Tutti gli articoli di Marco Pasquali

Una premiazione Spatriata di note

Siamo in Puglia, a Martina Franca. Claudia e Francesco (“Frankie”) si conoscono da ragazzi e quasi sono parenti, visto che il padre di Claudia – un medico di ospedale – ha una relazione con la madre di Francesco, infermiera. E’ un classico: facciata perbene, ipocrisia di provincia, dove i rituali familiari vengono comunque rigorosamente rispettati in una sorta di cosciente recita teatrale. Francesco prova per Claudia un’attrazione esclusiva che rimarrà costante negli anni, mentre lei, di famiglia agiata, è ribelle e proiettata verso esperienze sempre nuove ed estreme: la metropoli è l’altro da sé e lei andrà prima a Londra, poi a studiare a Milano, dove troverà un buon lavoro come consulente. Irrequieta, si trasferirà a Berlino dove cambierà due volte lavoro, passando dalle consulenze aziendali all’assistenza agli anziani e infine fonda una start-up per il catering creativo. Altrettanto variata la sua vita privata: in paese evita di legarsi troppo a un uomo possessivo e più grande di lei, mentre a Milano passa da una relazione all’altra e a Berlino si concede trasgressioni che vanno ben oltre la musica tecno amata a Londra e i rave party (1). Francesco invece è la parte diciamo sedentaria dell’inquieta provincia pugliese: studia a Bari e corteggia le fuorisede, inizia un lavoro in paese e poi, quando si sviluppa il turismo, mette su un’agenzia immobiliare che specula su trulli e masserie. In sostanza, rimane ancorato alla sua terra e a Claudia, al punto da non legarsi con nessuna altra donna. Se Claudia ha una personalità irrequieta ma duttile, Francesco invece non è mai sicuro della propria identità e solo a Berlino – dopo duecento pagine – ha il coraggio di mettersi insieme a un uomo, un giovane georgiano peraltro amante anche di Claudia, la quale ha pure una burrascosa convivenza con Erika, una mezza tossica che alla fine avrà una bambina e anche.. due zii. Niente paura, siamo a Berlino, libera patria della trasgressione e dei locali estremi ma con precisi codici, peraltro ben descritti con dovizia di particolari: le scene cult sono così tante che alla fine ti sembra tutto normale. Nel finale lui torna in Puglia e si dedicherà a un fondo agricolo ereditato dai nonni, mentre le famiglie si ritroveranno quasi unite, anche se nel frattempo gli accoppiamenti continuano in una sorta di Beautiful in salsa pugliese. E Claudia? Il finale è aperto, visto che lei non si fa ingabbiare da nessun legame e da nessuna tradizione. Per lei anche gli oggetti perdono quasi sempre significato dopo un certo periodo di tempo e infatti li butta o non se ne cura o li sotterra addirittura; diversamente da Claudio, attaccato alle pietre, alla sua terra, agli scrittori pugliesi (che cita e valorizza uno per uno) e anche alla religione, i cui rituali qui sono descritti in maniera molto sentita se non sofferta. Ma entrambi i protagonisti si sentiranno sempre due disadattati, per l’appunto “spatrièti”.
Detto questo, l’impressione (non solo mia) è che l’autore, pur vincitore del Premio Strega, ha scritto un libro sul quale avrebbe dovuto lavorare di più. A parte alcuni stereotipi (la ragazza ribelle ha i capelli rossi, i preti sono pervertiti e a Berlino sono tutti gay), è un classico romanzo di formazione e tutti i personaggi sono ben scavati, ma i dialoghi – provocatori ma scarni – sembrano scritti da Snoopy e alcuni spunti narrativi sono lasciati a metà: penso alla comunità dei somali immigrati o alle infiltrazioni malavitose nel mercato immobiliare. Francesco chiude l’agenzia e va a Berlino perché taglieggiato o solo per riunirsi a Claudia? Non si capisce. L’azione poi si sposta troppo spesso da un posto all’altro, quasi senza una vera continuità. Altra osservazione: il libro è trasgressivo quanto può esserlo uno sceneggiato televisivo, nel senso che tutto quello di cui lo scrittore parla è ormai stabilizzato nella società, dal mondo gay alla musica tecno, dalle coppie aperte alla perdita dei valori tradizionali. Quanto invece ai locali di tendenza berlinesi, l’autore arriva tardi: ci aveva già pensato lo scrittore gay Tony Green con Banged Up in Berlin (2014), anche se il più grande romanziere gay resta per me Hubert Fichte (1935-1986), di cui in italiano è stato pubblicato solo Pubertà (1974, ed. it. 1977), ma la cui produzione letteraria è notevole sia per quantità che qualità.

Note

  1. Tutto il libro è permeato di musica, soprattutto quando si parla di Londra, Milano e Berlino, e tutti i brani citati sono elencati nella postfazione. Propongo il libro per la rubrica di RadioRai3 “La musica fra le righe”.

Spatriati
di Mario Desiati
Einaudi, 2021, pp. 288

Prezzo: 20,00 €

EAN: 9788806247416


Non chiedermi chi sono

Un romanzo di formazione da non perdere di cui non accennerò minimamente alla trama  che non renderebbe giustizia delle continue invenzioni, degli inserti musicali o filosofici (Il Gran Consiglio dell’Archipianta), degli oggetti che assumono un significato nuovo secondo la persona (le bambole di Alice, la spazzola per capelli di Amanda, il coltello e la katana di Frankie); della Memoria sotto forma di epifania (citiamo Joyce?); della lenta presa di coscienza dell’identità di genere e del proprio corpo da parte ella protagonista, che scopre di valere qualcosa nel momento le chiedono il suo nome (Frankie risponde lei, perché ha letto Frankenstein, come ha preso coscienza di sé leggendo Piccole donne). Conosce l’amore quasi per caso, come casuali sono i suoi incontri in ambienti di frontiera, con personaggi che per fortuna la proteggono – almeno alcuni lo fanno. Impara a difendersi, a scrivere poesie, a organizzare in modo responsabile la propria vita. Il romanzo per fortuna lascia al lettore ampio margine per immaginare luoghi e ambienti secondo la propria fantasia. Il ritmo è quello dei romanzi picareschi e infatti il libro si legge tutto d’un fiato, visto che non sappiamo proprio cosa troveremo nella pagina successiva. Aspettiamo anzi un regista che prenda spunto dal libro e lo traduca in immagini. Immagini già presenti nel libro a mo’ di storyboard. Noi abbiamo visto le tavole originali e sono stupende. Del resto l’autrice si esprime da anni non solo con la scrittura di racconti, anche con la pittura, la radiofonia, le performance teatrali e qui scrittura e immagine si compenetrano a vicenda. Questo è il suo primo romanzo e pare davvero che la storia non finisce qui.


Non chiedermi chi sono
di Claudia Bellocchi
Editore: Robin, 2022, pp. 256
Prezzo 14,00 €
EAN: 9791254672914
ISBN: 1254672915


Demoniache presenze

Dalla vampirografia un elemento risulta chiaro: la persistenza (stavamo per dire l’immortalità) del conte Dragula. In quanto archetipo, il vampiro esiste da sempre e riesce a sopravvivere anche senza scrittura: ne fanno fede film di serie B di cui neanche si conosce il nome del regista, più migliaia di fumetti e di romanzi di consumo, pubblicati in decine di lingue. Inoltre, pur condizionato dalle sue insolite esigenze fisiologiche, il vampiro presenta notevoli capacità di  adattamento ambientale: tanto per fare solo due esempi nella Russia zarista de La famiglia del Vurdalak di A. Tolstoij, i nostri oscuri amici non possono muoversi oltre i confini del loro terreno, in quanto servi della gleba come i vivi, mentre in Vamp (1986) sono perfettamente inseriti in un ambiente metropolitano. Anche la connotazione di classe si adegua: l’aristocratico conte Dracula è affiancato ora da figure più comuni, figlie tutte della democrazia. E le vampire?

Certo Lucy o Clarimonde o Vespertilia sono ben più raffinate della volgarotta Vampirella o dell’impresentabile Sukia. Ma è il principio quello che conta.

Tuttavia, in mano al grande artista, Nosferatu (il non-morto) attinge al Sublime: diventa Eroe, Antieroe, Titano, Lucifero: Stoker, Dreyer e Murnau riscattano da soli tutti gli altri.

La chiave di volta è nell’aver creato una tensione morbosa, un meccanismo demoniaco di attrazione e repulsione che attira il protagonista, immancabilmente venuto da fuori, in una sorta di ragnatela. Si può arrivare a una forte intellettualizzazione: nelle Rivelazioni in Nero di Karl ]acobi la vittima di turno viene attirata dalla lettura del diario di un vampirizzato. Né mancano i manoscritti, l’ultimo dei quali è, stato … scoperto da Marin Mincu. Ora, Jerome K. Jerome l’autore di Tre uomini in barca) afferma çhe i personaggi delle tragedie mancano sempre di buon senso. Ma nell’Horror siamo a livelli ben peggiori: gli avvertimenti sono inutili, ci si avventura da soli di notte per tombe e cripte, si irridono tutte le maledizioni incise sulla pietra.

Questo perché il protagonista sente sempre la profonda affinità che lega i vivi ai morti. Quel che è peggio, intuisce o scopre non solo l’essenza del Vampiro, ma anche la propria. Non è solo Dracula ad aver paura dello specchio: il rischio maggiore lo corrono i vivi, che infatti diventano vampiri.

Basta un dettaglio del genere per capire l’antichità del culto: il carnevale stesso o Halloween fanno uscire i morti trai vivi, e questi ultimi non trovano soluzione migliore che mascherarsi da morti, cioè diventare morti. Ma esiste l’altra soluzione: è l’Eros, unico antagonista appunto della Morte, di Thanatos, Nosferatu viene intrattenuto dalla moglie della vittima fino all’alba: la donna – si chiami Ellen ci Lucy Harker non importa – conosce infatti la vera debolezza dei vampiri.

Nosferatu davanti alla Luce svanisce: in realtà è stato integrato e assimilato.

Ma sentiremo parlare ancora di lui…

EcoTipo – L’Evasione Possibile

Le aristocratiche pratiche

Prima di Lolita le bambine si comportavano meglio?

Questo piccolo manuale, scritto all’inizio del secolo da un raffinato scrittore francese, fa supporre che le ninfette la sapessero molto lunga. I consigli ricalcano (in parodia) i centinaia di manuali per le varie educatrici governanti, scuole di monache e altro.

Alcuni consigli (“Se scoprite che siete figlia dell’amante e non del marito di mamma, non chiamate quella persona ‘papà’ davanti a venticinque persone”) potrebbero ben figurare nei manuali di cui sopra.

Infatti la parodia non distrugge mai lo spirito originale della legge: lo rende più chiaro.

La perfida bambina cui tale manuale s’indirizza non è infatti uscita dal riformatorio: dal testo si desume che la ninfetta ha un autista, un’istitutrice inglese, una cameriera, più domestici.

E’ insomma una viziata ragazzina dell’alta borghesia.

E qui due osservazioni. E’ quasi facile trasgredire un codice se questo è ferreo, anche se usi e costumi privati possono essere ben lontani da quelli praticati in pubblico. La trasgressione richiede comunque un codice da trasgredire, e questo è il motivo perché l’erotismo d’epoca è più piccante.

Altra osservazione: l’erotismo, come ben altri diritti civili, riguardava solo una ristretta parte della società, e lo dimostra proprio questo galateo.

La lettrice precoce e procace, al patì dei suoi genitori, certe trasgressioni se le può permettere senza che l’equilibrio sociale o morale venga appena scalfito. Possiamo immaginare anzi la sua vita futura: moglie e madre borghese, ben realizzata in famiglia, ma degna di Girotondo di Schnitzler o di qualche pochade francese.

Il tradimento è fedeltà alla Legge, ma a quella della Natura.

Corollario: se l’erotismo attuale è volgare, è perché ha vinto la democrazia.

E’ chiaro che poche centinaia di aristocratici (e non di arricchiti) intenditori avevano un gusto più raffinato di noi. Ma non bisogna mai dar giù a chi è arrivato solo adesso a godere (!) dei diritti civili.

da EcoTipo – L’Evasione Possibile
del marzo 1993

Il bellicoso Putin

L’operazione speciale di Putin è proprio tale, visto che dura da sei mesi. Ma è una storia che parte da lontano, e questo libro – 150 pagine in formato tascabile – ce la racconta per intero, in forma di domande e risposte (standard molto diffuso nel mondo americano). Sorta di biografia non autorizzata, riscostruisce una carriera nata in sostanza come reazione al caos ladrone (cleptocrazia per chi ha fatto il classico) permesso da Eltsin in seguito al confuso periodo seguito al maldestro tentativo della Nomenklatura di far fuori Gorbaciov, a tutt’oggi stimato in Europa quanto non compreso e odiato a Est. Quanto a Putin, detto in breve ha ricostruito lo Stato, prima identificato nel Partito e crollato insieme proprio per questo. Seconda azione: mettere ordine con l’aiuto dei Siloviki (i potenti funzionari di Stato) e del KGB da cui Putin proviene. A questo punto viene ridimensionato lo strapotere degli Oligarchi, ex dirigenti del Partito che in aste riservate avevano comprato al ribasso gli enti di Stato con l’aiuto di banchieri privati. Cosa fa Putin? Li legittima e quindi li lega a sé, ma chiede loro parte dei loro profitti. E soprattutto, vieta loro di entrare in politica, mandando in Siberia chi si presenta alle elezioni, che vince ogni volta modificando anche le regole costituzionali. In quelle del 2014 il nostro Berlusconi esalta la vittoria elettorale di Putin ma dimentica di dire che non c’erano più avversari autorizzati. Qui emerge anche il Putin cupo agente del KGB a Berlino: chi non è d’accordo prima o poi sparisce: giornalisti, imprenditori, intellettuali. Gli attentati dei Ceceni poi sono l’occasione per operazioni militari a dir poco brutali quanto efficaci. Ma da chi sono stati realmente organizzati? Anche il recente attentato a Dugin presta il fianco a interpretazioni non verificabili. Già, perché l’apertura degli archivi di Stato è durata solo una decina d’anni, dalla fine dell’Unione Sovietica all’ascesa di Putin, il quale riporta la nostra idea di Russia a qualcosa di immanente, primordiale: uno Stato con un potere esclusivo e mistico. Esclusivo perché di fatto resta gestito da un gruppo di potere limitato (Putin ha abolito anche l’eleggibilità dei presidenti provinciali) e in parte impermeabile alla società, che peraltro non riesce mai a far crescere i c.d. corpi intermedi su cui si basa la nostra democrazia. Mistico e visionario perché legato alla religiosità ortodossa, alla grande letteratura russa e all’idea della Terza Roma erede di un Impero. Papa Francesco suggerisce di negare la superiorità di una singola cultura sulle altre, ma questo è un bel discorso accettabile da un antropologo ma mai da un politico, e Putin è un politico. E quello che suggerisce il libro è la continuità della carriera e della personalità politica di uno statista che solo ora che c’è una guerra in corso viene giudicato un autocrate ambizioso, freddo e spietato. Resta ora da capire se e fin quando i vertici industriali e militari lo appoggeranno in una guerra ferma al fronte da mesi. Putin non ha solo costruito e diffuso ad arte la sua biografia, ma ha interpretato il profondo desiderio di rivalsa del popolo russo dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica. In Cecenia è andata bene, in Georgia e in Crimea pure, utilizzando patrioti e milizie di fatto inquadrate nell’esercito regolare. Qualcosa però in Ucraina è andato storto: la guerra di posizione dura da mesi e ha un costo per tutti, anche se la capacità di resistenza della società russa è notoria e i disagi si vedranno solo nel lungo periodo. Putin può vincere solo accettando di limitare gli obiettivi, mentre invece – un po’ come la Germania nel 1939 – tende ad estenderli al Baltico e al Mar Nero. Ricostruire la mappa della vecchia Unione Sovietica è antistorico. Più senso strategico avrebbe stabilizzare i rapporti con l’Europa e dedicare le forze allo sviluppo delle enormi regioni orientali, vista anche la presenza della Cina, demograficamente ed economicamente più forte ora e in futuro. Ma questo esula dal contenuto del libro, peraltro pieno di aneddoti e dettagli molto sfiziosi sulla vita e la distorta personalità di un uomo politico sottovalutato per anni da noi occidentali.


Le guerre di Putin.
Storia non autorizzata di una vita
di Giorgio Dell’Arti
La nave di Teseo, 2022, pp. 160
EAN: 9788834610701

Prezzo: 14,00 euro