Tutti gli articoli di Roberto Filippi

Pittura Inglese del ‘700

A Roma la pittura inglese è di moda; dopo la mostra su Alma Tadema ed i pittori vittoriani al Chiostro del Bramante è ora la volta alla Fondazione Roma, a Palazzo Sciarra, la mostra Hogarth, Reynolds, Turner. Pittura inglese verso la modernità. La Fondazione, attraverso Arte Musei, e la Soprintendenza hanno dato vita ad una interessante esposizione di oltre un centinaio di pezzi pervenuti da quarantasette musei e collezioni private in massima parte di provenienza estera. Attraverso le opere esposte si ricostruisce un importante periodo della storia della Gran Bretagna tra la seconda metà del XVIII secolo e la prima metà del XIX; fu un periodo in cui cominciò a svilupparsi il grande impero inglese che poi raggiunse il suo culmine a fine ‘800. Uscita sempre tra i vincitori dalle guerre di Successione e da quella dei Sette Anni l’Inghilterra ridimensionò i precedenti imperi coloniali di Spagna, Portogallo, Olanda e Francia sviluppando una poderosa flotta che divenne padrona poco contrastabile dei mari, iniziò la conquista dell’India e inviò navi alla scoperta dell’Australia e di molte isole dell’Oceano Pacifico.

Contemporaneamente si ebbe una grande mutazione sociale, all’aristocrazia legata alla proprietà terriera si affiancò una borghesia operosa attiva nei commerci con le colonie e legata alla nascente industria basata sull’uso appena scoperto del vapore come forza motrice utilizzando il carbone fossile molto abbondante in Inghilterra.

Fino allora la pittura inglese era rimasta nell’ombra e la nobiltà, unica committente, faceva riferimento all’arte italiana e francese ma con l’affermarsi rapido e massiccio della borghesia iniziò a svilupparsi un tipo di pittura locale destinato a un’immediata celebrità e ancor più nel secolo successivo.

All’epoca i dipinti erano suddivisi per tipologie: storici, mitologici, religiosi, ritratti, paesaggi, nature morte; la Chiesa Anglicana non favoriva la pittura religiosa, i ricchi borghesi trovavano forse ridondanti i temi storici e mitologici, preferivano arredare le loro case con ritratti loro, di parenti, di amici e con paesaggi di ogni genere. In questo caso le distanze da loro prese con la pittura italiana erano più di forma che di sostanza in quanto molti degli artisti dell’epoca avevano fatto il loro bravo soggiorno a Roma e si erano documentati sugli stili allora in voga.

La mostra espone opere di numerosi pittori e si articola su sette sezioni curate da Carolina Brook e Valter Curzi; la prima, contenente anche un dipinto del Canaletto, mostra quadri che testimoniano lo sviluppo edilizio di Londra che dopo il grande incendio del 1666 ebbe una impressionante crescita demografica, la seconda fa perno sulla affermazione della borghesia come classe sociale in rapida espansione, la terza mostra opere di Hogarth e Fussli che si dedicano, specie il secondo, a dipingere scene relative a tragedie di Shakespeare. La quarta sezione segna il trionfo del ritratto in tutti i suoi generi, mezzo busto, figura intera, gruppi e contiene parecchi splendidi dipinti opera di Gainsborough, Reynolds, Zoffany, Ramsay. Ma la vera passione di tutti i committenti inglesi era  la pittura di paesaggio e la quinta e la sesta sezione sono ricche di quadri di genere; la quinta in particolare espone dipinti ad acquarello, tecnica fino ad allora poco stimata  che conobbe però una rapida espansione quando apparvero sul mercato confezioni di colori facilmente solubili che permettevano all’artista di dipingere”en plein air” cogliendo sfumature di luce senza essere costretto a lavorare in studio su schizzi e appunti per le difficoltà di gestire le materie organiche che costituivano i colori; la sesta invece presenta grandi quadri ad olio con paesaggi, a volte italiani, opera di Wilson e Wright of Derby.

L’ultima sezione mette a confronto i dipinti di due grandi paesaggisti inglesi, un po’ più tardi di quelli delle sezioni precedenti in quanto lavorarono anche nei primi decenni dell’800, Constable e Turner, il primo più legato ad una visione  statica del paesaggio inglese, il secondo, memore delle esperienze romane, portato a maggior dinamismo espressivo.

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06 Mostre Pittura Inglese del '700 5564HOGARTH, REYNOLDS, TURNER

Pittura inglese verso la modernità

Dal 15 aprile al 20 luglio 2014

Roma

Fondazione Roma Museo (Palazzo Sciarra)

via Marco Minghetti 22

Orario:

lunedì 14/20

venerdì e sabato 10/21

martedì mercoledì e domenica 10/20

Informazioni e prenotazioni:

tel. 06/69205060

Sito mostra

Sito web

Catalogo:

Skira

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 06 Mostre Pittura Inglese del '700 02-Joshua-Reynolds-Lady-Bampfylde

La gloria dei vinti

Rendere omaggio al valore dei vinti è un concetto di grande generosità purtroppo poco tenuto in considerazione sia in passato che nel presente; c’è stata comunque qualche eccezione una delle quali riguarda un antico re, Attalo I di Pergamo. Era il sovrano di un piccolo regno dell’Asia Minore originatosi dallo sfaldamento dell’impero di Alessandro Magno e nel 240 a.C. sconfisse i Galati, una popolazione di origine celtica stanziata al centro dell’attuale Anatolia, che imperversava con sanguinose razzie nelle regioni vicine.

La vittoria ebbe grande risonanza nel mondo ellenistico ed Attalo la sfruttò commissionando due grandi opere bronzee che lo celebravano. La prima, nota come “il Grande Donario”, era costituita da una base circolare che ospitava, a detta di Plinio e Pausania, tre grandi statue, di misura superiore al vero, rappresentanti Galati sconfitti e morenti; opera dello scultore Epigonos era collocata nell’acropoli di Pergamo vicino al tempio di Atena Nikeforos (apportatrice di vittoria). L’altra, conosciuta come “il Piccolo Donario”, fu donata da Attalo ad Atene e posta sull’acropoli su una base a forma rettangolare, era insieme a altri gruppi simili rappresentanti l’Amazzonomachia, la Gigantomachia e la Medomachia; la donazione aveva sicuramente lo scopo di creare un gemellaggio tra Atene e Pergamo sia culturale che politico.

Le statue poste sulla base, di cui rimangono i resti, elevata di quasi due metri, erano circa una quarantina alte un po’ meno di un metro. Si ignora che fine abbiano fatto i due donari bronzei, si ritiene che durante il periodo imperiale siano stati portati a Roma da Nerone per la Domus Aurea e in seguito spostati da Vespasiano nel Templum Pacis dopodiché non ne abbiamo più notizie; due statue, il Galata morente ed il Galata suicida, appartenenti ad una copia  in marmo, forse di origine pergamena della seconda metà del I secolo a.C., furono rinvenute nel ‘600 nella Villa Ludovisi in una zona dove nell’antichità erano gli Horti Sallustiani precedentemente appartenuti a Giulio Cesare, forse il gruppo statuario fu un omaggio dei maggiorenti di Pergamo. Ora fanno parte la prima delle raccolte dei Musei Capitolini, la seconda di quella di Palazzo Altemps; secondo il professor Coarelli, in base a quanto descritto da Plinio, dovrebbe essere aggiunta al gruppo la statua, ora non più esistente, di una donna morta con un bambino.

Il Coarelli ha anche studiato il Piccolo Donario e ha curato una mostra, promossa dalla Soprintendenza e da Electa, che si tiene a Palazzo Altemps e che ha permesso la parziale ricostruzione del complesso artistico utilizzando statue provenienti da vari musei.

La storia moderna del Piccolo Donario inizia nel 1514 quando, da una lettera inviata da Filippo Strozzi a Lorenzo de’ Medici, nipote del Magnifico, apprendiamo che durante alcuni  scavi in un convento femminile, forse l’attuale Sant’Ambrogio della Massima, furono trovate cinque statue, di misura minore del vero, rappresentanti guerrieri morti o feriti; poco dopo ne furono trovate altre due. Conservate originariamente in Palazzo Medici, ora Madama, quattro statue passarono ai Farnese e poi ai Borbone di Napoli che le assegnarono all’attuale Museo Archeologico; altre tre finirono nella raccolta Grimani che ha costituito il nucleo del Museo Archeologico di Venezia.

Tre statue, forse pertinenti al Donario, sono conservate nei Musei Vaticani, al Louvre ed ad un museo ad Aix en Provence, questa con poca probabilità in quanto di dimensioni leggermente superiori alle altre. Dalla località del ritrovamento si può pensare che le statue ornassero il Portico di Ottavia o quello di Filippo; dato che dallo stile sembrano essere databili al II secolo d.C. potrebbero appartenere ad un grande restauro dei portici avvenuto all’epoca di Settimio Severo. La mostra curata dal Coarelli espone otto immagini di barbari  morti o feriti, una è una donna, poste in una posizione forse corrispondente all’originale unitamente ad un frammento del basamento proveniente da Atene. Nella stessa sala il gruppo del Galata suicida ed un grande sarcofago di epoca severiana che rappresenta una convulsa battaglia tra Romani e barbari; fanno parte dell’ordinario arredo museale ma sono idealmente collegati alla mostra. Il titolo di questa La Gloria dei Vinti vuole significare una concezione umana e generosa del rapporto tra vincitori e vinti; i Galati sconfitti sono ammirati e rispettati, il capo che si suicida, dopo aver ucciso la moglie, si volge con sguardo di sfida verso il vincitore mentre si immerge la spada nel petto; i due Donari mostrano solo i vinti non i vincitori che infieriscono contrariamente al grande sarcofago che presenta i barbari come selvaggi che meritano di essere distrutti senza pietà. Questa differenza di sensibilità è chiaramente visibile anche confrontando la Colonna Traiana con l’Antonina, tra le due corrono poco più di sessanta anni ma lo scenario politico e militare era molto cambiato: Traiano vincitore senza problemi può permettersi di rispettare ed ammirare il vinto Decebalo, l’impero è tranquillo, il nemico è lontano, il barbaro è ostile ma non fa paura. Marco Aurelio invece ha i barbari vicini, combatte ma non vince i Marcomanni, nell’impero c’è peste e carestia, il nemico terrorizza, mette in discussione gli equilibri faticosamente raggiunti, va annientato senza pietà e considerazione.

La mostra è una esposizione accurata del Piccolo Donario corredata da cartelli esplicativi ed esibisce anche una piccola ricostruzione del Grande Donario con le esatte posizioni delle due statue esistenti e quella probabile della terza.

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06 Mostre Piccolo Donario fotonews1LA GLORIA DEI VINTI

Pergamo, Atene, Roma

Dal 18 aprile al 7 settembre 2014

Roma

Museo Nazionale Romano – Palazzo Altemps

Orario:

da martedì a domenica dalle 9,00 alle 19,45

Curatore Filippo Coarelli

Catalogo:

Electa

Informazioni e prenotazioni:

tel. 06/39967700

tel. 06/56358003

Sito web

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 06 Mostre Piccolo Donario Dying_gaul

La spina nel piede

Alcune sale dei Musei Capitolini in questi giorni sono, e lo saranno fino al 25 maggio, affollate d’immagini di un ragazzo seduto e chino su un piede per togliersi una spina. La mostra, organizzata da Zetema e curata da Claudio Parisi Presicce, ospita 45 opere e si basa su un antico bronzo romano noto da secoli come lo Spinario contornato da copie ed imitazioni più o meno fedeli che coprono un periodo che va dall’età classica all’800. La statua sta al Museo dal 1471 quando Papa Sisto IV donò al Popolo Romano un certo numero di opere d’arte antica già nel Patriarchio Lateranense ma risulta citata già da alcuni viaggiatori medioevali che la videro e la ritennero di un dio pagano talvolta giudicato negativamente per la sua nudità. Si tratta di un antico bronzo fuso a cera persa e costituito da vari pezzi assemblati, recenti studi hanno confermato che testa e corpo hanno origini diverse, la prima di V secolo a.C. ed il secondo di epoca ellenistica; si pensa siano stati uniti alla fine del I secolo a.C. e si giustifica questa convinzione esaminando la capigliatura che ha una posizione statica di una figura in piedi e non spiovente di un capo chino in avanti.

Le ragioni di questo assemblaggio forse possono essere motivate dalla moda che in epoca augustea ebbe la rievocazione del mondo pastorale, arcadico, idilliaco; il giovane pastorello colto in un momento realistico rispondeva al gusto delle classi agiate dell’epoca. Altra teoria vuole che simboleggi il giovane figlio di Enea, Ascano Iulo progenitore della gens Giulia a cui appartennero Cesare ed Augusto, a dimostrazione di ciò si fa notare un particolare ciuffo di capelli nell’acconciatura del giovane, presente solo in alcuni esemplari, e che avrebbe un carattere sacro. Pochi secoli fa invece si sosteneva che la statua rappresentasse un pastorello di nome Mazio che, incaricato di recapitare un importante dispaccio militare, a somiglianza del Tamburino Sardo di Deamicisiana memoria, avrebbe corso a lungo con una spina nel piede togliendosela solo dopo aver recapitato il messaggio.

La popolarità dello Spinario è stata ampia nei secoli dando vita ad un gran numero di copie e varianti. addirittura in epoca romana con due tipi differenti di testa, altri esemplari esposti sono di epoca rinascimentale con piccoli bronzetti ed esemplari in terracotta tra cui un’opera del Sansovino; una copia perfetta, proveniente dal Louvre, fu commissionata da un Cardinale d’Este per farne dono al re di Francia Francesco I. A mostrare la diffusione dell’iconografia della statua sono in mostra anche stampe e documenti cartacei e tre dipinti di epoca tardo barocca, due con figure non giovanili che si tolgono la spina dal piede ed una visione di Villa Aldobrandini con numerose statue sulle terrazze e tra loro un grande Spinario. Interessò anche i commissari di Napoleone che lo spedirono al Louvre da cui tornò nel 1818.

Da più di due millenni il misterioso ragazzo che si toglie la spina affascina chi lo ammira e ora, in mostra, attorniato da parecchi suoi simili, continua a destare l’interesse storico e artistico dei visitatori.

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Mostre Spinario 33SPINARIO

Storia e fortuna

Dal 5 febbraio al 25 maggio 2014

Roma

Musei Capitolini

Palazzo dei Conservatori

Orari:

da martedì alla domenica

dalle 9.00 alle 20.00

Catalogo:

De Luca

Informazioni:

tel. 060608 (tutti i giorni dalle 9.00 alle 21.00)

http://www.museicapitolini.org

http://www.museiincomuneroma.it

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Nei secoli fedele…..all’arte

Sin dal 1969 l’Arma dei Carabinieri costituì un Nucleo Tutela Patrimonio Artistico per contrastare i furti e le illecite esportazioni di beni artistici; furono conseguiti immediatamente lusinghieri risultati al punto che nel 1971 fu creato il Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale articolato su un comando insediato in un grazioso palazzetto settecentesco, del Raguzzini, nei “Burrò” in Piazza Sant’Ignazio e tredici nuclei dislocati nel territorio nazionale. Comando e Nuclei collaborano con le Soprintendenze e le altre Forze di Polizia italiane ed estere per fornire la massima tutela al patrimonio artistico ed evitare i furti in musei, edifici religiosi, dimore private, impedire le illecite esportazioni e sorvegliare siti archeologici per prevenire deleteri scavi clandestini. Il Comando si è dotato di un archivio di cinque milioni di documenti relativi a beni artistici, di cui un milione rubati; si tratta della più importante ed aggiornata banca dati al mondo al punto che sovente Polizie di altri stati vi si rivolgono per ricerche e informazioni, inoltre il personale del Comando svolge spesso interventi in altre nazioni ed organizza corsi di formazione e aggiornamento per Polizie estere.

Il grande archivio permette spesso di recuperare opere d’arte finite all’estero, il tutto integrato da sorveglianza su aste e mercato antiquario.

Per gratificare il lavoro svolto dal Comando si sono tenute mostre che hanno esposto i recuperi effettuati, attualmente al Quirinale, dopo due precedenti rassegne nel 2007 e nel 2013, è ospitata una grande mostra di un centinaio di opere d’arte frutto del lavoro degli ultimi anni. Si tratta di vasi, marmi, dipinti che coprono un periodo che va dal VI secolo a.C. al ‘700, vengono da musei, chiese, case private ed in molti casi da scavi clandestini.

La mostra si svolge attraverso quattro sale, due delle quali facenti parte dell’antica Galleria di Alessandro VII affrescata da Pietro da Cortona e recentemente riscoperta sotto pitture di primo ‘800. Nelle Sale degli Scrigni, di Ercole e degli Ambasciatori sono esposti numerosi vasi attici o di imitazione d’epoca a figure nere o rosse, in molti casi opera di noti maestri vasai, una vetrina contiene monete argentee dell’ XI secolo, altre il “Tesoro di Loreto”, raccolta di vasellame sacro barocco in metalli preziosi e corallo rubato molti anni fa in un convento altoatesino. Diversi sono i dipinti, da un piccolo trittico medioevale ad una Santa Caterina e San Ludovico di Tolosa del ‘400, da sei deliziosi quadretti di scuola romana del ‘700 con vedute cittadine, molte delle quali non più esistenti, di proprietà della Diocesi di Montefiascone ad un quadretto, olio su rame, con un ardito incontro amoroso tra Leda e Giove sotto l’aspetto di un cigno, opera cinquecentesca di Lelio Orsi; il quadro più recente è una grande veduta romana del Panini recuperata attraverso vicende rimaste segrete.

L’ultima sala, di Augusto, contiene una interessantissima recente scoperta; pochi anni fa alla periferia di Perugia, in occasione dello scavo delle fondamenta di un edificio, fu scoperta una tomba ipogea etrusca contenente 23 deposizioni databili tra la fine del IV secolo e l’inizio del I a.C.: gli scopritori tentarono di rubare urne e corredo che però sono stati recuperati dai Carabinieri. Purtroppo è stato comunque fatto un gran danno in quanto il ritrovamento del sito come era originariamente avrebbe permesso studi e ricerche molto più accurati. I reperti sono un coperchio della più antica deposizione ad inumazione e 22 urne sepolcrali della illustre famiglia etrusca dei Cacni, già nota per altri ritrovamenti; sono generalmente in travertino, alcune semplici o con minima decorazione, altre invece riccamente coperte di bassorilievi per lo più con immagini tratte da episodi della mitologia greca attestante lo stretto contatto tra il mondo etrusco e quello greco.

Tre urne riportano il mito di Ifigenia, altre quello di Enomao e Pelope, dei Sette contro Tebe, di Atamante ed anche una Centauromachia, sono esposti anche resti del corredo, un elmo ed altri oggetti in bronzo e poi vasetti, bicchieri e ciotole miniaturizzati. Le opere in mostra, indubbiamente interessanti, valgono non soltanto per il loro valore intrinseco ma per il fatto che sono il simbolo di una tenace battaglia dei Carabinieri del Comando Tutela Patrimonio Artistico per salvare il nostro passato e la memoria dei tanti secoli trascorsi.

La mostra è stata organizzata dall’associazione Civita in concorso con il Ministero ed il Comando Carabinieri.

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06 Mostre Carabinieri CulturaSenza nome 1 20140121_etruschi_carabinieriLA MEMORIA RITROVATA

Tesori recuperati dall’Arma dei Carabinieri

Dal 23 gennaio al 16 marzo 2014

Roma

Palazzo del Quirinale

da martedì a sabato dalle 10,00 alle 13,00 e dalle 15,30 alle 18,30

ingresso gratuito

domenica dalle 8,30 alle 12,00

Euro 5 con visita al Palazzo

Informazioni:

http://www.quirinale.it

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Arsenico e… vecchi merletti

Fortunatamente l’arsenico manca ma i merletti a Palazzo Venezia sono di casa. Si tratta di una parte delle donazioni di oggetti d’arte che all’inizio degli anni Trenta del XX secolo fecero al Regno d’Italia i coniugi Wurts, americani, unitamente a Villa Sciarra sul Gianicolo che donarono a Mussolini che a sua volta la cedette al Governatorato, ora Comune, di Roma da utilizzare come parco pubblico.

La donazione avrebbe dovuto rimanere unita ma in realtà una parte ha avuto altre destinazioni mentre il resto è a Palazzo Venezia.

Le raccolte dei Wurts sono la dimostrazione del collezionismo onnivoro di fine ‘800: quadri, statue, vesti, armi, porcellane, avori, argenti, abiti antichi e infine merletti. Questi, per motivi di spazio e conservazione, non sono esposti ma su uno di essi, fiammingo del XVIII secolo, si è rivolto l’interesse della Soprintendenza che con il finanziamento della Fondazione Paola Drogotti, benemerita per i molti interventi conservativi sponsorizzati, sta curandone il restauro. Inoltre Soprintendenza e Fondazione hanno organizzato a Palazzo Venezia, nella bella Sala Altoviti, un ciclo di conferenze che si terranno a sabati alterni e che hanno per oggetto i merletti e il loro uso dal Rinascimento al Settecento; non si tratterà, come si potrebbe sbrigativamente pensare, di un “corso di ricamo” ma di una serie di interventi di studiosi qualificati che esamineranno la storia del merletto, il suo uso nella società, le diverse applicazioni nelle varie nazioni e presso le varie classi sociali.

Durante ogni conferenza verranno fornite notizie sullo stato di avanzamento del restauro del merletto sopra citato che verrà esibito al termine dell’ultimo incontro del 12 aprile prossimo.

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Le date e gli argomenti delle conferenze sono di seguito indicati nel programma.

1 febbraio, ore 11:00

Roberta Orsi Landini

Le vesti di Cosimo de’ Medici e di Eleonora da Toledo: nuove informazioni sul costume cinquecentesco dai documenti della Guardaroba medicea

15 febbraio, ore 11:00

Doretta Davanzo Poli, Olga Melasecchi

Il merletto nell’arte cerimoniale ebraica. Alcuni esemplari della Collezione tessile del Museo Ebraico di Roma

1 marzo, ore 11:00

Leon Lock

Il merletto veneziano scolpito alle corti d’Europa da Roma e Firenze a Parigi, Londra, Anversa e Copenhagen

15 marzo, ore 11:00

Antonella Pampalone

Merletti fra le carte

29 marzo, ore 11:00

Stefano Dominella

La seduzione dell’artigianato ovvero il bello e ben fatto italiano

12 aprile, ore 11:00

Thessy Schoenholzer

La rivincita del merletto a fuselli nel ‘700

Barbara De Dominicis

Un merletto di Bruxelles del Museo del Palazzo di Venezia: il restauro

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STORIE DI ABITI E MERLETTI

Incontri al museo sull’arte del pizzo

dal 18 gennaio al 12 aprile 2014

“basta un’occhiata allo specchio per credersi altri”

(I travestimenti, Eugenio Montale)

Roma

Museo Nazionale del Palazzo di Venezia

Sala Altoviti

via del Plebiscito, 118

Informazioni:

Tel. 06/69994388

Sito web

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