o con gli idiomi italiani o anglosassoni, sono sempre indaffarate quando sono per le strade, ma più flemmatiche dietro una cassa o uno sportello.

L’andare di fretta non si attenua nei fine settimana. Le donne, e non solo loro, corrono da sole o in compagnia, lungo i canali, per i boulevard o intorno al loro palazzo.

I divieti di fumare nei luoghi pubblici non hanno scoraggiato gli abitanti di Parigi a tenere perennemente una sigaretta tra le dita, ma ligi, borbottando, nel rispettare le limitazioni.

Parigi è un bengodi per l’industria del tabacco. Non è necessario aspirare, basta tenere la sigarette tra le dita, per lasciarle formare copiose nuvole di fumo. È probabile che l’inquinamento che viene registrato sia dovuto al tabagismo più che al traffico, comunque immancabile per una metropoli, visto che sono presenti quasi un terzo delle auto di Roma per ogni 1000 abitanti.

Si fuma mentre si pedala, forse perché trovano più comodo utilizzare la bicicletta al posto delle auto o magari il trasporto pubblico, dove la mitica Metro è un fiore all’occhiello per una città europea come Parigi per la sua frequenza nelle corse.

È una città, Parigi, che ha potenziato anche il trasporto sharing sia con le auto – Autolib’ -, che delle biciclette – Velib -, non limitandosi a riservare aree di scambio nelle zone centrali, ma in una sorta di parcheggio diffuso, con le colonnine per la ricarica elettrica delle auto ibride, in ognuno dei 20 arrondissement (municipi).

Un’umanità multiculturale che popola le vie della città, senza rinunciare ai propri abbigliamenti sgargianti o immacolatamente bianchi, dimessi o di completi scuri, che si accompagnano con sporte e bastoni o con valigette.

È facile trovare a Parigi dei negozi di abbigliamento tradizionale come quello indiano che offre dei sari per cerimonie e per il corredo di nozze o parrucchieri per fantasiose acconciature.

Ma un’altra umanità abita le strade di Parigi nelle ore notturne e che in gran parte scompare con le prime luci del giorno. Sono i clochard, i senza fissa dimora che nella città delle mille luci, vivono ai margini, buttati sul marciapiede o sotto un cespuglio, che prendono possesso per qualche ora dei campi di bocce o i passaggi coperti nei pressi del Centre Pompidou.

Una crisi, quella odierna, che fa sentire agli indigenti tutta la sua drammaticità, quando alla chiusura dei marchè, i supermercati, si assiepano intorno ai cassonetti per recuperare qualcosa di commestibile.

In gran parte sono anziani che nonostante la vita cara di Parigi, che non rappresenta tutta la Francia, non hanno alcuna possibilità o voglia di allontanarsi dalla città nella quale hanno vissuto per decenni.

Una Parigi che rappresenta per molti altri un rifugio dopo aver perso il lavoro che avevano magari in Italia o in Grecia, come il “lucchettaro” di origine africana che su Pont Beaux Arts offre un servizio completo, insieme al suo socio, di lucchetti e pennarelli agli innamorati proseliti della moda propagandata da Federico Moccia nel suo libro Tre metri sopra il cielo. Pont Beaux Arts come ponte Milvio, ma anche come le passerelle sui canali di Milano e Parigi, sono uno dei tanti aspetti della globalizzazione o della facilità con la quale oggi si viaggia.

Nelle vie laterali ai boulevard si può incontrare ancora qualche originale organetto e non i marchingegni automatici.

I barbieri sono veramente in concorrenza tra di loro con prezzi anche di 7,50 che comprende non solo il taglio, ma anche lo shampoo e il massaggio.

L’intreccio culturale parigino propone un ristorante turco non lontano dal centro di cultura del Kurdistan, con stazioni radio espressione di alcune di queste presenze e famiglie di religione ebraica che abitano in quartieri con locali adibiti a moschea. Una polveriera di condivisioni religiose delle tre famiglie abramitiche.

La presenza, anche se è inquietante, di ronde di militari impegnati a pattugliare le strade per vegliare sulla sicurezza delle persone, proponendosi come una forza di dissuasione attiva e non passiva come il personale in divisa che staziona davanti agli ingressi degli edifici romani.

Per chi vuole scoprire un’altra Parigi può contattare i volontari del Greeters per un giro gratis in piccoli gruppi di 6 persone e calarsi nella vita quotidiana di un parigino, per coniugare la cultura con il turismo.

Anche sfogliare il giornale gratuito Direct Matin in distribuzione nelle stazioni del Metrò può essere l’occasione per capire Parigi e i suoi mutamenti.

A Parigi la Giornata Europea del Patrimonio si è svolta nel weekend del 14 settembre, due settimane prima di quella romana, ed è stata l’occasione non solo per visitare luoghi solitamente preclusi al pubblico come il Palais de l’Élysée, residenza ufficiale del Presidente della Repubblica Francese, ma anche coinvolgere il Metrò che RATP, la società che gestisce il trasporto pubblico, ha scelto per onorare il cinema con una caccia alle bobine di un misterioso cortometraggio. Una lunga storia d’amore quella tra il Metro e la settima arte che si è dipanata, in una giornata uggiosa, nei sotterranei con l’ausilio degli indizi elargiti da un storyboard di quel misterioso cortometraggio e dal personale nelle stazioni.

Come si può pensare ad un’Unione europea se non si riesce a concordare una data per un’iniziativa altamente istruttiva, oltre che simbolica, unica per ogni stato membro?

Questa è la fisionomia di una città duttilmente protesa verso il futuro, con dismissioni e recuperi del patrimonio edilizio, capace di ampliare le zone pedonali come place de la Republique e le mutazioni architettoniche renderle delle attrazioni turistiche oltre che crescita culturale.

(2 – continua)

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Siria: Vittime Minori

Tre anni di atrocità con 100mila morti, un milione di profughi minorenni e altrettanti che hanno perso tutto, compresa l’infanzia, città distrutte e razziate, un patrimonio culturale disperso, una convivenza perduta per una migrazione interna in cerca di un rifugio da parenti e amici di 4milioni di persone e di 2milioni che hanno varcato i confini per fuggire dai massacri.

In questo panorama di guerra civile sono numerosi gli appuntamenti di confronto tra i belligeranti e i loro padrini annullati, vari slittamenti di conferenze di Pace e soluzione finale del conflitto da ottenere solo sul campo di battaglia.

Le aspirazioni di pace infrante vanno ad arricchire la già copiosa lista d’insuccessi diplomatici europei. Impegni diplomatici che sembrano più indirizzati a boicottare la riconciliazione tra le comunità e aprire le porte ad una futura devastazione del Medio oriente piuttosto che essere degni del Nobel per la Pace.

È grazie all’interminabile foraggiamento militare russo e iraniano oltre alle incertezze dell’Occidente per le sue precedenti collusioni che l’attuale potere siriano deve la sua esistenza per continuare a dominare un paese dilaniato dall’odio e dalle bombe.

L’Occidente è impegnato a fare stretching dialettico perché riscaldare i muscoli per intervenire in Siria, anche se inorridito dal sospettato uso di gas nervino o sarin contro la popolazione civile di Ghouta, sobborgo a est di Damasco, comporta affrontare non solo le Forze armate di Bashar al-Assad, ma anche la Russia e l’Iran, mentre la Cina che detiene strumenti di dissuasione finanziari su tutto l’Occidente, cerca di essere sopra le parti per continuare a stipulare contratti con tutti.

È orribile l’atroce morte inflitta a donne e bambini, ma non si può ritenere meno atroce rimanere vittima di missili lanciati su scuole e ospedali. Certo i missili sono un’arma convenzionale i gas sono un’arma di distruzione di massa, ma utilizzare indiscriminatamente le armi è comunque un crimine contro l’umanità. Un concetto ribadito lapalissianamente anche da Ian Buruma, nell’articolo La moralità delle bombe su La Repubblica del 3 settembre, e ribadita da Adriano Sofri il giorno successivo sullo stesso quotidiano, perché una barbarie è una barbarie, quali siano i mezzi con la quale viene perpetrata, rimane un crimine verso le popolazioni civili coinvolte, loro malgrado, in uno scontro d’interessi e di ideologie.

Morire per una pallottola alla nuca o in pieno petto non può essere diverso dall’essere uccisi dal rilascio di armi biologiche o per un colpo di machete.

Bambini che gridano dalla televisione il loro mutarsi improvvisamente in adulti senza aver spensieratamente giocato in un giardino e non tra le macerie delle proprie abitazioni.

Vedere quei visi sembra rivedere quello di Kim Phuk colpita dalle bombe al napalm che divenne il simbolo della guerra in Vietnam. Oggi la signora Kim Phuc è ambasciatrice per la pace per l’Unesco, occupandosi dei bambini vittime di guerra, ma forse il futuro di quelli della Siria sarà stroncato da un missile per diventare le vittime collaterali del senso di colpa dell’Occidente che non ha la capacità di fermare sul nascere dei conflitti che mietono vittime tra i civili più che tra i belligeranti.

Visi di bambini nei campi profughi dove l’Unicef cerca di alleviare la loro vita in tende e baracche, per cancellare il loro sguardo inebetito.

Sembra di rivedere le immagini dal Libano degli anni ’80 o dai Balcani dei ’90: occhi sgranati pieni di paura e rabbia, con tante domande sul perché tutto questo a loro, alle loro famiglie, al loro paese, ma tutto questo non può bastare perché si rischia un confronto tra potenze. Un motivo in più per gli Stati uniti ad essere così cauti nel prendere una decisione anche se è stata superata la linea rossa, senza avere la certezza di chi è stato ad oltrepassarla.

 

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Le visioni della poesia

Alcune persone ambiscono all’utilizzo delle parole per evocare delle immagini, evocazione difficile da raggiungere se non si ha la capacità di focalizzare le proprie visualizzazioni e comunicarle. Una lacuna che non si trova nello sfogliare le paginaedell’ultima raccolta di poesie di Rita Iacomino.

In Poemetto tra i denti le pagine scritte si trasformano in visioni per liberare una serie di sensazioni e respirare le atmosfere di ogni singola descrizione.

L’autrice alterna il proprio coinvolgimento nel quotidiano con il bisogno di ritrarsi nelle confortevoli immagini intime, per poi trovare la sua più riuscita espressività nelle parole scelte per le opere d’arte e i luoghi che l’autrice ha incontrato nel suo viaggiare.

L’inizio della raccolta afferma Non posso scrivere una poesia civile, ma appare come una contraddizione leggendo la serie di istantanee di città, musei, gallerie, dopo una ventina di scritti dedicati alla quotidianità della vita, per poi insinuarsi tra le parole di un museo immaginario.

È come percorrere, pagina dopo pagina, le sale di un museo ideale e, come nell’ironico libricino su Una visita guidata alla National Gallery che Alan Bennett propone, Rita Iacomino offre la possibilità di non andare al museo per vedere le opere, ma come stimolazione di vita, esperimento per l’esaltazione dei sensi. Tutti i sensi vengono coinvolti, anche il tatto e il gusto, per calarsi in un’esperienza ultra terrena, fuori dai canoni fisici, e addentrarsi nell’ambito delle percezioni.

Il “Museo” di Iacomino, a differenza da quello inventato da Orhan Pamuk, esiste percorrendo le briciole lasciate tra le pagine del libro.

Quale miglior descrizione può esserci per sintetizzare l’arte di Botticelli se non queste righe:

Una linea morbida e scura

inchioda la musica

nella gola del cantore.

Neppure un bacio scioglie la sua bocca.

 

04 Libri Poesia Le visioni della poesia Rita Iacomino Poemetto tra i denti web*********************************

Titolo: Poemetto tra i denti

Autore: Rita Iacomino

Edizioni: Progetto Cultura, 2012

pagg. 61

Prezzo: 10,00 Euro

Isbn 978.88.6092.405.6

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Roma Parigi: Andata e Ritorno

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Parigi è ancora una metà preferita, non solo per gli italiani, per una fuga dalle loro caotiche città e dalla visione provinciale di vivere l’urbanizzazione, ma anche per abitarci, nonostante la vita cara. Semmai è la scelta di come arrivarci che pone dei quesiti.

L’aereo è rapido ed economico con i voli low cost: pur con l’aggiunta di tasse, basta sceglierne uno diretto e non una compagnia che tratti i passeggeri in modo sgarbato, ma con qualsiasi volo si và incontro a delle ristrettezze nel bagaglio, al disagio del trasferimento e della presentazione di due ore prima dell’imbarco.

Disagi che raramente avvengono volando con compagnie del medio oriente o orientali come la Kuwait Airways, anzi sono disponibili verso le esigenze del passeggero, meno rigidi sul peso del bagaglio e al contrario di quello che avviene sui voli Alitalia, viene fornita la cena e non un panino a pagamento, ma soprattutto riescono a recuperare un’ora di ritardo, oltre ad essere concorrenziali rispetto ad altri prezzi di voli low cost. Servizi che rendono gradevole un viaggio e sgradevoli delle compagnie aeree rispetto ad altre.

Escludendo l’auto se non si ha intenzione di organizzare un tour tranquillo per tappe, rimane il treno che brilla di confort se si confronta agli angusti posti aerei.

Parigi via Milano sono 7 ore dal capoluogo lombardo, anche se il TGV non esprime tutta la sua potenzialità nel tratto italiano, e anche per un po’ in quello francese, con poltrone smilze, sempre più comode di quelle degli aerei anche se il vicino strabocca dal suo posto, ma ci si può alzare e passeggiare senza sentirsi in gabbia e soprattutto il treno porta da città a città e non da aeroporto ad aeroporto.

Il TGV ha anche il pregio di viaggiare di giorno approfittando di vedere scorrere il paesaggio, anche se i cugini francesi utilizzano vagoni un po’ lisi per questa particolare tratta. Per chi preferisce viaggiare di notte, per trovarsi la mattina successiva alla parigina Gare de Lyon e non a quella meno centrale di Bercy come avveniva fino ad un anno fa, è stato ripristinato un servizio espletato con il Palatino ed ora gestito con Thello in partnership Trenitalia-Veolia Transdev (TVT).

Cambia il nome del gestore, ma rimangono tutte le lacune di un servizio carente nella pulizia e nella manutenzione. In un viaggio in treno da Roma a Parigi e viceversa di sei di anni fa, quando a portare i viaggiatori era il Palatino, curato dall’Artesia Italia, il servizio cabine letto offriva una temperatura da sauna senza alcuna possibilità di regolarla e dell’acqua calda chiamata tè, accompagnata da un misero rinsecchito cornetto, come colazione.

Nel settembre del 2013 a chi sceglie le cuccette la Thello offre delle toelette intasate e dei lavabi inutilizzabili, oltre a delle perdite d’acqua dal soffitto del corridoio.

Per le toilette è una situazione difficile e cronica grazie alla variegata rappresentanza educativa presente nel microcosmo ferroviario, mentre per le perdite, bisogna dare atto alla società, si è intervenuti tra l’1 e le 2 che ha comportato un’oretta di ritardo sull’orario di arrivo, ma nessuno ha provveduto alla sostituzione della scaletta con un gradino mancante, pericoloso di giorno quanto micidiale la notte, possibile causa di lesioni fisiche.

Il viaggio di ritorno da Parigi ha confermato la difficoltà del ricambio dell’aria, specialmente nel caso di dover condividere il viaggio con usi e costumi differenti, dove si prevede la consumazione di una ricca cena altamente speziata, condita da uno sconosciuto, almeno per me, idioma africano con gutturali nenie per propiziare il sonno e malinconici sussurri per salutare il giorno che nasce.

Poteva essere una scena dal film Una poltrona per due con Eddie Murphy e Dan Aykroyd, ma come ogni cosa ha un inizio e una fine, trasformando l’incubo di un viaggio in un attraente arrivederci a Parigi.

Invece per i passeggeri delle cabine letto il servizio sembra migliorato con il drink di benvenuto e la colazione, inclusi nel prezzo del biglietto, serviti in vettura ristorante.

La partnership italo francese potrebbe prendere esempio dal servizio offerto sulla linea Roma Vienna, meno disagevole, ma è utile intraprendere il viaggio con lo spirito della conoscenza e non del dover solo raggiungere una destinazione.

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Europa: Fortezza d’argilla senza diplomazia

Continua ad allungarsi l’elenco degli insuccessi della diplomazia europea, mostrando tutta l’incapacità di far dialogare i religiosi con i laici egiziani, dopo aver visto fallito un tentativo dopo l’altro dedicato a fermare il massacro siriano.

Non dovrebbe meravigliare tale fallimento dell’Unione europea se non riesce a disinnescare una polveriera come quella nordirlandese che ha dentro casa, oltre all’ancor più complicata situazione nei Balcani con la convivenza difficile nel Kosovo tra le comunità d’origine albanese e quelle serbe, la difficile disintossicazione del Montenegro dal malaffare e la controversia tra Macedonia e Grecia per il copyright del nome, come di nome si tratta tra Italia e Ungheria per l’uso della denominazione Tokai e con la Croazia per la dicitura Prosecco sulle bottiglie di tante bollicine.

Tra Turchia e la Grecia continua a scorrere acrimonia non solo per la questione cipriota o per la fuga dei greci da Istanbul con la caduta dell’Impero ottomano, ma anche per i continui tentativi dei turchi di acquistare porzioni della grecità economica. C’è anche dell’invidia per la situazione esuberante turca e la crisi dilagante greca.

L’Europa non è riuscita neanche a suggerire l’importanza del dissenso in una democrazia al governo d’Ankara per le manifestazioni per la salvaguardia di una testimonianza di verde ad Istanbul e dell’identità laicista della Turchia.

Le sconfitte diplomatiche europee nel bacino del Mediterraneo le deve condividere anche con gli statunitensi anche se ultimamente sembra siano riusciti a far nuovamente sedere gli israeliani e i palestinesi allo stesso tavolo della pace.

Come la Diplomazia così anche delle Forze armate europee non si riesce neanche a parlarne, continuando ad intervenire in ordine sparso in alcune zone di crisi dimenticandone altre, ma quando si parla di migrazione le nazioni dell’Unione si sono trovate “unite” nel far nascere Frontex ufficialmente è un’Agenzia europea per la gestione della cooperazione internazionale alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea, in realtà è il bastone per fronteggiare la migrazione sgradita che riesce a scavalcare la burocrazia.

L’Europa non riesce a trovare una politica estera concordata e non trova una metodologia per aiutare la Spagna, l’Italia e la Grecia a far fronte all’assistenza dei profughi in cerca di pace, ma sa come dissuadere chi cerca di entrare in Europa senza essere invitato.

È necessario modificare la clausola che impone al richiedente asilo di presentare la domanda solo nel paese dove poggia il piede.

La politica migratoria non può basarsi solo sui Centri identificazione espulsione (Cie), che si discostano dai veri e propri carceri solo per un’eccezione semantica, ma guardare oltre il Mediterraneo per la creazione di vere partnership, senza cercare di fruttare le posizioni egemoniche di Occidente industrializzato e “progredito”, ma una paritaria collaborazione dalle solide basi, senza comportamenti neocoloniali.

L’Europa si trova davanti ad un’ennesima crisi nell’area mediterranea con la situazione egiziana, alla quale non riesce a dare un contributo e i suoi tentennamenti non gli permette di fronteggiare. Non ha alcun argomento di pressione sull’attuale leadership per convincerla a ripristinare le fondamentali basi della Democrazia. Non può sopperire alla sua debolezza minacciando di tagliare i finanziamenti, perché l’Arabia saudita, già contribuente con 12 miliardi di dollari, insieme ad alcuni paesi del Golfo si sono offerti nel sopperire la revoca, ma non potranno garantire la manutenzione degli armamenti e l’occupazione che ne deriva da tali finanziamenti.

L’Europa come tutto l’Occidente si trova in una posizione debole per condizionare il corso degli eventi e negare i finanziamenti, senza che tale scelta non comporti un ulteriore spostamento dell’Egitto verso altre aree d’influenza, causando anche un’ulteriore instabilità del Medio oriente e far accrescere il senso di insicurezza d’Israele.

Sulla spiaggia di Pachino, in Sicilia, gli abitanti e i turisti hanno letteralmente dato una mano ad aiutare decine di persone, con la loro catena umana tra il fatiscente barcone e la terra, a porsi in salvo senza chiedere loro i documenti, evitando che i loro nomi siano inseriti nell’elenco del cimitero virtuale di Fortress Europe.