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Il patrimonio di una città

Tutela e valorizzazione dei beni artistici di Roma, e non solo, sono nelle mani degli architetti e dei burocrati che tirano di conti.

Troviamo architetti che sanno gestire musei e biblioteche, curano la salvaguardia e il decoro dei monumenti e aree archeologiche, mentre i burocrati dell’amministrazione pubblica si trasformano in manager per la valorizzazione di questi tesori, spesso ignorandone la storia, mentre gli archeologi, gli archivisti, gli storici dell’arte e i bibliotecari occupano un ruolo di secondo piano, necessario per dare le informazioni appropriate e avallare le diverse scelte.

In un decennio è stato in crescendo il potere acquisito dagli architetti all’interno delle pubbliche amministrazioni, ma tutto è iniziato negli anni ’80, quando alla figura dell’architetto era stata assegnata la missione di risolvi guai. Una missione dovuta ai suoi studi umanistici, ma non troppo, e tecnici, ma senza eccessi, che rende l’architetto un professionista al disopra di qualsiasi peccato di specializzazione. Dove lo metti fa la sua figura!

I primi riconoscimenti per i servizi futuri l’architetto li ottenne negli anni della Legge 285/77, quando si diede un forte incentivo al lavoro giovanile nell’ambito della cultura, ma con gli anni si è consumata un’aberrazione della missione che ha emarginato ogni altra figura professionale.

Gli equilibri si sono rotti e gli architetti, in quantità industriale, sono diventati i depositari della cultura mentre sembra che nessuno si sia accorto di questa invasione.

Uno, solo un architetto si è dimostrato degno di tracciare un’indicazione valida per la cultura, ma dopo gli anni ’80 hanno cercato di emarginarlo.

Un architetto come Renato Nicolini che non era solo l’inventore dell’Estate Romana, ma aveva anche aperto le biblioteche e i musei, senza scopi di lucro, coinvolgendo quello che allora si chiamava realtà nel territorio.

Gli altri architetti difficilmente dimostrano un’apertura mentale disposta alla collaborazione. L’ego è così spropositato nel perseguire il sogno dei politici nel lasciare un segno del loro passaggio, ma spesso è solo simile a ciò che rimane sull’asfalto dopo il passaggio dei trasporti equestri.

Equini, ovini o bovini che siano cambia solo la grandezza del danno, seguendo questa scia che da qualche anno anche i burocrati del pallottoliere vogliono ritenersi importanti, sentendosi capaci di poter quantificare la potenzialità della cultura espressa in Euro.

Non è possibile racchiudere tutto in uno schema di costi-benefici a breve scadenza, ma è necessario avere uno sguardo verso il futuro per avviare una reazione a catena che porti nello strabordante patrimonio italiano la scintilla per una ripresa economica, ma questo non avverrà se i burocrati tramano con gli architetti per un bilancio politico e non per un investimento futuro.

Praticare il risparmio in modo sconsiderato o l’allungamento dei tempi nell’utilizzo dei fondi non offre nessun vantaggio economico, ma solo lo sperpero di un patrimonio.

Una goccia nel mare dell’incuria che può andare persa se non si sollecita l’intervento del Capo dello Stato attraverso l’adesione alla lettera su Change.org.

Le fiabe di Benaglia

Enrico Benaglia propone una serie di opere, tra cui alcuni inediti, eseguiti con la tecnica del pastello, con la quale ricava una prima bozza delle sue opere che poi trasforma in oli dopo aver studiato il tema e il tono cromatico con un pastello di dimensioni ridotte.

Usare il pastello permette di dare vita ad un’opera immediata, istintiva, volta a catturare le impressioni della realtà che poi il Maestro muta e trasforma negli esseri e nei paesaggi del suo mondo di favola, riuscendo a trasportare l’osservatore in un sogno ad occhi aperti.

La tecnica del pastello ben si presta a esprimere l’universo fiabesco di Benaglia: la morbidezza del pigmento, le sfumature e le velature, la pastosità degli infiniti toni fanno di queste opere autentici gioielli da collezione.

 

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Enrico Benaglia Roma musicainfinita_enricobenaglia

MACSI

vicolo del Campanile 9-9b

ENRICO BENAGLIA

Pastelli

Dall’8 novembre al 6 dicembre 2013

Orario:

dal mercoledì alla domenica

dalle 16.00 alle 20.00

Ingresso libero

Tel. 3392490110

Sito web

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Il ponte che vive

Ponte Rotto è uno fra i più anonimi monumenti di Roma, conosciuto anche come Pons Aemilius o Ponte Emilio – nella sua forma latina e italiana – è il più antico ponte in pietra di Roma inaugurato nel 174 d.C., sebbene un ponte ligneo fosse esistito sullo stesso sito fin dal 179 a.C. Oggetto di continue distruzioni e ricostruzioni, la sua metà orientale fu distrutta da un’inondazione nel 1598. Fu rimpiazzato dall’adiacente Ponte Palatino nel 1886.

Ore il Ponte Rotto non ha alcuna funzione e non rappresenta nulla. Non è segnalato da nessuna indicazione turistica e viene ignorato dalla maggior parte dei turisti; nonostante sia un’icona per molti abitanti, molti altri gli passano accanto con indifferenza. Questo contesto dà a Rewakowicz la possibilità di esplorare la dimensione umana del “paesaggio”: un genere definito dal suo contatto con gli esseri umani. In uno dei due film in mostra all’Istituto Polacco l’artista racconta la storia di persone la cui vita è legata al ponte, nonostante il ponte per loro non assolva il suo scopo originario.

Nel preparare un intervento su Ponte Rotto a Roma, Ana Rewakowicz coglie l’occasione di riflettere sul passato culturale della città e sul suo presente. Da dodici anni a questa parte l’artista lavora su oggetti gonfiabili e sulla loro relazione con l’architettura, il corpo e l’ambiente, producendo strutture temporanee che incoraggiano gli spettatori a interagire l’uno con l’altro e con ciò che li circonda. La mostra dell’artista all’Istituto Polacco induce – grazie a un’installazione, due film, e una serie di foto-disegni – a una riflessione sul legame tra Roma e il suo contesto. L’intero lavoro fa riferimento alla ricostruzione di Ponte Rotto, pianificata da tempo, tramite il completamento temporaneo degli archi mancanti. Analogamente al lavoro di Ana Rewakowicz intitolato Green Line Project (2006) – una ‘linea’ di 350 metri di materiale biodegradabile che si stendeva dall’isola di Lauttasaari fino ad Helsinki – il progetto di Ponte Rotto mira a un semplice intervento contemporaneo inserito in un paesaggio senza tempo. Nella Città Eterna un simile metodo operativo incontra un contesto particolare poiché ciò che è provvisorio si misura con l’antico.

La proposta di Ana Rewakowicz, di completare temporaneamente il ponte utilizzando materiale interamente riciclabile, induce a riflettere sulla convergenza di presente, passato e futuro in una cancellazione della distinzione tra “adesso”, “allora” e ciò che verrà.  Questo allo scopo di creare un contesto che sottolinei la distruzione del ponte non quindi per mostrare la bellezza, ma per guidare lo spettatore verso ciò che è importante: cioè l’“adesso”, che non deve essere cercato in un’incessante sete di novità, ma può essere trovato nell’apertura a un contatto con un ambiente più vasto. Il temporaneo intervento di Rewakowicz sottolinea precisamente l’imperfezione del ponte e della città, che trova la sua contemporaneità nella quotidiana apertura al passato, rinnovato giornalmente attraverso la percezione dei suoi abitanti. Il progetto di Ponte Rotto è un intervento temporaneo che indaga su dove Roma possa posizionarsi in un mondo in rapida mutazione e in un contesto artistico globale. Mike Watson.

L’artista, in concomitanza con la mostra, terrà un laboratorio presso l’Istituto Polacco.

Il laboratorio è a cura di ALAgroup, la piattaforma di educazione e arte contemporanea fondata da Maria Rosa Sossai. www.alagroup.org

 

06 Mostre Ana Rewakowicz Ponte rotto

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Ana Rewakowicz

Ponte rotto

Dal 4 novembre 2013 al 17 gennaio 2014

Roma

Istituto Polacco

via Vittoria Colonna 1

Orario:

dal lunedì al giovedì dalle 10.00 alle 17.00

venerdì su appuntamento

Ingresso:

libero

Sito web

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06 Mostre Ana Rewakowicz Ponte rotto 1

Il lungo viaggio dell’istruzione

I protagonisti involontari dell’ultimo lungometraggio di Pascal Plisson, senza conoscere Antonio Gramsci o Don Lorenzo Milani, nel teorizzare e praticare l’importanza dell’istruzione, appaiono consapevoli della rilevanza che ha la conoscenza per migliorare la vita.

Il regista francese, nel preparare un film, si è trovato davanti ai sacrifici che i ragazzi devono affrontare in vari luoghi del Mondo per andare a scuola. Una realtà che ignorava quella di intraprendere un periglioso viaggio che portavano i coraggiosi scolari da casa a scuola e viceversa, perdendo, lungo la strada, un po’ d’infanzia ogni giorno.

Dall’Africa, Asia e America Latina, per raccontare quattro storie in climi avversi e in un ambiente sfavorevole, tra animali ostili e malfattori, mentre in Italia, ma anche in altre parti del Mondo dove tutto è più facile e basta prendere il bus o il treno per ricevere un’istruzione, l’abbandono scolastico è sempre presente.

Il film narra le storie di quattro bambini, provenienti da differenti angoli del pianeta, ma uniti dalla stessa sete di conoscenza. Dalle savane sterminate del Kenya, ai sentieri tortuosi delle montagne dell’Atlante in Marocco, dal caldo soffocante del sud dell’India, ai vertiginosi altopiani della Patagonia, i quattro protagonisti, Jackson, Zahira, Samuel e Carlito sanno che la loro sopravvivenza, dipenderà dalla conoscenza e dall’istruzione scolastica, l’unico modo per salvarsi, tanto più se si è una bambina.

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06 Cinema Vado a scuola locandinaVado a scuola

(Sur le chemin de l’école)

Regia: Pascal Plisson

Sceneggiatura: Marie-Claire Javoy, Pascal Plisson

Fotografia: Simon Watel

Montaggio: Sarah Anderson, Sylvie Lager

Musiche: Laurent Ferlet

Produzione: Winds, Ymagis, Wild Bunch

Distribuzione: Academy Two

http://www.academytwo.com/film.php

Paese: Francia, 2012

Anno uscita: 2013

Durata: 1 h 15 min.

Formato: Colore

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Monologando Daniele

Gli elementi del teatro esplosivo di Daniele Parisi, in scena dall’8 al 24 novembre con due lavori da lui stesso diretti ed interpretati, è di un umorismo allucinato e da una spiazzante crudeltà, in una girandola caleidoscopica dal sapore amaro.

Il primo, “Abbasso Daniele Parisi”, in programma per le serate del 8, 9 e 10 novembre alle ore 21.00, è una sorta di one-man show, nel quale Parisi incarna personaggi ora dimenticati, ora traditi, appassionati e spaventati. Un bestiario di umanità grottesche libero da congetture psicologiche e dettami morali, condito di ritmo loop, tormentoni e canzoni impossibili.

Secondo lavoro in programma, “AB HOC ET AB HAC”, in scena il 15, 16, 17, 22, 23, 24 novembre alle ore 21.00. Un vero e proprio viaggio nell’ipocondria e nelle ossessioni che riguardano da sempre l’essere umano alle prese con concetto di “salute”. Un susseguirsi di situazioni e personaggi esilaranti, che davanti alla malattia o alla paura, smarriscono ogni principio razionale, entrando così in un universo surreale, diventando inconsapevolmente ridicoli.

Due appuntamenti da non perdere, che incarnano a pieno il teatro di Daniele Parisi, in tutte le sue bizzarre sfumature.

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06 Teatro Abbasso Daniele Parisi foto di federica CalìABBASSO DANIELE PARISI (prima settimana)

AB HOC ET AB HAC

Dall’ 8 al 24 novembre 2013

 

Teatro Doppio

via Tunisi, 16

Roma

Tel. 328 546 8526

http://www.danieleparisi.org/

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