Tutti gli articoli di Marco Pasquali

Folli i mie passi

Strano libro, simile per alcuni versi al Meraviglioso mondo di Amélie. Una bambina figlia di circensi si innamora a due anni di un lupo che il circo porta al seguito e da quel giorno scappa sempre, inventandosi sempre nuove identità e divertendosi a ingannare poliziotti e assistenti sociali. Quando i suoi genitori sono licenziati dal circo, il padre diventa becchino comunale, la madre fioraia e lei finisce in collegio, dove comunque riesce a sopravvivere. Come? Semplicemente creandosi un mondo parallelo. Avrà per alcuni anni un marito – un giovane rampollo di una dinastia di notai che invece vuole fare lo scrittore a Parigi – per poi avere anche un amante (un violoncellista) e provare l’estasi per l’Omone (Bach e la sua musica). Poi farà la comparsa e poi l’attrice, diventando quello che gli altri vogliono sulla scena, ma nel privato interpretando sempre il mondo a modo suo. Rimane infatti sempre un’autodidatta, contraria ai luoghi comuni e alle frasi fatte, e soprattutto incapace di fare qualcosa che non vuole o non vuole più fare. Il finale a quel punto non può essere che aperto. La prosa – una bella prosa francese ben tradotta – è inevitabilmente ellittica, salta periodi esistenziali e sintattici per lasciare al lettore il piacere di indovinare i pezzi mancanti. Spesso non capiamo all’inizio di una scena – l’amante segreto può essere un acero nel cortile del monolocale parigino – ma alla fine la prosa raggiunge sempre quel livello quasi poetico che manca a tanti romanzi. Questo perché questa eterna bambina vede il mondo con i suoi occhi.

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Libri Folli i miei passiTitolo: Folli i miei passi

Titolo originale: La folle allure (Gallimard, 1995)

Autore: Christian Bobin

Traduzione: Maddalena Cavalleri

Edizioni: Socrates

Collana: Paesi, parole

Pagine: 108

Formato: cm 13,3 x 20,5

Legatura: Brossura

Prezzo: € 10,00

Pubblicazione: Maggio, 2013

in coedizione con AnimaMundi Edizioni

ISBN: 978-88-7202-058-6

Ebook: € 5,49

 

 

 

 

Rom(a)

Durante la campagna elettorale, una delle accuse più infamanti rivolte all’attuale nuovo sindaco di Roma è stata quella di aver comprato il voto degli zingari. Accusa paradossale: si fa tanto per integrare i nomadi e poi ci si scandalizza se costoro si valgono dei loro diritti civili. E se poi avessero votato contro chi si vantava di aver eseguito più di mille sgomberi di campi abusivi, era nel loro diritto. Perché allora meravigliarsi? In realtà siamo alle solite: da una parte vogliamo che i nomadi siano integrati nella città, dall’altro vorremmo che ne restino fuori. Ma siccome è sempre difficile affrontare il problema senza pregiudizi, ne propongo una lettura diversa.

Ricordo un film svizzero molto interessante, Lo zingaro e il commissario (1991). Anche se il Centro di documentazione zingara lo definisce “una carrellata di ordinaria opposizione verso gli Zingari in Svizzera, ed in alcune città d’Italia”, ne consiglio lo stesso la visione (1). E’ un documentario dove, a montaggio alternato, vengono fatti parlare un commissario di polizia elvetico e un capofamiglia rom. In Svizzera i nomadi possono fermarsi solo una settimana o due nello stesso campo nomadi, né è loro permesso sostare dove vogliono; eppure i rom continuano a girare per la Svizzera, segno che ne traggono qualche vantaggio. Ragionando controcorrente, arrivo a dire che gli svizzeri in questo modo paradossalmente rispettano l’identità di nomadi, laddove tutti gli stati nazionali cercano invece e da sempre di stabilizzarli e dar loro un documento e una residenza, col risultato di ottenere nel migliore dei casi soltanto dei cattivi cittadini e provocare l’ostilità dei sedentari contribuenti, da sempre poco inclini a mantenere quelli che considerano parassiti sociali (2). Ha più senso dar loro un documento ONU che riconosca invece la loro natura e li esenti da passaporti e frontiere chiuse, visto che per un nomade – sia esso un Tuareg o un Rom o un Sami – lo stesso concetto di frontiera è un’astrazione. Prima di indire un referendum per chiedere se è giusto dare la casa popolare ai rom, dovremmo chiederci che senso ha stabilizzare i nomadi, visto che almeno in Europa quando hanno fame non fanno più le razzie dei villaggi, ma al massimo ripiegano sul furto o sul recupero del nostro superfluo dai cassonetti.

Ma la cosa più curiosa di quel film era l’impressione che lo zingaro e il commissario fossero in realtà due metà della stessa persona, come se dentro di noi convivano il desiderio di ordine e quello di libertà assoluta, ed è forse questo il reale motivo del nostro atteggiamento ambiguo verso i rom.

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Note:

(1) Il documentario è attualmente reperibile presso la Videoteca Rom di Torino:

(2) L’analisi della letteratura sugli zingari non deve ingannare: è scritta esclusivamente da un’élite di antropologi, assistenti sociali, buoni samaritani e frange libertarie, per cui l’immagine dei rom alla fine risulta sempre positiva, un quadro ben diverso da quello che nel profondo pensa la gente.

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Lo zingaro e il commissario
Autore: Filippo DB
R.T.S.I. (RadioTelevisione della Svizzera italiana)
1991
min. 30

Il sottotitolo potrebbe essere:”occasione per una carrellata di ordinaria opposizione verso gli Zingari in Svizzera, ed in alcune città d’Italia

 

Libreria Feltrinelli

Da Feltrinelli all’Argentina mi trovo bene: i senegalesi alla vendita sono gentilissimi e alle informazioni c’è un imponente nero, solennemente vestito in jalaba colorata. “Nanga def” – gli faccio sbagliando accento, lui sorride. Cerco un libro di fiabe africane per i miei nipotini e ne trovo almeno cinque, non so quale scegliere. “Amul problem” mi fa, porgendomi un libro di racconti del Mali; lo compro. All’uscita, sull’ampio marciapiede non c’è scampo: ragazzi bianchi laureati cercano di rifilarmi Coelho, Garcia Marquez e il secondo romanzo di Melissa P. – Gentili ma sistematici…alla fine, invece di un libro ne compro tre. Come al solito.

La grande Schifezza

Mi sia perdonata la parafrasi del film di Sorrentino, ma da romano sono convinto che come esiste Cosmos, il dio della Bellezza, a Roma dimori anche il suo gemello perverso e infero. Scendete dal Campidoglio di Michelangelo e andate a piedi verso il Colosseo: i turisti in mutande e ciavatte sono forse migliori dei saltimbanchi in fila lungo via dei Fori Imperiali? E quando scoprite che un mimo imbiancato in realtà è un nero e che i falsi santoni arancioni sul palo – emuli di Simeone stilita – sono dislocati a distanze precise uno dall’altro, davvero non esiste un’organizzazione centralizzata che smista, veste e autorizza secondo regole ferree i vari artisti come nell’Opera da tre soldi di Bertolt Brecht? Peccato che abbiano allontanato il mimo che imitava perfettamente papa Wojtila: sicuramente lo rappresentava meglio del monumento che campeggia nel piazzale della stazione Termini. Il nostro film continua davanti al Colosseo, con centurioni e turisti vari, ma è una scena facile. Prendiamo invece la metro B per scoprire che, a differenza delle altre stazioni, quella del Colosseo è un solo un modesto esempio di edilizia. Altra scoperta sorprendente: pur essendo la più trafficata di turisti, è la meno presidiata in assoluto. Saremo arrivati almeno alla terza generazione di borseggio minorile, ormai ci riconosciamo e ci salutiamo pure. Ormai te li tieni come ti tieni i mendicanti professionisti che presidiano stabilmente le chiese come ai tempi della Controriforma, o come gli storpi d’epoca, importati dai Carpazi, che popolano Fontana di Trevi. Sarò anche cinico, ma è facile vedere la facile teatralità di certi gesti, di certe vestizioni, di atteggiamenti ripetuti con poche varianti. Nel periodo della globalizzazione tutto è omologato, come i negozi dei cinesi a piazza Vittorio, come il gelato artigianale (?), come la serie dei negozi senza porta che vendono i souvenir a un euro e sembrano realmente un solo negozio con quaranta ingressi. Parlo di Fontana di Trevi, del Pantheon. In realtà la rogna si espande e si attacca dappertutto: negozi del genere si vedono ora anche dietro al Tritone, lungo il corso Vittorio, verso Campo di Fiori, ormai un mercato-farsa per turisti e un luna park per alcolisti la notte. E cresce il vouyerismo: se il turista low-cost ora fotografa le cartoline con la digitale per non spendere 10 centesimi di euro, ieri ne ho còlto uno mentre fotografava i gelati. Forse non era normale fotografare le ragazze scollate, ma di questi cosa dire? I turisti giapponesi spesso fotografavano mio padre antiquario nel suo negozio, ma almeno quello era colore locale, un prodotto caratteristico. Qui invece stiamo al livellamento, penso allo scrittore Ian Fleming che in 007 ti descrive per tre pagine un banalissimo pacchetto di sigarette Malboro. Penso anche al genio di Andy Warhol, analista della ripetitività iconica industriale. In fondo avevamo i profeti, ma non li abbiamo saputi ascoltare. Nello stesso momento – siamo in campagna elettorale – un candidato sindaco promette la chiusura dell’anello ferroviario e l’eliminazione di tutte le buche. E tante, tante piste ciclabili.

Histria Antiqua

Son tornato in Istria in vacanza, e mi viene la curiosità di capire come era descritta dagli antichi greci la zona che va da Trieste fino a tutta la Dalmazia. Ho qui una copia di Antichi viaggi per mare. Peripli greci e Fenici, a cura di Federica Cordano (Pordenone, Edizioni Studio Tesi, 1992). Da questa antologia scelgo e cito testualmente dal Periplo del c.d. Pseudo-Scilace. Si tratta di un testo che probabilmente integra un nucleo originario con parti aggiunte anche due secoli dopo; pratica questa non infrequente nelle opere geografiche. Scilace era un esploratore al servizio di Alessandro Magno (sesto secolo a.C.), ma poco importa qui sapere se sia lui il vero autore del Periplo: la letteratura nautica è spesso cumulativa. Per scrupolo consulto anche un’altra edizione dello stesso testo, in inglese, curata dalla Università di Leicester nel 1992 e reperibile in rete. Non è pedanteria: la cito perché la trascrizione dei nomi diverge parecchio dall’edizione italiana e perché la corretta trascrizione dei nomi rimane un problema aperto. Purtroppo non ho sottomano un’edizione critica completa del testo in greco: l’edizione di Patrick Counillon (Bordeaux, 2004) si occupa solo della parte relativa al Mar Nero, che qui non ci interessa. Detto questo, chiariamo intanto cos’è un periplo: non è un portolano, ma piuttosto una descrizione delle coste. Tanto per capirci, un portolano descrive esattamente punti noti, secche, luoghi d’attracco e regime dei venti, mentre il periplo è più un’opera di geografia descrittiva. Il portolano serve dunque a chi naviga, il periplo è una piacevole lettura per chi resta a terra. Ecco dunque cosa scrive Scilace, il nostro greco: 19. Veneti. Dopo i Celti c’è il popolo dei Veneti. E nella loro terra scorre il fiume Eridano (cioè il Po).. La navigazione interna è di un giorno. 20. Dopo i Veneti c’è la popolazione degli Istri e il fiume Istro (il Danubio). Questo fiume sbocca nel Ponto (il Mar Nero), dirimpetto all’Egitto. 21. Dopo gli Istri c’è il popolo dei Liburni. Le loro città costiere sono Lia, Idassa, Attienite, Diurta, Alupsi, Olsi, Pedeti, Emioni. Essi vivono in regime matriarcale e le donne, mogli di uomini liberi, si uniscono anche ai loro servi e agli uomini del paese vicino. Ecco le isole, prospicienti queste terre, delle quali so dire il nome (ma ce ne sono molte anonime): Istri, lunga 310 stadi e larga 120, e poi le Elettridi e le Mentoridi. Queste isole sono grandi. Poi c’è il fiume Catarbate. La navigazione costiera della Liburnia è di due giorni. 22. Illiri. Dopo i Liburni si trovano gli Illiri, ed essi abitano la costa fino alla Chaonia <l’Epiro>, che è di fronte a Corcyra, l’isola di Alcinoo.<Corfù, in greco Kerkyra> e vi si trova anche una città greca, col nome di Eraclea; e vi abitano anche i Lotofagi, ritenuti barbari, cioè Ierastamni e Bulini. Confinanti con i Bulini gli Ilei. Questi poi dicono che il loro fondatore sia Illo, figlio di Eracle, eppure sono barbari. Abitano una penisola poco più piccola del Peloponneso. Dalla penisola si raggiunge <un’isola> stretta e lunga: vi abitano i Bulini. I Bulini sono un popolo illirico. La navigazione costiera del paese dei Bulini, fino al fiume Nesto, dura un giorno “lungo”. 23. Nesti. Dopo il Nesto la navigazione si svolge all’interno di un golfo. Tutto quanto il golfo si chiama Manio. La navigazione interna dura un giorno. E in questo golfo ci sono delle isole: Protera, Cratie, Olunte. Esse distano una dall’altra 2 stadi, e poco di più dalle dirimpettaie Faro e Issa. Infatti proprio qui si trova la nuova Faro, isola greca.; pure Issa è un’isola, ed entrambe hanno una città greca. Prima di arrivare al fiume Narone si costeggia un lungo tratto di costa che sporge parecchio in mare. E c’è un’isola vicina alla costa, che si chiama Melita, e un’altra isola prossima a quella, chiama Corcira La Nera. Questa seconda isola si allontana dalla costa, e con l’altro guarda la foce del Nesto. Essa dista venti stadi da Melita e otto dalla costa. 24. Mani. Dopo il paese dei Nesti si trova il fiume Narone, l’imboccatura della quale non è stretta, tanto che ci può navigare persino una trireme, e le navi mecantili possono arrivare fino all’emporio alto, che dista dal mare ben 80 stadi.. Vi abitano i Mani, che sono un popolo illirico. Vi si trova una grande laguna, e la laguna giunge fino al paese degli Autariati, anch’esso popolo illirico. All’interno della laguna c’è un’sola di 120 stadi, e l’isola stessa è molto adatta alle coltivazioni. E proprio da questa laguna esce il fiume Narone. Dal Narone al fiume Arione c’è una giornata di navigazione, e dall’Arione al fiume Rizunte una mezza giornata: qui si trovano i munumenti di Cadmo e Armonia, e neppure il santuario è lontano dal fiume Rizunte. Da questo fiume fino a Butoa la navigazione è pari a quella dell’emporio. 25. Encheli. Gli Encheli sono un popolo illirico e abitano la regione dopo il fiume Rizunte. Da Butoa fino ad Epidamno, città greca, per mare ci vogliono un giorno e una notte, via terra tre giorni. 26. Taulanti. Anche i Taulanti sono di stirpe illirica, e nel loro paese si trova Epidamno e un fiume di nome Palamno scorre lungo questa città. Da Epidamno si raggiunge la città greca di Apollonia. In due giorni di cammino.Apollonia dista 50 stadi dal mare e il fiume Aia bagna la città. Da Apollonia ad Amantia ci sono 320 stadi. (…) Cerchiamo adesso di mettere un po’ d’ordine, seguendo lo stesso ordine dei paragrafi: 19. Veneti. Sui Veneti poco da dire: esistono ancora, anche se anticamente erano cugini degli Illirii e simili a tutti i popoli indoeuropei venuti dalla zona della Turchia. L’Eridano è il bacino del Po. Le distanze qui son misurate in giorni di viaggio. Ma che s’intende per un giorno di viaggio? E’ grosso modo la stima che oggi farebbe un velista che si tenesse sotto costa e veleggiasse in condizioni climatiche buone, cioè con venti regolari o prevedibili. Anticamente si navigava dalla primavera fino all’inizio di ottobre. Nelle parti del testo integrate più tardi, le distanze son misurate anche in stadi (180 m.). 20. Istri. Il territorio degli Istri non pone problemi: l’Istria è un grosso triangolo ben caratterizzato geograficamente. Dopo gli Istri vengono i Liburni e, a seguire, Dalmati e Illiri. In realtà, prima della dominazione romana erano ancora liburniche anche le città istriane di Albona e Fianona, a oriente del fiume Arsa (lat. Arsia, croato Rasa) lungo la costa istriana. Qui i Liburni si sono trovati stretti fra Istri e Giapidi, un popolo che preme sulla costa dall’interno cone gli Slavi secoli dopo. Il fiume Arsa (lat. 45.0322 e lat. 14.0436) nasce dal monte Maggiore (Ucka in croato) e scorre in una specie di fiordo sul lato orientale dell’Istria fino a Barbana (Barban in croato). Albona (in croato Labin) esiste ancora (lat. 45.05N, long. 14.07E). Esiste anche Fianona (croato Plomin) (lat. 45.08 N, long..14.11E), abitata all’epoca per l’appunto dai Liburni Flanati. Il golfo del Carnaro o Quarnero (Qvarner in croato) era detto prima di Augusto Sinus Flanaticus. Ancora oggi è chiamata Istria-Liburnica la zona tra la Cicceria e il Carnaro, ed è ben delimitato dall’allungamento della catena del monte Maggiore, che si spinge fino a nord, fino alla strada che va da Trieste a Fiume, mentre a sud arriva per l’appunto al vallone di Fianona con la catena della Caldiera. 21. Liburni. Il territorio vero e proprio dei Liburni iniziava dal fiume Tibavio o Zedanio, che dovrebb’essere oggi un torrente presso Zerovniza a sud di Segna (croato, Senj, lat. 44.59N, long. 14.54E). Dal Tedanio si arriva costeggiando fino al grande fiume Tizio (Titius in latino, la Krka dei croati), che sbocca in mare a Sebenico/Sibenik e faceva da confine naturale con i Dalmati. Nel nostro periplo il fiume Tizio suona Katarbates (Kataibates nell’ed. Leicester). L’assurdo viene dopo: Lia, Idassa, Attienite, Diurta, Alupsi, Olsi, Pedeti, Emioni. diventano nell’edizione inglese Arsias, Dassatika, Senites, Apsyrta, Loupsoi, Ortopeletai, ed Heginoi (una in meno, tra l’altro). 310 stadi diventano 210, e così via. Se avessi tempo consulterei una buona edizione critica, dato che è evidente la corruzione del testo originale. Copisti ignoranti hanno trascritto i nomi come potevano. Ma quali sono i nomi veri? E soprattutto, a cosa corrispondono? Il suffisso -te è di certo liburnico (vedi Tergeste, Trieste) e Senites potrebb’essere Segna/Senj. Certo, i porti sono gli stessi da sempre, ma identificarli uno per uno sulla base di un elenco simile è azzardato. Più facile identificare le isole: Istri è per forza Cherso (Cres), viste le dimensioni, mentre Mentoridi ed Elettridi (lett. le isole dell’ambra, attraverso le quali passava il commercio del prezioso materiale nordico) sono per esclusione le altre: Veglia/Krk, Arbe/Rab, Pago/Pag e così via. Più quelle che all’epoca di Scilace non avevano nome. 22. Illiri. Agli Albanesi – sedicenti eredi degli antichi guerrieri Illiri – piace credere che il termine derivi da Iliret, uomini liberi, il che non è impossibile. Il fiume Nesto, che fa da confine tra Illiri e altri popoli più a sud, altri non è che la Narenta (Neretva). Il golfo Manio è il golfo di Spalato, ma sta più a nord.: il periplo ogni tanto non ha chiaro lo sviluppo reale della costa. I Greci vennero a contatto con gli Illiri più a sud – diciamo con gli antenati degli Albanesi – e hanno esteso il nome anche a popolazioni più a nord. Chi sono gli Ierastamni? Il testo edito da Leicester li chiama Iaderatenai, il che forse è più esatto: Iader era Zara e Jadran è tuttora il nome con cui i croati chiamano il loro mare Adriatico. Infine i Bulini. Sono sicuramente illirici, e sembrano abitare – almeno dalla descrizione – nella penisola di Sabbioncello/Peljesac. Eraclea è forse Corcira La Nera, ovvero Curzola/Korcula, almeno dalle monete col volto di Ercole ritrovate in zona. Stranamente non si parla di Epidauro (Ragusa vecchia, croato Cavtat). La Chaonia, confine sud degli Illiri, è l’Epiro. 23. Nesti. Melita/Mljet non pone problemi: non ha cambiato nome. Il golfo Manio è quello di Spalato/Split (vedi sopra). Cratie e Olunte sono oggi Brazza/Brac e Solta, mentre Faro e Issa sono Lesina/Hvar (<Pharos) e Lissa/Vis. Issa aveva evidentemente il digamma eolico, che suona “v”. La distanza tra le due isole è errata: non 2 stadi ma almeno 20. 24. Mani. Rhizon o Rizunte si riferisce alle Bocche di Cattaro. 25. Encheli. Epidamno è l’attuale Durazzo Butoa è oggi Budva. Il nome del popolo ricorda quello delle anguille(encheléai in greco). Forse era una comunità di pescatori. 26. Taulanti. Le rovine di Apollonia, oggi in Albania, sono visitabili. Era una colonia greca in terra straniera. Il fiume è l’attuale Voiussa.

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