Tutti gli articoli di Luigi M. Bruno

Satyricon, il sogno della classicità

Tra i titoli felliniani il suo “Satyricon” (1969), ritenuto a torto un “minore” a petto dei suoi proverbiali successi internazionali, è invece un film che con felice intuizione ricostruisce, ovviamente in modo personalissimo e molto “felliniano”, l’atmosfera pur fantastica (il regista stesso la definì una “fantascienza dell’antichità”) della decadenza o fatiscenza della romanità. Tra oscuri postriboli, criptiche oscurità sotterranee, deliri ed evocazioni oniriche, il film è tutto una sequenza apparentemente caotica e slegata, come appunto in un sogno, in cui i fantasmi di una civiltà ormai incanaglita e corrotta vive di pulsioni carnali (cibo, sesso, rapacità) avvolte in un alone di magìa e di dolce putredine.

Il testo (presunto) di Petronio Arbitro ripreso e sconvolto dalla sceneggiatura di Fellini, Bernardino Zapponi e Brunello Rondi, affonda a piene mani nell’intrico di spudorate perversioni (un pò Catullo, un pò Giovenale) che vivono e fermentano con la pur tetra vivacità di una umanità ormai lontanissima dai rigori e severità di una romanità un pò scolastica tramandata da noiosi rètori. Così tra passioni bassamente sensuali ed episodi più incantati e lirici, Fellini ci trasporta nella magica intuizione, appunto con le movenze di una visione crepuscolare, di un universo perduto, ectoplasma genialmente evocato nei meandri di un mondo ipogeo, l’altra faccia oscura della solare classicità.

Tra gli interpreti ormai dimenticati delle due giovani canaglie Encolpio ed Ascilto (Martin Potter ed Hiram Keller) e del conteso efebo Gitone (Max Born), si ricordano prepotenti le “medaglie” di Salvo Randone, Alain Cuny, Capucine, Lucia Bosé, Donayle Luna, nonché l’esordio di Alvaro Vitali e, si narra, un certo Renato Zero tra le comparse). Ma più che mai nel “Satyricon”, come del resto in “Amarcord” e altrove, per Fellini è solo uno straordinario corteo di maschere che appaiono e scompaiono in un enigmatico, folgorante affresco.

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Fellini – Satyricon

di Federico Fellini
Con Martin Potter, Capucine, Fanfulla, Hiram Keller, Salvo Randone. Max Born, Mario Romagnoli, Magali Noël, Alain Cuny, Alvaro Vitali, Lucia Bosè, Franco Pesce, Marisa Traversi, Elisa Mainardi, Gordon Mitchell, Sandro Dori, Tanya Lopert, Ernesto Colli, Lorenzo Piani, Lina Alberti, Beryl Cunningham, Carlo Giordana, Donyale Luna, Antonia Pietrosi, Irina Wanka, Marina Boratto

Fantastico, durata 128 min. – Italia 1969

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Il Profeta dell’Arte “famola strana”

“E’ del poeta il fin la meraviglia, / chi non sa far stupir vada a la striglia!”…. Questo celeberrimo distico dell’altrettanto celebre poeta secentista cavalier Giovan Battista Marino, ai suoi tempi ritenuto e ammirato come il più rappresentativo artista del barocco in Italia e fuori d’Italia, non potrebbe ancora oggi essere l’antesignano, il filosofo di certa “arte” la cui prima e decisiva necessità è appunto “stupire”, anzi “scandalizzare”?

“Epatér le buorgeois”, stupire il bravo benpensante borghese era la bandiera, l’imperativo categorico dell’estetica rivoluzionaria ottocentesca: rompere con la tradizione, le buone maniere accademiche, il “tran tran” dell’artista di regime, imperativo tuttavia di tanta avanguardia anche novecentista, basterebbe ricordare i proclami incendiari dei “futuristi” per non parlare delle scandalose provocazioni dadaiste.

Va tutto bene quando le barricate e gli assalti sono motivati da una necessità legittima di rinnovamento, e soprattutto quando dopo i proclami e le barricate ci sono poi gli artisti veri a dare senso e valore alle bestemmie buttate in piazza!

Dall’Impressionismo in poi, fino alla Pop-art, artisti in vena di novità si sono divertiti a scandalizzare schiere di critici “ufficiali” e “pompier” … Necessità sacrosanta quando dalla palude stagnante si vuol riuscire in mare aperto.

Ma, badate, quando sedicenti artisti in vena di rivoluzioni cialtrone e immotivate, solo per giustificare il vuoto creativo che li affligge, riprendono la frase bandiera del buon cavalier Marino (stupire, stupire a tutti i costi!) senza poi suffragare le loro “rotture” con la buona sostanza della vera poesia, allora tutto il vuoto, il chiasso e lo strepito di questi pionieri del nulla è solo starnazzare di oche che girano intorno all’aia!

Ma stiamo attenti a riderne solo un po’… Ahimé, si dovrà penosamente dire che non solo intrusi e dilettanti dell’arte giocano al “bluff” ripetuto e noioso, essi si accodano dietro la bandiera di ben altri artisti, notissimi e pregiati, che imperversano incoronati dalla critica ufficiale come i Maestri del Nuovo e del Profondo.

Così i piccoli, coperti e giustificati dagli esempi glorificati dalla ribalta internazionale, non si peritano di prodursi in installazioni ed eventi che fanno della originalità a tutti i costi (stupire!) la maschera immotivata della loro solenne incapacità tecnica e creativa.

Se lasciare stupita e allibita la spaesata umanità che è chiamata ad ammirare le ormai scontate performance è l’unica ragione d’essere di tanta presunta e pretesa arte contemporanea be’, devo dire che siamo messi proprio male! Avallare le più curiose e impensabili “trovate” come importante rinnovamento estetico è un ricatto stupido e infantile… Si dica pure, una volta per tutte, senza inutili pudori:” Ma il re è nudo!”… Povero cavalier Marino! Caposcuola di tanto eccessivo e “sorprendente” barocco, siamo ancora in braccio alla sua estetica. Solo che i contenuti dei cassonetti e le cianfrusaglie dei rigattieri si sono sostituiti ai ghirigori e alle spirali barocche!

 

La Repubblica che non fu

Purtroppo gli italiani frequentano poco la loro storia, e i romani ancor meno…. La Repubblica Romana del 1849 fu il punto più alto del nostro Risorgimento (fra l’altro pubblicò la prima costituzione democratica d’Europa!)… Il 3 Giugno di quell’anno le truppe dei volontari accorse da tutta Europa agli ordini di un certo Garibaldi inflissero, (da porta san Pancrazio al casino dei quattro venti di villa Pamphili) una memorabile sconfitta alle truppe francesi accorse a Roma invocate da papa Pio IX, truppe convinte di entrare in città senza colpo ferire (“gli italiani non si battono” disse con altezzosa sicurezza il generale Oudinot!)…

I volontari inseguirono le truppe francesi in rotta fino a Castel di Guido e le avrebbero rigettate in mare fino a Civitavecchia se Mazzini non le avesse fermate per “non infierire verso i nostri fratelli francesi” e per guadagnarsi le simpatie dell’0pinione pubblica francese… errore strategico gravissimo al quale dovette sottostare Garibaldi!..

Invito i romani che hanno dimenticato la storia della loro gloriosa Repubblica a visitare l’interessantissimo Museo di porta san Pancrazio che descrive minuziosamente tutti i fatti di quell’assedio fino all’inevitabile resa dopo tanta eroica resistenza!

Luciano Ventrone: Il superrealista

Nella residenza-fondazione di Marcello Aldega anfitrione (fra l’altro riccamente illustrata da pregiati dipinti fine ottocento-primi novecento) e la variegata e non conforme presentazione del sempre vivace Vittorio Sgarbi, è ospite il maestro del realismo Luciano Ventrone da me definito (se permettete) più che “iperrealista” il “superrealista”.
Ma realista in che senso? In competizione con la fotografia, che dico, la scavalca e la umilia con effetti di efficacia microscopica. E questo è pittura? È arte? È poesia? Saranno pure definizioni retoriche e abusate, ma ahimè senza quest’anima trasparente e impalpabile cos’è un dipinto se non manifestazione di pura tecnica e mestiere seppur eccellente e straripante?
Ventrone parla di astrazione nella sua pittura, ma astrazione dove? Come? Quando? Io non vedo che realismo ad alta definizione, maniacale speculazione da anatomista penale. E come insegna l’antico aneddoto: lo scienziato in cerca dell’anima, dopo accurata dissezione di un cadavere, non trovandola tra i visceri sentenziò “l’anima non esiste!”
Così si potrebbe dire del pittore: anatomizza ma non rintraccia l’anima.
Spieghiamoci. C’è realismo e realismo. Caravaggio o Veermer insegnano. Certo, non possiamo sempre aspirare all’intensa, umanissima realtà del maestro bergamasco, alla sua drammatica lezione di dignità, o al concentrato, lirico, “sospeso” realismo del maestro olandese. Ma realismo comunque non si intenda. mai effetto speculare, apparenza superficiale o mero virtuosismo: questi od altri sono sempre stati nemici giurati del grande Realismo, gli equivoci formali che ne hanno distolto e deformato i caratteri essenziali.
Realismo in sé presuppone non solo tecnica obiettiva, ma soprattutto introspezione, meditata qualità di indagine emotiva, sensibilissima attenzione psicologica, astrazione.
Sì, astrazione, necessaria ovunque e sempre nell’opera d’arte. Astrazione ancor più rigorosa e difficile perché nella figurazione realistica c’è da misurarsi con uno spazio prospettico, con la tridimensionalità, con la plasticità, con gli effetti di luce, i rapporti anatomici: tutti elementi tecnicamente affascinanti che possono distogliere dalla “nuce” per così dire astratta della composizione.
Ma l’astrazione deve permeare e sostanziare di sé gli oggetti, le figure, gli spazi, deve prevalere aldisopra di ogni tecnicismo, altrimenti la vita stessa, il senso magico dell’essere verrebbero a mancare lasciando dietro di sé fredde e ceree sostanze inanimate.
Del pittore Ventrone possiamo elogiare l’accanito e dispendiosissimo lavoro di indagine minuta, l’accanimento tenace e rigoroso di un realismo di quasi religiosa attenzione. Ma basta per commuoverci?

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Luciano Ventrone
Matrix. Oltre la realtà / Beyond reality
Dal 19 novembre 2017 al 25 febbraio 2018

Amelia (Terni)
Museo Civico Archeologico e Pinacoteca “Edilberto Rosa”
piazza A. Vera, 10

Informazioni:
infoline 348.9726993
prenotazioni: Call center Sistema Museo 199.151.123;
Museo 0744/978120

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Niente leggiadria quando a salvare il mondo è il dollaro

Il “Salvator Mundi” opera (presunta) di Leonardo è stata venduta per 450 milioni di $ ovviamente ad un anonimo e quindi è diventata invisibile perché un museo avrebbe avuto tutto l’interesse a pubblicizzare l’acquisto….
Che dire? Una piccola sconfortante considerazione: ormai viviamo in una società incapace di creare non dico il Bello e l’Assoluto, ma di creare comunque, una società arida che vive nella violenza come unica affermazione dell’individuo e nell’acquisizione dei beni materiali (soldi e potenza), e quindi non può far altro,come un vecchio ricco e impotente, che comprare la bellezza, la giovinezza dello spirito, la pura creatività.
Non rimane, come in un agone sportivo, che la gara all’asta a chi spende di più ricevendone encomi, applausi (e invidia)!
L’unica arte vera e concreta dei nostri tempi? Il restauro, non resta che restaurare tutto, ma proprio tutto: ogni cosa che appartiene al passato, anche mediocre e di maniera, viene tesaurizzata e ammirata come testimonianza di un’epoca aurea e leggendaria…
L’uomo ha venduto, da tempo,la sua anima,al Dio Denaro e alla sua arida logica. Non resta che raccogliere tracce e reperti del passato e metterli in cassaforte… E pensare che in altri tempi non ci si pensava una volta a buttar giù una scultura,un palazzo, a coprire un affresco per l’urgenza del nuovo talento.. e nessuno si sognava di gridare al misfatto!