Tutti gli articoli di Luigi M. Bruno

L’Uno e gli Altri

Si parla spesso in questo nostro occidente (apparentemente) evoluto e tollerante della “diversità” e delle problematiche, spesso drammatiche, legate al “diverso”. Ma dalle prime pagine, dagli approfonditi saggi di filosofi e sociologi, fin nei salotti più colti e avveduti, la diversità di cui si discute è principalmente quella sessuale.
Non che non abbia l’omosessualità tuttora ,anche dalle nostre parti, talvolta risvolti preoccupanti se non addirittura tragici. Ma mi sembra di poter dire che non vivendo in una società di severa repressione morale e di fanatico integralismo religioso, la diversità sessuale sia se non universalmente accettata come assolutamente “naturale”, certamente ampiamente tollerata e anche giuridicamente in via di equanime risoluzione. Fatte salve ovviamente le eccezioni, spesso drammatiche, che sono conseguenze di ambienti arretrati e di depressioni culturali che sono “sacche” di violenza e di intolleranza. Non voglio esagerare ma credo che, oggi come oggi, la diversità preoccupante e meno accettata dalla società sia altrove.
Sia nella “diversità” congenita e necessaria di chi per temperamento, per scelta culturale e di vita, e sopratutto per diversa e “alternativa” percezione della realtà, è automaticamente relegato ai margini della collettività. Poeti, artisti, filosofi, ma anche individui di non particolari talenti estetici o scientifici, semplicemente perché non si immedesimano nella massa, non volendo e non potendolo fare, si trovano a impantanarsi nelle paludi mortificanti dell’emarginazione, dell’incomprensione,se non del rifiuto intollerante che è conseguenza (individuo/società) di una reciproca incompatibilità.
Purtroppo non tutti questi individui possono elevarsi al rango di genialità magari non amate ma comunque ammirate e rispettate (Beethoven, Michelangelo, Leonardo), genialità che pur nell’eccellenza del loro indiscutibile talento hanno sofferto i drammi della diversità. Ma si deve considerare il limbo deprimente della solitudine in cui,pur nelle nostre civilissime società, il “diverso” è relegato senza alcuna gratificazione culturale. Eppure si pensi che tale individuo, malcompreso, trascurato, o addirittura ritenuto superfluo e ingombrante, rappresenta pur il sale necessario, o se preferite la goccia d’aceto o d’amaro, che porta alle necessarie riflessioni sui valori effettivi di un pur civile consesso umano. Riflessioni e considerazioni malviste e intollerabili (pensate alla fine che fa il grillo che rimprovera Pinocchio!) perché distolgono dal godimento di una apparente ma appagante sensazione di “appartenere” al proprio tempo.
Perché la “diversità” in quanto tale si pone sempre in posizione critica e di inesorabile approfondimento di fronte alle cose e ai fatti ai quali pur esso appartiene per necessità storica.
Insomma, a dirla tutta, colui che è diverso dalla massa, astenendosi dai suoi rituali e dalle sue omologazioni, si pone di conseguenza alla giusta distanza dai fenomeni sociali e umani per osservare senza esserne travolto, assurdità, contraddizioni, menzogne e superficialità.
Tale individuo naturalmente, non omologandosi e non assecondando le universali e indispensabili illusioni di chi gode del suo tempo nel flusso irresistibile dell’onda generazionale in una reciproca accettazione delle regole inderogabili dello stare insieme:(fare le stesse cose negli stessi tempi e modi), non può essere bene accetto e tanto meno amato dalla massa.
Di conseguenza nella contemporaneità esso sarà sempre necessariamente sconfitto perché i molti preponderano sempre sull’uno, anche se talvolta, nelle conseguenze di una società che si trasforma criticamente, l’opera o semplicemente l’esempio, la presenza, la qualità del “diverso” viene ripresa in considerazione e riqualificata.
Questo nei casi e nelle eccezioni di personalità particolarmente forti ed emergenti. Per il diverso “comune” (contraddizione in termini!): l’asociale, l’introverso, il barbone, lo scontento, il misantropo, non resta che rassegnarsi alla sua “diversità” senza nemmeno compensi o riconoscimenti postumi, o tuttalpiù può tentare l’inganno, per sé e per gli altri, di un “inserimento” fallace e penoso in una massa che non comprende e non ama e da cui non è amato e compreso.

Il Racconto dei Racconti

Matteo Garrone, altro talento italico della nostra ultima fortunata covata, insieme all’ormai celebrato Sorrentino, al napoletano Martone e pochi altri battaglieri “sudisti”, si lancia con “Il Racconto dei racconti” nell’Olimpo grottesco e crudele delle arcaiche fiabe seicentesche dello “Cunto delli cunti” del Basile, curioso genio di certo cupo barocchismo. E cupe, tetre, feroci fino all’orrido sono per tradizione le antiche fiabe nostre, fatte più per terrorizzare i piccini che per indurli al sonno. Orchi, mostri, draghi, antropofagi, tiranni, streghe e quant’altri ha accumulato nei secoli l’immaginario collettivo di remote civiltà annichilite dallo sgomento del delitto e della morte.
Il grande, indimenticabile, Francesco Rosi (altro uomo del sud!) col suo “C’era una volta” si era già tuffato con affetto nelle memorie della favolistica delle antiche novelle, ma l’aveva fatto con lo spirito e la grazia del geniale umorista, risparmiando come un nonno gentile gli orrori ai nipotini e gratificandoli del rassicurante:”. E vissero felici e contenti”. Garrone non ha pietà per i bimbi buoni, si rivolge agli adulti e alle loro paure nascoste. Nulla ci viene risparmiato, la galleria degli orrori è lunga e tenebrosa, ma i colori, le luci, le tenebre, cielo e terra, tutto è svelato con mano geniale, da pittore “maledetto”, curioso di anatomizzare pur i più fetidi cadaveri. Giù nella terra grassa fremono gli istinti più atroci:vanità, follia, orgoglio, i soprusi dei potenti, più sù, nell’aria di nuovo chiara e innocente di infantili aurore, si specchia come il risveglio d’un fanciullo dai suoi incubi notturni.
Le fiabe di Garrone, a dirla tutta, ci han preso e convinto nonostante a Cannes fossero in seconda fila rispetto all’attesissimo “la Giovinezza” di Sorrentino, un’opera levigatissima di sontuose citazioni filosofiche, in una specie di autocelebrazione molto compiaciuta, troppo compiaciuta di sé….

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Cinema Il racconto dei racconti locandinaIl racconto dei racconti
Tale of Tales

Un film di Matteo Garrone
Con Salma Hayek, John C. Reilly, Christian Lees, Jonah Lees, Alba Rohrwacher, Massimo Ceccherini, Laura Pizzirani, Franco Pistoni, Giselda Volodi, Giuseppina Cervizzi, Jessie Cave, Toby Jones, Bebe Cave, Guillaume Delaunay, Eric MacLennan, Nicola Sloane, Vincenzo Nemolato, Giulio Beranek, Davide Campagna, Vincent Cassel, Shirley Henderson, Hayley Carmichael, Stacy Martin, Kathryn Hunter, Ryan McParland, Kenneth Collard, Renato Scarpa
Fantasy, Ratings: Kids+13,
durata 125 min.
Italia, Francia, Gran Bretagna 2015.
01 Distribution

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Onna: i morti ci insegnano a vivere

Non è una frase ad effetto o un semplice paradosso. Veramente i morti ci insegnano a vivere, a capire e ad amare la vita. A Onna, un paesino in provincia dell’Aquila, settantadue anni fa si compì l’eccidio di 17 vittime per mano di truppe tedesche. In quei giorni terribili il nostro infelice paese, pur vicino ai giorni luminosi della Liberazione, fu straziato dai crimini sulle popolazioni indifese che gridano oltraggio all’umana civiltà. S. Anna di Stazzema, Marzabotto, Fosse Ardeatine, S. Miniato, Onna… Fu una sequenza di ferite e di orrori che gridano a eterna vergogna di una nazione che pur si diceva fra le più avanzate e progredite. Ferite incancellabili, violenze inaudite perpetrate su uomini e donne innocenti e disarmate che viveva nella pace e nell’attesa di una vita fatta delle oneste certezze di chi confida nella naturale continuità delle cose e dei giorni: lavoro, affetti, speranze.
Tutto fu investito e sradicato come per effetto di una terribile alluvione, alluvione di ferocia e di sangue. Il sangue innocente di Onna ritorna a parlarci, oggi, del terribile sacrificio di quelle vittime che non erano guerrieri, non erano eroi, ma di cui oggi torniamo a ricordare e celebrare la memoria noialtri che scampammo alla tempesta e al furore cieco perché venimmo dopo, figli e nipoti di quelli innocenti. Pur accomunati alle vittime di oggi e di ieri, insieme alle vittime pur innocenti del terremoto dell’Aquila, a fianco di chi morì per incuria e fatalità, Onna oggi ricorda chi fu falciato crudelmente come povera erba di campo. I morti ci insegnano a vivere, ad amare la vita e confidare sempre e comunque nella speranza di una esistenza dignitosa e serena.
Per questo Aquila forever che celebra le vittime del terremoto vuole accomunare nell’uguale amorosa memoria i morti di ieri e di oggi donando alla comunità ferita di Onna una parte del pannello pittorico che tanti artisti hanno contribuito a creare.
Un piccolo gesto pur significativo che vuole rendere onore a coloro che con lo strazio del loro sacrificio ci lascia eredi di una vita ancora più preziosa e, nonostante tutto, ancora ricca di speranza e fiducia nell’umanità.

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Onna (L’Aquila)
Casa della Cultura di Onna
l’11 giugno 2015

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Casa Onna, insieme agli Archivi del Presenteismo e l’Associazione Culturale “Aquila Invicta”, presenteranno l’11 giugno 2015, in memoria dell’eccidio nazista dell’11 giugno 1944 e delle vittime del terremoto del 6 aprile 2009, nella Casa della Cultura di Onna edificata con il contributo finanziario del Governo tedesco, i due pannelli “Onna nel cuore”.

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Mostre ONNA I MORTI CI INSEGNANO A VIVERE Onna - macerieMostre ONNA I MORTI CI INSEGNANO A VIVERE Foto Casa Onna  Mostre ONNA I MORTI CI INSEGNANO A VIVERE Pannello Onna destro

 

Roma: San Basilio Ieri e Domani

Il 20 giugno nei locali del centro culturale Aldo Fabrizi sarà visibile la manifestazione/evento intitolata al quartiere di San Basilio a cura della “UNRRA CASAS”, degli archivi del Presenteismo e con la collaborazione della Università “la Sapienza”.
San Basilio è uno dei quartieri storici della estesa periferia romana, quartiere che ha un’anima e una sostanza tutta sua fatta di tradizione colore e qualità urbanistica finalmente rivalutati alla luce di una necessaria valorizzazione culturale.
Perché la cultura di una città non è fatta solo di aristocratici simposi e di rinomati salotti alto—borghesi; è fatta sopratutto di gente, di persone, di agglomerati umani in cui si esplicano le necessità e i bisogni che fanno la storia e la tradizione di quel determinato perimetro fatto non solo di cortili e di case ma anche di sentimenti e di emozioni.
Oggi San Basilio, dopo i suoi trascorsi storici (ebbe salda partecipazione alla lotta partigiana nei giorni bùi dell’occupazione) vive una specie di popolare rinascimento fatto di decentramento culturale, manifestazioni, concerti, letture, nei quali si porta il senso e il valore artistici della “polis”, della città, nelle estremità finora trascurate dall’antico centro storico.
Non ultimi concorrono al rinnovamento estetico gli interessanti e notevoli interventi pittorici “murali” realizzati da importanti artisti sul corpo stesso degli edifici del quartiere. Riqualificazione e storicizzazione di San Basilio promossa a necessaria continuità con lo spirito tradizionalmente sapido e battagliero delle sue genti.
La manifestazione del 20 giugno attende a tutto ciò e si ispira al colore, agli spazi, all’intera collettività umana che in quel mondo si realizza concretamente.
Nello spirito delle pitture murali del quartiere, il grande pannello che sarà presentato ingloba e accomuna artisti italiani e stranieri con tutto il loro portato creativo singolare in un mosaico che vuole significare la stessa comunità di edifici e di gente, pure eterogenei di vivaci contrasti, ma legati e connessi da un’unica coscienza fatta di speranze e di intenti.

 

Roma San Basilio Ieri e Domani 1 Roma San Basilio Ieri e Domani 2

Bottega del Misantropo: Tutti in cucina!

00 AdN Bottega del Misantropo_logo_1È luogo comune, comunissimo, che delusi e frustrati negli affetti, nella ricerca del successo e di quant’altri fondamentali desideri, ci si “butti” per consolazione nelle tiepide braccia dei conforti cibari. Beffati dalla sorte nella testa e nel cuore, ci si rivolge alla pancia.. Già, la famosa “gratificazione orale”, ve ne ricordate?
Eravamo piccoli infanti e il cibo era molto di più che una necessità di mera sopravvivenza, era sicurezza, amore, dolce mammella, infantile, innocente orgasmo. Ne sa ben di più di qualcosa il vostro misantropo, più di chiunque per sua natura deluso, amareggiato, schifato dalla circostante umanità, nel suo amore, ma che dico amore… passione! per cibi, ricette, fornelli, odori e sapori, domestiche e rassicuranti nicchie di antichi baci materni. E se così è ecco spiegarsi l’alluvione, il profluvio ovunque e dovunque di chef, presunti chef, massaie in azione culinaria, gustatori e gustatrici e di innumerevoli trasmissioni incentrate sullo spettacolo gastronomico. Che di vero e proprio spettacolo ormai si tratta; lo show delle dispute e delle gare mangerecce ha travalicato ogni limite, inondando di sé ogni recinto circostante. Se una volta era solo uno spazietto umile e dimesso senza pretese intellettualistiche, siparietto per grigie massaie, ora è un oceano che ha surclassato quiz, talk show, dibattiti d’arte storia e filosofia, invadendo financo il semiproibito spettacolo erotico: anche la pornostar, il politico, il calciatore, l’attrice, il mistico, indossano la “parannanza” e si gettano felici nella mischia gastronomica.
Si spadella a tutte l’ore, un persistente odor di soffritto ha invaso stazioni pubbliche e private, ha oscurato sesso e politica (grandi delusioni!).
Maestri e boss della dietetica imperversano infliggendoci dall’alto della loro mutria pseudoscientifica una ridda, un balletto di diete, regimi, calcoli calorici e bilancini psicoalimentari litigando e contraddicendosi come nelle dotte dispute dei maggiori filosofi. Insomma se la piccola nicchia consolatoria, lo spaghetto di mezzanotte, o la semplice pastarella divorata di nascosto è ormai aperta e assordante questione planetaria, vuol proprio dire che siamo tutti tornati in braccio a mammà, anzi alla nonnina, e alla loro fragrante cucina che curava le nostre lacrimucce, i primi calci e schiaffi presi per strada. Ma le umiliazioni e le piccole ferite della nostra infanzia ormai sono una totale, divorante frustrazione globale, un inganno generale nel quale restiamo tutti orfani e abbandonati senza niente a cui aggrapparci. Crisi è parola ancor troppo generica: è una voragine, un buco nero che ogni giorno inghiotte speranze, affetti, entusiasmi, progetti, desideri. Non ci resta nulla o quasi. Miseria e angoscia bussano alla porta?…
Niente salotti o anticamere, tutti in cucina! Se ci stiamo ormai troppo stretti bisognerà allargarla…