Tutti gli articoli di Gianleonardo Latini

Un’Europa in ordine sparso

Per alcuni l’Europa è una matrigna uscita dalla più orrida delle favole più che una benevola madre. Una benevola madre di 60anni che ha espresso il meglio nei suoi primi anni di crescita mentre i restanti li ha spesi a guardarsi i personali ombelichi. Uno sport ben noto in Italia, rendendo l’Unione europea sempre più simile a un carrozzone non tanto differente a quegli enti italiani istituiti per non far soffrire di disoccupazione una moltitudine di “capaci” burocrati e politici dispersi in un labirinto di commissioni e sotto strutture.

Un’unione divisa nel Consiglio europeo e nella Commissione europea e per questo c’è chi ha meritato il Nobel per la pace con la motivazione per “i progressi nella pace e nella riconciliazione” e per aver garantito “la democrazia e i diritti umani” nel vecchio continente.

È certo che un’Europa annientata da una guerra ha saputo accogliere nelle utopie di Altiero Spinelli una via d’uscita dal confronto distruttivo tra nazioni per una cooperazione di crescita, ma ora che all’Europa è stato assegnato il Nobel per la Pace è comprensibile pensare ad un premio postumo assegnato ai padri fondatori dell’Unione per i primi decenni della sua crescita.

Ripercorrendo ora alcune scelte e alcuni tentennamenti come quelli sulle guerre Balcaniche o sull’immigrazione è difficile giustificare questo Nobel.

Un’umanità che affronta attraversate perigliose, in cerca di un approdo sicuro a tanta violenza e fame, viene poi respinta o rinchiusa in strutture più simili a carceri che a centri di accoglienza.

Un trattamento riservato verso il prossimo e tollerato nei paesi europei del Mediterraneo, ma ben diverse sono le possibilità che gli extracomunitari possono avere se riescono a raggiungere le terre più a nord. Assistenza, semplificazioni burocratiche per le richieste di asilo, ma è soprattutto raro un trattamento equiparato ad quello di un incallito delinquente.

L’istituzione nel 2004 della cosiddetta agenzia europea delle frontiere denominata Frontex è la dimostrazione della coesione dei 27 Stati nel fare “fronte” unico contro le deboli minacce e della divisone quando gli interessi si sovrappongono o si confliggono. Con Frontex l’Unione europea istituisce il suo braccio armato per tenere lontano i migranti in cerca di un luogo lontano dalle guerre e dalla fame. Mentre è difficile realizzare un esercito europeo per intervenire in missioni d’interposizione e protezione della popolazione civile, ne sono un esempio in ambito europeo i conflitti Balcani, è stato invece estremamente semplice dar vita in pochi anni ad una centrale di comando a Varsavia di un gruppo di polizia fornito di aerei, elicotteri, navi e attrezzatura elettronica per il monitoraggio delle frontiere terrestri e marittime, attuando in diversa forma la reclusione e il respingimento.

L’Unione europea è anche detentrice di una contraddizione sul suo rapportarsi con le minoranze culturali per le quali stanzia fondi per l’integrazione e la difesa delle tradizioni. Nel caso dei cosiddetti Zingari – Rom, Sinti e Camminanti (RSC) – finanzia un progetto per superare discriminazione e pregiudizio, dei quali ne sono oggetto, come la Campagna DOSTA! e garantire a tutti i bambini rom di portare a termine il ciclo della scuola primaria e magari alleviare le difficili condizioni in cui spesso vivono.

Il ruolo dell’Europa è debole e gli stati che ne fanno parte sembrano più propensi all’indebolimento del Vecchio Continente nel panorama internazionale che al rafforzamento dell’Istituzione ed è in questo ambito che leader politici come Daniel Cohn-Bendit e Guy Verhofstadt hanno prodotto un libro Per l’Europa! (Mondadori) per sollecitare un comune impegno dimostrando di aver meritato il Nobel e non di essere un altro premio alle buone intenzioni. Un altro e differente punto di vista sull’Europa è dato dal libro di Mario Monti e Sylvie Goulard Della democrazia in Europa (Rizzoli).

Alla fine di ottobre il Parlamento britannico con una votazione chiede al premier David Cameron di opporsi al previsto aumento del 5% del bilancio della UE e limitarsi al tasso d’inflazione del 2%.

Parlamentari Laburisti e Conservatori, europeisti convinti ed euroscettici, hanno inviato un messaggio al Governo, con la richiesta di ridurre le spese nel prossimo bilancio settennale dell’UE (2014-2020) che Cameron ha fatto suo nel vertice di novembre, aprendo un negoziato sull’aumento del bilancio, perché è insostenibile che l’Ue sbandieri il vessillo dell’austerità per i singoli paesi, ma non per Lei, raccogliendo il sostegno di una minoranza dei paesi per ricercare un compromesso.

Milioni di persone, nell’Europa sottoposta a drastici tagli dei servizi soprattutto sanitari, fanno la fila per essere curati dalle Ong come Medici Senza frontiere. Centinaia di farmaci di prima necessità per l’insulina o per il cancro sono introvabili, ma sembra non interessare a nessuno a Strasburgo come a Londra con la sua strana alleanza per un rigore nel bilancio comunitario. Uno dei tanti non comportamenti che rende l’Europa una vera matrigna malefica.

Tra il voler ridurre e aumentare il budget dell’Ue c’è chi è propenso a congelare le spese, cercando di salvare le sovvenzioni ai programmi agricoli e per sostenere lo sviluppo delle nazioni più povere.

L’utilizzo del veto incrociato su l’una o l’altra proposta ha creato una situazione d’impasse e il mancato accordo sul bilancio comunitario metterà a rischio alcuni progetti a lungo termine e tutto perché l’Italia e la Francia, in prima fila, non vogliono rinunciare ai contribuiti all’agricoltura, ma non sarebbe più utile sostenere l’agricoltura con servizi e promozione, più che confidare sulla carità del mandare al macero tonnellate di prodotto per sostenerne la quotazione.

La litigiosità per difendere gli interessi nazionali guiderà l’Europa ad un altro accordo al ribasso, mettendo in secondo piano l’interesse comunitario.

Ma è reale il problema della lievitazione delle spese della burocrazia nell’Unione Europea quanto il disuguale trattamento economico dei parlamentari. Differenti stipendi perché i parlamentari vengono retribuiti direttamente dagli stati di provenienza. Un dettaglio per molti che prima o poi dovrà essere affrontato e posto come un problema di forma che possa rendere un’Unione Europea più coesa e non frammentata dai singoli interessi. Scegliere di stipendiare i vari parlamentari direttamente dall’Unione Europea è un passo verso un’Unione economica più attiva vincolando i parlamentari all’interesse europeo comune per fronteggiare gli attacchi commerciali e finanziari come le furberie scorrettezze cinesi o russe che spesso si sovrappongono al mancato rispetto dei Diritti Umani in vari luoghi della Terra.

L’Unione europea ha fallito in Medio oriente dopo aver procurato un lavoro all’ex premier britannico Blair e non ha saputo cogliere i segni di un precipitare agli eventi come il fallimento dei Balcani.

La Ashton, il cosiddetto ministro degli esteri dell’Unione, continua a dare dimostrazione d’incapacità nel coniugare diplomazia e fermezza per una politica estera comunitaria anche quando gli interessi economici creano attriti tra i paesi europei rispetto alla difesa dei Diritti umani.

Un difesa dei Diritti che rende l’Europa indecisa, divisa in uno stato amletico di quale posizione sia meglio scegliere comunitariamente come nell’appoggiare la richiesta di Abu Mazen e dell’Autorità nazionale palestinese di riconoscere la Palestina come Stato osservatore all’Onu o fare muro con Israele e gli Stati uniti nel tenere fuori dal convitto umano un popolo in cerca di uno Stato.

È da anni che attivismo europeo si limita all’assegnazione annuale del Premio Sakarov per la difesa dei diritti umani. Quest’anno è stato assegnato agli iraniani Jafar Panahi, regista, e Nasrin Sotudeh, avvocato, deludendo per la seconda volta l’opposizione bielorussa per non aver scelto Ales Bialiatski che era nella lista dei “nobélisables”.

Un riconoscimento che poteva rendere ulteriormente difficili i rapporti diplomatici con una dittatura “perfetta” quale è quella instaurata dal presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko già sotto sanzioni.

Anche il gruppo russo Pussy Riot era papabile per il Nobel, ma sembrava rincorrere troppo la moda del momento. Più forte invece poteva essere il gesto di assegnarlo a Malala Yusafzai, la giovane pakistana gravemente ferita dai taleban per aver difeso, attraverso il suo blog, il diritto delle bambine di andare a scuola, ma il mondo arabo aveva già ottenuto dei riconoscimenti con la giornalista Tawakkul Karman, yemenita, e la candidatura di Malala era fuori tempo massimo.

Anche il piccolo Iqbal, venduto a quattro anni dal padre a un commerciante di tappeti per 12 dollari e ucciso per strada nel 1995 a soli 12 anni, si è battuto per i diritti dell’infanzia e contro il lavoro minorile in miniere e nelle fabbriche.

Ora la candidatura di Malala Yusafzai al Nobel è partita dalla Gran Bretagna con la raccolta di firme e sollecitando il primo ministro David Cameron e agli altri rappresentanti del governo britannico ad appoggiare la nomina.

Un’Europa che si preoccupa di non offendere la sensibilità delle altre religioni ha consigliato alla Slovacchia di limitarsi a riprodurre le effigi dei santi Cirillo e Metodio, ma senza contrassegni religiosi sull’Euro. Niente croci e aureole, ma sfugge alla commissione di “vigilanza” che in Slovenia sono stati stampati degli Euro con una rubiconda faccia per festeggiare il centenario della nascita di un alto ufficiale agli ordini del generale Tito, con tanto di stella rossa sulla bustina, che molti in Italia non apprezzano per il suo operato verso gli italiani in Istria e Dalmazia. Un operato che oggi magari potrebbe essere additato come crimine verso l’umanità, ma in quegli anni era una vedetta per i soprusi che i fascisti avevano perpetrato verso la popolazione civile serba, ma non si è pensato alla sensibilità dei nostri connazionali a Lubiana che si trovano a maneggiare come un monito verso la loro condizione di estranei.

L’Unione europea ha dato dell’incoerente, giustamente, all’Italia nell’ambito della salute, ma è tutta l’Europa ad essere incoerente e tre nobel lo mettono in evidenza con un appello al Comitato di Oslo perché non consegni il 10 dicembre i 900 milioni di euro all’Europa che ha deciso di devolvere i soldi del premio a progetti per l’infanzia vittima delle guerre. Un piccolo atto riparatorio per una riconoscenza opaca.

Quando l’Arte è fuori dall’organicità di un Regime

Una mostra che non ha nulla a che vedere con i ritratti mussoliniani ricuperati dalla soffitta e tirati fuori dalla cantina per dimostrare che il periodo tra le due guerre e delle leggi razziali si può riabilitare. Del Regime si può trovare un accenno su di una scultura dalla mascella volitiva e da un paio di braccia alzate su di un delicato vaso, per il resto è l’arte che si sviluppava in stili, correnti e individualismi negli Anni ‘30. Un assaggio dell’arte che partecipava ai pubblici bandi come quello dedicato alle Arti Applicate, per il resto è un florilegio di pittura e scultura di nomi conosciuti affianco ai meno noti al grande pubblico, per conoscere una realtà artistica ben lontana dall’omologazione di un Regime, ma un’espressione di grande effervescenza. La sola sezione delle Arti Applicate, nella sua stringata presenza, rende utile la visita della mostra e illumina sul ruolo dell’Italia nel panorama internazionale con la sensibilità dei creatori a percepire i cambiamenti, elaborandoli per le proprie specificità per lo stile italiano di allora come oggi per l’affermazione dell’italian style. Una mostra che si srotola in un percorso tranquillo, facilmente godibile con pannelli esplicativi essenziali, ben lontani da quelli che spesso si incontrano come espressione tronfia del sapere dei curatori incapaci della sintesi. A rappresentare quel periodo sono stati scelti un centinaio di opere (99 dipinti, 17 sculture; 20 oggetti di design) di oltre quaranta dei più importanti artisti dell’epoca quali Mario Sironi, Giorgio de Chirico, Alberto Savinio, Achille Funi, Carlo Carrà, Corrado Cagli, Arturo Nathan, Achille Lega, Ottone Rosai, Ardengo Soffici, Giorgio Morandi, Ram, Thayaht, Antonio Donghi, Marino Marini, Renato Guttuso, Carlo Levi, Filippo de Pisis, Scipione, Antonio Maraini, Lucio Fontana. Gli anni Trenta sono anche il periodo vitale di una modernizzazione che segna una svolta negli stili di vita, con l’affermazione di un’idea ancora attuale di uomo moderno, dinamico, al passo coi tempi e si definisce quella che potremmo chiamare “la via italiana alla modernità” nell’architettura come nel design, così come in pittura e in scultura. Una via espressa attraverso le riflessioni sugli stimoli provenienti dal contesto nord europeo, avendo ben presente la tradizione italiana del Trecento e Quattrocento, come sono ben evidenti i rimandi a Massacio. Il Regime cercava di fare proprio il disagio espresso dagli artisti di quei decenni, trasformando la creatività artistica, oltre a quella scientifica, come il frutto di un progetto, ma la realtà è che non aveva alcun progetto organico strutturale per guidare l’Italia verso la modernizzazione. L’Italia non era la Germania hitleriana che condannava l’arte che non gli era gradita come quella di Dix e Grosz, entrambi presenti nella mostra fiorentina. L’Italia che sognava un impero era lontana dall’industrializzazione della Francia o dell’Inghilterra e l’apparato finanziario era meno vulnerabile di quello statunitense, messo in crisi dal crac del ’24, solo perché era ininfluente nell’apparato economico nazionale. La Seconda Guerra mondiale era in agguato per risolvere nell’unico modo che il Capitalismo poteva concepire per riavviare l’economia e assorbire le decine di milioni di disoccupati, sistemando il tutto con gli interessi prodotti da una cinquantina di milioni di morti Come in ogni crisi economica la scelta non è solo la distruzione, ma anche impegnare i Governi, democratici e non, nel finanziamento di grandi opere pubbliche. Allora come oggi sembra che il mattone sia l’unica soluzione per uscire da ogni crisi economica. Il recente libro di Emilio Gentile E fu subito regime (Laterza) può offrire più di un’occasione per riflettere sull’impreparazione di un movimento a trovarsi a capo di una nazione senza aver predisposto una struttura governativa. Un po’ come è successo ad alcuni partiti nel trovarsi inaspettatamente ad amministrare alcuni enti locali e dover raccattare senza nessuna selezione delle persone per dei ruoli dirigenziali. Ad avallare l’impreparazione del Fascismo troviamo anche il libro di Roberto Vivarelli, terzo della seria dedicata alle origini del movimento, affermando che Mussolini venne partorito dalla crisi dello Stato liberale e non la sua causa. Il Fascismo con suo il pensiero debole, lontano dal concetto introdotto in filosofia da Gianni Vattimo e Pier Aldo Rovatti, dedito alle attività manesche più che intellettuali, non aveva la capacità dare un’organicità culturale del movimento. Una realtà che rende plausibile l’incapacità di omologare un pensiero, lasciando la cultura progredire in una variegata rappresentanza liberale, cristiana, ebraica e agnostica, rendendo l’Italia una potenziale fucina di creatività, bastava non beffeggiare il capo.

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ANNI TRENTA
Arti in Italia oltre il fascismo
Dal 22 settembre 2012 al 27 gennaio 2013

Firenze Fondazione Palazzo Strozzi

Informazioni:
Tel. 055/2645155
http://www.palazzostrozzi.org/index.jsp

Orari: tutti i giorni 9.00 – 20.00 giovedì 9.00 – 23.00

Ingresso:
intero euro 10.00 ridotto euro 8.50, euro 8.00, euro 7.50 scuole euro 4.00

GLI OGGETTI DI UNA STORIA MIGRANTE

L’iniziativa espositiva [S]oggetti migranti: dietro le cose le persone ha come fulcro il tema dei viaggi di migrazione intrapresi dagli oggetti conservati nei musei etnografici come il Museo Pigorini, presenti nel deposito. Oltre 150 opere, molte delle quali mai esposte, per portate in primo piano le storie passate e presenti dell’umanità che si cela dietro quegli oggetti.

La mostra nasce nell’ambito del progetto europeo READ-ME 2 (Réseau européen des Associations de Diasporas & Musées d’Ethnographie), del quale il Museo Pigorini è l’Istituto capofila in partenariato con il Musée royal de l’Afrique centrale di Tervuren (Bruxelles), il Musée du quai Branly di Parigi, il Museum für Völkerkunde di Vienna e in collaborazione con le associazioni della diaspora di Italia, Belgio, Francia e Austria.

L’esperienza della migrazione è presentata nei suoi risvolti storici ma soprattutto umani e contemporanei, resi più espliciti da un allestimento scenografico che vuole amplificare le possibilità interpretative del tema proposto e dà densità alla pluralità delle prospettive in gioco.

Oggetti esposti sono una testimonianza della presenza delle persone che hanno intrapreso il viaggi di migrazione e i risvolti storici ma soprattutto umani e contemporanei, resi più espliciti da un allestimento scenografico che vuole amplificare le possibilità interpretative del tema proposto e dà densità alla pluralità delle prospettive in gioco. L’itinerario della mostra si articola procedendo dalla Terra Madre che ci ha generato, fino alla Terra di qui che oggi ci accoglie, attraversando nel mezzo tempi e luoghi del grande Viaggio che fa la storia delle persone e delle cose che abitano il nostro pianeta, nel quale ci possiamo considerare tutti, da sempre, migranti.

Alla mostra sul patrimonio museale seguiranno, nella sezione Idee migranti, quelle degli artisti selezionati attraverso un appello-concorso di idee sui temi della migrazione. Installazioni, performance e incontri, per aprire uno spazio di confronto pubblico sui fenomeni migratori contemporanei, i diritti di cittadinanza e la promozione del patrimonio culturale nell’era delle diaspore.

La selezione ha preso in esame le proposte che attraverso diverse modalità e linguaggi espressivi, illustrano i molteplici sguardi provenienti dalle diverse prospettive sul tema della migrazione al fine di mostrare contributi inediti su un fenomeno spesso raccontato e rappresentato attraverso semplificazioni e stereotipi.

Un panorama artistico che coinvolgerà nei prossimi mesi anche le realizzazioni di: Claudia Bellocchi, Elisabeth Frolet, Salomòn Adrian Levy Memùn, Eleonora Del Brocco, Elena Pinzati, Serge Uberti, per indagare in realtà sconosciute ai molti come in Visit India, la piccola India a Sabaudia, di Patrizia Santangeli o l’incontro con Veronica Ferreri Home and Identity – sulla presenza di rifugiati somali a Damasco. 

 

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Roma (EUR)
Museo Nazionale Preistorico Etnografico “Luigi Pigorini”
piazza Guglielmo Marconi 14

[S]OGGETTI MIGRANTI
Dietro le cose le persone
IDEE MIGRANTI

Dal 20 settembre 2012 al 2 aprile 2013

Informazioni:
tel.06/54952269
http://www.pigorini.beniculturali.it/
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C’È PONTE E PONTE

Enormemente ingombrante, con i suoi 22 metri di larghezza per i 190 di lunghezza, il ponte pedonale detto della Musica che troneggia sul Tevere è una struttura massiccia posta a collegamento tra piazza Gentile da Fabriano (Flaminio) e il lungotevere Maresciallo Cadorna (Foro Italico) all’altezza dei campi da tennis senza dei veri passaggi pedonali protetti e delle fermate di mezzi pubblici corrispondenti.

L’affluenza non giustifica la grandiosità di un ponte, ma forse i progettisti hanno trovato ispirazione nei versi danteschi [come i Roman per l’esercito molto, / l’anno del giubileo, su per lo ponte] (Inferno, XVIII, 25-33), l’impressione che Dante ebbe della folla di pellegrini intenti a passare sul ponte Sant’Angelo nel Giubileo del 1300. Forse l’opera è stata realizzata per facilitare il dilagare dello scontento dei post partita nel quartiere Flaminio o per le ottimistiche prospettive di un’affluenza turistica sulle due rive del Tevere che tanta architettura potrebbe richiamare.

Non siamo in una zona centrale e i trionfi architettonici del Foro Italico, scaturito dal genio di Moretti e di Del Debbio per un palcoscenico per Severini, non sono prospettati come possibili mete turistiche, come anche la diversificazione edilizia del centenario quartiere Flaminio, l’eclettismo della Basilica di Santa Croce (1913) in via Guido Reni affianco ai volumi protettivi dell’imponente MAXXI ne sono un esempio, non gode di alcuna promozione. La sua maestosità potrebbe essere giustificata solo con il volere far pendant con gli elementi architettonici del restyling dello stadio Olimpico. Altrettanta solennità, senza alcuna apparente giustificazione, è stata offerta al ponte di tre corsie per ogni senso di marcia che nel quartiere Ostiense è stato realizzato per superare i binari della metropolitana e della ferrovia per Ostia. Un eccessivo sviluppo verticale che non trova motivi statici dei suoi 125 metri di asfalto per così scarsa viabilità.

Anche senza quella cresta si sarebbe notato così vicino all’ex complesso dei Mercati Generali, così piatto ed esteso, che lentamente prosegue nella sua conversione al centro del commercio “culturale”.

Due realizzazioni che neanche la grandeur parigina sarebbe riuscita a concepire per collegare le due rive della Senna, come dimostrano i diversi ponti pedonali, discreti e più lunghi, realizzati in minor tempo come quello flessuoso dedicato a Simone-de-Beauvoir (2004-2006), con i suoi 304 m di lunghezza e 12 m di larghezza. Anche il Léopold-Sédar-Senghor (1997-1999) è stato realizzato senza piloni, tiranti e creste tubolari. Un’eccezione è quello di Debilly, ma ha l’attenuante di essere stato realizzato tra il 1899 e il 1900 per offrire uno spettacolo di luci nelle notti parigine.

Più bravi i britannici con il ponte londinese dedicato al Millennium (1999-2000), lungo 325 m e largo 4 m, che  collega la riva di St. Paul con quella della Tate Modern e non è sospeso ma poggia su due piloni.

Ora si attende il completamento del secondo passaggio pedonale sul Tevere, detto delle Scienze, per collegare il lungotevere del teatro India con il lungotevere dei “pompieri”, visto che va a sbattere nell’ex complesso industriale destinato dal Ministero degli Interni ai Vigili del Fuoco e sulla cui realizzazione i giudizi sono contraddittori – contrastanti – sulla sua effettiva necessità nella carenza d’infrastrutture del quartiere.

Sulla riva Marconi non è ancora stato reso disponibile il palazzo di vetro da destinare alla Casa dello Studente, mentre dal lato Ostiense è ancora in alto mare la sistemazione dell’area dell’archeologia industriale. La Casa dello Studente giustificherebbe il collegamento con Ostiense per raggiungere le diverse sedi dell’Università di Roma Tre e l’assetto dell’area industriale permetterebbe il transito pedonale e ciclabile fuori dai contesti di degrado nei quali versano entrambe le sponde e le aree limitrofe.

Prosegue urbicidio di Roma.

 

DIALOGO PER INTERPOSTI MARMI

Ormai è entrata nella storia la loquacità dei romani e allora come possono le statue essere mute a Roma? Anche le statue parlano, si esprimono con scritti e non con i vocalizzi.
La più famosa delle statue parlanti è quella dl Pasquino.
Un torso mutilo, appartenente a un gruppo marmoreo del III sec. a.C. che prese il nome di Pasquino, pare, da un sarto romano del XVI sec. famoso per «tagliare i panni addosso alla gente». La sua fama è dovuta al foglietti satirici, talora feroci, dette pasquinate, contro il potere papale e i signorotti dell’epoca. Notte tempo mani ignote affiggevano al torso o al piedistallo di una delle più famose «statue parlanti» i foglietti satirici.
Oltre a Pasquino altre sono le statue che a Roma venivano usate per collocarvi tavolette con scritti di satira politica.
Poco lontano da piazza Pasquino, piazza Vidoni, stretta tra il Palazzo Vidoni e la chiesa di S. Andrea della Valle e, nell’angolo dl sinistra non molto visibile, la statua di Abate Luigi: figura di antico oratore tardo romano con un epitaffio apposto sul piedistallo che ricorda la sua appartenenza alle «statue parlanti».
Anche il gruppo marmoreo del Bernini a piazza Navona, la fontana dei Fiumi, può essere annoverato tra le statue che non sanno tacere e per il pettegolezzo popolare che vuol dare ad ogni singolo gesto del gruppo un significato, tutto nato per una animosa rivalità tra il Borromini e il Bernini.
La statua che raffigura Rio della Plata, con un gesto della mano, si difende dalla possibile caduta di Sant’Agnese (la chiesa del Borromini); il Nilo, con il volto velato, evita di guardare la «bruttezza» che la chiesa rappresenta.
Vicino a piazza del Collegio Romano, in via Lata, la fontana del Facchino raffigura un giovane in costume cinquecentesco dell’Università degli Acqualoli, scolpita alla fine del 1500.
In piazza S. Marco, di fronte alla fontana della Pigna, nell’angolo del Palazzetto Venezia, il simulacro detto di Madama Lucreazia, resto di una grande statua dedicata alla divinità egizia, Iside, che forse, raffigura Faustina, moglie di Antonino, a cui fu dedicato un tempio nel Foro Romano.
Salendo la scalinata del Campidoglio si arriva al musei Capitolini dove dal 1594 ha trovato stabile dimora il Marforio, imponente scultura del I secolo dell’Impero che rappresenta una divinità fluviale, anche se alcuni la chiamano Oceano, e su questa giacente statua venivano attaccate le risposte alle satire di Pasquino.
Un dialogo per Interposti marmi.
Ultima, e poco conosciuta tra le «statue parlanti» è il Babuino dell’omonima fontana.
Qualche anno fa c’era un promettente e giovane disegnatore, tale Dino Manetta, che rispolverò, con successo, l’uso di Pasquino per la satira. Con mano furtiva, di notte, collocava sulla statua le sue mordaci vignette, ora i suoi disegni appaiono su alcuni quotidiani di Roma.

ITINERARI
Le statue parlanti
da Il manifesto di domenica 11/ lunedì 13 ottobre 1986

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Una casata

Cristoggesummaria, cc’antro accidente!
Sete una gran famijja de bbruttoni.
E nnun méttete in pena ch’io cojjoni,
perché pparleno tutti istessamente.

Dar grugno de tu’ padre a li meloni,
cuelli mosini, nun ce curre ggnente:
e ar vedé mmamma tua, strilla la ggente:
“Monaccallà, ssò ffatti li bbottoni?”.

Tu, senza naso, pari er Babbuino:
tu’ fratello è er ritratto de Marforio,
e cquell’antro è un po’ ppeggio de Pasquino.

Tu e Mmadama Lugrezzia, a sti prodiggi,
v’amanca de fà cchirico Grigorio,
pe mmette ar mucchio l’Abbate Luiggi.

G.G.Belli