Presso la Galleria Nazionale di Arte Antica di Palazzo Barberini sono state riaperte 10 sale che hanno avuto un completo riallestimento; non solo i dipinti sono stati sistemati secondo un ordine cronologico e geografico ma si è intervenuti sulla pittura delle pareti, sull’esposizione, sull’apertura delle finestre, sugli apparati didattici bilingui, sui pannelli esplicativi, sulla posizione delle luci sia che si rivolgano ai quadri sulle pareti che ai soffitti affrescati.
Gli 80 dipinti sistemati nelle sale coprono un periodo di alcuni decenni compresi tra la fine del ‘500 e la prima metà del secolo successivo.
Si inizia con quadri della fine del XVI secolo con opere degli ultimi manieristi per passare alla pittura veneta con dipinti di Bassano, Tintoretto, El Greco ed un quadro di scuola di Tiziano. Segue una Galleria con la volta affrescata da allievi di Pietro da Cortona su suoi disegni e sulle pareti due gustose scene di genere raffiguranti una macelleria e una pescheria del Passerotti e si entra in un piccolo locale di forma quasi quadrata con soffitto a volta, finora chiuso al pubblico, con affreschi neoclassici; nella sala è esposto un piccolo trittico dipinto ad olio su rame ed ebano opera di Annibale Carracci coadiuvato da Innocenzo Tacconi, il piccolo tabernacolo fu dipinto ai primi del ‘600 per il Cardinale Odoardo Farnese.
La sala successiva espone tre grandi quadri, opera di Paul Bril, dipinti per la famiglia Mattei e rappresentanti alcuni dei loro feudi. Le quattro sale successive ospitano numerosi quadri di autori caravaggeschi italiani e stranieri, due o forse tre dei quali del Caravaggio stesso.
L’ultima sala infine è una splendida rassegna della pittura emiliana con dipinti di Guercino, Domenichino, Reni, Lanfranco; una parete è dominata da una grande pala d’altare del Domenichino con la Madonna fra i Santi Giovanni e Petronio dipinta, quattro secoli fa, per l’altare maggiore dell’omonima chiesa dei Bolognesi a Roma. Particolare interesse desta il famoso quadro di Beatrice Cenci da sempre attribuito a Guido Reni mentre studi recenti lo ritengono di un anonimo volto femminile dipinto da una poco nota pittrice bolognese, Ginevra Cantofoli.
L’odierno allestimento segue quello dell’ala sud dello scorso anno e precede quello che verrà inaugurato a ottobre nelle sale del ‘500; nel 2021 i lavori si concluderanno con il riallestimento del piano terra.
Alla
Galleria Borghese si è aperta una fastosa mostra sull’opera del grande
argentiere ed orafo della seconda metà del XVIII secolo Luigi Valadier.
L’artista nacque a Roma nel 1726, figlio di Andrea abile artigiano francese,
che si trasferì in città nei primi decenni del ‘700 e vi aprì una bottega
affermata in cui lavorò anche il figlio che lo sostituì nel 1759. Luigi
raggiunse ben presto grande fama ricevendo prestigiose commissioni dal Papa e
da sovrani, da principi e cardinali, da chiese e conventi. Particolarmente
intenso fu il rapporto con la famiglia Borghese per la quale operò nella
cappella di famiglia in Santa Maria Maggiore e in quella del SS.Sacramento in
San Giovanni in Laterano; lavorò anche nel Palazzo di città e soprattutto nella
Villa Pinciana dove collaborò alla
decorazione dell’interno secondo il nuovo stile neoclassico che si stava
affermando in sostituzione del tardo barocco.
Di
questo stile il Valadier fu un deciso interprete rivisitando con talento
personale il mondo classico imitando sculture greco-romane od integrandole.
Presso la sua bottega si formò il figlio Giuseppe che fu un famoso architetto
tra gli ultimi decenni del ‘700 e i primi dell’800 e di cui opera somma resta
Piazza del Popolo. Ignote sono le ragioni, forse economiche, che spinsero l’artista a morire suicida nel
Tevere nel 1785.
La
mostra espone una novantina di opere di vario tipo provenienti da collezioni
pubbliche e private, italiane ed estere. Si apre con due grandiose lampade in
argento, in parte dorato, prodotte nel 1764 ed inviate al Santuario di Santiago
de Compostela; per la prima volta sono stare rimosse, restaurate ed inviate
alla mostra. Nel grande salone d’ingresso fanno bella mostra opere di una certa
dimensione: sei statue di santi, in argento e metallo dorato, provenienti dalla
Cattedrale di Monreale, una statua in bronzo di Antinoo, ora al Louvre,
parecchi grandi candelabri della Chiesa di Sant’Apollinare, ed un’erma di Bacco
in marmi colorati facente parte dell’arredamento della Villa unitamente a
tavolini anch’essi composti di marmi intarsiati.
Il
piano terra ed il primo piano ospitano una serie di opere che spingono il
visitatore in una intrigante caccia al tesoro per identificare quanto è di mano
del Valadier disseminato tra i tanti capolavori ospitati nella Galleria. Si
scopre il servizio da messa del Cardinale Orsini, proveniente dalla Cattedrale
di Muro Lucano, elementi in argento, con stemma Chigi, di un servizio da
tavola, la ricca composizione con al centro un cammeo di Augusto di epoca
romana, uno splendido “deser”, centrotavola in metallo e marmi di vari tipi con
numerosi elementi riproducenti statue e monumenti classici. Quello esposto fu
di proprietà dell’imperatrice russa Caterina II ora a San Pietroburgo. Si
susseguono bronzetti, candelabri in marmo e bronzo dorato, splendidi vasi in
porfido e metalli ed una ricostruzione in marmi colorati del Tempio di Iside a
Pompei commissionato da Maria Carolina d ‘Austria.
Nel
piano sotterraneo sono esposti numerosi disegni del Valadier tra cui spiccano
quelli tratti da un album conservato nella Pinacoteca Comunale di Faenza e
rappresentanti elementi di un capolavoro che purtroppo non esiste più; il
magnifico servizio da tavola in argento predisposto dall’artista per i Borghese
e purtroppo fuso, a fine ‘700, per pagare il tributo di guerra imposto da
Napoleone a Papa Pio VI.
L’esposizione
è una interessante cavalcata nel mondo del tardo XVIII secolo e nella vita
delle classi agiate.
E’ stata sponsorizzata da Fondazione Fendi, Banca Intesa San Paolo, e Fondazione Sacchetti. In precedenza, nel 1997, fu organizzata, a cura di Alvar Gonzalez-Palacios, una grande e ricca mostra dal titolo “Ori di Valadier” presso l’Accademia di Francia a Villa Medici.
Michelangelo si considerava in
primo luogo architetto e scultore e solo secondariamente pittore e spesso si
divertiva a prodursi in piccoli disegni, per lo più di soggetto sacro, che non
erano bozzetti per dipinti in scala più grande ma omaggi per i suoi amici ed
estimatori. Questi disegni, definiti dagli storici dell’arte “cartonetti”,
incontrarono fama e successo e spesso vi furono committenti che richiesero a
pittori della metà del ‘500 di trasformare i disegni in quadri di maggiori
dimensioni.
Presso la Galleria Nazionale
di Arte Antica i curatori Francesca Parrilla e Massimo Pirondini hanno
presentato una mostra, frutto dei loro studi e ricerche, dal titolo “
Michelangelo a colori. Marcello Venusti, Lelio Orsi, Marco Pino, Jacopino del
Conte”, tutti artisti di buona fama appartenenti alla corrente nota come “
manierista”.
I curatori espongono le copie
di cinque cartonetti, gli originali sono molto usurati e non è opportuno
spostarli, e nove dipinti che si ispirano ai disegni michelangioleschi. Due
piccoli quadri fiancheggiano un disegno con “L’Annunciazione”, uno è opera di
Marcello Venusti ed è una copia in formato ridotto di analoga pala d’altare
della Chiesa di Santa Maria della Pace, ora perduta, l’altro di Lelio Orsi,
leggermente variato rispetto al disegno, ha avuto una storia interessantissima.
Dipinto per un nobile di Novellara è stato a Roma, in Inghilterra, in Argentina
per tornare finalmente in Italia attribuito prima al Correggio come risulta da
una perizia firmata, nella seconda metà del ‘600, da molti pittori presenti
all’epoca a Roma quali Ferri, Ghezzi, Maratti e poi al Venusti.
Solo nel 1950 Federico Zeri lo
riconobbe come opera di Orsi; attualmente si trova nel Museo Gonzaga di
Novellara. Anche il disegno rappresentante “L’Orazione nell’Orto” è affiancato
da due quadri, di misura leggermente superiore, ambedue opera del Venusti,
dipinti in epoca diversa e con differente uso del colore. La “Deposizione dalla
Croce”, ispirata alle varie omonime opere di Michelangelo, si presenta con un
quadro di Jacopino del Conte e con un altro del Venusti ritrovato nei depositi
dell’Accademia di San Luca e restaurato per l’occasione. Il “Cristo Vivo sulla
Croce”, che si rifà al Cristo Triunphans medioevale, è interpretato in maniera
differente dal Venusti che popolò il dipinto con altre figure e da Marco Pino
che lasciò l’immagine di Cristo isolata su uno sfondo molto scuro. Il disegno
noto come “Madonna del Silenzio”, conservato in una collezione privata inglese,
ha ispirato un piccolo quadro, attribuito dubitativamente al Venusti, divenuto
una sorta di icona della Sacra Famiglia.
La mostra è di modeste dimensioni ma interessante per la qualità dei dipinti esposti e per le vicende storiche ad essi collegate ben chiarite nel catalogo.
Un
titolo “enigmatico” per una mostra che si tiene a Palazzo Corsini ma che si
svela subito leggendo il sottotitolo “Ritratti e nature morte dalla Collezione
Poletti e dalle Gallerie Nazionali Barberini e Corsini”. Si tratta
dell’esposizione di alcuni dipinti della collezione di Geo Paoletti messi a
confronto con qualche quadro delle Gallerie. Ruggero Poletti, detto Geo, nato
nel 1926 è stato pittore di un qualche spessore ma soprattutto un grande
collezionista volto per lo più verso alcuni esempi di pittura barocca in
particolare caravaggesca, italiana e spagnola. Collabora con Longhi, Testori,
Zeri e Mina Gregori che lo consigliano negli acquisti e contribuiscono ad
affinarne la sensibilità artistica. Acquista, studia, dona alcuni capolavori
come la “Carità romana” di Bartolomeo Manfredi regalato alla Galleria degli
Uffizi dopo gli attentati del 1993 ed altre opere al Museo di Breda e a quello
del Castello Sforzesco. È morto nel 2012.
La
mostra costituita da 28 dipinti espone all’inizio un confronto tra due quadri,
attribuiti alla bottega di Bartolomeo Manfredi e rappresentanti dei Fauni, uno
della collezione Poletti e l’altro delle Gallerie Nazionali. A fianco una “Maddalena
penitente” di anonimo rappresentante una singolare Maddalena, gli elementi ci
sono: Crocefisso, teschio, libro per le meditazioni. Ma la penitente,
abbondantemente svestita, non sembra meditare, ha la guancia destra pesantemente
appoggiata al pugno chiuso del braccio destro, l’impressione è che sonnecchi e
il libro non è tenuto saldamente ma scivolato verso il basso.
Una
sala ospita una ventina di nature morte tutte, tranne una, della collezione
Poletti; sono opere gradevolissime, alcune di anonimi altre attribuite a
Bernardo Strozzi, Giacomo Ceruti, Evaristo Baschenis. I quadri sono senza
cornice secondo l’opinione del Poletti il quale riteneva che cornici dorate e
lussuose distraessero dalla visione del dipinto. In fondo alla galleria del
Cardinale campeggia un grande quadro, il “Democrito” di Ribera con forti
chiaroscuri e grande naturalismo, è datato a metà del primo decennio del ‘600
durante un soggiorno romano dell’artista. In una saletta sono esposte tre
versioni, di tre diverse mani, dello stesso soggetto “Pescivendolo che sventra
una rana pescatrice” appartenenti rispettivamente alle Gallerie, alla
Collezione Poletti e al Museo nazionale di Varsavia.
Il
dipinto delle Gallerie, a detta degli esperti, sarebbe il prototipo e nel tempo
è stato attribuito a Guido Cagnacci o a Orazio Fidani mentre ora si tende ad
assegnarlo ad un anonimo pittore napoletano di metà ‘600.
È previsto un ciclo di visite per bambini il primo e il terzo sabato del mese alle 15,00; per gli adulti visite guidate ogni giovedì alle 16,00.
Intorno
alla metà degli anni ’70 del secolo scorso avevano grande successo i film che
presentavano catastrofi immani da cui i protagonisti uscivano incolumi dopo
incredibili vicende, ora presso le Scuderie del Quirinale viene proposta una
mostra che ha per oggetto due catastrofi, più precisamente due eruzioni
vulcaniche, che ebbero grandissima risonanza in epoche antiche. Il titolo è “
Pompei e Santorini. L’eternità in un giorno”; si tratta di due eventi molto
distanti fra loro e ancora più distanti da noi. Pompei fu sepolta insieme ad
Ercolano, Stabia, Oplontis ed altre località minori della Campania da una
improvvisa eruzione del Vesuvio nell’anno 79 d.C., Santorini, isola greca
appartenente all’arcipelago delle Cicladi, fu devastata da terremoti ed
eruzioni in epoca imprecisata che gli archeologi collocano tra il 1600 e il
1650 a. C. in piena età del Bronzo mentre nella vicina Creta fioriva la civiltà
minoica.
La
mostra vuole evidenziare i tratti comuni tra i due eventi quali la improvvisa
scomparsa di due città prospere, vivaci, abitate da popolazioni culturalmente
avanzate e le grandi differenze dovute ad un intervallo di circa 1700 anni tra
le due civiltà, i due diversi sistemi di governo, di religione, di economia. Su
Pompei abbiamo molte notizie riportate da autori di epoca classica uno dei
quali, Plinio il Giovane, fu addirittura testimone degli eventi e della morte a
causa di vapori venefici dello zio Plinio il Vecchio. Di Santorini abbiamo
scarsissime notizie per la mancanza di fonti scritte dell’epoca e gli storici procedono
esaminando documentazioni presso altre civiltà contemporanee quali l’egizia e
la minoica.
Ambedue
i siti hanno restituito migliaia di reperti in quanto la subitaneità
dell’eruzione sigillò sotto strati di cenere, lapilli e pomici edifici pubblici,
abitazioni e magazzini. Scavi eseguiti a Pompei dalla metà del ‘700, purtroppo
per più di un secolo con scarsi criteri scientifici, hanno fornito una notevole
quantità di oggetti che ci hanno permesso di ricostruire la vita di una
cittadina romana del 1° secolo d.C. abitata da una popolazione con un tenore
medio-alto; numerose lapidi ci hanno restituito molti nomi di magistrati,
dediche e iscrizioni funerarie nonché scritte sui muri di writers dell’epoca.
Di Santorini nulla sappiamo se non in via indiretta facendo riferimento alla
contemporanea civiltà della vicina Creta, mancano esempi di scrittura e quindi
non sappiamo quale fosse il sistema di governo, quale la religione praticata.
Si è appurato che la città principale, Akrotiri, è stata per secoli un fiorentissimo
centro commerciale ove si scambiavano merci provenienti da vari siti del
Mediterraneo orientale mentre fiorivano l’agricoltura e l’allevamento.
Le
rovine della città furono oggetto dei primi scavi nel tardo ‘800 ma grandi
interventi risalgono agli anni ’60 del ‘900 con restauri e allestimenti che
rendono Santorini meta di turismo internazionale. Tra i reperti di Pompei e
Santorini sono situate opere di artisti moderni e contemporanei idealmente
collegate con le antiche, la mostra si apre con una grande statua prona, il
“Bevitore” di Arturo Martini assai simile ai calchi in gesso dei Pompeiani
morti durante l’eruzione, segue per tutto il piano terreno l’esposizione di un
campionario di quanto trovato nella città vesuviana; gioielli, monete, oggetti
in bronzo, un servizio da tavola in argento, statue ed una bellissima serie di
affreschi parietali compresi alcuni splendidi larari, chiude la sezione Pompei
un grande dipinto di Andy Warhol che rappresenta il Vesuvio in eruzione.
Al
primo piano sono collocati i reperti di Santorini estremamenti interessanti in
quanto meno noti ed esposti per la prima volta fuori della Grecia; una grande
quantità di vasellame di svariate dimensioni e per lo più dipinto con colori
vivaci e soprattutto molti affreschi parietali che rappresentano giovani e
donne riprese sempre di profilo con grandi occhi e lunghi capelli neri. In uno
degli affreschi giovani donne, insieme ad una scimmia blu, raccolgono erbe e le
offrono ad una figura femminile che forse è una divinità, il tutto è molto
simile a quanto conosciuto a Cnosso nell’isola di Creta. In un altro appaiono
dei giovani nudi con un fascio di pesci; purtroppo i reperti di Santorini sono
muti e ci lasciano con molti interrogativi. Terremoto ed eruzione del 1600
circa a.C. nell’isola non provocarono vittime, al contrario di Pompei dove sono
stati trovati molti cadaveri ed una gran quantità di oggetti di valore, a
Santorini la popolazione riuscì ad allontanarsi portando con se gli oggetti
preziosi. I due siti per secoli rimasero disabitati.
Secondo
alcune teorie la catastrofe dell’isola delle Cicladi sarebbe la stessa di cui
parla Platone e che riguarderebbe la mitica Atlantide identificata o con
Santorini distrutta o con Creta gravemente danneggiata dallo tsunami seguito
all’eruzione. Le ultime due sale espongono numerose opere d’arte di artisti del
7/800 e contemporanei che fanno riferimento a vulcani ed eruzioni.
A corredo della mostra si terranno due conferenze, il 19 ottobre e il 17 novembre, alle ore 11, presso il Teatro di Roma-Teatro Nazionale ad ingresso libero, ed anche numerosi laboratori per scuole e famiglie.
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