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DANTE e Latini (ma non Brunetto…)

Per i 700 anni dalla morte di Dante tanti sono i contributi culturali originali per celebrare il Sommo Poeta, tra cui questo libro d’artista curato da Stefania Severi per la Federazione Unitaria Italiana Scrittori (FUIS), non nuova a simili iniziative. Un libro d’artista è qualcosa di diverso dalla normale carta stampata e rilegata; se non un pezzo unico, è sempre prodotto in tiratura limitata e soprattutto recepisce le innovazioni delle avanguardia e riflette la personalità degli artisti. Ora, misurarsi con il sommo poeta non era lieve impresa, ma ben trenta artisti hanno risposto all’appello, interpretando ognuno secondo la propria personalità un verso o un aspetto dell’opera dantesca. Né si creda che l’estro si limiti alla Commedia, pur gigantesco monumento alla lingua e alla cultura italiana: Primarosa Cesarini Sforza interpreta le Rime, Maria Cristina Crespo s’ispira al De Monarchia, Vittorio Fava al De Vulgari Eloquentia e Salvaatore Giunta addirittura alla Quaestio de Aqua et Terra.
Gianleonardo Latini rimane invece legato alle tre cantiche della Commedia, e lo fa legando le proprie immagini ai primi tre versi che costituiscono l’incipit delle tre cantiche. «Nel mezzo del cammin di nostra vita» , ci presenta Dante e Virgilio che si avviano verso l’Inferno. Il poeta poi «A correr miglior acque alza le vele» per accedere alla Montagna del Purgatorio. Infine «La gloria di colui che tutto move» lo innalza alle alte sfere paradisiache. Graficamente l’idea viene sviluppata – esattamente – da un’unica striscia di carta ripiegata a fisarmonica (“a leporello”) e riempita in recto e verso, come del resto altri sei libri della raccolta. La parte centrale è riempita dai tre incipit danteschi, calligrafici, essenziali, mentre il resto delle pagine illustra per scene attigue e dense le tre cantiche, graficamente rese con intensi tratti di matita e pennarelli colorati che drammatizzano le scene. Dante è drammatico di suo, quindi se è facile illustrare, non lo è invece mantenere la narrazione entro un equilibrato registro tra Natura e Arte, dove segno grafico e colore si compenetrano in modo armonico, ma sono in realtà il risultato di un processo di raffinazione del Segno.


Dante nei libri d’artista
Per i 700 anni dalla morte del Sommo Poeta
a cura di Stefania Severi
FUIS – Federazione Unitaria Italiana Scrittori

Gli artisti coinvolti nel progetto sono:
Letizia Ardillo, Raffaele Arringoli, Maria Pina Bentivenga, Franca Buscaglia, Vito Capone, Antonella Cappuccio, Capri Orti, Giovanni di Carpegna Falconieri, Francesca Cataldi,, Primarosa Cesarini Sforza, Bruno Conte, Cristina Crespo, Elisabetta Diamanti, Vittorio Fava, Salvatore Giunta, Carla Gugi, Massimiliano Kornmiiller, Gianleonardo Latini, Silvana Leonardi, Salvatore Macrì, Maria Pia Michieletto, Mauro Molinari, Lucia Pagliuca, Sandro Pazzi, Teresa Pollidori, Enrico Pulsoni, Marco Sani, Vincenzo Scolamiero, Maria Grazia Tata, Giovanni Tommasi Ferroni


Il Milite Ignoto cent’anni dopo

Il sottotitolo recita: “Centenario del Milite Ignoto da Bolzano a Siracusa / Pasquale Trabucco in cammino per l’Italia”. Conosco benissimo l’autore, tra l’altro mi cita nel libro. In quasi 50 giorni dal 22 maggio all’8 luglio 2018 ha percorso da nord a sud l’Italia, zaino in spalla e bandiera tricolore per 1750 km di cui 1400 a piedi a una media di 35 km al giorno, passando per11 regioni e 43 comuni più una serie infinita di piccoli centri, e peccato che manchi una mappa allegata. L’autore (classe 1960) non è uno sprovveduto ma un ex-ufficiale di fanteria ben addestrato, né il lato sportivo dell’impresa è privo di interesse, ma l’anima del libro è un’altra: nel centenario del Milite Ignoto ha voluto rendere omaggio e rinverdire la memoria dei soldati che hanno combattuto e sono caduti durante la Grande Guerra, e riproporre il 4 novembre come Festa Nazionale (derubricata nel 1977). Ogni famiglia italiana ha almeno un familiare morto nel 15-18 e la memoria collettiva è tutto sommato ancora forte, anche se alle giovani generazioni manca quel rapporto diretto che noi avevamo ascoltando i racconti del nonno. Trabucco ha visitato e reso omaggio a una serie sorprendente di sacrari, monumenti ai Caduti e cimiteri militari, ha parlato con sindaci, amministratori e uomini politici di ogni livello, con i rappresentanti delle Associazioni d’Arma, ma anche con la gente comune che per strada l’ha riconosciuto o con cui stava in contatto sui social. Sono proprio questi Italiani comuni ad aver condiviso con l’autore lo spirito dell’impresa e ad aver rivitalizzato la memoria di un secolo prima, quando l’Italia attraverso il sacrificio di migliaia di soldati e civili è storicamente diventata una Nazione, completando un processo unitario in seguito messo in discussione da forze centrifughe o locali. Trabucco ha un talento particolare per le pubbliche relazioni: ha organizzato una pagina Facebook dedicata al suo viaggio, è rimasto in contatto continuo con tutti, ha fondato un comitato civico per il 4 novembre Festa Nazionale, ha partecipato a tutte le cerimonie nazionali per il centenario del viaggio del Milite Ignoto fino a Roma e ha organizzato ogni mese una manifestazione statica davanti Montecitorio per ribadire la volontà collettiva di ripristinare il 4 novembre come Festa Nazionale. Molti sono i parlamentari che l’hanno ascoltato e tanti i sindaci che hanno apposto la propria firma sulla bandiera, anche se il Milite Ignoto ancora aspetta.


L’ ombra della vittoria. Il fante tradito
Autore:Pasquale Trabucco
Editore:Gruppo Albatros Il Filo, 2021, pp. 222
EAN: 9788830642560
Prezzo: € 15,50


Afghanistan: Sentendo l’altra campana

Anche se le delegazioni talebane e le istituzioni umanitarie occidentali stanno negoziando per alleviare le sofferenze del popolo afghano, ormai l’Afghanistan è uscito dai media, anche perché siamo ora pressati dalla crisi Ucraina, la quale ci coinvolge assai più della sorte di un popolo povero, lontano ed estraneo. Ed è proprio il concetto di estraneità a guidare un libro appena uscito, di cui ho avuto notizia dal sito italiano di cultura islamica https://www.laluce.news/, dove è presente anche una scheda dell’autore, Sabri ben Rommane, attivista dei diritti musulmani ed editorialista. Il libro si può acquistare via Amazon. L’autore parte dal lavoro di inchiesta del giornalista del Washington Post Craig Whitlock, che negli Afghanistan Papers “rivelano la portata del terrorismo neo-colonialista occidentale”. Si analizzano dunque gli episodi cruciali dell’invasione dell’Afghanistan, rievocandone fatti e protagonisti. Di noi italiani si parla comunque solo in due punti: quando ci è stato affidato il compito di costruire un moderno sistema giudiziario (pag. 13) e a pag. 36, dove si parla della cattura nel 2011 di un esponente di Al-Qaeda da parte dei nostri incursori, episodio già noto (nome a parte) perché descritto in Caimano 69, un libro scritto da un nostro incursore e che ho analizzato su questa rivista nell’ottobre 2020.
Tornando al libro: Islam a parte, sembra di rileggere quei volumetti di controinformazione degli anni ’70 del secolo scorso, dove il “vero” terrorismo era quello dello Stato e del neocolonialismo. Ma a parte questo, il vero limite del libro è di analizzare soltanto documenti americani peraltro già noti (correttamente elencati da pagina 131 a 138), Interessante sarebbe stato leggere anche la documentazione prodotta dai talebani e dalle altre forze di resistenza afghana, che sicuramente esiste e sarà anche accessibile a chi conosce quella gente e ne condivide lingua e religione. Certo, in vent’anni niente ha funzionato: troppi civili uccisi per sbaglio, faide interne sfruttate con cinismo, un fiume di soldi finito nelle mani sbagliate, una ricostruzione civile condotta con criteri estranei alla mentalità locale, la pretesa di governare dal centro un paese enorme e arretrato, tollerare abusi di ogni genere, creare dal nulla un sistema giuridico in una tradizione tribale, investire miliardi in quello che si è dimostrato in assoluto l’esercito peggiore del mondo, costruire infrastrutture delegandone ad altri la realizzazione, appoggiare una classe dirigente corrotta e in fondo pronta quanto i Signori della guerra a venire prima o poi a patti coi talebani. Che tutto questo nel libro sia filtrato e analizzato attraverso una visione islamica può aiutarci ad entrare nel cervello degli altri, ma in fondo poco aggiunge alla realtà dei fatti: quando l’obiettivo è poco chiaro o viene cambiato in corso d’opera e a tutto questo si somma l’ignoranza culturale, i risultati sono comunque impossibili. L’autore giustamente nota che l’Afghanistan è comunque un paese islamico e che per loro saremo sempre degli Infedeli che non capiscono la cultura e la mentalità locale. Su questo argomento è difficile dargli torto. Ma è improprio persino parlare di colonialismo: almeno quello tradizionale gestiva in proprio le risorse, le operazioni militari e la costruzione delle infrastrutture, mentre in Afghanistan (ma anche in Africa) si è alla fine appoggiata una classe di potere lontana dalla gente, corrotta e incapace ma indispensabile per garantire un equilibrio in realtà precario. E i risultati si sono visti: anche se l’autore sembra considerare i talebani “compagni che esagerano”, essi non venivano considerati degli estranei dagli afghani.


Dalla rabbia e l’orgoglio all’umiliazione e la sconfitta. Come gli Afghanistan papers di Craig whitlock rivelano la portata del terrorismo neo-colonialista occidentale
Sabri Ben Rommane
Autopubblicato
Prezzo online: 9,99 €
EAN:9791221001150
ISBN:1221001159


2022 – l’anno che è iniziato

Iniziare l’anno da gennaio è una convenzione: per gli antichi Romani iniziava a marzo (la primavera) e per conto mio ormai il vero capodanno è il primo settembre. Mentre l’assalto a Capitol Hill di un anno fa è un “happening” difficilmente repetibile, per il resto c’è continuità fra il 2021 e il 2022, almeno su certi argomenti: il Covid, la crisi in Ucraina e la problematica gestione dell’immigrazione. Quanto all’Afghanistan, la frettolosa ritirata da Kabul ha lasciato scoperta anche l’informazione, col risultato che ormai se ne parla poco e solo per evidenziare la catastrofe umanitaria e la tetra gestione politica dei talebani. L’energia nel frattempo per varie ragioni ha aumentato le tariffe mettendo a dura prova la capacità industriale prima ancora che la gestione familiare, con ricadute pure sul “futuro verde” preconizzato a Glasgow. Le novità invece riguarderanno da noi l’elezione del Presidente della Repubblica e all’estero gli sviluppi della crisi in Kazakistan, scoppiata all’improvviso ma dall’incerto sviluppo. In realtà il 2021 ha registrato anche avvenimenti che la stampa italiana generalista ha trascurato. Il primo è il c.d. AUKUS, (acronimo inglese delle tre nazioni firmatarie), un patto di sicurezza trilaterale tra Australia, Regno Unito e Stati Uniti, annunciato il 15 settembre 2021 per frenare l’espansione marittima della Cina. L’altro è la sua controparte: lo sviluppo impressionante della flotta da guerra cinese e i progressi nel campo dei missili subsonici, ovvero ordigni che possono viaggiare a cinque volte la velocità del suono (300 mt./sec.) e pertanto sono più difficili da intercettare. Come pure si è evoluto in modo esponenziale il mercato dei droni (più tecnicamente, UAV, unmanned aerial vehicle, non più usati per la sola ricognizione e sorveglianza, ma anche come velivoli d’attacco, ampiamente usati p.es. in Libia o nel Tigrai.

Se la crisi in Libia o AUKUS sono stranamente sentite come remote, l’Ucraina occupa invece  le prime pagine. E’ una storia che viene da lontano: quando trent’anni fa l’Unione Sovietica si dissolse, gli stati che facevano parte del Patto di Varsavia ne approfittarono per smarcarsi dai Russi, ma non era previsto che entrassero nella NATO. Parliamo delle Repubbliche Baltiche, della Polonia, della Cechia, della Slovacchia, della Slovenia. Sono entrati nella NATO per difendersi dall’egemonia della Russia, non certo per invaderla. Il Patto Atlantico prevede che un paese membro che viene attaccato debba essere difeso da tutti gli altri, e questo spiega perché i Russi si oppongano all’ingresso di altri paesi nella NATO: dovrebbero vedersela con tutti gli altri. In fondo la politica russa e poi sovietica ha sempre perseguito gli stessi, pochi obiettivi: avere l’accesso al mare (non il Mediterraneo, ma il Mare del Nord e il Mar Nero), controllare le risorse energetiche dei vicini alleati euroasiatici (Kazakistan, Tagikistan) e garantirsi a occidente una frontiera sicura creando una fascia intermedia a spese dei vicini. La Russia occupa 11 meridiani ma i suoi 148 milioni di abitanti sono concentrati soprattutto a occidente piuttosto che in Siberia, enorme quanto ricca di materie prime dalla cui esportazione dipende gran parte del PIL russo. Anche se è un’arma di pressione politica, non quindi c’è interesse a bloccare i gasdotti e gli oleodotti se non per breve tempo. Gli Americani all’epoca potevano anche puntare sul disarmo bilaterale o creare una forza di difesa europea, ma preferirono agire d’iniziativa, anche se – almeno sulla base dei documenti finora disponibili – non risulta nessun patto formale o informale russo-americano che vietasse l’ampliamento della NATO in Europa: noi siamo abituati a pensare in termini di stati sovrani liberi, anche se la diplomazia suggeriva cautela. Gli Stati Uniti forse ritenevano che URSS e Russia fossero la stessa cosa, sottovalutando la capacità della nazione di sviluppare di nuovo la propria vocazione di potenza internazionale. In questo gioco pesante l’Ucraina si è poi trovata in mezzo, né è ancora chiaro se il cambiamento politico ucraino sia un processo interno alla sua società o se sia stato appoggiato dall’esterno; in realtà una cosa non esclude l’altra, anche se è finita in guerra in Crimea e nel Dombass, una zona russofona formalmente ucraina. Ha tenuto invece il regime in Bielorussia, dove ora si è vista una nuova arma: i profughi. E qui si apre anche una situazione assurda: noi Italiani dobbiamo accogliere tutti perché lo prescrivono le leggi del soccorso in mare, mentre i Polacchi potranno ricevere aiuti europei per la difesa delle frontiere terrestri mentre i profughi muoiono di freddo nelle foreste di confine. Nel frattempo Russia e Bielorussia accusano l’Europa di crudeltà, ma di accogliere una parte di quei profughi organizzati manco a parlarne. Ma neanche l’Unione Europea è riuscita ancora a trasformare riunioni piene di buone intenzioni in una vera ridistribuzione dei flussi migratori non autorizzati. Come diceva Oscar Wilde, il dovere è ciò che ci si aspetta dagli altri.

Ancora due parole sul Kazakistan. Sorvoliamo sulla narrazione degli agenti provocatori infiltrati pagati dagli imperialisti: è roba vecchia. Il vero problema è che i Russi e i loro stretti alleati hanno mandato subito truppe nel paese, ma non potranno mantenerle in modo permanente sul territorio: l’esercito è già schierato lungo le frontiere dell’Ucraina come forma di pressione sui negoziati e gestire due fronti è proibitivo. L’esercito russo è sicuramente grande e ben armato e addestrato, ma il PIL russo è assurdamente inferiore a quello italiano, per cui alimentare per mesi addirittura due fronti è antieconomico. Lo scoppio della crisi Kazaca non era previsto e complica solo la situazione di Putin e del suo gruppo dirigente. Ma qui siamo ancora all’inizio. Può darsi benissimo che a scatenare una guerra sia invece Israele, almeno fin quando gli Iraniani non scriveranno a chiare lettere che non stanno fabbricando armi nucleari e renderanno verificabili le loro parole.

Musica e Islam

Leggo dal New York Times del 16 gennaio 2022 che in Egitto sono stati messi al bando una ventina di giovani musicisti legati tutti al  mahraganat (lett: evento forte), evoluzione della plebea musica shaabi (lett: “del popolo”). E’ un genere che dilaga fra i giovani egiziani e un loro pezzo molto popolare, “la figlia del vicino” si può ascoltare su youtube . Lo stile è un mix tra rap e neomelodico in salsa araba, figlio dei quartieri poveri egiziani e in questo non certo diverso dall’ambiente sociale del nostro rap metropolitano, con cui ha in comune anche la carica aggressiva e la denuncia sociale. Nella canzone in questione due giovani non possono vivere insieme o sposarsi per mancanza di soldi e di lavoro, e il testo dice anche “se mi lasci sono perduto e finirò per bere alcolici e fumare hashish”, frase che ovviamente non può piacere ai tradizionalisti al governo. Ma tenendo presente il reddito e l’età media dei giovani egiziani, la censura è un’arma spuntata e il mahraganat è ormai la lingua con cui i giovani esprimono la loro identità collettiva. Si può vietare ai rappers di esibirsi in concerto, ma tanto la loro musica circola lo stesso. In questo, niente di nuovo sotto il sole.

Le differenze culturali vengono invece fuori analizzando il controverso rapporto dell’Islam con la musica. I talebani hanno di nuovo vietato la musica in pubblico; lo annunciava il loro portavoce Zabihullah Mujahid. «La musica è proibita nell’Islam ma speriamo di poter persuadere le persone a non fare queste cose, invece di fare pressioni». Che significa? I miei fruttaroli egiziani che ogni giorno “sparano” la loro ripetitiva musica –  aggiornata come abbiamo visto al mahraganat – sono incalliti peccatori? Noi che siamo stati educati alla Musica come armonia, ordine e proporzione, come possiamo capire un divieto religioso che nega alla musica la sua essenza di ascesa al Divino? Noi abbiamo letto Dante, che riprende la teologia di Boezio e la filosofia di Platone. Nella religione cristiana la musica ha contribuito dal canto gregoriano in poi alla creazione di una complessa polifonia, con campioni come Palestrina e Bach. E soprattutto, a tutte le età e in ogni momento ascoltiamo musica, ogni tipo di musica, dal classico al rock, dal pop al folk. La musica da sempre è parte della nostra cultura, al punto che non possiamo assolutamente capire una censura che ne vieta la presenza immanente. A questo punto l’unico modo per capirci qualcosa è consultare due fonti in rete in italiano gestite ufficialmente dalla comunità islamica:  https://www.slideshare.net/MuhammadHaqq/la-sentenza-islamica-sulla-musica-e-il-canto e https://islamsecondareligioneinitalia.wordpress.com/2017/05/04/la-musica-e-il-canto-nellislam/ .

Difficile riassumere il contenuto dottrinale esposto nei due siti ufficiali, ma neanche ritengo onesto estrapolarne alcuni brani per dimostrare la debolezza della base ideologica su cui si basa un impianto sostanzialmente moralistico. Invito pertanto chi legge a consultare per intero gli argomenti riportati in quei due siti, gestiti direttamente dalla comunità islamica italiana. Certo, difficile credere che una religione che si presenta come cultura superiore non riesca a integrare la musica come strumento di trascendenza ma ne colga invece soltanto il lato mondano e frivolo o addirittura peccaminoso. E’ come se Nietsche, ne La nascita della tragedia, distingua nell’arte solo il dionisiaco e perda totalmente di vista l’apollineo. Questo non toglie che la cultura islamica abbia tuttora una sua tradizione musicale sia pur peculiare (sono vietati alcuni strumenti, p.es.), quindi è evidente che la questione è controversa e da sempre materia di discussione collettiva.