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La pigrizia linguistica in Translate

Da quando i traduttori automatici sono migliorati – fino a qualche anno fa non erano tanto convincenti – mi chiedo quale futuro si prospetta per le scuole di lingue e più in generale l’apprendimento delle lingue straniere. I sistemi più recenti di traduzione automatica anche in voce sono stati resi possibili dai rapidi miglioramenti nel campo dell’intelligenza artificiale e in particolare dei processi di machine learning, cioè le attività di apprendimento dei computer tramite i dati. Sono di conseguenza sistemi che funzionano molto bene con le cosiddette lingue ad alta disponibilità di risorse, come l’inglese ma anche l’italiano, di cui esistono grandi quantità di dati.Perché è chiaro che, almeno in certi ambiti, l’uso di Google Translate, Reverso, DeepL Translate più l’intelligenza artificiale hanno ridotto drasticamente il mercato dei professionisti. Un ufficio commerciale che debba mandare una richiesta al suo corrispondente indonesiano può anche compilarla in quella lingua anziché in inglese. Mi sono anzi meravigliato non tanto del numero di lingue parlate nel mondo, ma di quante sono registrate nei traduttori automatici, segno che c’è una richiesta e anche un numero di parlanti che possa giustificare l’investimento. Siamo quasi arrivati al traduttore universale utilizzato in varie serie di Star Trek (una serie che i meno giovani si ricordano), in particolare dalla ufficiale addetta alle comunicazioni, la guardiamarina Hoshi Sato in Star Trek: Enterprise. Si tratta di un dispositivo che fa esattamente ciò che il nome lascia intuire, ossia traduce qualsiasi lingua permettendo di far comunicare gli alieni con gli esseri umani dell’equipaggio dell’Enterprise. Ogni tanto la fantascienza ci azzecca, ed è interessante notare i criteri seguiti dagli ideatori di Star Trek:

Accadde nel 2267 che il capitano Kirk della USS Enterprise ne utilizzò uno per comunicare con l’alieno conosciuto come il Compagno nella regione Gamma Canaris. Nel rispondere alla domanda di Zefram Cochrane circa la teoria del funzionamento, Kirk spiegò che esistono certe idee e concetti universali e comuni a tutte le forme di vita intelligente. Il traduttore confronta le frequenze degli schemi delle onde cerebrali, seleziona le idee che riconosce, e fornisce la grammatica necessaria. Kirk successivamente spiegò che il dispositivo genera una voce, o una sua approssimazione, che corrisponde ai concetti di identità da esso riconosciuti. Il Compagno si rivelò come appartenente al genere femminile perché il traduttore universale rilevò quest’aspetto della sua identità dai suoi schemi cerebrali, assegnandogli una voce femminile.(TOS: “Guarigione da forza cosmica”).Ma il traduttore universale talvolta era fallace. Per esempio, fu capace di tradurre letteralmente le parole dei Tamariani, ma non fu in grado di interpretare il modo di parlare metaforico dei Tamariani in un discorso facilmente comprensibile. Il traduttore inoltre mancò di comprendere le sfumature di numerosi verbi transitivi del Dominionese. (TNG: “Darmok”; DS9: “Probabilità statistiche”)”. (1)

Ebbene, Mark Zuckerberg ha confermato: è pronto il suo primo sistema di traduzione per le lingue non scritte basato sull’intelligenza artificiale. La tecnologia sviluppata da Meta è frutto di una lunga ricerca condotta sull’Hokkien, un insieme di dialetti di Taiwan.  Parlato soprattutto dai cinesi emigrati, l’Hokkien non ha – come il 40% delle lingue e dialetti – alcuna forma scritta. Lo stesso CEO di Meta, durante l’evento streaming “Meta Inside the Lab: costruire il Metaverso con l’AI” aveva dichiarato che “la capacità di comunicare con chiunque in qualsiasi lingua è un superpotere che le persone hanno sempre sognato e l’intelligenza artificiale ce la consegnerà nel corso della nostra vita”. La ricerca sull’Hokkien è un passo per l’Universal Speech Translator, ossia un sistema in grado di fornire una traduzione vocale in tempo reale di tutte le lingue. Ma già Samsung, p.es., promuove da mesi una funzione di traduzione istantanea delle telefonate disponibile su un suo modello di smartphone. A settembre Spotify ha avviato con OpenAI, l’azienda produttrice del software ChatGPT, un progetto sperimentale di traduzione vocale dei podcast in altre lingue mantenendo le voci originali di conduttori e conduttrici.

Ma come avevo intuito, queste facilitazioni levano lo stimolo alla comprensione delle lingue straniere. Negli Stati Uniti sono diminuite del 29,3 per cento dal 2009 al 2021. In Australia la quantità di studenti delle superiori che studiavano una lingua straniera nel 2021 è stata la più bassa di sempre (8,6 per cento). E in Corea del Sud e Nuova Zelanda le università stanno chiudendo i dipartimenti di francese, tedesco e italiano. Anche la conoscenza dell’inglese è diminuita tra i giovani, secondo un rapporto di EF Education First, una società internazionale che organizza corsi di lingua inglese e scambi culturali in tutto il mondo. E nel regno Unito la scarsa attrazione dell’Erasmus per gli studenti inglesi è la loro scarsa motivazione a imparare una seconda lingua (2).

E qui va inquadrato il vero problema: s’indeboliscono la comprensione e gli scambi tra culture diverse. Una lingua non è solo un vocabolario con una grammatica e una sintassi, ma l’espressione di un mondo, di una cultura, di una società. Traducendo le lingue senza conoscerle si arriva al relativismo: sono tutte sullo stesso livello come le culture che le parlano e che non abbiamo la curiosità di conoscere. Per anni ho visto nei festival e nei cineclub film anche di tre ore parlati e sottotitolati nelle lingue più strane, ma ero spinto a vederli non per autolesionismo, ma perché mi facevano entrare di persona in mondi di cui non conoscevo l’esistenza o che credevo di capire per aver letto l’Espresso e Panorama o qualche romanzo premio Nobel africano o sud americano. la lingua non è un mezzo di trasmissione del pensiero, ma un modo di interpretare la realtà stessa. Imparare una nuova lingua equivale, sotto molti aspetti, ad apprendere un modo nuovo di vedere il mondo e di pensare. La parte umana delle relazioni è il fattore più importante non soltanto nello studio delle lingue, ma in qualsiasi scambio tra culture diverse. Per questo ai giovani direi: usate pure traduttori e intelligenza artificiale, ma sviluppate anche la vostra, e soprattutto siate curiosi.

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Note:

  1. https://memory-alpha.fandom.com/it/wiki/Traduttore_universale
  2. https://www.ilpost.it/2024/04/18/intelligenza-artificiale-lingue-straniere/

Money money money

Confesso che man mano che leggevo questo romanzo mi veniva voglia di scrivere: del rapporto fra donne e soldi poco si parla, eppure alle donne i soldi piacciono e non solo perché servono o fanno comodo, ma perché attraverso essi passano i rapporti di potere e per secoli le donne erano prive di indipendenza economica. C’è chi si mette con un uomo ricco, oppure – nel caso della protagonista e del suo doppio – si ritrova ricca in poco tempo grazie a un best-seller e al film che ne deriva. Ricordo il titolo di un articolo di vent’anni fa: “Guadagnare un milione a 18 anni”. Qui Melissa gioca a carte scoperte: l’io narrante è proprio lei e nulla s’inventa. Di fantasia invece è il suo rapporto con Clara, l’attrice che a suo tempo impersonò il suo personaggio in un film di successo derivato da un suo libro (non è dunque Maria Valverde Rodriguez, che recitò nel mediocre film prodotto nel 2005 da Francesca Neri e Claudio Amendola, diretto da Luca Guadagnino). La giovane attrice da quel giorno divenne famosa, ma qui invece viene immaginata ancor giovane (è quasi coetanea di Melissa) ma povera e sul viale del Tramonto. L’incontro fra Melissa e il suo doppio inizia in modo casuale e si svilupperà fin quando Clara vorrà narrare la sua storia. Anche lei era divenuta ricca e famosa e Lino, il suo agente, gli aveva fatto sposare suo figlio Trevor (chi ha orecchie per intendere intenda), con vantaggi per entrambi: Lino è un ex-povero, duro e spietato ma sa il suo mestiere e Clara è disinibita, ha talento e lavorerà persino con Roman Polansky e Francis Ford Coppola, ma non si accorge che Lino la imbroglia e soprattutto non sa gestire il denaro. Solo le escort guadagnano tanto in poco tempo e sia Clara che Melissa i soldi indirettamente li hanno fatti col sesso, per cui resta dentro di loro un senso di colpa, una mancanza di sicurezza quasi autodistruttiva. In più gli uomini sono abituati da sempre a gestire i capitali, molte donne invece non l’hanno mai fatto. Clara dilapida la sua fortuna e sua madre fa il resto chiedendo sempre soldi, è una madre che prende invece di dare. Un rapporto così ambiguo fra madre, figlia e denaro finora si era visto solo ne L’Amante, il romanzo di Marguerite Duras (1984), dove nell’Indocina francese la madre impoverita accetta che la figlia minorenne sia l’amante di un ricco cinese. Clara vive solo nel presente e Melissa si darà da fare col piglio del commercialista per ricostruire il conto spese di Clara, uno dei pochi modi per conoscere le persone, scoprendo che Clara non ha mai pensato a investire nel futuro. Quando Clara lascerà lo scialbo Trevor per Pietro, archetipo del bel mascalzone ozioso ma bravo a letto, Lino sadicamente rescinderà il contratto con Clara, la quale dovrà trovarsi da sola ingaggi per spot pubblicitari, promozioni di cosmetici e comparsate in tv sperando da vecchia di fare la nonna saggia in qualche serie televisiva. Cade dunque in depressione e in effetti ce n’è di che essere depressi: avrà anche un figlio da Pietro, ma non potrà allevarlo e lo affida alla madre. Melissa cerca di aiutarla trovandole un ingaggio, ma è troppo tardi: Clara nel frattempo si è tolta la vita ingerendo monetine da 10 centesimi (chi di noi non conserva gli euro fior di conio fingendo che siano d’oro?). Sapeva che dopo la risalita sarebbe ricaduta un giorno in depressione e non ha avuto il coraggio di vivere. Questo mentre la vita di Melissa prosegue nella routine di lavoro e famiglia, ma dopo il rapporto con Clara non sarà più la stessa.
Questa la trama del libro. Melissa afferma di aver impiegato tre anni a scriverlo, ma già nel 2011 aveva espresso in un’intervista concetti analoghi (1). Nel racconto di Clara vi sono forse velate allusioni autobiografiche, quasi messaggi in codice (Melissa sempre siciliana è) ma è presente anche la coscienza di essere cresciuta troppo in fretta, a suo agio fra sushi, viaggi e interviste, ma impreparata a gestire somme di denaro iperboliche per un’adolescente. C’è anche chi – stordito da fama e denaro – è finito cocainomane, mentre Melissa ha continuato la sua sistematica carriera di scrittrice, ovviamente senza la fortuna del primo libro, ma gestisce una piccola agenzia letteraria, ha un marito e due figli ed è presente in blog e riviste. E vive a Roma, la quale è più che uno sfondo per il romanzo; è una città divisa per caste ma con precisi punti d’incontro e scambio: feste in terrazza con vista sul Centro, locali di tendenza, ristorazione promossa dai social, movida rumorosa, case sempre aperte a tutti. Ma è’ un mondo dove Clara non riesce a governare gli eventi, lei naviga nella corrente ma può anche annegare. E’ una Roma che illude il provinciale, una sorta di Grande Bellezza vista con gli occhi del disincanto, dove coatti, palazzinari, attrici e attricette, politici e cinematografari, nobili romani, stranieri residenti e forse anche qualche camorrista si mescolano ogni sera per sviluppare alleanze temporanee e proporre amicizie interessate. A Roma nessuno è qualcuno, così annota Clara. E’ la Roma già descritta ai tempi di Nerone da Petronio Arbitro nel Satyricon (magistralmente reso da Fellini), dove i personaggi sono coscienti della loro precarietà: erano nulla il giorno prima e possono perdere la fortuna da un giorno all’altro. E’ una Roma effimera, una sorta di Barocco 2.0 dove tutto è apparenza, caducità, se vogliamo è lo spirito della Controriforma. Paradossalmente questo libro pur trasgressivo (infrange un tabù) ha infatti una sua moralità, ripetendo ancora una volta l’idea che il benessere è effimero e i soldi non danno la felicità. Almeno quando sono troppi e – come Melissa e Clara – si è convinti di non aver fatto molto per meritarseli. Chi vive a Roma alla fine ne assorbe lo spirito e impara a superare con lo sguardo le apparenze, altrimenti sarà un perdente.


Nota

  1. Intervista del 5 gennaio 2011 per Dagospia

Storia dei miei soldi
di Melissa Panarello
Editore: Bompiani, 2024, pp. 208
EAN: 9788830110052
Prezzo: € 18,00


Putin lo Zar

Putin occupa ormai ogni giorno le cronache, ma a questo punto è interessante rileggersi il saggio che Sergio Romano pubblicò nel 2016, quindi dopo l’occupazione della Crimea ma prima dell’invasione dell’Ucraina. L’autore oltre ad essere un fine analista politico è stato ambasciatore a Mosca dal 1985 al 1989, seguendo l’ascesa e il declino di Gorbaciov (più amato da noi che dai russi), l’implosione dell’Unione Sovietica e il caos che ne è seguito, politico ed economico. Non ci vuole molto a capire che la popolarità di Putin si deve alla sua capacità di mettere ordine, non importa con quali mezzi: la debolezza storica delle istituzioni democratiche e l’accentramento dei poteri in un paese immenso sono elementi russi strutturali. Non si può capire l’ascesa di Putin senza tener conto delle forze centrifughe dei governatori di provincia, delle minoranze musulmane in un paese a egemonia cristiana, e soprattutto della “cleptocrazia” (governo dei ladri) incoraggiata da Boris Eltsin, quando una minoranza di imprenditori e burocrati si è accaparrata in aste riservate gli enti di stato privatizzati e l’azionariato diffuso, ricreando la classe dei boiari come ai tempi di Ivan il Terribile. Putin con le buone o meno li ha costretti a pagare le tasse e a non comprare più tv e giornali per presentarsi in politica, anzi da quel giorno gli oligarchi che hanno provato a farla sono finiti male, come del resto sono finiti male i dissidenti di ogni ordine e grado. Putin proviene dal KGB e non riesce a immaginare una società democratica e infatti ha pure chiuso le istituzioni culturali non allineate. Ha invece favorito la Chiesa ortodossa, vera anima della Russia. Oriente significa divinizzazione del potere e anche qui Putin non fa che rinverdire le strutture profonde di un paese che occupa nove meridiani ma si sente sempre accerchiato. Putin ha ridato dignità a una società traumatizzata, esattamente come Hitler negli anni Trenta. Questo gli ha permesso di sistemare la Cecenia, intervenire in Siria, riprendersi la Crimea e reagire all’allargamento della NATO a Est. Quanto all’ipotesi di aver organizzato i sanguinosi attentati terroristici compiuti in Russia negli ultimi anni, è impossibile dare una risposta senza un’indagine indipendente. Ricordiamo però una frase del filosofo tedesco Jurgen Habermas: il terrorismo non provoca la repressione, ma la legittima.
Il libro si ferma al 2016, quindi non copre ovviamente gli ultimi due anni di guerra, anche se Sergio Romano ha rilasciato interviste (reperibili su Youtube) e curato aggiornamenti del libro (1). Non si parla p.es. della crisi politica causata dall’allargamento a Est della NATO (che del resto non è mai stato sottoposto a negoziato e ha lasciato pochi documenti ufficiali). Si accenna comunque alla crisi del Donbass e agli accordi di Minsk (mai messi in pratica da Zelensky, ndr.). I russi usano ora il termine “ricongiungimento” (in russo: vossoyedineniye) per definire queste operazioni di riconquista dei confini del tempo sovietico e traccia ce n’è persino in alcuni nostri libri scolastici. Storicamente, le uniche operazioni del genere riuscite sono la Reconquista spagnola della penisola iberica e – per duecento anni – la riconquista di Siria e Cilicia da parte dell’Impero Bizantino contro gli Arabi, più l’espulsione dei Turchi Ottomani dall’Europa dopo l’assedio di Vienna del 1683. Fallita invece la politica della Serbia verso il Kosovo e la Bosnia-Erzegovina, che avrebbe dovuto insegnare qualcosa anche a noi: la Jugoslavia era il paradigma di uno stato federale che dissolto scatena il delirio nazionalista. Naturalmente il cambio di politica ucraino dopo Maidan è stato pagato dagli agenti imperialisti: per Putin e i russi l’autodeterminazione dei popoli vale solo per gli africani. Ma le democrazie occidentali hanno fatto anche grossi errori politici: l’illusione tedesca che il commercio fosse più produttivo della guerra, la troppo rapida espansione di quella che era ed è un’alleanza difensiva, ma non è percepita nello stesso modo dai russi. Sergio Romano chiosa il libro: “dovremmo chiederci se all’origine dell’autoritarismo di Putin non vi sia anche la pessima immagine che le democrazie stanno dando di se stesse”. Ebbene, l’attuale guerra in Ucraina dimostra che Putin l’autoritarismo ce l’ha nel sangue e che se l’immagine delle democrazie è pessima, quella che ha dato lui di se stesso era al di sopra di qualsiasi previsione.


Putin e la ricostruzione della grande Russia
di Sergio Romano
Editore: Longanesi, 2016, pp. 160

EAN: 9788830445147

Prezzo: € 18,00


L’Alto Adige dietro l’immagine dorata

Vi sono scrittori – penso a Sciascia e Camilleri – che cercano di evidenziare quello che la propria comunità cerca di nascondere. Qui non siamo in Sicilia ma a Bolzano e l’autore, FlavioPintarelli, è un copywriter e blogger quarantenne come il suo personaggio, al quale la sua agenzia pubblicitaria commissiona una guida turistica che vada oltre i collaudati stereotipi tradizionalmente diffusi dagli albergatori tirolesi. Alex – questo è il suo nome – a Bolzano ci è nato e cresciuto (ovviamente nel quartiere ex operaio e ora molto composito nella confluenza fra Talvera e Isarco ), ma è un libero professionista e quindi non deve scontrarsi con quella specie di apartheid alla rovescia creata e difesa dalla Provincia autonoma di Bolzano/Bozen. La sua “capa”, Arianna, gli commissiona un lungo reportage sul nuovo volto che sta assumendo l’Alto Adige e lui accetta. Inizia a tavolino setacciando l’archivio di Google Maps, per poi dedicarsi a una serie di elementi per lui interessanti, ma che si riveleranno poco produttivi ai fini promozionali del turismo: la mappatura aerea dello sviluppo industriale, gli effetti dell’innevamento artificiale delle piste di sci, gli sbandati davanti ai giardini della stazione, una manifestazione contro la chiusura e il pattugliamento del Brennero contro i migranti in transito, l’intervista a un motociclista di una banda tipo Hell’s Angels il cui capo fu ucciso dal capobanda rivale, la banda larga e le sue ricadute, la contesa fra nord e sud Tirolo per accaparrarsi le spoglie di Ötzi (trovato in effetti sulla linea di cresta del confine) e farne un’attrazione museale. E infatti Arianna, che pur aveva lasciato ad Alex carta bianca, è perplessa. Eppure ciò è quanto appare sotto la dorata immagine di una terra di confine felice e prospera, capace di mantenere la sua identità storica e culturale conciliandola con la modernità di uno sviluppo razionale che porta ricchezza e benessere. Non per niente in una “performing lecture” si fa riferimento (pag. 150) al Sakoku, termine giapponese (lett. “paese chiuso”) riferito al periodo che termina con l’arrivo della squadra navale americana nel 1853 e l’obbligo del Giappone di aprirsi al commercio. E qui si disvelano, congelate, le due immagini immanenti dell’Alto Adige/Sud-Tirolo: la cultura tirolese resiliente ma modernizzata e l’italianità letteralmente inventata dopo il 1920 dal geografo Tolomei e favorita dal Fascismo (1). In cento anni, col tempo e qualche decina di morti si è arrivati a un civile armistizio, così perfetto che nessuno ha mai imitato le nostre concessioni alla minoranza (?) germanofona. Bolzano è la città delle istituzioni parallele, in realtà una vera integrazione avviene al massimo tra i giovani, anche se chi vuole una casa popolare o un impiego pubblico deve decidere se è italiano o tedesco, alla faccia delle famiglie miste e del multiculturalismo. In un certo senso i due nazionalismi hanno bisogno speculare uno dell’altro, anche se nel libro il massimo dello scontro avviene nel 2017 quando si decide di coprire con un’installazione luminosa i bassorilievi della facciata fascista del Palazzo degli uffici finanziari (2). E’ una frase di Hannah Arendt (bilingue, bilingue…): “Nessuno ha il diritto di obbedire”. Ed è proprio seguendo questo principio che Alex si licenzia (o è licenziato) inseguito dalle minacce di Arianna. Ma la mia recensione non sarebbe completa se omettessi di parlare di Manfred e di Serena. Il primo è il fotografo d’agenzia che segue Alex come gregario; in realtà sa vivere meglio di lui e solo alla fine sapremo dei suoi problemi familiari (due bambine a carico e una moglie morente). Ha un rapporto con la natura (peraltro molto vicina alla città) migliore di Alex, che ogni tanto raggiunge una sorta di delirio sciamanico confrontandosi con la componente stavo per dire pagana della sua terra, simboleggiata dalle tre “madonne” (o parche?) , Aubet, Cubet e Quere venerate dai contadini. Serena invece è la donna di Alex, non è bolzanina ma vuole la sua parte di amore da Alex e alla fine diventerà anche madre, convincendo il nostro copywriter a cambiar vita e superare il culto del lavoro “glamour”.

Note

  1. Una provincia tutta da inventare. L’annessione dell’Alto Adige all’Italia (1918-1922) / Magda Martini. Carucci editore, 1922.
  2. “Depotenziamento tra le polemiche del fregio mussoliniano di Piffrader sulla facciata del palazzo uffici finanziari”, articolo di Stefano Elena su Il Nordest Quotidiano del 6 novembre 2017. Quello strano “depotenziamento” sembra proprio la traduzione di “Entmachtung”.

Il Velo
di Flavio Pintarelli
Editore: Alphabeta, 2023, pp. 204
EAN:9788872234129


Un anno con due guerre

L’anno che si è appena chiuso sarà ricordato come il peggiore di quelli recenti: alla guerra in Ucraina iniziata nel febbraio del 2022 si è aggiunta nell’ottobre 2023 quella fra Hamas e Israele. Due guerre molto diverse tra di loro, una fra nazioni e l’altra fra una nazione e un gruppo terroristico difficilmente inquadrabile in un’ottica tradizionale: Hamas: per la sua capacità organizzativa e logistica, per il raggio di azione delle operazioni militari del 7 ottobre e per il supporto che riceve da alcuni stati esterni alla Palestina non è inquadrabile come gruppo terroristico di capacità e obiettivi limitati. Piuttosto è l’esercito di uno stato nello stato. In più c’è l’appoggio di Hezbollah dal Libano e degli Houthi dallo Yemen. I primi per ora conducono azioni di disturbo dal sud del Libano, gli altri cercano di disturbare o impedire il traffico navale nel Mar Rosso, per ora contrastati da alcune navi da guerra francesi, inglesi e statunitensi: è impensabile che qualcuno si permetta di sabotare il 12% del traffico merci navale mondiale senza essere prima o poi preso a cannonate.

Un’altra osservazione: tutti sono rimasti sorpresi dalle due impreviste operazioni militari. Ebbene, mi permetto di dire che a guardar bene, l’aggressione russa all’Ucraina e il conflitto fra Hamas e Israele, pur avendo colto di sorpresa gli analisti, rientrano in una continuità storica prevedibile: l’Unione Sovietica / Russia ha sempre impedito con la forza l’attrazione delle nazioni vicine per l’Occidente, mentre Israele è da sempre in guerra con chi vuole distruggerlo. Nel primo caso in quasi cento anni ne hanno fatto le spese i Paesi Baltici, l’Ucraina, la Polonia, la Germania Est, l’Ungheria e la Cecoslovacchia, praticamente tutti tranne la Bulgaria e la Romania (anche se per motivi diversi). Occupare la capitale altrui per impiantare un proprio governo di fiducia ha funzionato per anni a Berlino, a Budapest, a Varsavia e a Praga, e nei piani di Putin avrebbe funzionato anche nell’Ucraina di Zelensky. Il passaggio dall’Unione Sovietica alla Russia di Putin non ha rotto la continuità di una politica estera, almeno una volta ripreso saldamente il timone del potere. Per certo si è sottovalutata la capacità russa di riprendere in mano una situazione di egemonia, ma non si credeva possibile una guerra ad alta intensità in Europa. Era un calcolo sbagliato ma razionale: almeno sul breve periodo, una guerra costa più di quanto puoi guadagnare sul terreno e la globalizzazione del commercio. Si è persino arrivati al paradosso di aggirare l’embargo da una parte e l’altra semplicemente perché l’economia non può fermarsi. Nulla di nuovo: nel ‘600 Spagnoli e Olandesi si facevano la guerra nelle Fiandre ma lasciavano aperto il commercio navale con cui finanziavano i propri eserciti. Anche Venezia e l’Impero Ottomano non bloccavano mai del tutto il traffico navale pur essendo spesso in conflitto aperto.

La guerra in Ucraina ha invece tutti i carismi della guerra classica, del conflitto ad alta intensità, della guerra lampo impantanata in trincee che mio nonno troverebbe familiari. Tipica “Materialschlacht”, attrito di materiali, dove vincerà chi avrà ancora qualcosa da mandare al fronte, sia mezzi materiali che soldati addestrati, ma è verosimile che si verrà a un armistizio: la guerra ha un costo che alla lunga è difficile sopportare per tutti. Ogni giorno si sono scambiati 5000 colpi di artiglieria e tra morti e feriti è verosimile calcolare 300.000 perdite per parte. Una guerra di posizione è come la prima guerra mondiale e come tale finisce per esaurimento di uno dei contendenti o per lo sfaldamento delle alleanze. Ma almeno finirà perché gli obiettivi sono limitati e razionali, mentre il conflitto fra Israele e Hamas con i Palestinesi in mezzo sa il cielo dove porterà: nessuno dei due contendenti è disposto a limitare i propri obiettivi e il conflitto potrebbe allargarsi in modo imprevisto. Difficilmente p.es. si permetterà alle batterie di missili dei ribelli Houthi di disturbare o interrompere il traffico navale nel Mar Rosso, dove passa il 20% di quello che arriva in Europa. Quanto alle Nazioni Unite, si è visto quanto valgono.

Ora qualche osservazione. Lo scopo di una guerra è impadronirsi delle risorse di un altro stato o nazione. L’ideologia crea una giustificazione emotiva più che razionale,, ma alla base le motivazioni sono sempre economiche. Se le guerre non sono frequenti (almeno in Europa) è perché nell’analisi costi-benefici condurre una guerra comporta spese maggiori di quanto si può guadagnare sul campo. La guerra è la continuazione del processo politico con altri mezzi (cito Karl von Clausewitz, un classico), ma altri mezzi possono appunto conseguire gli stessi obiettivi in modo più economico. Questo lo pensavamo ancora due anni fa, ora dovremo rivedere meglio i nostri parametri e le nostre sclerotizzate abitudini mentali