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L’ultimo Faraone

La stirpe regale dei Faraoni è stata la più duratura nella storia dell’umanità, dal 3.000 a.C. con i mitici Menes e Nermer che unificarono l’Egitto fino a Cleopatra che morì nel 30 a.C. e con cui si chiuse un’era. Per XXXII Dinastie, pur appartenenti a diverse famiglie e talvolta diverse etnie, i Faraoni, nome che significa “Grande Casa”, regnarono con alterne vicende sull’Alto e Basso Egitto quali rappresentanti in terra del dio Horo, il Sole. Per tre millenni si alternarono periodi di gloria e di decadenza fino alla conquista di Alessandro Magno a cui successe il suo generale Tolomeo che dette origine all’ultima dinastia che regnò sull’Egitto per tre secoli raggiungendo vertici di potenza politica, di prosperità economica e di grande sviluppo culturale accentrato nella nuova città di Alessandria con la sua celebre Biblioteca e i suoi dotti frequentatori. Verso la metà del I secolo a.C. regnarono in Egitto due giovani fratelli, anche coniugi secondo usanze mutuate dall’epoca faraonica, Tolomeo e Cleopatra VII Thea Philopatore che ben presto entrarono in conflitto tra loro. Mentre i due si scontravano giunse Pompeo, vinto a Farsalo, fuggiasco ed inseguito da Cesare; cercava asilo ma fu fatto uccidere dai consiglieri di Tolomeo. L’evento turbò Cesare che non lo apprezzò e lo spinse ad appoggiare Cleopatra nella sua lotta contro il fratello. Gli storici dicono che Cleopatra sedusse il maturo condottiero balzando seminuda da un grande tappeto che era stato portato alla presenza di Cesare; questi perse la testa per la giovanissima regina, vinse Tolomeo e lo fece uccidere incoronando Cleopatra come unica sovrana. La portò anche con sé a Roma assieme con un figlio, Cesarione, nato dalla loro relazione. Dopo l’uccisione di Cesare Cleopatra tornò in Egitto dove ricevette la visita di Marco Antonio, triumviro ed associato con Ottaviano e Lepido nella guerra vittoriosa contro gli uccisori di Cesare. Antonio andò per domare Cleopatra ma fu da lei domato; secondo quanto si racconta gli apparve su un fastoso vascello, seminuda come Venere con un equipaggio di ancelle poco vestite da ninfe. Il prode generale dimenticò la moglie, sorella di Ottaviano, i figli, i suoi doveri verso lo stato; si stabilì in Egitto, sposò Cleopatra da cui ebbe tre figli, Tolomeo Filadelfo e i gemelli Cleopatra Selene e Alessandro Helios, e meditò di creare in Oriente un grande regno in competizione con Roma. Ma l’astuto Ottaviano aizzò l’odio dei Romani contro il traditore, asservito ad una donna dissoluta, schiavo delle mollezze orientali; scoppiò la guerra, Antonio fu vinto e si uccise con la spada ai piedi dell’amata Cleopatra, quest’ultima tentò di sedurre il vincitore ma il freddo Ottaviano non fu attratto dai vezzi, forse un po’ avvizziti, della regina. Temendo di dover seguire in catene il trionfo del vincitore Cleopatra preferì morire, secondo gli storici facendosi mordere al seno da un serpente velenoso portatole in un cesto di frutta; ma forse morì di veleno. Era il 12 agosto del 30 a.C.; Cleopatra uscì dalla storia per entrare nella leggenda, fu l’ultima di una serie di Faraoni che avevano regnato sull’Egitto per millenni. Etnicamente non era Egizia ma Macedone, seducente, coltissima, conoscitrice di varie lingue fu una celebre esponente di quel fenomeno culturale noto come “ ellenismo “ che fece di Alessandria il centro economico e  culturale del Mediterraneo. Alle tumultuose vicende dell’ultima regina d’Egitto è dedicata, presso il Chiostro del Bramante, una grande mostra promossa da Arthemisia Group e da DART con il patrocinio del Ministero degli Esteri. Provenienti da numerosi musei italiani ed esteri sono esposti circa centottanta reperti che ripercorrono sia la vita di Cleopatra che gli eventi dell’Egitto Tolemaico. Sono anche esaminati i rapporti tra Roma e l’Egitto, grande fornitore di grano, di beni di lusso e di cultura con particolare accento sul periodo trascorso a Roma da Cleopatra tra il 46 e il 44 a.C. che molto influì sul costume e la moda nell’Urbe. Sono esposti numerosi reperti, in bronzo, oro, marmi di varie qualità, terracotte, argenti, avori, gemme che mostrano quanta influenza egiziana si ebbe presso le classi superiori a Roma paragonabile a quanto avvenne in Francia a  fine ‘700 a seguito della campagna Napoleonica in Egitto.  Numerose opere d’arte di grande qualità si alternano nelle nove sezioni in cui è divisa la mostra; tra loro spiccano alcuni busti in marmo che gli studiosi ritengono rappresentino la regina: una Cleopatra giovane, l’inedita Cleopatra “Nhaman” e un bustino di neanche 10 cm. raffigurante la regina .Numerosi i gioielli in oro o paste vitree di tipo egittizzante secondo la moda dell’epoca. Una sezione esamina la religiosità con le divinità sincretiche derivanti dalla fusione del pantheon egizio con quello greco, in particolare il culto di Serapide ed Arpocrate e la grande diffusione di quello di Iside. L’ultima sezione mostra le immagini di vari imperatori Romani,  Augusto, Tiberio, Domiziano, che sotto le sembianze di Faraoni offrono doni alle divinità egizie, segno di una compiuta osmosi tra le due culture. Nelle sale scorrono le vicende del periodo tormentato della metà del I° secolo a.C. con i suoi protagonisti Cesare, Pompeo, Marco Antonio, Ottaviano, Cleopatra e i tanti comprimari che pian pano sparirono dalla scena lasciando un solo vincitore: Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto che forse ritenne di aver trionfato sull’Egitto ma che in realtà come tutti i suoi concittadini subì il fascino della terra del Nilo fino ad esserne conquistato. Presso le Scuderie del Quirinale è contemporaneamente in corso una mostra su Augusto che permette di ampliare e completare la visione dell’importantissimo periodo storico tra la fine della Repubblica e l’inizio dell’Impero. La mostra è completata da laboratori didattici differenziati per bambini dai 4 agli 11 anni.

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Mostre CleopatraCLEOPATRA

Roma e l’incantesimo d’Egitto

Dal 12 ottobre 2013 al 2 febbraio 2014

 Roma

Chiostro del Bramante

via della Pace

 Orario:

tutti giorni dalle 10.00 alle 20.00

sabato e domenica sino alle 21.00

 Informazioni:

tel. 06/916508451

Sito web

Catalogo:

Skira

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Mostre Cleopatra cleopatra_web_31

Il primo Imperatore Romano

Il 23 settembre del 63 a.C. nacque a Roma, in una località nota come Capita Bubula, dove ora è l’Arco di Costantino, Gaio Ottavio figlio di Ottavio e di Azia, figlia di Giulia sorella di Cesare, e di Azio Balbo. A pochi anni il giovane perdette il padre, la madre si risposò e fu adottato dal celebre prozio divenendo Gaio Giulio Cesare Ottaviano. Dopo l’uccisione di Cesare si unì a due generali, Marco Antonio ed Emilio Lepido, costituendo nel 43 a. C. il Secondo Triumvirato che si scontrò con gli uccisori di Cesare, capitanati da Bruto e Cassio, sconfiggendoli nella battaglia di Filippi nel 42 a.C. I triumviri vincitori cominciarono a guardarsi con diffidenza cercando ognuno di guadagnare maggior potere; accantonato Lepido rimasero a fronteggiarsi Antonio ed Ottaviano. Il primo si recò in Oriente per organizzare le provincie da poco sottomesse ed in Egitto rivide Cleopatra che aveva conosciuto a Roma qualche anno prima quando la regina era l’amante di Cesare a cui aveva dato un figlio, Cesarione. La regina riuscì ad attrarre il generale che, sedotto dalla bellezza, dalle qualità intellettuali di Cleopatra e dal fascino dell’Egitto, dimenticò i suoi doveri, ripudiò la moglie Ottavia, sorella di Ottaviano, ignorò i figli e meditò, su influsso della regina, di farsi re dell’Oriente in concorrenza a Roma. Lo scaltro Ottaviano eccitò il nazionalismo dei Romani contro il traditore Antonio schiavo dei vezzi di Cleopatra, da cui aveva avuto tre figli, e della magia dell’Egitto. Si giunse alla guerra e il 2 settembre del 31 a.C. ad Azio, in Grecia, la flotta orientale fu sconfitta e l’esercito si sbandò, Antonio fuggì in Egitto e si suicidò ai piedi di Cleopatra che a sua volta si uccise per non essere esibita in catene nel trionfo del vincitore. Ottaviano tornò trionfatore a Roma divenendo padrone assoluto dello Stato ma con finta modestia e rispetto delle istituzioni rinunciò a tutte le cariche straordinarie che aveva rimettendo i suoi poteri al Senato e al Popolo Romano. Fu “regolarmente” eletto a vari incarichi, nel 27 a.C. ebbe l’imperium proconsulare maius, cioè il comando di tutte le truppe stanziate nelle provincie, nel 23 a.C. la tribunicia potestas, uno stato di inviolabilità concesso da secoli ai tribuni plebis, alla morte di Lepido divenne anche pontifex maximus cioè capo della religione di stato romana, infine il Senato gli attribuì il titolo di Augusto. Dove non giunse lui pose i suoi fidi tra cui spiccò Agrippa suo generale ed amico; a lui fece sposare la sua unica figlia Giulia preparando la successione per i suoi nipoti Gaio e Lucio figli della coppia. Ma dopo le gioie vennero i dolori: morì Agrippa, morirono i nipoti, con sospetti secondo alcuni storici verso Livia seconda moglie di Augusto, Giulia vedova dovette sposare Tiberio, figlio con Druso di prime nozze di Livia con Claudio Nerone.

Il matrimonio fallì e la troppo vivace Giulia fu esiliata a Ventotene, morì anche il prode Druso e l’unico rimasto vicino ad Augusto fu il non amato Tiberio che però alla fine fu adottato e destinato alla successione. Ottaviano Augusto si impegnò in campo amministrativo, riorganizzò le provincie, l’esercito, il fisco, fondendo in un’unica compagine statale una serie disomogenea di territori occupati dai Romani in varie epoche e a vario titolo. Non fu un guerriero ma fece condurre alcune campagne per occupare zone che si frapponevano fra le varie provincie quali settori alpini, luoghi remoti dell’ Hispania e dell’Asia Minore e del nord della Grecia. Andò male invece in Germania il tentativo di espansione fino al fiume Elba; nel 9 d.C. una grande colonna composta di tre legioni con bagagli e civili al seguito sotto la inetta guida del proconsole Varo si inoltrò in terreni boscosi e acquitrinosi; attaccati, i Romani non poterono disporsi in ordine di battaglia e furono coinvolti in una serie di imboscate che portarono alla distruzione delle legioni, alla perdita delle insegne, al suicidio di Varo. Solo l’intervento di rinforzi guidati da Tiberio permise di stabilizzare il confine sul Reno che li rimase per secoli. Più fortunata la politica di Augusto in Oriente dove riuscì a far pace con i Parti e farsi restituire le insegne delle legioni guidate da Crasso e sconfitte decenni prima. Il 19 agosto del 14 d.C. Augusto morì a Nola in una casa paterna e nella stessa stanza in cui era morto, tanti anni prima, il padre. Fu sepolto a Roma nel grande mausoleo tuttora esistente. La sua, per l’epoca, lunghissima vita fu la base della fortuna dell’Impero Romano e forse della successiva affermazione del Cristianesimo.

Gli oltre quaranta anni di dominio assoluto, sia pure mantenendo formalmente in vita le magistrature repubblicane, consentirono il consolidamento di una nuova idea di stato centralizzato e moderno gettando le basi per un sistema che tra alti e bassi durò mezzo millennio e permise il successivo sviluppo della attuale società occidentale. Una precoce morte di Augusto avrebbe probabilmente scatenato nuove guerre civili con esiti imprevedibili. Fu inoltre un consumato manipolatore di quelli che allora erano i mezzi di informazione riuscendo ad apparire, per mezzo di letterati e artisti a lui legati, il miglior “padre della patria” possibile.

Nel 1937 il Regime Fascista celebrò con fastose cerimonie il bimillenario della nascita di Augusto e fu aperta una grandiosa mostra, spettacolare ma di grande spessore scientifico, con il contributo di musei e di istituzioni di tutto il mondo. Quest’anno in prossimità del bimillenario della morte del primo Imperatore le Scuderie del Quirinale hanno organizzato una mostra forse più ridotta ma di altrettanto valore scientifico. Sono presenti circa 200 opere provenienti da musei italiani e stranieri e, attraverso esse, si può ricostruire l’età d’oro del principatus di Augusto; di lui sono esposte numerose statue e, accanto ad alcune già note, quali l’Augusto di Prima Porta e quello in veste di Pontifex Maximus, appaiono una parte di statua equestre in bronzo recuperata nel Mar Egeo ed un busto in bronzo di fattura egizia. In occasione della mostra sono stati riuniti i Rilievi Grimani sparsi per più musei ed il gruppo dei Niobidi già proveniente dagli Horti Sallustiani. Fanno bella mostra gli oggetti preziosi come gli Argenti di Boscoreale e diversi raffinati cammei attualmente presso musei di Londra, Vienna e New York.

Chiude l’esposizione una ricostruzione con undici pannelli marmorei, ora divisi tra Spagna ed Ungheria, già appartenenti ad un monumento eretto in onore di Augusto in Campania e celebrante la battaglia di Azio che segnò il trionfo ed il culmine della sua lunga lotta per il potere. Per una singolare coincidenza a poche centinaia di metri dalle Scuderie del Quirinale si tiene, presso il Chiostro del Bramante, una mostra sulla grande nemica di Augusto, Cleopatra.

È un’ottima occasione per rivisitare un importante periodo storico considerandolo dai diversi punti di vista dei due avversari. E’ una mostra splendida, degna del primo imperatore, con un piccolo neo; le didascalie al piano terreno sono malamente leggibili in quanto illuminate da luce diretta, il visitatore per leggerle si interpone e con la sua ombra oscura la scritta.

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Mostre augusto_scuderie_thumbAUGUSTO

Dal 18 ottobre 2013 al 9 febbraio 2014

Roma

Scuderie del Quirinale

via XXIV Maggio 16

Orario:

da domenica a giovedì

dalle 10.00 alle 20.00

venerdì e sabato dalle 10.00 alle 22.30

Catalogo:

Electa

Informazioni:

tel. 06/39967500

http://www.scuderiequirinale.it

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Un caraveggesco veneto

Con questa convenzionale denominazione è chiamato un valente pittore dei primi due decenni del ‘600 che probabilmente avrebbe raggiunto i massimi vertici della sua arte se non fosse morto in ancor giovane età: Carlo Saraceni.

A lui è dedicata una mostra che si tiene a Palazzo Venezia e che ripercorre la sua vita attraverso l’esame delle sue opere, si tratta della prima monografica sinora dedicata all’artista ed esamina la sua evoluzione stilistica; viene anche descritto il mondo culturale ed artistico del primo ‘600 diviso tra le due tendenze del naturalismo caravaggesco e del classicismo carraccesco.

Il Saraceni nacque a Venezia intorno al 1579 e si sa che si trasferì a Roma nel 1598 lavorando con Camillo Mariani e poi con Adam Esheimer, un ottimo pittore tedesco specializzato in paesaggi, soprattutto notturni, mediatore tra gli stili di Caravaggio, Domenichino e Annibale Carracci.

A Roma il Saraceni si affermò subito ricevendo prestigiose committenze pubbliche e private, dipinse piccoli e raffinati rami e grandi pale d ‘altare. A Trastevere, nella Chiesa di Santa Maria della Scala, fornì la grande tela rappresentante il “Transito della Vergine” in sostituzione dell’analogo quadro del Caravaggio rifiutato dai committenti per il troppo crudo verismo. Tra il 1616 e il 1617 lavorò alla decorazione della Sala Regia del Quirinale, sue opere sono nelle chiese di Santa Maria dell’Anima e di San Lorenzo in Lucina; una grande tela con il “Martirio di Sant’Agapito” si trova da secoli nel Duomo di Palestrina. Tornato a Venezia gli fu commissionato un telero per la Sala del Maggior Consiglio in Palazzo Ducale ma nel 1620 morì improvvisamente e l’opera fu terminata dal suo socio e allievo Leclerc. Fu un artista sensibile alla lezione caravaggesca ma interpretata in maniera personale, il realismo è attenuato dal gusto per un maggior intimismo e da un tipo di colore e luce di chiara origine veneta, è un caravaggismo reso con  differente tonalità e addolcimento del verismo.

La mostra è stata ideata dalla precedente Soprintendente Rossella Vodret e curata da Maria Giulia Aurigemma con il coordinamento di Civita ed espone numerose opere del Saraceni, alcune inedite ed altre recentemente restaurate, fornendo una esauriente carrellata sulla vita e le opere del pittore veneziano partendo dagli esordi legati al naturalismo nordico fino a giungere al caravaggismo rivisitato.

Le opere esposte, suddivise in varie sale, sono oltre sessanta e provengono da chiese, musei e collezioni italiane ed estere, tra loro spiccano un piccolo quadro in rame (39 x 54) di soggetto erotico-mitologico rappresentante gli amori di Venere e Marte, proveniente da Madrid, una Giuditta, in collezione privata, esposta per la prima volta e rifacentesi ad analogo dipinto del Lotto ed un Diluvio Universale recentemente identificato come opera dell’artista e ritrovato in un convento di clausura dei dintorni di Sorrento, in origine in collezione Orsini. Una sala raccoglie dipinti di scolari e imitatori ed alcuni dipinti da attribuire dubitativamente al Saraceni o ad un altro misterioso ed ignoto artista noto come “pensionante del Saraceni”. Un accurato catalogo ed una guida breve contribuiscono ad una completa comprensione dell’arte del pittore veneziano.

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06 Mostre Roma SaraceniCARLO SARACENI

Un veneziano tra Roma e l’Europa

Dal 29 novembre 2013 al 2 marzo 2014

Roma

Museo Nazionale – Palazzo di Venezia

via del Plebiscito

Ingresso:

10.00 euro

Orario:

dalle 9.00 alle 19.00

chiuso il lunedì

Informazioni:

06/699941 – 32810

Sito web: http://museopalazzovenezia.beniculturali.it/

Catalogo

De Luca

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Pictor Urbis

Così veniva chiamato Antonio Aquili più noto come Antoniazzo Romano, nato a Roma tra il 1430/35 e qui morto nel 1508, operante sia in città che nel Lazio Pittore versatile e capo di una avviata bottega ebbe committenti religiosi e laici ed adeguò spesso la sua arte ai loro gusti: pur potendo essere definito un pittore rinascimentale si cimentò anche in stili attardati di tipo tardo gotico dipingendo tavole a fondo oro.

Il Vasari, che scrisse a metà ‘500 le Vite dei più eccellenti pittori, pur esaltando soprattutto i pittori toscani suoi conterranei, elogia Antoniazzo definendolo “pittore dei migliori che fussero allora in Roma”. Non si sa molto della vita dell’artista, era figlio di Benedetto pittore ed aveva due fratelli anch’essi pittori, la ricostruzione delle sue vicende è più difficile rispetto a quella di artisti suoi contemporanei; ebbe certamente rapporti con Beato Angelico, Benozzo Gozzoli e Piero della Francesca tutti operanti a Roma e nel 1465 collaborò con Melozzo da Forlì nella decorazione ad affresco della Cappella Bessarione nella Basilica dei Santi Apostoli in Roma, riscoperta pochi decenni fa in una posteriore intercapedine; nel 1468 partecipò al ciclo illustrante la vita di Santa Francesca Romana nel convento delle Oblate a Tor de’ Specchi.

Lavorò in Vaticano con il Ghirlandaio, Melozzo e il Perugino e a lui è stato recentemente attribuito il ciclo di affreschi “storie dell’invenzione della vera croce” nel catino absidale della chiesa di Santa Croce in Gerusalemme precedentemente ritenuto opera del Pinturicchio. Dipinse anche a Tivoli, Bracciano, Subiaco, Viterbo.

Le opere esposte in una mostra presso la Galleria Nazionale di Arte Antica a Palazzo Barberini provengono da svariati musei e raccolte private, sono una cinquantina e offrono un vasto panorama dell’attività dell’artista e della sua prospera e operosa bottega che è stata individuata nell’attuale Piazza Rondanini. Accanto alle opere d’arte, tavole ed affreschi staccati, sono in mostra documenti provenienti dall’Archivio di Stato quali lettere autografe, contratti, atti privati e il testamento del pittore.

L’Accademia di San Luca espone un codice miniato del 1478 con lo statuto della corporazione dei pittori della quale Antoniazzo fu console.

Sono presenti numerose pale d’altare con Madonne e Santi e piccole tavole per culto privato con la Vergine e il Bambino nonché il ciclo pittorico in affresco della Camera di S.Caterina da Siena riunito per l’occasione dato che, dal ‘600, è stato staccato dalla sede originaria e diviso tra i conventi della Minerva e di S.Caterina a Magnanapoli; chiude la rassegna delle opere dell’artista la splendida tavola, a fondo oro, proveniente dalla chiesa di Santa Maria sopra Minerva; voluta dal Cardinale Torquemada rappresenta una Annunciazione con un contorno di fanciulle appartenenti ad una congregazione di ragazze povere, che il cardinale forniva di dote, a cui, la Vergine consegna un sacchetto di monete. La tavola, datata nell’anno giubilare 1500, è l’ultima opera nota di Antoniazzo.

Fanno contorno alcuni dipinti dovuti al figlio Marcantonio, che trasferì la bottega a Rieti, e ai collaboratori Jacovetti, Scacco, Gatti e Cola dell’Amatrice. In occasione della mostra gran parte di quanto esposto è stata restaurato ad opera delle Soprintendenze competenti, per lo più da personale interno.

Per gli affreschi è possibile seguire un itinerario che consente di visitare le chiese che ospitano dipinti di Antoniazzo Romano: Santi XII Apostoli, Santa Croce in Gerusalemme, San Giovanni in Laterano, San Pietro in Montorio, Sant’Onofrio.

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06 Mostre Antoniazzo 5524Antoniazzo Romano

PICTOR URBIS

Dall’11 novembre 2013 al 2 febbraio 2014

Roma

Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Barberini

via IV Fontane 13

Orario:

da martedì a domenica

dalle 10.00 alle 19.00

Informazioni:

tel. 06/4824184

Sito web

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 06 Mostre Antoniazzo

Un gigante di marmo

Percorrendo il lungotevere in uno slargo intitolato, ironia della sorte, all’antifascista Lauro De Bosis si erge un obelisco di marmo alto più di 40 metri con una cuspide dorata; sulla sua faccia rivolta alla strada appare scolpita in grandi lettere la scritta “MUSSOLINI DUX”. È curioso pensare a come l’opera sia riuscita a sopravvivere alle varie epurazioni di simboli del Fascismo iniziate il 25 luglio 1943, forse si è salvata per le dimensioni ma è da notare come anche la scritta non sia stata intaccata da scalpellature o riempimento delle lettere. Comunque il monolite è sopravvissuto come gli edifici che lo circondano, ora Foro Italico, un tempo Foro Mussolini.

Il complesso ideato con finalità sportive ed educative venne progettato verso la fine degli anni Venti del ‘900 dall’architetto Del Debbio per incoraggiare i giovani alla pratica sportiva e militare legata agli ideali del regime e sin dai primi progetti era prevista l’erezione di uno o più obelischi.

La circostanza determinante avvenne nel 1927 allorché a Carrara, nella Cava Carbonera, venne rinvenuto un blocco di marmo, senza venature né fratture, di dimensioni non comuni, oltre 17 metri, ed il Consorzio dei marmi di Carrara propose di offrirlo al Capo del Governo; la proposta fu appoggiata da Renato Ricci, carrarese, responsabile dell’Opera Nazionale Balilla, reduce decorato della I Guerra Mondiale, importante gerarca e, come si diceva allora, squadrista della “prima ora”. L’ O.N.B. curava l’indottrinamento e la cultura fisica dei bambini e ragazzi dai 6 ai 18 anni articolati in varie fasce d’età: figli della lupa, balilla, avanguardisti, piccole italiane; aveva una salda e capillare organizzazione e molto seguito tra i giovani. Ricci decise di dedicare, a nome dell’O.N.B., il grande blocco trasformato in obelisco a Mussolini a decorazione del Foro allora in costruzione. L’opera era improba e tecnicamente complessa in quanto mai dalle cave era stato estratto un masso di tale misura, comunque fu isolato e tagliato con filo elicoidale, squadrato e preparato per il trasporto. Questo avvenne per una distanza di circa 10 Km. in discesa dalla cava al mare attraverso la “lizzatura”, termine tecnico che indica la discesa del blocco di marmo, inserito in una armatura di legno, trascinato da decine di buoi e trattenuto con funi da decine di operai; giunto al mare il monolite fu caricato su una specie di grande chiatta chiamata l’Apuano, progettata dall’Ammiraglio Pugliese e costruita dalla Regia Marina; dopo un complicato carico fu trainato da rimorchiatori a Fiumicino dove dovette attendere il massimo livello del Tevere in inverno per risalire il fiume fino alla Farnesina e qui rimase tre anni. Incaricati dell’erezione dell’obelisco furono gli architetti Costantini e Pintonello che iniziarono gli studi consultando anche la relazione di Domenico Fontana che per ordine di Sisto V innalzò l’obelisco su Piazza San Pietro.

Infine fu deciso di costruire una grande rampa in cemento e legno su cui fu fatto scorrere il monolite spinto da martinetti idraulici poi ruotandolo e depositandolo sul basamento nel frattempo costruito.

Le operazioni di montaggio si svolsero regolarmente poi intervennero squadre di operai per sistemare la cuspide in bronzo dorato, rifinire gli angoli e le facciate, intagliare la scritta, coprire il basamento con lastre di marmo. Il 4 novembre 1932, alla presenza di Mussolini, Balbo, De Bono, Ricci e di una folla di gerarchi, militari, autorità ed esponenti dell’ O.N.B., l’obelisco fu inaugurato insieme a parte del Foro.

Questa è la storia sommaria dell’obelisco di Mussolini ma per chi desidera una documentazione più approfondita è disponibile il libro di Maria Grazia D’Amelio dal pudico titolo L’Obelisco marmoreo del Foro Italico. Storia, immagini e note tecniche pubblicato da Palombi Editori.

Questa casa editrice, ormai pressoché centenaria, sin dall’inizio ha privilegiato la pubblicazione di opere relative alla città di Roma, alla sua storia, ai suoi costumi, ai suoi monumenti.

Il libro, di bella veste grafica e di circa 190 pagine, esamina in dettaglio le vicende dell’obelisco partendo dalla localizzazione e dall’inizio della costruzione del Foro, passa poi alla scoperta del grande masso, alla sua lavorazione in cava, al trasporto in terra, in mare, lungo il fiume fino all’erezione, anni dopo. Ogni passaggio è descritto con puntuale esattezza e grande professionalità dall’autrice che esamina, con dovizia di particolari, i dettagli tecnici delle varie fasi della lavorazione.

Circa metà del libro è costituita dall’Album Fotografico dell’Obelisco che fu commissionato all’Istituto Luce dall’ O.N.B e che in 83 foto b/n ripercorre la storia del monolite; l’album che appartiene all’archivio privato di Renato Ricci è costituito da 44 cartoncini e porta nella copertina il titolo “monolite mussolini anno X opera balilla”; altre immagini sono contenute negli archivi di persone od enti a diverso titolo coinvolti nell’operazione. Il libro è corredato da una ampia raccolta di carte d’archivio relative a vari carteggi, da una larga indicazione di fonti audiovisive, soprattutto di origine Luce, e da una amplissima bibliografia. Sono trascorsi più di ottanta anni, sono passati Mussolini, Ricci, Del Debbio, Costantini, l’O.N.B., il Fascismo; l’area circostante, molto degradata, non è più frequentata dai balilla ma dai tifosi diretti allo stadio ma l’obelisco, bianco ed imponente, sta sempre li, sopravvissuto agli eventi e consegnato alla storia.

 

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L’Obelisco marmoreo del Foro Italico a Roma

Storia, immagini e note tecniche

Maria Grazia D’Amelio

Editore: Palombi

Pagine: 209, 196 ill.

ISBN 978-88-6060-232-9

€ 34.00

http://www.palombieditori.it

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