Mentre la Brexit riaccende il dibattito
sull’indipendenza della Scozia, è verso le sue coste che ci invita a dirigerci
verso Francesca Piqueras.
Francesca
Piqueras, conosciuta per le sue fotografie di relitti abbandonati alla ruggine,
presenta una nuova serie nella continuità. È lo stesso tema, lo stesso assillo
che l’artista scava e approfondisce qui con il suo approccio singolare,
affascinato dal rapporto che l’uomo ha con la natura. Ma è verso il continente
che si è rivolta, questa volta, il suo obiettivo e sui due elementi
fondamentali che sono la pietra e l’acqua
Queste strutture in cemento e acciaio
consentono a Piqueras di giocare sui paradossi. In primo luogo, poiché sono
emblematici dell’era industriale, sembrano usciti dalle profondità dei secoli.
Le piattaforme evocano totem eretti per la gloria di alcune divinità marine. Le
file di piramidi di Cramon fanno eco agli allineamenti delle Sfingi di Luxor.
Gli obiettivi di Luce Bay ricordano queste pietre megalitiche, che si trovano
in gran numero in Scozia.
Le sue fotografie sono meno meditative,
più frontali. Il rapporto con gli elementi e con la luce è sia più
naturalistico che più sfumato. Se la sua opera raggiunge un punto di maturità
continuando a interrogarci sul destino umano attraverso i suoi manufatti, non
si tratta più di confrontarli con l’elemento marino ma con questa costa che ora
appare sullo sfondo.
Queste strutture in cemento e acciaio
consentono a Piqueras di giocare sui paradossi. In primo luogo, poiché sono
emblematici dell’era industriale, sembrano usciti dalle profondità dei secoli.
Le piattaforme evocano totem eretti per la gloria di alcune divinità marine. Le
file di piramidi di Cramon fanno eco agli allineamenti delle Sfingi di Luxor.
Gli obiettivi di Luce Bay ricordano queste pietre megalitiche, che si trovano
in gran numero in Scozia.
Un altro paradosso su cui gioca la fotografa: se queste piattaforme e queste vestigia segnano gli stretti legami (militari, economici) della Scozia con il resto del Regno Unito, sembrano qui delimitare e isolare il “territorio tranquillo” che noi vede sullo sfondo delle sue fotografie.
Francesca Piqueras Territoire Tranquille TERRITOIRE TRANQUILLE Dal 18 febbraio al 5 aprile 2020
Sono passati quattro anni da quando il
giovane ricercatore Giulio Regeni è stato rapito al Cairo, atrocemente
torturato e ammazzato, il corpo lasciato in un fossato lungo un’autostrada. Da
allora, malgrado il loro impegno costante, i magistrati italiani che indagano
sull’accaduto si sono scontrati con un muro di gomma politico, eretto dal
regime egiziano di al-Sissi, che ha cercato in mille modi di depistare le
inchieste (compresa l’uccisione di cinque innocenti, falsamente accusati di
essere gli autori dell’omicidio) per impedire l’accertamento della verità e
l’affermarsi della giustizia.
Con intensità alterna, le autorità
italiane hanno chiesto conto al Cairo della vicenda, ma fino a oggi senza
esito. Ogni mese che passa allontana la speranza di identificare e condannare i
responsabili. La magistratura italiana alla fine dello scorso anno ha
presentato al parlamento le conclusioni dell’inchiesta, in cui afferma in
sostanza che quello di Regeni fu un omicidio di Stato. In questa vicenda,
l’Italia è stata gravemente e ciecamente lasciata sola. Nel maggio 2016, Il
governo britannico aveva chiesto “un’inchiesta trasparente per rispondere alle
preoccupazioni della comunità internazionale sulla sicurezza degli stranieri in
Egitto”. Ma niente di più. Poche settimane prima il presidente francese
François Hollande, durante un viaggio ufficiale al Cairo, aveva evocato la
questione dei diritti umani in Egitto, il caso Regeni e quello di Eric Lang, un
insegnante francese picchiato a morte in un commissariato di polizia. Ma il
numero uno francese dell’epoca aveva anche subito rassicurato che la “relazione
speciale”, economica e militare, con il presidente Abdel Fattah al-Sisi non era
in discussione. Da allora, la questione è scomparsa delle agende politiche e
diplomatiche dei dirigenti europei, sacrificata sull’altare dei rapporti
commerciali e della “stabilità” dell’Egitto, proclamata dal regime.
In realtà è dal 2016 che i Partners
europei avrebbero dovuto accompagnare gli sforzi italiani, come anche i
genitori di Giulio Regeni avevano chiesto davanti al parlamento europeo.
Avrebbero dovuto richiamare anche loro gli ambasciatori in Egitto, per lanciare
il messaggio che il caso Regeni riguarda tutta l’Unione europea, e non solo
l’Italia, perché Giulio Regeni era prima di tutto un cittadino europeo. Non è
difficile immaginare che in un simile scenario le autorità egiziane avrebbero
avuto un atteggiamento diverso e, incalzate dalla richiesta di verità congiunta
e determinata dei 28 paesi europei, senz’altro più collaborativo. Invece
sappiamo che è andata diversamente. Non avendo ricevuto il sostegno delle altre
capitali dell’Unione, il governo Gentiloni nell’agosto 2017 ha rimandato il
proprio ambasciatore, insieme all’implicito e inevitabile messaggio al Cairo
che il rapporto bilaterale non poteva più essere condizionato dal caso Regeni.
L’Europa ha cosi perso un’occasione di
mostrare solidarietà verso l’Italia, ma ha anche intaccato la sua stessa
ragione d’essere. Perché chiedere giustizia per il giovane ricercatore friulano
avrebbe significato affermare che l’Unione europea non si fonda solo sulla
convenienza di stare insieme per affrontare le sfide del XXIesimo secolo e le
nuove grandi potenze mondiali, ma che si basa prima di tutto su principi comuni
di libertà e di rispetto dei diritti umani. L’Ue non è un patto di azionisti. È
un unione politica che fonda le sue radici nel ricordo delle tragedie del
Novecento (le due guerre mondiali e la lotta contro tutti i totalitarismi) e la
volontà di superarle. Per questo, oggi, tocca a tutti i cittadini e tutte le
cittadine europei mobilitarsi per esigere che i loro rappresentanti nazionali e
europei facciano sentire un voce coesa, costante e determinata in direzione dal
Cairo. Ogni capo di Stato o di governo, ministro o delegato dell’Ue, andando in
Egitto o ricevendo un esponente egiziano, dovrebbe essere spronato
dall’opinione pubblica e dai media europei a chiedere instancabilmente e con
fermezza, verità per Giulio Regeni. La mobilitazione sarà lunga e difficile ma
è l’impegno che i cittadini europei sono chiamati a prendersi per Giulio Regeni
e per loro stessi.
Accanto a Amnesty, è un compito che
anche l’associazione EuropaNow!
cerca di assumersi. Nella consapevolezza che voler fare luce sulla scomparsa di
Giulio Regeni significa anche riaffermare il nostro sostegno di cittadini
europei a tutti cittadini egiziani che lavorano con coraggio per la verità e
che sono regolarmente minacciati dalle autorità. E più in generale, lanciare un
messaggio di attenzione, solidarietà e fratellanza con i democratici egiziani
che credono fermamente che il rispetto dei diritti umani sia un diritto
universale, che non ci sono regioni del mondo dove le libertà fondamentali possano
essere messe in secondo piano e dove il rapimento, la tortura e l’uccisione di
un ricercatore, perché avvenuti in Egitto, possano rimanere impuniti.
Il 25 gennaio, giorno del rapimento di
Giulio Regeni, invitiamo quindi le cittadine e i cittadini europei ad appendere
alla finestra striscioni, cartelli, qualsiasi supporto in qualsiasi lingua per
chiedere “Verità e Giustizia per Giulio Regeni”.
L’arte Zehra Doğan, artista e fondatrice dell’agenzia giornalistica femminista curda “Jinha”, si interseca e intreccia con la vicenda personale e con i drammatici eventi politici della più stringente attualità.
Il percorso espositivo riunisce circa 60 opere inedite, tra disegni, dipinti e lavori a tecnica mista, che interessano tutto il periodo della detenzione dell’artista nelle carceri di Mardin, Diyarbakir e Tarso, dove Zehra è stata rinchiusa per 2 anni, nove mesi e 22 giorni con l’accusa di propaganda terrorista per aver postato su Twitter un acquarello tratto da una fotografia scattata da un soldato turco. Questo disegno digitale mostrava la città di Nusaybin distrutta dall’esercito nazionale nel giugno 2016 con le bandiere issate e trionfanti, e i blindati trasformati in scorpioni.
La mostra dà conto della necessità irrefrenabile di produrre e raccontare non tanto la propria, quanto l’altrui condizione con l’immagine e la parola. Dalla carta di giornale alle stagnole dei pacchetti di sigarette, dagli indumenti di uso comune ai frammenti di tessuto: ne emerge una amplissima gamma di strumenti e materiali, spesso legata alle particolari contingenze entro le quali le opere hanno trovato vita. Qualunque elemento tratto dal quotidiano incorre nella creazione, come il caffè, gli alimenti, il sangue mestruale o i più tradizionali pastelli e inchiostri, quando reperibili.
Il corpo rientra nella rappresentazione politica con scene di guerra in cui di nuovo incorre la predominanza della presenza femminile, a sottolineare come la prima delle battaglie da vincere sia quella contro il patriarcato. Pablo Picasso, quello di “Guernica” e dell’elaborazione di un linguaggio specifico della disperazione è, nelle parole dell’artista stessa, il punto di riferimento fondamentale per definire una narrativa del dolore.
Zehra Doğan è anche protagonista, insieme alla scrittrice turca Asli Erdogan e alla docente universitaria di medicina legale Sebnem Korur Fincanci, del DopoFilm Curdi Terroriste Zehra e le altre di Francesca Nava.
Una vera e propria “Tortuga del
Mediterraneo”; Orano è una città che nel tempo ha saputo affascinare
marinai di ogni dove, la cui esperienza si è poi riversata nel Raï,
genere simbolo dell’intera Algeria.
Orano, la città dei pirati e dei leoni
Il nucleo originario della città venne
fondato nel 903 d.C. da dei mercanti omayyadi andalusi che riconobbero
fin da subito la potenzialità di quest’area. Il nome, secondo la
tradizione, viene fatto risalire dalla radice tamazight “hr”, che in
berbero indica il leone, animali che avrebbero popolato a lungo
quest’area.In poco più di 200 anni l’insediamento divenne sempre più
ambito, tanto da cadere nelle mani della dinastia zayyanide prima e del
regno di Spagna poi.
Gli iberici, infatti, avevano da tempo
posto le loro mira sulla costa africana, riuscendo ad occupare luoghi
come Melilla ed Algeri. Con la presa da parte degli europei nel 1509, la
città, così come l’intera Algeria, divenne luogo ambitissimo per
operare razzie e saccheggi, tanto che buona parte dei successivi
attacchi ottomani avvennero proprio per mano di corsari. Quest’ultimi
conquistarono definitivamente Orano nel 1791, venendo però scacciati
ancora una volta ad inizio ‘800 dai francesi.
La dominazione francese e la nascita del Raï
Con la dominazione dei transalpini, la
città conobbe un enorme sviluppo, diventando seconda solo capitale per
grandezza ed attirando al suo porto moltissimi esuli di ogni dove. Orano
era infatti popolata, oltre che da francesi, ebrei ed arabi, da italiani, spagnoli e beduini amazigh, i quali contribuirono a donare alla città un substrato culturale unico nel suo genere.
A partire dal 1930, infatti, proprio qui si andrà a diffondere la musica Raï, nuovo genere musicale che sfruttò appieno la posizione del centro per diffondersi in tutto il paese, diventando, de facto, la musica algerina per eccellenza. Con l’indipendenza acquisita nel 1962, però, tale musica comincerà ed essere sempre più malvista da uno stato che si identificava in primis come “arabo e musulmano”, tanto che si dovrà attendere addirittura il 1985 per vedere il primo festival di Raï ad Orano. Tutt’oggi la città è uno dei maggiori centri culturali del paese e la seconda città per numero di abitanti.
“Le tribolazioni dell’ultimo
Sijilmassi” è davvero un lavoro di altissimo livello che vi permetterà
di viaggiare a Casablanca e, in generale nel Marocco di oggi. Un testo
da avere assolutamente in quanto completo sotto ogni punto di vista ed
in grado di coinvolgere anche con il suo umorismo.
Le tribolazioni dell’ultimo Sijilmassi
L’ingegner Adam Sijilmassi è al suo
ennesimo viaggio in business class, di ritorno dall’Asia. Mentre sorvola
il mare si rende conto che è necessario rallentare e cambiare
impostazione alla sua vita. Inizia così un rocambolesco viaggio
nell’identità e nella memoria, alla ricerca di un’autenticità che possa
rappresentare una sintesi dei suoi diversi modi di essere. Dopo un
incontro surreale con un analista che cerca di ricondurre le sue scelte a
una forma di esaurimento nervoso, Adam parte alla volta del villaggio
natio. Scopre la biblioteca del nonno, testi di letteratura e filosofia
dei tempi dell’Andalusia araba e fa della lettura la sua attività
principale. Nel pensiero di Adam si affacciano continuamente frasi e
versi di opere letterarie che trovano il loro posto nell’interpretazione
della vita quotidiana, sistemandosi con grazia affianco al pot-pourri
di termini, proverbi, locuzioni del Marocco.
Il marocchino 2.0
Il romanzo di Fouad Laroui indaga nella
psiche del marocchino medio dei nostri giorni, mettendo in scena
davvero acuta e che, proprio per questo, non disdegna una vena
squisitamente comica, causata proprio dalla diversa mentalità del
protagonista rispetto a ciò che lo circonda. L’opera è infatti una vera e
propria riscoperta dei valori e delle tradizioni del Marocco,
andando a toccare un elemento profondamente ancorato al Mediterraneo
ovvero: l’imprevedibilità. Nella sua crescita a dir poco profetica (ma
ne parleremo nell’ultima parte), Adam si accorgerà infatti della
profonda spaccatura di fronte all’inaspettato, presente in massima
maniera fra campagna e città.
Se nella seconda, infatti, il cambio di
atteggiamento risulterà quasi folle, nella prima ciò non solo sembrerà
normale, ma, anzi, porterà ad un’accettazione fin troppo diffusa.
Sarebbe sbagliato, però, considerare il romanzo come un “Benvenuti al
Sud” in versione maghrebina, anche perché le considerazioni presenti
nell’opera di Laroui toccano corde decisamente più profonde e,
sopratutto, ricercate dallo stesso protagonista.
Personalmente ho un debole per tutti i
testi che in qualche maniera “decolonizzano” le menti ed è davvero
impossibile non notare come questo libro vada proprio in quella
direzione, anche se con una svolta inaspettata. In tutto il testo
osserveremo infatti come Adam lotti con sé stesso proprio per tale
scopo, trovando a dar manforte testi di incredibile sagacia ed acume che
lo aiuteranno a rafforzare il suo equilibrio interiore.
Attraverso le opere di filosofi del
calibro di Ibn Rushd (Averroè) e di altri grandi letterati del mondo
islamico, si avvicinerà sempre di più al suo obbiettivo, scontrandosi
però con la realtà che lo circonda, legata ancora a ritmi ancestrali e
dalle conseguenze inaspettate. Più avanti inizia la parte “spoiler”, ne
consigliamo ugualmente la lettura, però, perché il libro merita al di là
della trama.
Una considerazione
Il comportamento inaspettato di Adam,
unito ad una particolare tradizione del paese natio, porteranno infatti i
locali a considerarlo come una sorta di “profeta” il che, unito alla
paura della polizia ed alla nascita di più fazioni, faranno scoppiare
una sorta di “guerra del villaggio”. Ciò che, personalmente, non ho
apprezzato è la scelta finale di Adam, assolutamente coerente con il
protagonista ma, proprio per questo, un po’ deludente.
Quest’ultimo, infatti, proverà a
rappresentare una “nuova fazione d’equilibrio”, che, però, non si farà
scrupoli ad abbandonare in cambio della propria serenità interiore,
anche a costo di far l’eremita. Avrei apprezzato ancor di più l’opera se
Adam avesse provato a diffondere tale privilegio anche al resto della
popolazione, seppur a suo modo.
Un libro per vivere il Marocco di oggi
Il libro comunque è davvero un lavoro
di altissimo livello che vi permetterà di viaggiare a Casablanca e, in
generale nel Marocco di oggi. “Le tribolazioni dell’ultimo Sijilmassi” è
infatti stato uno dei primi libri letti dopo il mio viaggio in Marocco e
devo dire che trasmette tutte le sensazioni che ho provato in quel
periodo, specie durante le traversate in pullman.
L’abilità di Laroui è incredibile, però, anche per i continui giochi di parola fra darija e francese, oltre che per la finezza con cui è costruito tutto il libro. Un testo da avere assolutamente in quanto completo sotto ogni punto di vista ed in grado di coinvolgere anche con il suo umorismo.
Le tribolazioni dell’ultimo Sijilmassi
Fouad Laroui
Traduttore: Cristina Vezzaro
Editore: Del Vecchio Editore, 2019, pp. 321
Collana: Formelunghe
Prezzo: € 17,00
EAN: 9788861101715
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