Tutti gli articoli di Roberto Filippi

Un restauro a San Pancrazio

roma-chiesa-san-pancrazio-pancrazio-sitoLa chiesa di San Pancrazio si trova appena fuori della cinta delle mura gianicolensi, oltre l’omonima porta; di origine antichissima fu fatta costruire all’inizio del VII secolo d.C. da Papa Simmaco e dedicata a San Pancrazio, giovinetto cristiano morto martire nel 304 durante la persecuzione di Diocleziano. Sotto la chiesa si trovano delle catacombe, piuttosto povere, dove era sepolto il martire il cui cranio è ora conservato in chiesa, nella navata destra, in una teca nel muro.

La chiesa ha avuto nei secoli numerose vicende ricostruttive ma gran parte dell’aspetto attuale risale al restauro dei primi del ‘600 per opera del Cardinal de Torres il cui stemma appare più volte. Al ‘900 risale invece la ridipintura del catino absidale e della cappella in fondo alla navata destra.

Lungo le pareti delle navate laterali, sorrette da massicci pilastri sovrastati da festoni di puttini, si dispongono numerosi bassorilievi in stucco con episodi di vita di santi; il soffitto è in legno intagliato risalente al 1609. Il presbiterio è sorretto da colonne romane di spoglio e nella parte superiore si trovano affreschi rappresentanti santi come fossero statue inquadrate da finte architetture; risalgono ai primi del ‘600 e sono variamente attribuiti al Cavalier d’Arpino o ad Antonio Tempesta. Va notato che la chiesa fu coinvolta nei combattimenti sul Gianicolo all’epoca della Repubblica Romana e l’edificio e l’adiacente convento furono gravemente danneggiati e l’archivio andò perduto.

Nel 1662 il complesso fu affidato ai Carmelitani Scalzi che tuttora reggono la parrocchia. I frati sono devoti a Santa Teresa d’Avila, appartenente al loro Ordine, mistica spagnola vissuta tra il 1515 e il 1582, autrice di molti scritti devozionali, beatificata nei primi anni del XVII secolo; a lei era dedicata la cappella in fondo alla navata di sinistra decorata con un quadro celebrativo dipinto dal frate Luca de Nivelle distrutto da soldati francesi nel 1798. Fu sostituito con un’opera di analogo soggetto del pittore neoclassico Tommaso Conca.

In un anno imprecisato tra il 1838 e il 1848 i Carmelitani di Santa Maria della Scala, in Trastevere, donarono ai loro confratelli di San Pancrazio un quadro di Jacopo Palma il Giovane del 1615, come risulta da data e firma dell’autore; era stato nella originaria sede per oltre due secoli poi, forse per un cambio di allestimento, risultò in eccesso e fu donato. A San Pancrazio stette poco nella cappella della Santa, fu gravemente danneggiato nel 1849, arrotolato e conservato nel convento; nel 1928 fu recuperato e restaurato da Alessandro Frattini che praticamente lo ridipinse e tornò nella cappella di Santa Teresa. L’autore era stato il pittore tardo manierista Jacopo Negretti più noto come Palma il Giovane per distinguerlo da un prozio omonimo conosciuto come il Vecchio.

Rappresenta la Santa con un angelo che le trafigge il cuore con una lancia in un contorno di angioletti svolazzanti mentre un Cristo avvolto in un manto azzurro contempla dall’alto la scena; è il soggetto ripreso anni dopo, in scultura, dal Bernini, in Santa Maria della Vittoria, con un tono carnalmente sensuale mentre il Palma infonde al dipinto un aspetto dolce, tranquillo, composto.

Il Negretti, pittore famoso ai suoi tempi, fu allievo prediletto di Tiziano e non risulta sia mai stato a Roma. quindi l’opera fu dipinta a Venezia e poi inviata a Santa Maria della Scala.

Dopo il restauro del 1928 il quadro mostrava segni di degrado per cui due associazioni, Verderame Progetto Cultura e LoveItaly, hanno deciso di provvedere alla sua risistemazione promovendo una raccolta di fondi tra i parrocchiani e vari sponsor e donatori, mancano ancora 10.000 Euro che le due associazioni sperano di raccogliere tra mecenati pubblici e privati.

Per il momento il restauro ha fatto sparire le ridipinture novecentesche facendo riapparire il dipinto originale in pessime condizioni ma le restauratrici contano di poter riportare il quadro a buone condizioni di visibilità.

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San Pancrazio fuori le Mura
piazza San Pancrazio, 5/D
Roma

tel. 06/5810458

 

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Qualcosa di più:

Continuano le sofferenze delle chiese “dimenticate”

Una chiesa dimenticata

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Bentornata Artemisia

mostre-artemisia-gentileschi-in-mostra-a-roma-1Tra la fine del 2001 e l’inizio dell’anno successivo si tenne a Roma, a Palazzo Venezia, una grande mostra su Orazio e Artemisia Gentileschi, ora la sola pittrice torna a Palazzo Braschi con una esposizione di 29 suoi dipinti insieme ad altri 60 di artisti che vissero nella sua epoca e con lei ebbero fecondi scambi culturali.

Artemisia nacque nel 1593 a Roma dove il padre Orazio, originariamente di cognome Lomi poi divenuto Gentileschi per evitare omonimie con un parente anch’egli pittore, aveva uno studio affermato e dipingeva con uno stile caravaggesco allora molto in voga.

La giovane iniziò a lavorare con il padre raggiungendo presto buona fama al punto che i critici la ritengono autrice a 17 anni del quadro “Susanna e i vecchioni”, poi purtroppo incappò in una vicenda giudiziaria; insieme con il padre intentò un processo con accusa di stupro contro Agostino Tassi, collaboratore di Orazio, accusato di violenza carnale. Più probabilmente si trattò di seduzione con promessa di matrimonio in quanto il Tassi si spacciava per scapolo mentre aveva moglie in altra città. Il Tassi ebbe una pena modesta mentre Artemisia ne ebbe conseguenze nello spirito e nella successiva vita artistica.

Nel 1612 sposò un modesto pittore fiorentino e soggiornò a Firenze fino al 1620, tornò poi a Roma e dal 1627 al 1630 operò a Venezia. Nel 1630 si trasferì a Napoli entrando in contatto con i mumerosi pittori caravaggeschi che allora lavoravano nella città; nel 1638 si recò a Londra per collaborare con il padre chiamato ad operare presso la corte inglese. Nel 1640 tornò a Napoli dove morì nel 1653.

La mostra, voluta dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, dalla Soprintendenza Capitolina e da Arthemisia Group con il coordinamento di Zetema, è divisa in tre sezioni che comprendono ed esaminano i tre più importanti periodi della vita dell’artista: fiorentino, romano e napoletano, a ognuno di essi è preposto un curatore tra cui Nicola Spinosa che si occupa del periodo napoletano e trae le conclusione per l’intera opera della pittrice; in particolare viene esaminata l’attività romana ed i rapporti con il Vouet, il soggiorno fiorentino con l’inserimento nella corte medicea di Cosimo II e nel circolo culturale facente capo a Michelangelo il Giovane ed infine la stagione napoletana con l’incontro con Stanzione, Caracciolo e Ribera che influirono sullo stile caravaggesco di Artemisia facendole scoprire una vena classicista di scuola emiliana.

Il tutto si articola sull’esame di decine di quadri, spesso con episodi biblici, che mostrano il rapporto culturale tra Artemisia e i suoi colleghi.

Tra i dipinti spicca il notissimo “Giuditta che taglia la testa di Oloferne” che per molti critici rappresenta il grido di dolore e la rivalsa della donna-pittrice per le tristi vicende delle quali era stata vittima. Si tratta comunque di un soggetto evidentemente molto sfruttato nei primi decenni del ‘600 in quanto sono esposti più quadri di diverso autore con  protagonisti Giuditta ed Oloferne.

La mostra è ospitata in Palazzo Braschi, si tratta dell’ultimo palazzo principesco di famiglia papale ed è frutto del nepotismo di Papa Pio VI Braschi in favore del nipote; fu costruito nel 1792 demolendo un precedente edificio di proprietà degli Orsini.

L’architetto Cosimo Morelli, e successivamente il Valadier, dettero al palazzo una chiara impronta neoclassica che appare soprattutto nel grandioso scalone. Nel 1871 i Braschi vendettero il palazzo allo Stato Italiano che vi ospitò il Ministero delle Colonie, durante il Ventennio vi ebbe sede la Federazione Provinciale Fascista dell’Urbe.

Durante i nove mesi di occupazione tedesca di Roma nel palazzo s’istallò la Banda Bardi-Pollastrini specie di polizia ausiliaria fascista che si rese responsabile di arresti, torture, estorsioni, violenze di ogni genere al punto da venire sciolta dalle stesse autorità della Repubblica Sociale, poi, per qualche anno, fu la volta di alcune famiglie di profughi e di sfollati che arrecarono seri danni all’edificio.

Finalmente recuperato e restaurato dal Comune il palazzo fu adibito nel 1949 a Museo di Roma tuttora esistente e ricco di reperti di ogni genere relativi alla storia e all’arte della città soprattutto per i secoli XVII e XVIII.

La mostra occupa il primo piano del palazzo mentre il museo, ora chiuso per ristrutturazione, è ai piani superiori.

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mostre-artemisia-gentileschi-in-mostra-a-roma-2ARTEMISIA GENTILESCHI
Dal 30 novembre 2016 al 7 maggio 2017

Museo di Roma Palazzo Braschi
Roma

Informazioni:
tel. 060608

Sito ufficiale

Orario:
tutti i giorni dalle 9.00 alle 21.00

Catalogo:
Skira

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Dove, forse, fu martirizzato San Pietro

chiese-san-pietro-in-montorio-img_20161114_162452 Secondo la tradizione l’Apostolo fu crocifisso nell’Ager Vaticanus, praticamente dove ora sta la Basilica, ma una leggenda secondaria lo da invece ucciso in una parte del Gianicolo in seguito definita Mons Aureus da cui prende il nome la chiesa di San Pietro in Montorio.

L’edificio inizia ad apparire nelle fonti intorno al X secolo e poi è più volte citato nei passaggi di proprietà da un ordine religioso all’altro; nel 1472 Papa Sisto IV lo concesse alla Congregazione Francescana del Beato Amedeo da Silva che fece demolire la chiesa iniziando la costruzione di una nuova attraverso l’opera di Baccio Pontelli. o più verosimilmente di Meo del Caprino, e con il finanziamento di Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona, coniugi e Reali di Spagna, che assunsero il patronato del complesso monastico. Durante il pontificato di Papa Alessandro VI, nel 1500, la chiesa fu consacrata ma i lavori continuarono per un intero secolo.

L’edificio sacro subì danni durante l’occupazione francese di Roma in età napoleonica e successivamente nei combattimenti del 1849 tra le truppe francesi del Generale Oudinot e le forze della Repubblica Romana guidate da Garibaldi.

Nel 1876 il governo italiano concesse chiesa e monastero al Regno di Spagna che vi collocò la Reale Accademia di Spagna, la residenza dell’ambasciatore e il Liceo Cervantes, istituzioni tuttora operanti.

La facciata della chiesa, di fine ‘400, in bianco travertino è visibile da molte zone della città; è divisa in due parti, con in alto un rosone, e scompartita nella parte inferiore da quattro paraste, sul portale campeggia lo stemma marmoreo dei Re di Spagna.

L’interno è a navata unica con cinque cappelle, di varie dimensioni, per lato. La prima a destra è decorata da un affresco ad olio su muro rappresentante la “Flagellazione” opera notissima di Sebastiano del Piombo, nella cappella successiva campeggia un affresco, trasportato dall’esterno, con l’effigie della “Madonna della Lettera” attribuito a Nicolò Circignani detto il Pomarancio.

La terza contiene dipinti del ‘700 mentre sull’altare della quinta il Vasari dipinse la “Conversione di San Paolo”; nel transetto grande cappella con le tombe del padre e dello zio di Papa Giulio III del Monte con statue scolpite da Bartolomeo Ammannati.

Sull’altar maggiore campeggiava fino ai primi anni dell’800 la grande pala della “Trasfigurazione” di Raffaello; fu fatta asportare da Napoleone, riportata a Roma nel 1816, dirottata nella Pinacoteca Vaticana e sostituita da una copia dipinta dal Camuccini del quadro di Guido Reni la “Crocifissione di San Pietro”. Sul retro dell’altare era stata posta la tomba di Beatrice Cenci che fu purtroppo distrutta dai soldati francesi nel 1798.

Notevole nella terza cappella di sinistra il dipinto di Antoniazzo Romano “S. Anna, la Madonna e il Bambino” mentre la seconda è opera, della metà del ‘600, del Bernini a cura e spese della famiglia Raymondi.

La prima a sinistra è stata dipinta a fine ‘500 da Giovanni De Vecchi. A fianco della chiesa il chiostro del convento che presenta su di un lato delle lunette affrescate.

Al centro il bellissimo ed armonioso tempietto rotondo del Bramante, chiese-san-pietro-in-montorio-img_20161114_162646è a pianta circolare contornato da dodici colonne doriche ed è sovrastato da una cupola a costoloni: l’interno è diviso in due parti, nella superiore una statua cinquecentesca di S. Pietro, nell’inferiore episodi della vita del Santo in stucco ed un foro che la devozione ritiene trattarsi del luogo dove fu infissa la croce dell’Apostolo.

Nell’interno dell’antico convento un altro chiostro con lunette affrescate con episodi della vita di S. Francesco. Nella piazza antistante la chiesa sorge una colonna sovrastata da una croce eretta a metà ‘600. Una strada a gradoni collega la piazza alla sottostante via Garibaldi, è decorata da una Via Crucis in terracotta policroma istallata nel 1957 in sostituzione di una precedente deteriorata.

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chiese-san-pietro-in-montorio-img_20161114_162602Chiesa di San Pietro in Montorio
piazza di San Pietro in Montorio, 2 (Gianicolo)
Roma

Informazioni:
tel. 06/5813940
Sito web

Orario:
tutti i giorni ore 8.00-12.00 / 15.00-16.00

Messe:
Festivi ore 8.00 e ore 12.00
Durante la celebrazione della Santa Messa non è possibile visitare la chiesa

Per visite guidate di gruppo è obbligatorio un preventivo appuntamento telefonico

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Due piccole chiese molto simili

chiese-ss-callisto-e-egidio-img_20161101_073055Grosso modo a destra e a sinistra della basilica di Santa Maria in Trastevere si trovano due chiese abbastanza simili per aspetto e per buona parte della loro storia: San Callisto e Sant’Egidio. La prima si trova nell’omonima piazza e sorge sul luogo dove per tradizione si ritiene sia stato martirizzato San Callisto Papa, ucciso e gettato in un pozzo durante tumulti anticristiani intorno al 220 d.C.. Si ha notizia di un originario oratorio edificato durante il pontificato di Papa Gregorio III nell’VIII secolo e più volte restaurato nel corso del medioevo.

Nel 1610 per opera dell’architetto Orazio Torriani la chiesa fu completamente ricostruita e decorata sulla facciata con lo stemma di Paolo V papa regnante all’epoca, a fianco, nel Palazzo San Callisto, fu sistemato un monastero Benedettino. L’aspetto esterno è di tipo tardo cinquecentesco suddiviso in due ordini, l’inferiore è spartito da quattro paraste con al centro il portale sovrastato da un timpano.

L’interno è ad una navata con una cappella per lato: nella cappella di destra è posto un dipinto rappresentante “ San Mauro Abate” ,opera di Pier Leone Ghezzi, affiancato da due angeli ritenuti opera di Bernini e della sua bottega, in quella di sinistra il “Martirio di San Callisto” dei primi decenni del ‘600, sull’altar maggiore “San Callisto ed altri Santi adorano la Vergine” di Avanzino Nucci anch’esso dei primi del XVII secolo.

Accanto il pozzo dove fu gettato il santo. Dopo il 1870 il monastero fu confiscato ed adibito a caserma; restituito alla Santa Sede fu in parte demolito insieme ad alcune case private, fra cui quella in cui nacque Alberto Sordi; al suo posto, durante il pontificato di Papa Pio XI, fu costruito nel 1936 un imponente palazzo, nello stile dell’epoca, destinato ad accogliere uffici vaticani e godente di extraterritorialità.

La chiesa è abitualmente chiusa ma fino ad alcuni anni fa era stata affidata alla comunità copta cattolica egiziana che si è poi trasferita. Per eventuali visite ci si può rivolgere al Vicariato.

chiese-ss-callisto-e-egidio-img_20161101_072411L’altra chiesa, Sant’Egidio, si trova nell’omonima piazza ed ha anch’essa una storia molto antica; in un documento di Callisto II del 1123 risultano nella zona due chiesette citate come S. Lorenzo de Curtibus e S. Biagio de Janiculo, in seguito è nota la chiesa dei Santi Crispino e Crispiniano di proprietà della Confraternita dei Calzolai.

Nel 1610 il ricco macellaio trasteverino Agostino Lancellotti fece riedificare la chiesa dandole la nuova dedicazione a Sant’Egidio, contemporaneamente, su intercessione di una principessa Colonna, Papa Paolo V Borghese autorizzò la costruzione vicino alla chiesa di un monastero che fu affidato alle Carmelitane Scalze. Nel 1630 con l’autorizzazione di Papa Urbano VIII Barberini fu completato il monastero e ricostruita la chiesa dedicata a Sant’Egidio e alla Madonna del Carmine.

Dopo il 1870 chiesa e monastero furono confiscati ed affidati al Fondo Edifici del Culto; le monache, molto ridotte nel numero, hanno abbandonato la loro antica sede che in parte è stato destinata dal Comune di Roma ad ospitare il Museo di Roma in Trastevere che contiene numerosi reperti di vario genere illustranti la vita e la società della Roma del 7/800. Nella rimanente parte dell’edificio dal 1973 ha sede la Comunità di Sant’Egidio, meritoria associazione cattolica che si occupa del dialogo interreligioso e dell’assistenza a tutte quelle persone che le vicende della vita hanno relegato ai margini della società: poveri, disabili, migranti, senzatetto.

La facciata della chiesa è ad un solo ordine, scompartita da paraste giganti che terminano in un frontone aggettante; l’interno a navata unica con volta a botte ha una cappella per lato. In quella di sinistra, sull’altare, una tela di Cristoforo Roncalli, detto il Pomarancio, del 1610, rappresentante “Sant’Egidio abate”. Sull’altar maggiore e nel presbiterio varie icone di tipo bizantino sistemate dalla Comunità per esaltare il rapporto con le altre chiese cristiane; sull’altar maggiore l’Icona del Volto di Cristo o Mandylion, tavola dipinta di origine Russa del ‘600 riproducente un panno che avrebbe avuto impresso il volto di Cristo, nel presbiterio l’Icona della Pentecoste, moderna, e l’Icona della Madonna di Kiev del XVII secolo. Su una parete un Cristo ligneo senza braccia detto “ il Cristo dell’Impotenza”. Ai lati della porta d’ingresso due bei sepolcri seicenteschi. La chiesa è visitabile il sabato dalle 10 alle 12.

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Roma

San Calisto
Piazza di San Calisto, 16
Tel. 06/69886466 (Vicariato)-06/5895945

Sant’Egidio
Piazza di Sant’Egidio
Tel. 06/5895945

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Il magico e il sacro a Trastevere ricordando la peste

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Indagini su Giotto

editoria-stefaneschiNon è una notizia di cronaca nera ma di storia dell’arte. Nell’autunno scorso si è tenuta a Milano, a Palazzo Reale, una mostra su Giotto e, tra i tanti capolavori, è stata esposta un’opera proveniente dalla Pinacoteca Vaticana: il Polittico Stefaneschi.

Si tratta di una grande tempera su tavola in tre scomparti, con una predella divisa in tre parti, dipinta su tutti e due le facciate. Fu commissionata a Giotto e alla sua bottega dal Cardinale Jacopo Stefaneschi, ricco e colto prelato romano, che lo destinò all’altar maggiore dell’antica basilica di San Pietro fatta costruire dall’imperatore Costantino. Era l’anno 1320 e sia il Papa che il Cardinale si trovavano ad Avignone. Nella parte rivolta verso i fedeli nello scomparto centrale giganteggia la figura di San Pietro in trono, avvolto in una splendente veste rossa, affiancato da Angeli e Santi con davanti la piccola immagine inginocchiata del donatore presentato da San Giorgio; dall’altro lato un’altra figuretta identificabile con Papa Celestino V santificato pochissimi anni prima. Lo Stefaneschi, con le mani velate, offre all’Apostolo una piccola ma precisa miniatura del polittico con la sua originaria cornice gotica.

Nei due scomparti laterali due santi per parte identificati da scritte. La predella sottostante contiene una sola tavola, essendo andate perdute le altre due, con dipinti tre santi. La faccia posteriore, che si ritiene rivolta verso l’abside dove si trovavano i sacerdoti, ha al centro la maestosa figura di Cristo in trono sotto un elegante ciborio, con una veste blu, circondato da angeli; di fronte un uomo inginocchiata, forse sempre lo Stefaneschi, in abiti modesti.

Negli scomparti laterali due scene animate, la Decollazione di San Paolo e la Crocifissione di San Pietro con numerose figurette vestite con abiti dai colori squillanti; le tre tavole della predella contengono i dodici apostoli, cinque in ognuna delle due laterali mentre in quella centrale sono dipinti due Angeli, due Santi ed al centro la Madonna con Bambino.

L’iconografia del polittico rispondeva ad una ben precisa strategia, poneva di fronte ai fedeli l’immagine di San Pietro, con in mano una gigantesca chiave, ribadendo il concetto dell’immediata sequenza Cristo, Pietro, Papa in carica che in quanto vicario di Cristo assumeva la veste di prima autorità della Cristianità, superiore all’Imperatore e ai Re, secondo quanto già affermato in precedenza da Gregorio VII e Bonifacio VIII. Il polittico che ha quasi settecento anni, ha avuto una vita lunga, tribolata e. in certi periodi, oscura. Fu istallato sull’altar maggiore e vi rimase per un certo tempo poi, forse dopo il rientro del Papa dalla Cattività Avignonese, nel 1377, potrebbe essere divenuto di ostacolo alla liturgia e quindi spostato, ma le fonti tacciono in proposito; nel ‘500 viene citato nella Sagrestia dei Canonici e successivamente nel ‘600 nell’ Archivio Capitolare utilizzato come dipinto a parete celando la faccia con S. Pietro forse danneggiata e scurita dal fumo delle candele.

Nel 1618 il polittico viene presentato smembrato e ridotto a quadri indipendenti, scomparsa la ricca cornice gotica e forse già da allora due tavole della predella; solo a fine ‘700 il dipinto viene riscoperto e rivalutato, montato su cerniere in modo da essere visibile da ambedue i lati e sistemato nella Sala Capitolare della Basilica. Nel 1931 Papa Pio XI Ratti nell’ambito di lavori destinati a dare un volto definitivo al nuovo Stato della Città del Vaticano scaturito dal Concordato del 1929 fece costruire un edificio appositamente destinato a ospitare i molti dipinti sparsi per i palazzi vaticani; la Pinacoteca fu progettata dall’architetto Beltrami e ad essa fu destinato il polittico che fu restaurato con la supervisione di Biagio Biagetti che non volle creare un falso storico con una cornice gotica posticcia ma ideò un supporto ligneo semplice e lineare che dura tutt’oggi.

Un altro restauro fu fatto tra il 1965 e il 1971 lasciando il dipinto in condizioni tali da non rendere necessari ulteriori interventi. A seguito delle indagini sulle tavole svolte in occasione della mostra di Milano si è giunti alla decisione di predisporre una protezione climatologica del polittico sistemandovi sopra dei vetri speciali che proteggono ma non impediscono la massima visibilità. Altre indagini si sono svolte sulla questione discussa da molti anni sull’intervento della bottega e su quanto del dipinto sia autografo di Giotto; è da tenere presente che le botteghe degli artisti medioevali erano costituite da parecchie persone con differenti specializzazioni, dai garzoni che preparavano colori e tele ai pittori di sfondi e parti secondarie a pittori di qualità con capacità di mimetismo con il Maestro titolare.

Le indagini non hanno dato un risultato definitivo e Giotto è stato “assolto” per mancanza di prove. Il “verbale” delle investigazioni, insieme ad altri interessanti spunti sul polittico, la storia, le vicende costruttive, i restauri, le analisi su singole parti, è contenuto nel libro “Ricerche sul Polittico Stefaneschi. Giotto nella Pinacoteca Vaticana” edito insieme da Edizioni Musei Vaticani ed Electa.

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editoria-stefaneschi_1coverRicerche sul Polittico Stefaneschi
Giotto nella Pinacoteca Vaticana
A cura di Antonio Paolucci, Ulderico Santamaria e Vittoria Cimino
AA.VV.

Presentazione di Antonio Paolucci

Edizioni Musei Vaticani – Electa
Città del Vaticano – Milano 2016

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