Tutti gli articoli di Luigi M. Bruno

Bottega del Misantropo: Un poeta … ma come si permette?

00 AdN Bottega del Misantropo_logo_1-ridConfessiamolo. Qualcuno di voi, pur appassionatamente dedito alla scrittura poetica alla quale dedica tempo, ricerca, approfondimento, diciamo pure lavoro di mente di spirito e di corpo, osa ciononostante presentarsi pubblicamente in quanto tale, cioè poeta? — “Buongiorno, molto lieto!.. Non ho ben compreso, di che si occupa?”— “Ah sì, sono un poeta!” — Al che gustatevi il viso dell’interlocutore che rapidamente scolora dallo stupore all’imbarazzante mortificazione. Forse il signore pensa di essere preso in giro e non sapendo come continuare la conversazione abbozzerà un forzato sorrisetto guardandosi intorno in cerca disperatamente di un appiglio esterno. Forse potrebbe, essendo spiritoso, non battere ciglio e replicare: “Ah, bene! Io invece sono un astronauta!.. Incontriamoci qualche volta!” Ma c’è di peggio. Si può avere a che fare con sciocche signore che all’udir ciò, come se aveste detto di vivere nel mondo delle fate e dei balocchi parlanti, si accendono di un sorriso ispirato: “Beato lei!.. Che bello!”, come foste un felice demente che si trastulla con nuvole e fiori ignaro della dura realtà.
Non parliamo poi di altre reazioni addirittura offensive o indecenti, da chi vi prende per un patetico matto, o per un ubriaco o un drogato, o un delirante barbone infiltratosi alla festa senza invito, come quei mattacchioni che vanno ai festini matrimoniali spacciandosi per parenti.
Insomma, non facciamola lunga, poeta sic simpliciter non si dice (anche se lo si è, e ci costa una vita quasi sempre ai margini). Meglio, come pur fecero fior di poeti, denunciare il banale ruolo sociale, il lavoro di cui bene o male si vive: “Sono un ingegnere, insegno, inforno pane, faccio il postino ecc. ecc.”— Probabilmente anche Dante o Shakespeare, sollecitati dal solito importuno o ufficialmente intervistati, si sarebbero ben guardati dal dire:” Sì, sono un poeta!… E lei che fa?” — E che dire delle graziose fanciulle, magari ispirate ad un probabile accoppiamento con voi: “Che fai nella vita tesoro?” — “Ah sì, faccio il poeta!” — Figuratevi la fuga più o meno precipitosa che possono prendere le nostre amiche, o magari vi ridono in faccia cercando in fretta qualcun’altro più “uomo” e sicuro. Perché, fra l’altro, essendo le donne le note depositarie in terra dell’essenziale, solido realismo (non fatevi prendere in giro dai loro finti languori romantici!) dal momento della vostra incauta esternazione non scommetteranno più un centesimo sulla vostra capacità di farvi largo nella vita, e nemmeno forse sulla vostra capacità amatoria!… Che uomo è, diciamolo, un poeta?
Una volta era un decorativo cortigiano confuso al buffone e al saltimbanco, buono per ruffiani panegirici in lode di battesimi matrimoni e funerali. Ma questo ruolo, che benché modesto dava pur da mangiare, oggi in totale abbandono, relega infine il nostro poeta tra gli inutili, superflui, oziosi, improduttivi esseri della nostra felice società… Dirò di più, il tale che si definisce a viso aperto poeta (che faccia tosta!) è sicuramente qualcuno da tenere a bada, un asociale, un instabile, un labile e malsicuro individuo capace di tutto, una pecora nera da cui guardarsi, può rubarvi in tasca o mettervi una bomba in casa, offendere le signore o fare la pipì fuori dal vasino. Si dice: un poeta a che serve? I rari, rarissimi fortunati e privilegiati che con i loro versi hanno incredibilmente raggiunto le vette della celebrità, più che altro vivendo poi di saggi e recensioni, sollecitati in pubblico amano definirsi più genericamente “scrittori”, che è un tantino più rassicurante, quasi una onorevole professione.
Oppure coraggiosamente confesseranno di “occuparsi di poesia” come una materia di studio, da entomologo che osserva le farfalle o un archeologo che scava i ruderi… Eppure, infine eccoci qua, che spudoratamente ammetto di amare e vivere della mia poesia (anche se il pane, si sa, ce lo dà lo stipendio o la pensione). Sì, lo confesso, sono un poeta!.. Ed ecco la signora dilatare gli occhi, corrugare le sopracciglia e torcere le labbra in un moto quasi di stizza: “Un poeta?…… Ma come si permette?”.

Birdman, l’uomo—uccello vola su Broadway

Trionfa sui nostri schermi, come enfaticamente proclamavano i “provini” di una volta (leggi “trailers”), Birdman di Alejandro González Iñárritu, che stravince l’Oscar di miglior film dell’anno. Lo stile è molto, molto “americano”: agitato, convulso, drammatizzato agli ultrasuoni, sudato e frenetico.
È l’eterna temperatura dei drammoni teatrali di questo ancor giovane paese, da O’Neill a Tennessee Williams a Arthur Miller fino all’ultimo commediante, tutto è rigorosamente sopra le righe ed eccessivo e tutto sommato abbastanza ingenuo, come può esserlo la visione drammatica di una civiltà che vive senza mezze misure e sfumature i suoi abissi sentimentali. Da noi, in Europa, è tutt’altra storia: troppi secoli e troppa strada si è fatta per giungere ad altre raffinatezze, altre caute introspezioni; Cecov o Pirandello sarebbero impensabili nello stile Broadway! Infatti Birdman è molto “all— Broadway”: si tratta in breve delle angustie; miserie, ripicche, litigi e passioni intorno alla tormentata messa in scena di un dramma. Tranne alcuni esterni dove l’uomo—uccello torna a volare o inscena una corsa in mutande sotto la pioggia, i giochi sono tutti teatrali, chiusi nelle quinte anguste ed elettrizzate di un teatro newyorchese. Birdman è l’eroe, anzi il supereroe che ha avuto soldi e celebrità col suo costume alato, ma adesso vuole diventare attore vero e protagonista di una nuova scena, misurarsi fuori dai set hollywoodiani di serie B per dimostrare (soprattutto a sé stesso) che l’uomo vale anche senza penne da volatile.
Nel tortuoso percorso verso il sofferto successo, anzi verso la resurrezione dell’uomo—Fenice, non ci viene risparmiato proprio nulla delle tipiche maschere e dei luoghi comuni del teatro americano: l’attore impulsivo tutto genio, sesso e sregolatezza che violenta le convenzioni del teatro borghese, l’attrice fragile e frustrata, la figlia sputasentenze e incattivita dal solito padre “assente”, la moglie paziente e assennata, financo l’eterno nume—critico teatrale che dall’alto dei suoi corsivi attesi come oracoli dispensa vita o morte… Inoltre c’è la mitologia “yankee” dei supereroi e dei mostri fumettari (del resto noi abbiamo, di più antica data, Teseo e il suo Minotauro) e infine la folla isterica e plaudente alle follie dei protagonisti. Il tutto infine in salsa appunto agitata e frenetica come una maionese impazzita di andirivieni e alterchi senza riposo. Ma questa è l’America, con l’irrompere del suo genio ingenuamente corrosivo nell’attesa dell’inevitabile lieto fine e della nuova aurora in cui il protagonista dalle buie cantine e botole teatrali torna a librarsi sulle nuvole… A proposito, i superpoteri di Birdman sono realtà o sogno dell’attore? Ma forse poco importa.
A suo modo Birdman è un capolavoro, sincero fino all’eccesso, amaro e divertito coi suoi feticci e i suoi eroi immortalati dal “Web”.

Luigi M. Bruno

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Birdman

Un film di Alejandro González Iñárritu
Con Michael Keaton, Zach Galifianakis, Edward Norton, Andrea Riseborough, Amy Ryan, Emma Stone, Naomi Watts, Lindsay Duncan, Merritt Wever, Jeremy Shamos, Bill Camp, Damian Young, Natalie Gold, Joel Garland, Clark Middleton, Anna Hardwick, Dusan Dukic, Carrie Ormond, Kelly Southerland
Commedia, Ratings: Kids+13
USA 2014
durata 119 min.
20th Century Fox

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I “fantasmi” di Marco Stefanucci

Marco Stefanucci pittore o pittoscultore come lui stesso ama definirsi, in effetti elabora una spazialità e una dimensione originale nella quale i suoi monocromi vibrano insofferenti della loro bidimensionalità in cerca di una resa plastica realizzata attraverso l’elaborazione di supporti cartacei o di tessuti che si distendono, si piegano, ondeggiano, con trasparenze misteriose su figure che ora si concretizzano ora si diluiscono nell’apparenza di una fisionomia, uno sguardo, che sa di affascinanti ectoplasmi. Sono figure che o sono esplicite rielaborazioni da dipinti antichi o apparenze, spesso ambigue e sfuggenti proprio come le evocazioni di un medium, assumendo attraverso gli strati materici e le colature bituminose sostanza e qualità di arcaici richiami, rimandi ad antiche memorie.
In effetti l’artista, con una raffinata e sperimentata tecnica di velature, sovrapposizioni, nella resa di uno sfumato di prestigiosa qualità, assomma e risolve una concentrazione espressiva che fa di un ritratto qualcosa di più di una semplice resa fisionomica.
E’ amore per una assenza, o meglio per una presenza sfuggente, indefinita, che ora ” buca” il buio della tela, ora scompare in un “notturno” atemporale.
Sì, è amore per chi non ha più voce ma con dolorosa e languente effusione riaffiora e cattura una nuova vita che ha pur del transitorio, del momentaneo. E’ questa la magia dell’artista, la magia della materia fatta carne e respiro, anzi spirito ed essenza di un “qui e adesso” eppure di un ieri, un tempo trascorso che nella necessaria indeterminatezza trova il “momento” che la fissa, sogno e sostanza del nostro immaginare.

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MARCO STEFANUCCI
Rubedo
Dal 20 febbraio al 7 marzo 2015

Roma
Galleria Lombardi
via di Monte Giordano, 40
Tel. 333.2307817 – 338.9430546

Orario:
dal martedì al sabato
dalle 11.00 alle 19.00
il venerdì dalle 11.00 alle 23.00

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Da Roma a L’Aquila per sempre

Alessandro Piccinini, artista aquilano, con l’evento “Aquila Forever”, orchestrato col valido aiuto del critico Laura Turco Liveri, ha inteso ricondurre all’iniziativa degli artisti e della loro creatività un’importante “pro memoria” sul dramma dell’antica e nobile città e del suo tragico terremoto nel ricordare le sue vittime e nel riaffermare la necessità storica e culturale di salvare un patrimonio insostituibile, inalienabile eredità del nostro paese e dell’intero mondo civile.
Purtroppo il tempo è trascorso, troppo, da quella notte terribile e troppi ritardi, inadempienze e dimenticanze colpevoli lasciano ancora l’Aquila con le sue visibili e crudeli ferite. “Aquila Forever”.
È un grido d’allarme di tanti, tanti artisti italiani e non, sull’urgenza di salvare, ora e per sempre, questo prezioso patrimonio che ancora giace tra le macerie; grido che è una generosa gara per amore dell’arte e della tradizione che lega tantissime personalità in uno straordinario mosaico pittorico, piccole tessere che compongono una voce all’unisono, una denuncia per chi, oggi e ancora, dimentica o ha dimenticato l’Aquila che rischia di diventare una città fantasma.
Artisti di diversissime tendenze e provenienze sono accorsi a comporre questo mosaico-manifesto che è un coro di allarme e di accusa.
I nomi di chi ha aderito sono tanti, impossibile elencarli tutti: il già citato Piccinini, Calabria, Andùjar, Dorazio, Mongelli, Bruno, Paluzzi, Falasca, Mingardi, Sabene, Ochoa ecc.ecc.
La manifestazione, corredata dalla preziosa documentazione fotografica del terremoto e da vari interventi critici oltre che poetici e musicali, si è spostata dal centro culturale “Gabriella Ferri” al centro culturale “Aldo Fabrizi” e ancora in seguito presso il museo “Venanzo Crocetti”, sempre qui a Roma, riscontrando ovunque successo e risonanza particolari.
Infine dal 21 al 31 marzo si concluderà al palazzo dei Nobili all’Aquila dove l’opera mosaico resterà definitivamente, nella Casa dello Studente, proprio laddove più terribile per vittime e distruzione è rimasta più ampia la ferita che è impossibile dimenticare.

 

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00 Mostre L’Aquila Forever 2015_03_aquila_fForeverL’AQUILA FOREVER
Dal 18 ottobre 2014 al 31 marzo 2015

Roma
Centro Culturale Gabriella Ferri e altre sedi

L’Aquila
Palazzo dei Nobili
Dal 21 al 31 marzo 2015

Informazioni:
tel. 06/4391575
Sito web

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Gli artisti partecipanti all’evento provengono da diverse parti del mondo, tra cui Argentina, Austria, Belgio, Brasile, Croazia, Francia, Germania, Iran, Italia, Libano, Romania, Spagna.

Artisti partecipanti
E. Accoto, S. Agostini, G. Aiolo, S. Alessi, A. Allocca, E. Andújar, F. Antonelli, M. Bagordo, A. Baldissera, S. Barbagallo, R. Bartolozzi, L. Bergamini, A. Bilotta, F. M. Bonifazi, A. Boschi, R. Brandi, G. Brizzio, N. Caito, E. Calabria, N. Cannizzaro, J. Capilla Fernandez, C. Capuano, S. Carletti, C. Carratalà, A. Catini, M. Cosimelli, F. Crisarà, G. Cuocolo, M. De Angelis, S. De Angelis, G. Di Bernardini, F. Di Cicco, P. Di Sciullo, F. Di Stefano, M. Di Tonno, F. Dodi, F. Durelli, E. Echeoni, M. Emanuele, D. Falasca, P. Falcone, F. Fedele, L. Ferranti, F. Ferrari, S. Gagliano, A. Gentile, S. Giugno, S. Giunta, M. Glorioso, E. Guerra, C. Guiducci, R. Gulotta, S. Herler, H. Tchoukatcheva Petrana, A. Iaccarino, M. Ionascu, B. Jandolo, D. Lihor, L. Lombardi, M. Loro, P. Maccioni, L. Manciati, C. Marcelli, C. Mariani, A. Massinissa, R. Mele, V. Milici, J. Millán, D. Mingardi, V. Miroballli, S. Mirra, A. Mongelli, Monil, A. A. Moussa, T. Musilli, I. Nurigiani, M. C. Ochoa, J. Pace, G. Paluzzi, L. Paratore, M. Parentela, A. Passa, P. Pastore, A. Piccinini, T. Pollidori, V. Pucci, R. Quintini, M. Ramazzotti, G. Reffo, R. Restante, Rezakhan, R. Ricci, A. Risuleo, R. Rodriguez, M. Ruiz Ruiz, S. Ruocco, C. Sabellico, O. Sabene, N. Santarelli, L. Santoro, S. Savini, A. Scappaticci, E. Scardamaglia, G. Sciannella, M. Serri, I. Seta, S. Sfodera, G. Soldi, K. Thomas, L. Tocci, G. Tranchida, I. Tufano, Valdor, P. Veneziani, A. Vespaziani, C. Vigevani, P. Votinariu, O. Zampieri.

Curatori A. Piccinini, L. Turco Liveri

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Naufraghi in città

Hae Lee Yun, regista coreano (classe 1973), nel 2009 praticamente esordisce con il suo lungometraggio “Castaway in the Moon” (Naufrago sulla luna), uno straordinario “pamphlet” o se volete una denuncia seppur ironica, tra il grottesco e il poetico, di una condizione umana contemporanea stravolta dall’escalation super tecnologizzata che ci aliena ogni giorno di più dalla sostanza e dal nodo essenziale della nostra sacrosanta umanità.
Attraverso il maldestro tentativo di suicidio del giovane protagonista che invece di annegare approda su un deserto isolotto in mezzo alla città dove resterà incredibilmente prigioniero, novello Robinson Crusoe, nonostante sia a un tiro di schioppo dalla metropoli che lo ignora, ci si spiega in termini brutali e paradossali come ognuno di noi viva perso e naufrago nel marasma di un mondo pur vicinissimo ma in realtà estraneo la condizione di una miserevole ed umiliata umanità. Così la lingua sabbiosa e la città diventano e sono per metafora e in concreto landa lunare e desolata in cui si svela totale la propria solitudine.
La favola, grottesca e crudele, ci racconta quindi che il ridicolo naufrago in mezzo ai detriti della città si spoglia ogni giorno di più dalla sua scorza di superficiale civiltà per sopravvivere riutilizzando con l’acume talvolta geniale della necessità i rifiuti che la marea gli depone ai piedi. Così l’uomo con l’essenzialità del suo necessario adattarsi riacquista le capacità elementari perdute nei meandri illusivi di una matrigna irrealtà tecnologica: ridiventa per forza cacciatore, pescatore, agricoltore, costruttore, edificando giorno per giorno una nicchia di sopravvivenza dove il poco o quasi niente ridiventa l’indispensabile.
Ma non basta; l’autore lancia un’altra geniale esca: una stralunata ragazzina, auto reclusa alla sommità di un grattacielo, circondata da ogni ben di Dio tecnologico scruta il mondo esterno pur rifiutandolo (la madre le passa i pasti sotto la porta e lei esce per le necessità corporali solo quando in casa rimane sola!).
Siamo agli estremi di una condizione addirittura comica nella sua mostruosità, ma l’assurdo si traduce poi nel poetico di una vita faticosamente riacquistata alla bellezza degli umani, imprescindibili sentimenti.
La fanciulla, anche lei “marziana” e straniera in mezzo alla città, anche lei naufraga nel suo isolotto di plastica e metallo, scopre dalla cima della sua torre col suo superteleobiettivo il buffo ometto ormai felicemente inselvatichito. È il “gancio” attraverso un singolare e improvviso innamoramento per vincere la sua paura del mondo: ha scoperto qualcun altro in mezzo alla luna, mentre lui coltiva pazientemente i suoi chicchi di grano e lei di notte fugge dalla sua prigione per lanciargli i suoi messaggi in bottiglia. Fino a quando l’incredibile naufrago, recuperato finalmente, riapproda malvolentieri sulla riva della “civiltà” e lei ritrova il coraggio per evadere definitivamente dalla sua prigione. Così Robinson e la sua leggiadra Venerdì, reduci entrambi dall’avventurosa follia di un mondo assurdo e straniante, fatalmente si incontrano e si riconoscono.
La tessitura dell’apologo, a tratti geniale, ci ammaestra e ci ammonisce pur con la leggerezza di un satirico poeta sui tratti essenziali di questa parabola curiosamente impietosa.
Un doppio naufragio stavolta a buon fine.

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00 Cinema Castaway on the Moon locandinaCastaway on the Moon
Titolo Italiano
Naufrago sulla luna
Registi: Hae Lee Yun
Anno: 2009
Sceneggiatore: Hae-jun Lee
Fotografia: Kim Byung-seo
Musica: Hong-jip Kim
Nazione: Corea del Sud
Durata: 116 minuti
Produzione: KIM Moo-ryoung – Banzakbanzak Film Production
Distribuzione Internazionale: CJ Entertainment Inc.
Cast
Jung Ryeo-won
Park Yeong-seo
Yang Mi-kyung
Min Kyoung-jin
Jang Nam-yeol
Yi Sang-hun
Jang So-yeon

Trailer

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