Tutti gli articoli di Gianleonardo Latini

Dopo Afghanistan anche in Ucraina una crisi umanitaria

Sono passati 6 mesi dalla fuga dei governi occidentali dall’Afghanistan e il risultato è stato tragico per chi confidava in un paese capace di garantire i diritti non solo per i prepotenti e sconfortante per chi aveva come obbiettivo la pacificazione.

Vent’anni anni non sono serviti, nonostante molti miliardi di dollari impegnati, alla realizzazione di una economia e di un sistema sociosanitario autosufficiente, se non quello di aver edificato qualche scuola e delle strutture di pubblico servizio, quando i fondi venivano gestiti dalle strutture militari o dalle organizzazioni umanitarie, senza dover sottostare alle richieste governative.

Un paese da un’economia fragile che si reggeva virtualmente sugli aiuti internazionali che ora vengono sospesi, anzi l’Occidente decide di sanzionare il governo afgano. Una scelta quella delle sanzioni contro i talebani con il solo effetto di aggravare le condizioni di vita della popolazione, senza avere alcuna conseguenza sul tenore di vita degli attuali governanti che per vent’anni hanno ricevuto cospicui finanziamenti per la loro attività terroristica e che ora continueranno a riceverli per la loro attività governativa.

Un servizio sanitario sorretto dall’impegno delle organizzazioni non governative (Emergency, Intersos) che continuano ad operare tra mille difficoltà, mentre le Nazioni Unite si sono fatte carico del pagamento degli stipendi. La maggioranza delle persone hanno difficoltà nel preoccuparsi cibo, mezzi di riscaldamento e gli indumenti per superare il periodo invernale.

L’Unhcr si è attivata per raccogliere fondi da devolvere alla sopravvivenza di migliaia di persone grazie anche alla donazione che si può fare, sino al 6 marzo 2022, inviando un SMS al 45588 con il costo di 2 euro o chiamando lo stesso numero da rete fissa per donare 5 o 10 euro.

Un’emergenza umanitaria che si ripropone con l’aggressione russa all’Ucraina per la quale l’Unhcr si trova affianco all’Unicef ed alla Croce Rossa per la raccolta fondi, iniziata il 27 febbraio con il solo numero solidale – 45525 – che permetterà alle tre organizzazioni, da sempre impegnate attivamente nelle crisi internazionali, di portare un aiuto concreto e di testimoniare la generosa vicinanza dell’Italia.

Un’invasione, quella russa all’Ucraina, dalle mille giustificazioni geopolitiche e fronteggiata dall’Occidente con una serie di sanzioni che come nel caso dell’Afghanistan colpirà la popolazione, mentre chi ha portato dolore e miseria non patirà alcuna sofferenza.

In Afghanistan quale danno possono subire i talebani dopo che per vent’anni sono stati e continuano ad essere foraggiati da organizzazioni e governi? Così Putin potrà continuare ad operare, avendo razziato le ricchezze russe, con il suo tono intimidatorio verso i suoi collaboratori e con il pacato sostegno della Cina.

L’Occidente in Afghanistan è intervenuto in forze, in Ucraina non può intervenire militarmente senza far scoppiare un conflitto internazionale, ma ha promesso aiuti finanziari e militari al governo ucraino che saranno difficili da far pervenire con le vie di comunicazioni in sofferenza.

Due popoli che si pongono verso la vita in diverso spirito ed ecco l’Afghanistan in miseria con dei genitori a vendere un loro rene o le loro figlie, mentre gli ucraini prendono le armi per reagire e difendere la famiglia dall’invasore.

C’è da riflettere su quanto l’Occidente si sente così benevolmente coinvolto con l’Ucraina, ben lontana dalla posizione interventista presa con il conflitto balcanica. L’Occidente si è dimostrato forte con i deboli e diplomatico con i prepotenti, d’altronde la Russia in quegli anni non era così bellicosi e la così detta società civile non era così presente, eppure i Balcani sono più in Europa che l’Ucraina e l’autodeterminazione dei popoli funziona a senso unico, l’unica voce coerente è quella del Papa.

Un’ultima riflessione è da dedicare ai profughi e sulla disparità di trattamento: mentre si erge un muro tra Polonia e Bielorussia, dall’Ucraina i “bianchi” sono agevolati nelle pratiche di accoglienza, ben diverso quello destinato agli altri.

Come Operare in Spazi Pubblici

Si è svolta l’11 febbraio la giornata conclusiva di “Arte e Spazio Pubblico”, per riflettere sulle questioni più attuali legate all’arte contemporanea nello spazio pubblico sul territorio nazionale.

Una sintesi sui precedenti quattro incontri – svoltasi da gennaio ad oggi – attraverso il contributo dei rappresentanti dei tavoli tematici e di altri esperti, ma anche una riflessione strategica su proposte operative e buone pratiche a seguito degli esiti delle giornate di studio, attraverso il confronto con le istituzioni.

Il confronto tra esperti, istituzioni, associazioni ed altri soggetti del settore come Fondazione Scuola dei beni e delle attività culturali e la Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura.

Incontri ai quali hanno partecipato in gran parte persone provenienti dall’ambito giuridico, universitario e storico artistico, in definitiva una carrellata di chi organizza, allestisce e documenta l’evento, senza una presenza qualificante di chi realizza l’opera nello spazio pubblico.

Sarebbe stato interessante conoscere le problematiche che ha incontrato Oliviero Rainaldi nel realizzare l’opera Flammarion (Italgas di Torino) o come procederà Sissi (al secolo Daniela Olivieri, docente all’Accademia di Belle Arti di Firenze) nel tradurre il bozzetto che ha vinto un concorso, nella scultura dedicata all’astrofisica Margherita Hack per la città di Milano, con la programmata inaugurazione per giugno 2022.

Non a caso due città del nord Italia dove la sensibilità all’arte contemporanea va oltre gli spazi chiusi e dove il confronto e il dialogo tra istituzioni e associazioni possa gettare le basi per successive azioni strategiche.

La Piattaforma Duepercento è sicuramente un esempio di “creatività” della Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura. che prova a far emergere quanto realizzato nel passato con la legge 717/49, la cosiddetta “del due per cento”, e a fare il punto sul presente e stimolare nuovi progetti per il futuro, per dare impulso alla promozione della cultura attraverso la realizzazione di opere d’arte negli edifici pubblici di nuova edificazione.

Altra iniziativa della Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura è Italian Council, alla sua decima edizione, con un bando internazionale per supporto della creatività contemporanea italiana, fortemente impegnato sul fronte della promozione dell’arte e della ricerca artistica, critica e curatoriale italiane all’estero.

Vincenzo Trione, Presidente della Fondazione Scuola dei beni e delle attività culturali e autore del recente “Artivismo” sul rapporto tra l’arte e l’impegno politico (Einaudi, 2022), afferma che anche la Street art e i writer sono un’opportunità per l’arte negli spazi pubblici e non un problema per le istituzioni, come anche è stato evidenziato su Graffiti. Arte e ordine pubblico dai Alessandro Dal Lago e Serena Giordano (Il Mulino, 2016).

Un esempio è il murale realizzato dallo street artist Jerico Cabrera Carandang Sul muro perimetrale del Museo di Casal de’ Pazzi o le decorazioni degli edifici del periferico quartiere di Tor Bella Monaca o l’Ostiense, trasformando degli anonimi complessi condominiali o testimonianze di  Archeologia Industriale in musei d’arte contemporanea a cielo aperto.

Il panorama della Street Art non si limita al britannico Banksy o all’italiano Blu, dall’afghana Shamsia Hassani o ad AliCé (Alice Pasquini), a JR o a Invaders, sono numerosi/e le voci fuori dagli spazi espositivi che incontrano l’interesse delle istituzioni come quella della Regione Lazio ed ecco il bando per 9 progetti di arte urbana in tutte le province del Lazio – Antrodoco (Rieti), Fiuggi (Frosinone), Itri (Latina), Marta e Valentano (Viterbo) –, e  cinque nei municipi e nella città metropolitana di Roma Capitale, con lo stanziamento di 200 mila euro a fondo perduto.

Un’iniziativa sintetizzata nella frase di Nicola Zingaretti (Presidente della Regione Lazio): “Attraverso arte e creatività diamo nuovo volto alle nostre città”.

Due pubblicazioni per completare la riflessione sull’arte e gli spazi pubblici prima e dopo il provvedimento legislativo “La legge del 2% e l’arte negli spazi pubblici. Legge n.717 del 1949” (Cura.Books, 2017) e “2%. Considerazioni In Margine” (Joyce & Co., 1990) dove Domenico Guzzi raccoglie i testi di G. Bottai, V. Guzzi, M. Piacentini, F. Ferrazzi, O. Rosai, F. Casorati e molti altri artisti,. pubblicati dal 1942 sulla rivista Primato.

Cercando di consolidare l’Arte

È difficile trovare nelle Fiera internazionale di Arte moderna e contemporanea delle nuove proposte e quella di Roma non fa eccezione, ma i Modigliani, i De Chirico, i Campogrossi e i Giosetta Fioroni non hanno necessità di trovare un mercato.

Sono gli sconosciuti ad avere necessità di essere promossi, ma le “vecchie” gallerie, come le nuove, preferiscono ufficializzare le loro produzione piuttosto che andare alla ricerca di novità per il domani.

Tra le nuove presenze nel panorama contemporaneo risalta la presenza della Talk Gallery, con sede a Parigi e a Bruxelles, nel proporre Camilla Ancilotto con le sue opere multi componibili, con le loro tre facce, in una poetico interagire nel sollecitare la creatività dello spettatore nel comporre, con le tre opere, numerose possibilità di giocare con la rivisitazione di opere antiche e i vari aspetti della natura.

Mentre Guillaume Garri e Onie Jackson offrono una visione contemporanea delle credenze sulla creazione del mondo e della mitologia greca,  in una lettura “picassiana” che sfocia nel graffitismo.

L’allestimento dello stand si completa di alcune sculture di inflessione primitiva di Guillaume Garrié e quelle futuribili  di Camilla Ancilotto.

In questo mercato dell’arte di 120 gallerie espositrici italiane ed estere c’è anche lo stand di Israele, nel quale vengono proposti artisti di varie ispirazioni, dal naif al concettuale e, per quanto possiamo saperne, questi 17, tra scultori, pittori, fotografi e ricamatori, sono presenti per rappresentare le tante sfaccettature della realtà israeliana contemporanea

Unico stand nazionale, d’altronde il contemporaneo non è nelle corde del nostro ministro Franceschini e dei suoi consulenti, che non hanno buone gambe per andare a scovare artisti che continuano ad essere ignorati; invece la Regione Lazio è presente per pubblicizzare le iniziative sul patrimonio e i luoghi della cultura, mentre il Lazio Contemporaneo è un opuscoletto come spunto per un’indagine approfondita.


Roma Arte in Nuvola
Dal 18 al 21 novembre 2021

Nuvola di Fuksas
Roma (Eur)

https://romaarteinnuvola.eu/

Claudia Bellocchi e la Distopia Distopika

Una visione tendenzialmente tragica del futuro, come quella descritta in “1984” da George Orwell, è distopia, termine coniato nell’800 dal filosofo ed economista britannico John Stuart Mill, per contrapporsi a quella ottimistica dell’utopia.

È sulla distopia che a 25 anni David Foster Wallace pubblicava “Infinite Jest”, uno di quei libri di cui si parla tanto, ma che ben pochi hanno letto, come il sottoscritto che non lo ha neanche sfogliato e non ne va fiero, ma bisogna fare delle scelte, per riflettere sul vivere o meglio sopravvivere alle peggiori catastrofi che potranno avvolgere la Terra.

Anche i disegni di Moebius, attualmente in mostra presso il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, si addentrano nella distopia, in una visione arcaica protesa nel futuro, con personaggi robotici, ma anche grottescamente umani.

Di Prince, a 5 anni dalla sua morte, viene proposto il suo “Welcome 2 America” una visione distopica della vita, trovando in George Orwell le risposte su una realtà informativa manipolata.

Coincidenze o forse solo la maturazione dei tempi per riflettere sulle distorsioni climatiche e sui mutamenti genetici, su questi temi interviene Claudia Bellocchi con una serie di lavori esposti nello spazio di Villino Corsini (Villa Pamphilj).

Niente paesaggi, unica ambientazione della tragedia per questi personaggi in mutazione è la tela di canapa grezza.

Luigi M. Bruno, nel suo scritto di presentazione alla mostra, afferma che “l’antiutopia dell’artista Bellocchi denuncia senza remore e abbellimenti la febbre nascosta, le latenti mostruosità che si nutrono dei peggiori sentimenti di un’anima malata che tenta coi sorrisi spavaldi alla don Rodrigo di celare il bubbone della peste! Ma solo affrontando l’anima nera che si ciba dei rifiuti ai margini di una umanità pur disumana, crudele e cieca nella sua folle indifferenza, solo guardando fino in fondo l’abisso che è sotto i nostri passi, senza sogni gratificanti e ingannevoli, forse troveremo l’uscita.”

Un’antiutopia dalla quale nascono personaggi come Madame o Ominide, Anatomopatologia o Franz, con un’esuberanza capace di rievocare quel prof. Kranz grottescamente vissuto da Paolo Villaggio, tracciati con il carboncino e avvolti da un’atmosfera tetrobronzea.

Un mondo dove l’eloquenza sarà una di quelle capacità che verranno meno in un futuro distopico basato sul conflitto e non sul dialogo, sulla prepotenza del grido e non sulla pacatezza.

Una distopia che minaccia il futuro dell’Afghanistan, perversa sugli abitanti di Hong Kong e sulle comunità LGBTQ non solo in Polonia e Ungheria.

Una mostra quella di Claudia Bellocchi capace di far riflettere, raffigurando la distopia come una deformità di sinistro futuro capace di condizionare negativamente la società se l’individuo rimane indifferente alle altrui tragedie.


Claudia Bellocchi
Distopika

Dal 4 al 19 settembre 2021

Biblioteca di Villino Corsini (Villa Pamphilj).
Roma

Informazioni:
tel. 06/45460691


Catalogo

I punti di vista su Hirst

Una delle più inarrestabili macchine da soldi, nel campo dell’arte contemporanea, è sicuramente Damien Hirst, l’ex promettente rappresentante della Young British Art, con il solo dividere l’opinione degli addetti e non ai “lavori”, sull’essere un genio o un bluff, ha fatto lievitare le sue quotazioni.

Mentre sono sempre più numerose le persone che si domandano se Damien Hirst sia un astuto Madoff dell’arte o un Duchamp dei nostri giorni, altri fanno soldi con le opere che firma. Una interminabile produzione di puntini colorati che si succedono su superfici bianche per offendere la vista da si tanta luminosità.

Già nel 2008 si sentiva così in sintonia con l’umanità che esclamava: «Come artista cerco di fare cose in cui la gente può credere, con le quali possa relazionarsi, che possa sperimentare. Occorre dunque esporle nel miglior modo possibile».

E Hirst ha saputo dare al pubblico quello che voleva, o quello che il pubblico credeva di volere, grazie ad indulgente mercato dell’arte, sino a proteggerlo dalla crisi, salvaguardando gli investimenti, per esaltare l’isteria del popolo che si nutre del business dell’arte.

Hirst, come Koons o anche il nostro Cattelan, non conosce crisi e tutto può essere trasformato in icona, sia la banalità del quotidiano che quello del male, senza alcuna attinenza alla sensibilità di Hannah Arendt, ma come catarsi personale resa pubblica, svuotata da qualsiasi comprensione, senza alcuna presenza di umanità. Qualcosa di simile al gioco perpetrato della agenzie di rating con il diffondere voci per far salire o scendere le quotazioni a loro favorevoli.

damien_hirst_2 Dell’arte contemporanea e su di essa si può dire di tutto e il suo contrario, ma la realtà è nel suo spudorato utilizzo finanziario, in Occidente come in Oriente, dagli arricchiti russi e cinesi, dopo gli arabi e i giapponesi, spiazzando i cultori dell’opera come ingegno e manualità, limitandone la sua comunicabilità nella ripetitività. Una ripetitività che spesso viene confusa con la riproducibilità ben diversa dalla concezione di Walter Benjamin dell’opera d’arte.

Grande clamore per un teschio che Hirst ha tempestato di diamanti e portato in tour, per ribadire la superiorità dell’arte sopra ogni altro pensiero e attività, al quale nessuno può resistere, tanto che il povero Cartrain, alias di un’artista inglese impegnato nella realizzazione collage e stencil ispirati ad icone popolari come Mickey Mouse o Clint Eastwood, è rimasto impigliato negli ingranaggi con il suo utilizzare illegittimamente l’immagine dell’opera hirstiana. Una superficialità che gli è costato un’accusa di plagio, vincolando la creatività alle regole del mercato. Cosa potrebbe essere accaduto all’arte contemporanea se Dalì o Dupham, Picasso o Warhol, fossero incappati nell’accusa di plagio per l’utilizzo della Mona Lisa o dell’arte africana, ma forse a rischiare di più poteva essere Warhol con le sue zuppe in barattolo e numerosi simboli del consumismo.

Ora l’illusionista delle immagini come arte è presente contemporaneamente in tre luoghi di Roma (Fondazione Pastificio Cerere, nella hall del MACRO e nella Gallerie Gagosian), alle sedi della Gagosian gallery sparse nel mondo (Londra, New York, Parigi, Ginevra, Atene, Hong Kong e a Beverly Hills), oltre 300 dipinti a pallini colorati, da quelli di 1 mm di diametro sino a 60 cm ognuno, dei quasi 1.500, per un excursus di venticinque anni che proseguirà ad aprile con l’antologica alla Tate Modern.

Una moltitudine di esposizioni per una sovraesposizione mediatica stimolata da Hirst esaminando la dislocazione planetaria delle gallerie Gagosian, una vera e propria industria, che ha offerto il fianco ai suoi mille detrattori che lo incolpano di utilizzare centinaia di assistenti e lui non fa mistero, anzi a lui interessa solo il risultato identico al suo pensiero, non gli strumenti utilizzati per raggiungere tale risultato, allontanandosi dalla pittura come la intende David Hockney, suo connazionale e critico del suo comportamento, fatta di gesto e materia, non ridurre l’opera d’arte a prodotto industriale, ad oggetto di arredamento.

Potrebbe essere utile, per comprendere come l’arte si possa essere instradata nella strada del prodotto industriale, riflettere su cinque secoli di arte, messa in mostra a Londra presso la Tate Britain, sino al 14 agosto 2012, con Migrations, ma è tra il 1890 e la Young British Art che si può risalire frustrazione dell’arte britannica nell’avere generato, escludendo William Blake e i preraffaelliti, solo ritrattisti e paesaggisti, mentre il resto dell’Europa contribuiva alla storia dell’arte con ben altri artisti, esuli e perseguitati per la religione, dall’Olanda e il Belgio, artisti come Van Dyck, alla ricerca di un’affermazione economica, che hanno stimolato il ritratto e hanno introdotto il genere paesaggistico. Una mostra che solleva profondi interrogativi sulla rilevanza dell’arte britannica, escludendo un Hogarth o un Turner, nel panorama internazionale, in fin dei conti anche Hirst ha fatto tesoro degli stimoli che aleggiano nell’aria, trasformandoli in un lavoro meno faticoso possibile. L’arte britannica si è formata grazie all’evento migratorio, non solo dell’umanità in cerca di migliorare la propria vita, ma anche sulla circolazione di idee e concetti.

Altro detrattore di una certa arte contemporanea è Jean Clair, accademico di Francia e storico dell’arte, che con il suo recente libro L’inverno della cultura (Skira), si sofferma sull’uso disinibito dell’immagine. Un libro a capitoli, ognuno dei quali viene introdotto da una citazione come per il primo capitolo con “Quando il sole della cultura è basso sull’orizzonte, anche i nani proiettano grandi ombre.” di Karl Kraus, utilizzati come sintesi del pensiero di Jean Clair, sviluppato nelle pagine successive.

Sono lontani gli anni dove i politici si accompagnavano agli artisti per darsi importanza e apparire competenti. Erano gli anni craxiani dell’acquisto dell’opera d’arte senza troppe domande, ora c’è la crisi e alcuni artisti amerebbero tanto un posto fisso da permutare con la variegata incertezza della creatività del mercato. Gran parte dell’odierna arte è un’illusione creata da capaci persone, ben più capaci dell’artista che intendono promuovere, impegnate a plasmare il desiderio di quel prodotto, come dimostra il grande impegno dalla famiglia reale del Qatar, con i numerosi acquisti di opere d’arte di varie epoche, più che del contemporaneo, e innalzando musei.