Tutti gli articoli di Marco Pasquali

Ralph Oggiano, il pugliese che stregò l’America

Nulla sapevo di questo grande fotografo, ma per un caso ho conosciuto quest’estate alcuni suoi familiari – le nipoti per l’esattezza – le quali mi hanno parlato a lungo di questo artista nato in Puglia ma presto emigrato in America, dove a New York si fece un nome e si affermò come uno dei più grandi fotografi della prima metà del secolo XX. Figlio di scultori, era nato ad Oria, in provincia di Brindisi (ma all’epoca di Lecce), a 17 anni emigrò nel 1920 per cercare l’America e la trovò a New York. Non avendo soldi si mise in società con un altro fotografo, Herbert Mitchell, finché nel 1934 diventò abbastanza ricco e famoso per mettersi in proprio: era ormai uno dei ritrattisti più noti di Brodway, per poi approdare al successo internazionale, riaffermato in due grandi mostre nel 1940 a New York (344 ritratti fotografici di dive e nomi famosi). Ricevette committenze e tenne mostre in Inghilterra, Austria, Germania, Italia, Yugoslavia. Il suo lavoro si caratterizza per l’espressività, a tratti monumentale, del volto umano, raggiunta attraverso un innovativo e magistrale utilizzo della luce. Simbolo di coraggio e determinazione, esempio di riscatto sociale, la sua vita rappresenta in maniera emblematica la storia dell’emigrazione pugliese nel mondo, ricalcando i passi di migliaia di italiani partiti dal loro paese natale con una valigia piena di sogni e speranze, alla ricerca di una vita migliore, ma allo stesso tempo privati del conforto della famiglia e del legame con la propria terra. Terra di cui Oggiano mai si dimenticò: sposò una calabrese di New York, ebbe figli e comprò ai genitori una villa al paese natìo. In Italia tornò solo due volte: la prima alla fine degli anni ’30, una seconda nel 1949 (morì nel 1962). Del periodo “italiano” ci restano i fotoritratti del Duce e dei suoi gerarchi e – successivamente – un ritratto di Pio XII, per ora disperso. Il ritratto di Mussolini è impressionante: a parte l’uso del flou (tipico della fotografia dell’epoca), è come se Oggiano abbia saputo leggere l’anima del suo uomo, che più che Duce appare più come un padre di famiglia italiano o se vogliamo il capo del villaggio. Nulla della retorica fascista voluta dallo stesso Mussolini, che qui ha riposto assoluta fiducia nel fotografo – è infatti un ritratto ufficiale. Ma cosa caratterizza lo stile di Oggiano, vero mago della luce? I suoi ritratti sono tutti a inquadratura alta (“waist-up”) o facciali, in bianconero con luci di schiarimento e ritocco. I toni – pur contrastati – restano così molto morbidi e sfumati.

In seguito Oggiano è stato dimenticato: la sua fotografia è troppo legata a uno stile culturalmente superato. E’ stato però rivalutato negli ultimi dieci anni negli Stati Uniti e in Italia attraverso una serie di mostre e studi specializzati (1). In Italia segnalo la collettiva del 2013 a Oria (2, 3) e quella monografica, sempre a Oria, nel 2022, curata dall’architetto Alessio Carbone, dove la famiglia ha contribuito anche con cimeli personali (4). La nipote mi ha parlato della “vecchia” villa dove erano conservati oggetti personali, foto, quadri e documenti, pazientemente riordinati da Alessio Carbone, peraltro concittadino di Oggiano. Della mostra non è stato stampato un catalogo, ma in compenso Oria ha intitolato al suo figlio una piazza. Ma a questo punto propongo un progetto visionario: Ralph Oggiano merita un film o uno sceneggiato televisivo. La sua storia così emblematica ha tutti i numeri per avere successo: il giovane emigrato italiano, la gavetta a New York, il successo, la famiglia e le stesse immagini fotografiche sulla cui elaborazione Oggiano manteneva il segreto per non rivelar nulla ai concorrenti. Anche l’incontro con Mussolini deve essere stato particolare, vista l’innata diffidenza del Duce verso il prossimo. Cosa manca per un film? Almeno tre elementi: un regista (pugliese o italoamericano), un produttore che si muova bene tra l’Italia e New York, più i contributi della regione Puglia, finora ben generosa con chi vuole produrre cinema ambientato nella Regione. E’ un sogno? Anche quello di Ralph Oggiano lo era.

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NOTE:

  1. David S. Shields, Ralph Oggiano, in Broadway Photographs – Art Photography & The American Stage 1900-1930,  (www.broadway.cas.sc.edu)
  2. https://www.exibart.com/artista-curatore-critico-arte/ralph-oggiano/  
  3. https://news.oria.info/oria-shoots-prestigiosa-mostra-fotografica-presso-palazzo-martini/201325254.html
  4. https://www.brindisireport.it/eventi/mostre/ralph-oggiano-figlio-oria-strego-usa-foto-mostra.html

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Ralph Oggiano, il pugliese che stregò l’America

Nulla sapevo di questo grande fotografo, ma per un caso ho conosciuto quest’estate alcuni suoi familiari – le nipoti per l’esattezza – le quali mi hanno parlato a lungo di questo artista nato in Puglia ma presto emigrato in America, dove a New York si fece un nome e si affermò come uno dei più grandi fotografi della prima metà del secolo XX. Figlio di scultori, era nato ad Oria, in provincia di Brindisi (ma all’epoca di Lecce), a 17 anni emigrò nel 1920 per cercare l’America e la trovò a New York. Non avendo soldi si mise in società con un altro fotografo, Herbert Mitchell, finché nel 1934 diventò abbastanza ricco e famoso per mettersi in proprio: era ormai uno dei ritrattisti più noti di Brodway, per poi approdare al successo internazionale, riaffermato in due grandi mostre nel 1940 a New York (344 ritratti fotografici di dive e nomi famosi). Ricevette committenze e tenne mostre in Inghilterra, Austria, Germania, Italia, Yugoslavia. Il suo lavoro si caratterizza per l’espressività, a tratti monumentale, del volto umano, raggiunta attraverso un innovativo e magistrale utilizzo della luce. Simbolo di coraggio e determinazione, esempio di riscatto sociale, la sua vita rappresenta in maniera emblematica la storia dell’emigrazione pugliese nel mondo, ricalcando i passi di migliaia di italiani partiti dal loro paese natale con una valigia piena di sogni e speranze, alla ricerca di una vita migliore, ma allo stesso tempo privati del conforto della famiglia e del legame con la propria terra. Terra di cui Oggiano mai si dimenticò: sposò una calabrese di New York, ebbe figli e comprò ai genitori una villa al paese natìo. In Italia tornò solo due volte: la prima alla fine degli anni ’30, una seconda nel 1949 (morì nel 1962). Del periodo “italiano” ci restano i fotoritratti del Duce e dei suoi gerarchi e – successivamente – un ritratto di Pio XII, per ora disperso. Il ritratto di Mussolini è impressionante: a parte l’uso del flou (tipico della fotografia dell’epoca), è come se Oggiano abbia saputo leggere l’anima del suo uomo, che più che Duce appare più come un padre di famiglia italiano o se vogliamo il capo del villaggio. Nulla della retorica fascista voluta dallo stesso Mussolini, che qui ha riposto assoluta fiducia nel fotografo – è infatti un ritratto ufficiale. Ma cosa caratterizza lo stile di Oggiano, vero mago della luce? I suoi ritratti sono tutti a inquadratura alta (“waist-up”) o facciali, in bianconero con luci di schiarimento e ritocco. I toni – pur contrastati – restano così molto morbidi e sfumati.

In seguito Oggiano è stato dimenticato: la sua fotografia è troppo legata a uno stile culturalmente superato. E’ stato però rivalutato negli ultimi dieci anni negli Stati Uniti e in Italia attraverso una serie di mostre e studi specializzati (1). In Italia segnalo la collettiva del 2013 a Oria (2, 3) e quella monografica, sempre a Oria, nel 2022, curata dall’architetto Alessio Carbone, dove la famiglia ha contribuito anche con cimeli personali (4). La nipote mi ha parlato della “vecchia” villa dove erano conservati oggetti personali, foto, quadri e documenti, pazientemente riordinati da Alessio Carbone, peraltro concittadino di Oggiano. Della mostra non è stato stampato un catalogo, ma in compenso Oria ha intitolato al suo figlio una piazza. Ma a questo punto propongo un progetto visionario: Ralph Oggiano merita un film o uno sceneggiato televisivo. La sua storia così emblematica ha tutti i numeri per avere successo: il giovane emigrato italiano, la gavetta a New York, il successo, la famiglia e le stesse immagini fotografiche sulla cui elaborazione Oggiano manteneva il segreto per non rivelar nulla ai concorrenti. Anche l’incontro con Mussolini deve essere stato particolare, vista l’innata diffidenza del Duce verso il prossimo. Cosa manca per un film? Almeno tre elementi: un regista (pugliese o italoamericano), un produttore che si muova bene tra l’Italia e New York, più i contributi della regione Puglia, finora ben generosa con chi vuole produrre cinema ambientato nella Regione. E’ un sogno? Anche quello di Ralph Oggiano lo era.

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NOTE:

  1. David S. Shields, Ralph Oggiano, in Broadway Photographs – Art Photography & The American Stage 1900-1930,  (www.broadway.cas.sc.edu)
  2. https://www.exibart.com/artista-curatore-critico-arte/ralph-oggiano/  
  3. https://news.oria.info/oria-shoots-prestigiosa-mostra-fotografica-presso-palazzo-martini/201325254.html
  4. https://www.brindisireport.it/eventi/mostre/ralph-oggiano-figlio-oria-strego-usa-foto-mostra.html

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Mutazioni in Campo (de Fiori)

Quando per il centro di Roma vedo i turisti B&B che in carovana si tirano dietro i loro trolley rullando sui sampietrini mentre il capofila marcia fissando il display del navigatore mi viene istintivo pensare agli antichi romani: Orazio si lamenta del rumore cittadino e Giovenale non riesce a dormire per il rumore dei carri sul basolato romano e per la gente che schiamazza di notte, movida ante litteram. Sono ritornato a Campo di Fiori per vedere un atto unico di Fabio Sargentini ed Elsa Agalbato alla storica galleria L’Attico. Ci accolgono come vecchi amici e partecipiamo a una bella serata teatrale, anche se l’età media del pubblico era decisamente alta; quando Adorno parlava dell’invecchiamento delle avanguardie non si riferiva esattamente a questo (1). Dopo lo spettacolo (mezz’ora) io e mia moglie ne abbiamo approfittato anche per fare due chiacchiere nel palazzo o almeno di ciò che ne resta: l’appartamento di una vedova è stato comprato da un ignoto russo con passaporto cipriota, quello di mia madre è stato spacchettato in quattro alloggi B&B arredati in stile Beautiful e quello all’ammezzato ha persino i letti a castello (Hic sunt Peones) e quando ho incontrato il padrone e gli ho chiesto “ma quanti ce ne hai messi?” lui mi ha risposto con naturalezza “quanti ce ne entrano”. Ma il peggio è che a questi turisti con trolley danno una chiave, il nome della strada e il numero civico ma non sempre l’interno, per cui una delle poche famiglie che vive ancora nel palazzo sente ogni tanto qualcuno che armeggia con le chiavi provando tutte le porte che trova al piano e sbreccando l’intonaco delle scale coi bagagli al seguito. In ogni caso è un traffico continuo di sconosciuti per le scale e se il B&B è pure abusivo quella gente non la controlla nessuno. Per capire la portata del fenomeno consiglio di farsi un giro per il quartiere: se ogni tanto vedete grossi lucchetti a cifratura, sono parte di un sistema ben collaudato: dopo che ha pagato trasmetti al cliente la localizzazione del lucchetto e il codice numerico. Dentro il lucchettone c’è la chiave del B&B e il gioco è fatto. Questi arnesi sono stati già vietati in Canada e a Parigi, ma noi siamo come al solito in ritardo o lasciamo fare. Lo svuotamento del Centro e la sua trasformazione in B&B è avvenuta praticamente senza un vero intervento della politica e i risultati li vediamo in molte città d’arte. C’è solo da chiedersi quale sarà la prossima trasformazione dei centri storici dopo la “gentrificazione” appena completata e l’esplosione del B&B. Se il Novecento è stato il secolo breve, quello nuovo ha messo il Turbo.


NOTE

  1. Alludo alla polemica intercorsa nel 1958-59 fra il filosofo Theodor W. Adorno ed il critico musicale Heinz-Klaus Metzger relativamente all’invecchiamento della musica d’avanguardia (c.d. Neue Musik). In sostanza, Adorno diceva che l’avanguardia è costretta a rinnovarsi continuamente, altrimenti diventa accademia di se stessa.

Storia degli algoritmi

Non credo che in questo momento esista una parola più usata e meno compresa di “algoritmo”. Se ne intuisce a orecchio l’origine araba, sappiamo tutti che gli algoritmi sono la base delle ricerche di mercato, dei computer, della programmazione, del web, dei mercati azionari, dei prezzi dei biglietti aerei e quant’altro. Ma a conti fatti, cos’è un algoritmo? In pochi sanno rispondere. Interviene in aiuto questo agile libro che in poco più di 120 pagine ne spiega l’origine e la funzione, con esempi storici e pratici. Intanto il nome: Al-Khuwarizmi era un matematico, astronomo e geografo persiano che verso l’anno 825 scrisse un’opera a noi arrivata in traduzioni latine (Algoritmi de Numero Indorum) (1). Padre dell’algebra (al-jabr, completamento) e divulgatore della matematica indiana, introdusse lo zero e la notazione posizionale. Il tutto venne ripreso nel 1202 dal nostro Fibonacci e costituisce la base della matematica moderna. Questo per dire che l’algoritmo non è un’invenzione dovuta all’informatica, ma è parte stessa della cultura scientifica indoeuropea, per non dire universale.

Ma entriamo in dettaglio: l’algoritmo è un procedimento che risolve un determinato problema attraverso un numero finito di passi elementari. Una sequenza di processi concatenati ma risolubili singolarmente e logicamente strutturati. Questa razionalità nel processo di calcolo era noto anche ai babilonesi, ma ovviamente le procedure logiche si sono evolute col tempo. Quello che nel frattempo si è evoluta è la capacità di calcolo, inizialmente affidata a macchine semplici – abaco, tabelle di calcolo – poi a strumenti meccanici (calcolatrici, etc.) e infine elettroniche. La macchina universale di Babbage – ingegnere, filosofo e matematico inglese (1791-1871) non fu mai completata per i limiti dell’epoca, ma i principi teorici dell’informatica erano comunque stati fissati almeno sul piano teorico. Solo l’elettronica ha permesso finalmente di costruire macchine capaci di elaborare enormi quantità di dati in poco tempo e la storia è tutta ancora da sviluppare: l’intelligenza artificiale (AI) di cui oggi tanto si parla raggiunge ora la massa critica perché nel frattempo è aumentata in modo esponenziale la potenza di calcolo degli elaboratori, rendendo anche possibile l’analisi dei c.d. big data, ovvero grandi quantità di dati appartenenti a classi diverse. Il libro è molto chiaro nello spiegare anche al comune lettore i procedimenti che oggi regolano la crittografia dei dati, i flussi dei mercati azionari, il costo dei biglietti aerei e le nostre scelte commerciali o televisive, per non parlare dei bitcoin e delle valute blockchain, basate esclusivamente su algoritmi. L’elaborazione e la gestione di questo enorme flusso di dati comporta un potere immenso nelle mani di poche agenzie  di ogni genere (si va dai network ai social, da Facebook ai sondaggi elettorali) gestite in sostanziale oligopolio. Tutto questo sarà un problema da affrontare per le democrazie, mentre i totalitarismi avranno il controllo virtuale della società mai visto prima. Questo agile libro parla anche di questo e quindi non si limita ad esaltare “le magnifiche sorti e progressive” di leopardiana memoria. Aggiungiamo anche che nel libro sono distribuiti per ogni capitolo una serie di esercizi logici e di esempi matematici didatticamente molto interessanti. L’autore insegna Machine Learning e Analisi dei Big Data alla Luiss ed è stato docente di Algoritmi alle Università Sapienza e Tor Vergata. È il responsabile tecnico scientifico delle Olimpiadi Italiane di Informatica e allenatore della squadra italiana che partecipa alle Olimpiadi Internazionali di Informatica.


Note:

  1. E’ evidente che il nome proprio è stato preso per sostantivo. La prima edizione a stampa italiana è tarda, risale al 1857, a cura del matematico Boncompagni.

Breve e universale storia degli algoritmi
Autore: Luigi Laura
Editore: Luiss University Press, 2019, pp. 136
Prezzo: € 14,00
EAN: 9788861054264


Filologia 2.0

Il caso Camilla Läckberg ha smosso il mondo della critica letteraria: non sarebbe lei (o solo lei) l’autrice di alcuni gialli scandinavi di successo, come La gabbia dorata (2019) e Ali d’argento (2020). C’è anche la mano di Pascal Engman, che peraltro lavora per un editore. A scoprirlo è stato il giornalista Lapo Lappin, che ha analizzato i romanzi della Läckberg attraverso un programma che analizza le impronte stilistiche degli scrittori, cogliendo parole e strutture più frequenti; quello che è definita tecnicamente come intertestualità. Lappin ha usato il software JGAAP, (Java Graphical Authorship Attribution Program) usato nelle perizie di tribunale (1), inserendo i libri di altri otto giallisti svedesi. Valersi di scrittori ombra o ghostwriters non è certo una pratica rara, ma un conto chiedere la collaborazione di specialisti per arricchire le descrizioni d’ambiente o descrivere correttamente procedure tecniche, altro è farsi aiutare a scrivere i libri. Per La grande fuga dell’Ottobre Rosso è chiaro che Tom Clancy ha pagato un ufficiale sommergibilista per rendere credibili i tecnicismi, ma la strutturazione del racconto è opera sua. Altro è pagare uno scrittore e nasconderlo. Sia chiaro: lo fanno sicuramente gli sportivi quando scrivono libri che non avrebbero tempo o competenze per farlo, ma nessuno pretende troppo da loro, mentre da una autore noto a livello internazionale il lettore pretende l’onestà. In questo caso una scrittrice di successo ha cercato di mantenere i ritmi imposti dalle aspettative dei suoi lettori e dagli interessi del suo editore.

La novità è casomai l’uso dell’informatica per fare quello che per secoli hanno fatto i critici letterari: riconoscere e ricostruire la rete di relazioni che quel testo intrattiene non solo con i suoi possibili modelli letterari, ma anche con altri testi dello stesso autore. Si tratta anche di analizzare il lessico, gli stilemi, la lunghezza dei periodi. La filologia classica queste cose le fa da secoli, esercitandosi su una serie finita di testi sui quali si sono cimentati migliaia di studiosi. Usando l’Intelligenza Artificiale facciamo semplicemente prima.

Ma con l’intelligenza artificiale ben altri orizzonti si aprono alla filologia (2). Leggiamo ora “porfyras” (porpora)” in uno dei papiri di Ercolano, grazie a una tecnologia all’avanguardia in grado di individuare le tracce di inchiostro nei rotoli carbonizzati dall’eruzione del Vesuvio. Ma non è l’unico contributo della tecnologia allo studio dei testi antichi: il programma Ithaca è frutto della collaborazione internazionale tra diverse università (tra cui la Ca’ Foscari di Venezia) e DeepMind di Google. Promette di aiutare con grande precisione gli storici nel restauro e nella collocazione geografica e temporale delle iscrizioni greche, e chissà che non si applichi presto anche a quelle latine raccolte nel monumentale CIL, Corpus Inscriptionum Latinarum. Ancora: con il progetto Electronic Babylonian Literature l’intelligenza artificiale è stata addestrata a leggere la scrittura cuneiforme – gli specialisti sono un centinaio in tutto il mondo –  rendendo più semplice il lavoro di identificazione di nuovi frammenti. In più, i ricercatori dell’Università di Tel Aviv (TAU) e dell’Università di Ariel hanno sviluppato un modello di intelligenza artificiale in grado di tradurre automaticamente in inglese i testo in accadico scritto in cuneiforme. L’accadico era una lingua usata nei commerci e nelle relazioni internazionali e la scrittura cuneiforme fu adattata a questa lingua. Come si vede, la capacità di analizzare e sintetizzare enormi mole di dati anche diversi per classe apre nuovi orizzonti. Ci saremmo arrivati lo stesso? Sicuramente impiegando molto più tempo.

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NOTE

  1. http://evllabs.github.io/JGAAP/
  2. https://www.academia.edu/35968989/Artificial_intelligence_and_linguistics

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