Tutti gli articoli di Luigi M. Bruno

Bottega del Misantropo: Catastrofi, che passione!

00 AdN Bottega del Misantropo_logo_1Se comete-killer o asteroidi impazziti non faranno scempio di noi come bersagli da luna-park, se non arrostiremo in un immane “barbecue” da megaeruzioni solari o annientati da interstellari raggi-gamma, se non ghiacceremo inglobati nei nevai di prossime glaciazioni… bé, forse ci toccherà morire di noia tramortiti dalla serie infinita (prevalentemente di produzione americana) degli immancabili film-catastrofe! Pare che negli “States” il genere sia richiestissimo, magari iettatorio e di malaugurio nel resto del mondo, ma invece laggiù, nella felice terra della democrazia e delle opportunità il cittadino medio soffre i piaceri e i dolori di una autocastrazione da futuro incerto e tenebroso.
Ebbene, è così: nella terra dell’ottimismo a tutti i costi, degli inevitabili “Happy end”, degli ingenui e zuccherosi idealisti, dei don Chisciotte in jeans lancia in resta contro i cattivi e dai solidi bilanci comunque in attivo, proprio laggiù, per imperscrutabili labirinti di autopunizione e di indecifrabili paure chissà da quanto sopite, il felice popolo dei liberatori, dei rudi e leali cow-boys, dei coraggiosi astronauti, è diventato un popolo di annichiliti spettatori che si crogiola e si fustiga nell’attesa del fatale, apocalittico sterminio! La serie dei film è praticamente infinita, un esercito di sadici sceneggiatori ogni giorno ne sfornano uno per l’orgia spettacolare di un ormai imbarazzante masochismo: se non è il pianeta che sbrocca da sé è un dannato asteroide che ci punta, se non è un’invasione di crudelissimi alieni è un nuovo diluvio universale o magari una schifosa epidemia incontrollabile…
Ma da chi o da che cosa questo ex-felice paese vuole punirsi? Perché invoca continuamente quasi con lascivia la terribile scimitarra divina?… Forse per antiche sopraffazioni e ingiustizie perpetrate sempre in nome dell’equivoca libertà? Forse pr delitti e oscure trame nascosti sotto il tappeto? O non è una specie di catastrofica liberazione invocata dalla corrotta metropoli-gomorra dove di tutto si fa merce in nome del fondamentale profitto?… E se fosse ormai un incubo ricorrente per esorcizzare l’orrore di un indimenticabile 11 Settembre? Certe ferite sono indelebili e lasciano strascichi che è difficile superare. Penso ai reduci dei campi di sterminio che non riuscirono a dimenticare e a ritornare a una vita serena (qualcuno si è suicidato), penso agli incubi dei giapponesi dopo Hiroshima e alla loro filmografia postbellica popolata di mostri orrendi. Penso anche ai disadattati reduci del Vietnam coi loro fantasmi e i loro rimorsi.
Ogni ferita lascia una cicatrice più o meno dolorosa… Ma l’alluvione, l’onda anomala dei film-catastrofe è ormai nell’ordine della quotidianità, della routine, quasi una frenesia compulsiva, irrefrenabile.
Francamente, senza voler rubare il mestiere e le necessarie diagnosi agli agguerriti psicologi, noialtri della vecchia Europa (ahimé…quanto carichi di ferite e rimorsi secolari!) ci rifiutiamo decisamente alla guercia e iettatoria manìa di chi ci perseguita con l’implacabile: “Ricordati fratello che devi morire”. Sì, lo sappiamo bene, ed è per questo che amiamo tenacemente la vita, magari non ricambiati, nonostante tutto, senza volerla inquinare con tetre e punitive autoinquisizioni, abbiamo imparato ad amarla giorno per giorno, fino all’ultimo respiro!

 

 

Leopardi, questo favoloso sconosciuto, ed altro ancora …

00 AdN Bottega del Misantropo_logo_1Saltando le considerazioni critiche sul film di Mario Martone che appartengono di diritto ad un’altra rubrica e di cui diremo dopo, salta all’occhio grifagno del misantropo qualcos’altro da dire. Leopardi? Chi era costui? … Ma sì! Quell’astruso, tetro, fegatoso e sfigato gobbetto che in terza media affliggeva le nostre squallide e noiose mattinate in aula mentre il prof di lettere (forse un po’ tetro e sfigato anche lui) tentava inutilmente di appassionarci alla lirica di costui sillabando con entusiasmo e bave da attore mancato il solito “passero solitario” o la “Silvia” che cantava e ricamava languente e tossicolosa … Direbbe il nostro ex studente del tempo che fu, e continuerebbe: … Ma avevamo altro per la testa, per esempio la ragazzina prosperosa da invitare a ballare, la partita di calcetto, i soldi per le sigarette e il motorino, i cazzotti da restituire a quello stronzetto della terza B, ecc!… Ma che voleva stò Leopardi? Un lamento, un guaire continuo, accidenti al prof e alla sua manìa (forse scriveva poesie lamentose anche lui per fortuna nascoste nel suo cassetto), altro che Leopardi e giaguari !.. Gattucci direi, spelacchiati e con la coda pesta! – Basta. Direi che questa più o meno, tranne qualche isolato e pallido studentello naturalmente schifato dalle ragazze, era ed è la considerazione fondamentale dell’italico ex studente medio e mediocre) sull’opera immortale del poeta marchigiano. Troppo generico e superficiale tutto ciò? Ma, amici miei, generica e superficiale è la cultura delle cosiddette belle lettere da sempre in questo felice paese che pur tanti poeti e scienziati, e musicisti e artisti in ogni tempo ha abbondantemente prodotto.
Il mistero è tutto qui: in questo giardino di terra grassa rozza e maleodorante (forse è il necessario concime) da sempre proliferano fiori bellissimi e profumatissimi. Che farci? Così da sempre, ricordi scolastici o rarissime frequentazioni letterarie, il nostro Leopardi è rimasto a muffire nella sua nicchia di poeta lagnoso e sudaticcio … O che non si lamentava anche la contessina Fanny Targioni Tozzetti a chi le chiedeva, da vecchia, come mai aveva osato rifiutare la corte maldestra dell’immortale poeta? che sì, insomma “quell’ometto si lavava poco e francamente puzzava un bel po’!” … Sennonché, miracoli della cultura popolare (da noi è più immortale la Carrà o Gianni Morandi di Savinio o Gadda o Cardarelli, e forse è giusto così!) arriva il celebrato film di Martone e soprattutto la performance scatenata di Elio Germano che ne fa sì un gobbetto un po’ sudicio e goloso, ma vivace e ribelle e anche un po’ incazzato con punte isteriche da crisi di astinenza da autoemarginazione letteraria, che ce lo ripresentano sanguigno ed estroso come forse non era ma pronto da consumare per i palati grossolani dei nostri ex studenti come un “Big Mac” grasso e gustoso. E così Leopardi risorge come un arcaico vampiro dalle ragnatele del suo avello e riappare e trionfa addirittura nelle edicole come una star rock fumettara … Finalmente la gloria di massa!
Non solo per curiosi e stitici letterati ma vivaddio! Anche per il cosiddetto “popolo” tronfio sì della sua grossolana ignoranza (come lo amava Pasolini) ma vivo e carnale che in questi eroi si riconosce … E Leopardi? Ne sarebbe contento?.. Forse sì, forse no. Ai posteri ….

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Un aereoplanino per volare

Nel grembo ovattato di questa (in)felice società prona, immersa, stravolta, affogata nello strapotere totale, assoluto, della tirannia virtual/digital/irreale, laddove nelle nostre metropoli si aggira una (dis)umanità inebetita fino all’autoipnosi da straniamento in spazi illusori, laddove masse apocalittiche di genti ormai aliene a sé stesse e agli altri non alzano nemmeno più gli occhi non dico al cielo (mai più così lontano ed estraneo) ma almeno all’altro incauto viandante autoipnotizzato, tanto da causare buffi e ripetuti scontri di teste intronate tra i cupi schiavi della irrealtà elettronica… Dicevo, in questo pentolone da incubo fantascientifico (ma siamo noi o sono già arrivati i baccelloni—invasori?)… Ecco, all’improvviso, Dio ti ringrazio! Uno squarcio d’azzurro, un caldo raggio di sole, una brezza odorosa e fragrante che mi rievoca genti e sentimenti tanto arcaici quanto affettuosi e rassicuranti!.. Cioé?… In che forma e qualità si è manifestato questo sorriso che mi incoraggia ancora a sperare?… La forma di un aeroplanino di carta, signori miei, eccotutto!… Vi par poco?… Ma pensate! Aggirandomi per strada, tra i soliti musi intenti in frenetici e muti giochi solitari o a spendersi in monologhi terrificanti… ecco che costeggiando l’esterno di una scuola gremita chissà da quanti diabolici marchingegni multiuso, nell’infuriare di bip—bip, trilli e twitter e sms, autoscatti e quant’altro, tra tablet, IPod, IPhone, PlayStation, smartphone, XBox, nella rissa quotidiana e travolgente di questa nevrosi collettiva, anzi planetaria, cosmica… Vedo volare da una finestra, candido, irridente e gentile nientemeno un aeroplanino di carta, volteggiare come un fiore in graziose spirali e planarmi davanti. Testimone innocentemente trasgressivo di una umanità non immemore di naturali radici eppur fantasiose, di un divagare legittimo trasmesso da avi antichi, da fanciulli remoti che guardavano e reinventavano il mondo con occhi limpidi, con giochi e favole che rimandavano all’essere stesso primitivo dell’uomo, al mito elementare e gioioso di chi per primo si è beato dello spettacolo meraviglioso dell’esistere, nel raccontarlo a misura del suo stupore per sé e per le innumerevoli generazioni avvenire… Possibile tutto questo, voi direte, in un banale, semplice pezzettino di carta a rudimentale forma aerodinamica?… Sì, perché quel benedetto pezzettino di carta stracciato da un quaderno di scuola e lanciato in aria da mani giovani eppur antichissime ci racconta di una speranza, forse una tenace certezza, che il nuovo, invasivo, seducente mondo offertoci su un piatto rilucente e sonoro, con tutti i suoi fili, fischi, zapping e brillar di labirinti policromi, non vale quel piccolo, semplice, aeroplanino di carta che riemerge da elementari, graziose invenzioni per raccontarci di memorie ed emozioni che ancora ci appartengono, di un tempo fatto di nuvole e onde e frutti meravigliosi che ci lasciavano senza fiato, con nulla in tasca e tutto un mondo da spendere!

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1462: sant’Andrea sbarca a Roma

Roma. Una volta, molti secoli fa, era “caput mundi” perché i romani di allora (“tosti” e precisi come svizzeri tedeschi) ne avevano fatto una città che era davvero una grande nazione, un immenso lago dove confluivano razze, religioni, acque, merci, culture, in una specie di accogliente e trionfale pentolone che le amalgamava tutte genialmente.
Finita la gloria politica e militare nel Medioevo Roma ritorna però ad essere “caput mundi” ma stavolta per ragioni mistiche o pseudo—mistiche-politiche; insomma è il fulcro del cristianesimo con tutti i suoi complicati e anche misteriosi traffici. In effetti il “mercato” delle reliquie, vere o false che fossero, toccò allora vertici incredibili imputati molto all’ignoranza scientifica pressoché totale e alla immensa buona fede che sconfinava nella superstizione del popolino, convenientemente diretta e ammaestrata dal clero imperante.
Da allora molte reliquie o presunte tali, all’esame di archeologi e chimici sempre più severi, sono pateticamente scomparse nel nulla o ne è rimasta traccia come di favole ingenue. Ma pur tra le reliquie oggi ancor maggiormente “accreditate” ci piace rievocare l’avventuroso viaggio della onorata reliquia di S.Andrea (l’apostolo fratello di Pietro). Da Patrasso in fuga dai turchi, ad Ancona, poi per via di terra a Narni e poi lungo il Tevere, la Santa Testa dell’apostolo approdò finalmente nei pressi di ponte Milvio dove il papa Pio II la ricevette “brevi manu”, con adeguata cerimonia, dal cardinal Bessarione.
Il fatto accadde l’11 aprile del 1462 e dell’avvenimento (pochi lo ricordano) ne fa fede e testimonianza una edicola con debita iscrizione, poggiata su quattro colonne, dove si erge la statua del Santo (chi dice scolpita da tal Paolo Taccone, chi dice da tali Varrone e Niccolò, fiorentini).
Un altro papa, Pio V, eresse e concesse in seguito nel 1566 alla Confraternita della Trinità dei Pellegrini un oratorio con annesso piccolo cimitero per i pellegrini defunti nella città santa. L’oratorio, pur dimesso e trascurato, è tuttora visibile oltre alcune lapidi dell’antico cimitero. Notevole il fatto che l’edicola di S.Andrea subì la rovina di un fulmine nel 1866 e una conseguente ricostruzione.
Naturalmente la preziosa reliquia del Santo, una volta approdata, non rimase nei paraggi allora erbosi e disabitati, ma si incamminò con solenne processione lungo la via Flaminia sino alla definitiva deposizione in S.Andrea della Valle.
Il piccolo oratorio colà rimasto, oggi purtroppo gravemente negletto (graffiti osceni, parcheggi e altro sudiciume), pur rielaborato dal Valadier nel 1803, è in fiduciosa attesa di un’adeguata se pur modesta valorizzazione.
Più oltre, procedendo sulla via Flaminia si noti la piccola chiesa-tempietto dedicata anche questa a S.Andrea dell’architetto Vignola (l533) ma con diverso antefatto: pare che Giulio III per commemorare la sua miracolosa fuga durante il Sacco di Roma (1427), allora ancor cardinale, la fece in seguito erigere in ricordo di quel giorno memorabile che guardacaso era un 30 novembre, dedicato a S.Andrea; una specie di cappella votiva, rurale e fuor di porta, pur nei paraggi della “sua” altrimenti splendida e fastosa Villa Giulia.

 

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Sulle tracce di una Repubblica dimenticata

 

 

Il bel museo delle memorie repubblicane inaugurato da un paio d’anni all’interno di porta San Pancrazio, corredato dalla cronistoria degli eventi dell’assedio francese del 1849, era il necessario promemoria per chi pur romano di nascita (ahimè!) ignora o trascura uno degli episodi più straordinari del nostro ormai negletto e declassato Risorgimento. Nei fatidici giorni del Giugno 1849 invece si consumò il sacrificio bello e inutile (se mai poi è inutile il sacrificio di chi muore per la libertà) di centinaia di giovanissimi volontari venuti da ogni parte d’Italia e d’Europa agli ordini di Garibaldi per difendere la bella utopia di una giovane Repubblica moderna e democratica.

Molti nostri concittadini che tra “footing” e “picnic” godono la bella villa Pamphili poco sanno di quei giorni gloriosi e dei fatti d’armi che proprio lì si svolsero. Proviamo allora a rifar quattro passi sulle tracce di quei giorni lontani, una doverosa archeologia patriottica consumata in poche centinaia di metri. Entrando a villa Pamphili dall’ingresso principale vediamo troneggiare subito sul colmo della collina il mastodontico arco dell’architetto Busiri—Vici: pochi sanno che esso fu eretto sulle rovine del cosiddetto Casino dei Quattro Venti, una specie di forte Alamo perduto, ripreso e riperduto dai volontari repubblicani assaliti dai battaglioni francesi del generale Oudinot (accorsi a ripristinare il potere temporale di Pio IX intanto fuggito a Gaeta). Esiste una rarissima foto dell’epoca dove si vede l’antica palazzina ridotta tra fori di proiettili e cannonate a una specie di ragnatela muraria. Si deve dire che l’assalto notturno di sorpresa dei francesi si attuò penetrando da una breccia nel muro di cinta della villa più o meno all’altezza dell’odierno largo Grigioni, poco prima della piazzetta del Bel Respiro. Così pochi sanno che l’attuale porta di San Pancrazio, restaurata a suo tempo dal pontefice rientrato sulla sua Cattedra, è risorta sulle rovine della porta letteralmente crollata a forza di cannoneggiamenti sulla testa dei volontari garibaldini. Poco distante, sulla destra della porta d’ingresso, più o meno dove oggi è l’Accademia americana, era un terrapieno detto della Montagnola dove era acquartierata una batteria d’artiglieria che prendeva di mira i francesi che da villa Pamphili assalivano la porta, principale punto di forza delle mura gianicolensi. Gli artiglieri della Montagnola, si narra, si sacrificarono fino all’ultimo uomo quando furono aggrediti alle spalle dai francesi che nel frattempo erano penetrati da un’altra breccia (ancora oggi visibile dal tracciato dei mattoncini bianchi nel muro di cinta ricostruito) nell’attigua villa Sciarra. Poi sempre lì, in quei pochi metri, tra porta San Pancrazio e villa Pamphili, oggi residenza del Grande Oriente massonico,i resti della famosa villa del Vascello, eroico avamposto dei bersaglieri di Giacomo Medici, spina nel fianco all’irrompere dei francesi. Difficile immaginare l’impeto di quei giorni memorabili lungo quella strada oggi intasata dal traffico e dalle costruzioni di Monteverde laddove era solo, fuori dalle mura, campagna e vegetazione. Non bastano come muto promemoria i bianchi e cadaverici busti degli eroi disseminati sul Gianicolo o qualche palla di cannone rimasta incastrata qua e là.

Oggi forse si dovrebbe soccorrere la memoria di eventi così clamorosamente eroici eppur dimenticati con l’ausilio di spettacolari illustrazioni magari filmiche, un pò sulla traccia di queste improbabili rievocazioni pseudo storiche oggi in voga molto criticabili ma che con la pratica digitale dilatano ed eccitano l’immaginazione delle nostre platee. E qualcosa di simile è stata fatta, in piccolo, sulle pareti del rinnovato Museo della Repubblica Romana, a San Pancrazio, dove appaiono e si succedono personaggi ed eventi di quei giorni indimenticabili. Infine, promemoria lapidaria e preziosa, il testo integrale della Costituzione Repubblicana che lucidamente precorreva in quei tempi di repressione una società invece democratica e tollerante, è letteralmente inciso sul parapetto della passeggiata del Gianicolo, poco distante dall’enorme statua equestre di Garibaldi. Testo che varrebbe la pena di rileggere per intero per capire per cosa e per chi allora si lottava e si moriva: una specie di magnifico sogno, che di sogni spesso vive la migliore umanità, sogni poi che qualche magnifico pazzo realizzerà!

01 Roma da Conoscere Sulle tracce di una Repubblica dimenticata Arco dei Quattro Venti Il 3 giugno del 1849 garibaldini e francesi si contesero il possesso di villa Corsini01 Roma da Conoscere Sulle tracce di una Repubblica dimenticata Arco dei Quattro Venti villa1001 Roma da Conoscere Sulle tracce di una Repubblica dimenticata Porta san Pancrazio Porta_San_Pancrazio_Rome