Tutti gli articoli di Stefania Severi

Vittorio Fava: La Memoria della carta

cm22x13x13_Oggetto antico napoletano_Orologi antichi, cartoline d’epoca e manoscritti

Questa mostra antologica di Vittorio Fava, promossa dalla Galleria d’Arte Purificato. Zero, ripercorre 50 anni di lavoro dell’artista romano da anni residente a Poggio Nativo nel Reatino. Il titolo volutamente riprende quello della mostra “Mnemosyne”, tenuta nel 1988 a Palazzo Valentini a Roma.
Nelle otto sale rinascimentali affrescate del Palazzo Rospigliosi-Colonna sono in esposizione circa cento opere: pitture, sculture, incisioni, film dipinti, assemblaggi, leggii, libri d’artista, mobili…L’allestimento prevede una visita anche al grande Museo del Giocattolo, il più grande d’Europa, dove sono inseriti alcuni lavori dell’artista. L’effetto generale è quello di trovarsi difronte lo strano, il curioso, il meraviglioso e di entrare nelle antiche favole con personaggi magici in grotte altrettanto magiche.
Fava così scrive: «l’opera cresce insieme alla scoperta e all’assemblaggio delle materie, giorno dopo giorno, incollando le sue parti come una saldatura amorosa tra due amanti. Per combattere i duri momenti della manualità, quando la carta vetrata leviga il legno, penso di essere un operaio che nell’antico Egitto liscia il basalto divino con la sua pazienza sublime».
Ed Enrico Crispolti, nel testo in catalogo della citata mostra del 1988, così scriveva: «In un certo modo, e anzi a suo modo, Vittorio Fava è un artista sperimentale. Ma non tanto nel senso che si potrebbe subito intendere, e cioè giacché egli nel suo lavoro esce dalla pittura nell’oggetto, e tuttavia praticando questo vi recupera la pittura, quanto perché è intenzionato chiaramente a darsi la libertà di trascorrere da un “medium” all’altro, dalla pittura infatti all’oggetto, che è anche sonoro e luminoso, dalla scrittura poetica al film, dalla scultura all’incisione, dall’oggetto al libro, al mobile. […] Di fatto Fava è sperimentale non attraverso il linguaggio, ma direi piuttosto entro il linguaggio, in ogni sua possibile determinazione sia formale che mediale. […] I libri sono oggetti di sorprendente complessità di presenze magiche iconiche, segniche, materiche, spazi di possibili viaggi fantastici nell’ignoto, ove le sorprese sono ad ogni passo, in ogni episodio di pagina plastica, in ogni trapasso a voragine o invece in legami difficoltosi fra una pagina e l’altra. La scultura vi si connette nei possibili leggii, ricchi anche di interventi di colore, segnici. Fra la scultura e i libri e la pittura Fava ha realizzato anche un mobile dipinto, nei cassetti del quale sono oggetti di memoria, disparati. Perché la memoria è in effetti il tramite dell’evocazione simbolica: una memoria che intreccia la dimensione individuale con quella collettiva, nella sconfinata remota profondità degli archetipi.»
In tutta la vastissima produzione un ruolo fondamentale assumono proprio i libri d’artista, citati già da Crispolti, che Fava realizza da formati minimali a grandissimi, come quello esposto a Palazzo Venezia a Roma, nel 2011, nell’ambito della 54a Biennale di Venezia, padiglione della Regione Lazio.
La mostra è corredata da un catalogo, a cura di Riccardo Pieroni, che è, a sua volta, un vero e proprio libro d’artista.


Vittorio Fava
Mnemosine – La memoria greca delle arti
Opere dal 1968 al 2024
Dal 12 ottobre al 3 novembre 2024

Palazzo Rospigliosi
Piazza della Indipendenza 18
Zagarolo (Roma)

Orari:
mercoledì e giovedì 9.00-13.00;
martedì, venerdì, sabato e domenica 9.00-13.00 | 15.00-18.00;
lunedì chiuso

Ingresso: libero


Vincenzo Scolamiero: La materia pittorica

Dopo la grande mostra personale “Di terra, acqua e vento”, nel Museo Nazionale Etrusco di Rocca Albornoz di Viterbo nel 2023, Vincenzo Scolamiero presenta a Roma gli ultimi lavori inediti. La mostra è a cura di Paolo Di Capua, artista e fondatore di HyunnArt Studio. Sono esposte alcune grandi tele e, su una lunga mensola, un ‘libro’ a leporello, esemplare unico, che in totale estensione raggiunge i 5 metri di lunghezza. Nel testo in catalogo, Paolo Di Capua scrive: «Per le opere che vengono esposte in questa circostanza mi sento di parlare di una pittura plastica di Vincenzo Scolamiero eppure senza pesi, in assenza di qualsivoglia sensazione di gravità, in cui si alternano simultaneamente profondità, delicatezza e trasparenza sullo stesso avvolgente piano percettivo, secondo dinamiche imprevedibili di limpida essenzialità».

Scolamiero è docente di Pittura presso il Dipartimento di Arti Visive dell’Accademia di Belle Arti di Roma, città nella quale vive e lavora. Sue opere sono conservate in importanti collezioni pubbliche e private. La sua prima personale, nel 1987, fu nella storica galleria Al Ferro di Cavallo di Roma. In seguito ha esposto in rilevanti spazi pubblici e privati in Italia e all’estero (New York, Seul, Busan, Pechino, Fenghuang). È stato invitato alla Quadriennale di Roma (1996), alla Biennale di Venezia (2011) ed è vincitore della LXV Edizione del Premio Michetti (2014). Tra le ultime personali, oltre a quella a Viterbo: nel 2019 “La declinante ombra”, a cura di Gabriele Simongini, al Museo Carlo Bilotti di Roma; nel 2021/22 “Del silenzio e della trasparenza” al Palazzo Pubblico a Siena – Magazzini del Sale e presso la Fondazione Accademia Musicale Chigiana a cura del Comune di Siena.


Vincenzo Scolamiero
DI ALTRI LUOGHI
Dal 10 febbraio al 15 marzo 2024 PubblicitàImpostazioni sulla privacy

HyunnArt Studio
Viale Manzoni 85/87
Roma

A cura di Paolo Di Capua


Marco Corsi “E venne l’alba”

Marco Corsi non è nuovo alla poesia, infatti la silloge “E venne l’alba”, Edizioni Ensemble 2023, segue “Voci senza voci” edito dalla stessa casa editrice nel 2018. Presentata nella splendida cornice del Salone della Biblioteca Angelica (2 dicembre 2023), la silloge è stata introdotta da Amedeo di Sora, che ha curato anche la prefazione al testo con il breve ma intenso saggio “Il mistero della poesia” in cui, tra l’altro, sottolinea la preziosa fonia delle parole usate da Corsi. Del resto Amedeo di Sora è un poeta, ma è anche un attore ed un vocalista, pertanto riesce a cogliere in particolare questa componente basilare del linguaggio poetico.
Le poesie raccolte si susseguono talvolta in modo un po’ criptico; alcune hanno il titolo ma molte sono senza e pertanto per citarle riporto il primo verso seguito da puntini di sospensione; in mancanza di indice, il testo in una pagina ora è chiaramente relativo ad un solo testo poetico, anche se scandito da una spaziatura che varia, altre volte invece sono presenti più testi. Ma infondo la poesia non deve essere necessariamente razionale, anzi la razionalità non le appartiene, per cui credo che l’invito dell’autore al lettore sia proprio quello di lasciarsi trascinare da un verso all’altro.
Vari sono i temi affrontati, da quello tragico della guerra (Ai Caduti) alle problematiche proprie della poesia (Elegia amorosa, Poeta caro viandante…), dal rapporto col mistero divino (Io e Dio) alle reminiscenze di una cultura classica (Euridice 2.0). Ma ciò che pervade tutte le liriche è la natura e i suoi mutevoli aspetti in relazione alle ore, al tempo atmosferico ed alle stagioni, una natura palpitante e ricca di mille voci: «Il corteo della pioggia / sui rami / tinnava / una prosa di fiori».
Con la sintesi che è propria della poesia ecco emergere quadretti quasi leopardiani come all’arrivo della sera, quando i bimbi ormai stanchi raccolgono il richiamo delle madri, la luna appare nel cielo e si ode il frinire della cicala ritardataria (Bisbigliano ultime ore del…).
Tra gli elementi più amati dal poeta c’è sicuramente il mare, tanto da spingerlo a dichiarare: «In quell’attimo volevo essere / mare» e da dedicargli una poesia (Mare). E il mare serpeggia lungo tutta la silloge: il poeta ne ascolta l’eco fino a che si allontana; lo vede incaponirsi sul molo; lo sente partecipe del suo stato d’animo e schiumare frenetico; i suoi occhi patiscono ingannati dal tremolio delle onde.
E gli umani? Appaiono raramente, qua e là, e sono figure femminili: la madre (Angelo caduto) e l’amata, cui dedica la lirica più breve della silloge: «Dissolvenze di labbra / in quest’alba indicibile».
“E venne l’alba” è una raccolta da leggere ed interiorizzare fino a che le tante atmosfere naturali, altamente suggestive, entrino in noi per lascarci con l’animo piacevolmente appagato: «L’iride embrione / e il cielo setacciava le nubi / già irritate dal vento, ora, / abbandonate alla dissolvenza…».


E venne l’alba
Autore: Marco Corsi
Editore: Ensemble, 2023, pp. 66
Prezzo: 13,00 €

EAN: 9791255710783


Maria Pina Bentivenga e Mei Chen Tseng

La mostra, a cura di Michela Becchis e Gabriella Bocconi, presenta una trentina di opere grafiche di Maria Pina Bentivenga e Mei Chen Tseng, così da poter mettere a confronto due mondi espressivi, quello dell’artista italiana e quello dell’artista di Taiwan la quale, pur avendo studiato in Italia, porta con sé una concezione estetica legata alle sue origini. La direttrice dell’Istituto, Maura Picciau, sottolineando che la mostra è stata realizzata grazie ad un protocollo d’intesa tra l’Istituto centrale per la grafica e l’Ufficio di rappresentanza di Taipei in Italia – Divisione Culturale, auspica che tale protocollo costituisca una tappa significativa per entrambe le istituzioni, con l’obiettivo di portare avanti la cooperazione e lo scambio culturale tra Taiwan e l’Italia.
L’Istituto centrale della grafica è il luogo espositivo perfetto per questa mostra, infatti le due artiste, nate entrambe negli anni Settanta, convergono su due punti: la scelta dell’incisione come mezzo espressivo e la scelta del paesaggio come soggetto. Le lega anche la peculiare concezione del paesaggio, inteso non già sotto il profilo vedutistico, bensì come metafora di un luogo d’elezione. Eppure, nonostante i punti di contatto, le opere delle due artiste sono molto diverse e questo consente un interessante raffronto. Infatti, pur partendo da un denominatore comune, che è costituito dall’opera grafica, cioè quella che si ottiene tramite il trasferimento su carta da una matrice inchiostrata, le due artiste, utilizzando matrici diverse, hanno realizzato opere nelle quali soprattutto emerge una diversa valutazione dello spazio: ampio e arioso è quello dell’artista italiana, esaltato da un segno morbido e largo; completamente esautorato dai segni è lo spazio dell’artista di Taiwan. Ne scaturisce una esposizione in cui le idee sottese nelle varie incisioni si intrecciano e si valorizzano reciprocamente.
Maria Pina Bentivenga utilizza il metodo calcografico, cioè una matrice di metallo sulla quale lascia fondi vuoti o al massimo crea sottofondi tenui su cui far spiccare il segno. Per le opere in mostra ha utilizzato carte italiane (Magnani e Fabriano), giapponesi (Gampi) e cinesi (Shengxuan).
Mei Chen Tseng utilizza la matrice di legno di testa, per le sue xilografie, ma lascia spazi minimi tra segno e segno, offrendo una visione d’insieme compatta che sembra dettata dall’horror vacui. Utilizza prevalentemente Carta Puo Luo, con le fibre delle foglie di ananas Taiwanese.
Maria Pina Bentivenga, si è diplomata all’Accademia di Belle Arti di Roma ed ha subito seguito un suo percorso nel campo grafico dedicandosi anche al libro d’artista. Impadronitasi di tutte le tecniche incisorie ha insegnato presso la Scuola delle Arti Ornamentali del Comune di Roma ed insegna ora all’Accademia di Belle Arti di Roma e alla Rome University of Fine Arts. Numerosi sono i workshop da lei tenuti in Italia e all’estero (Londra, New York, Lussemburgo).
Mei Chen Tseng si è formata in Italia, prima all’Accademia di Firenze, poi alla Rome University of Fine Arts. Ha insegnato a Taipei, Taiwan, sia alla Fu-Jen Catholic University sia alla National University.
Una sezione della mostra è dedicata ai libri d’artista concepiti in dialogo con i testi poetici di Leonardo Sinisgalli, Reiner Maria Rilke, Dante e del filosofo taiwanese Peter Mau-hsiu Yang.


Maria Pina Bentivenga e Mei Chen Tseng
Immediati dintorni
Dal 24 marzo al 30 aprile 2023

Istituto centrale per la grafica
via della Stamperia 6
Roma

A cura di Michela Becchis e Gabriella Bocconi


Dentro l’Uragano con Campegiani

I veri poeti sono dei profeti, e Franco Campegiani è uno di loro. Era il 1986 quando recensivo il suo libro di poesie, non il primo nonostante la giovane età, Selvaggio Pallido, con illustrazioni di Umberto Mastroianni (Rossi & Spera). Scrivevo allora su Avvenire (9/11/1986): «…una costante sembra sempre riproporsi: una lacerante dicotomia. È come se il sorriso più radioso fosse comunque e sempre offuscato dalla più viscerale delle angosce. Una dicotomia tutta contemporanea, oserei dire, di quel contemporaneo che comunque e sempre sente aleggiare su di sé i miasmi del terzo conflitto mondiale, vuoi scatenato dall’uomo, vuoi dalla natura in rivolta». Quelle parole trovano una incredibile attualità in una visione peggiorativa perché mentre all’epoca proponevo un conflitto scatenato o da l’uomo o dalla natura, siamo arrivati oggi ad un conflitto globale. Ancora nel 1990 scrivevo, sempre su Avvenire (7/1/1990), e questa volta sulla raccolta “Cielo Amico” (Ibiskos,1990), che mentre nell’altra raccolta l’uomo era visto distinto dalla natura, qui la natura era protagonista e l’uomo, al massimo, comprimario. Sono trascorsi molti anni e Campegiani ha dato alle stampe altre raccolte poetiche ed anche testi di natura filosofica, fino all’attuale raccolta di poesie Dentro l’uragano (Pegasus Edition, 2021) ma è rimasto sostanzialmente nell’animo quello di sempre: un poeta-contadino particolarmente sensibile alle problematiche ecologiche. Ma la sua è una sensibilità che non sfocia solo in una prassi ecologista, ma entra prepotentemente nella poesia perché nasce dal profondo del suo essere che si sente parte della natura. Aldo Onorati, critico e scrittore che da sempre segue il lavoro di Campegiani, sottolinea, nella prefazione, tra l’altro, proprio il legame profondo del poeta con la terra, definendo il suo un “sentimento georgico”. Due sono i rimandi che, a mio avviso, affiorano in queste liriche. Il primo è la vicinanza ad un movimento letterario che, sebbene datato, è pur sempre vivo nella sua concezione: l’Arcadia. Il poeta si sente parte di quel mondo di pastori e pastorelle dove la vita è in assoluta simbiosi col creato, dalle forme animate a quelle inanimate. Un esempio è nella poesia “Epitaffio”: «Sto nel dolce sonno degli appassiti rami / che si ravvivano a maggio, / nell’anima del fiume che si dissangua nella foce / ed evapora dal mare in nubi cariche / che tornano sui monti per nutrire le fonti sorgive». L’altro rimando, che occhieggia a Seneca ed allo Stoicismo, è la ciclicità ineluttabile ed ineludibile dal ciclo vita-morte: «L’aldilà sprofonda nell’abisso, / scivola nel vuoto, precipita a ritroso / verso gli inizi perenni, verso l’eterna fine /, in cieli e terre senza spazio e senza tempo / da cui riparte sempre la ruota della vita…» (“L’essere è qui”). Ma le conclusioni del poeta-filosofo non sono mai nichiliste ed una sostanziale fiducia nell’Amore, sia quello umano che quello divino, non lascia mai l’uomo completamente solo. Certo il mondo futuro non sarà più quello del passato come affiora nella lirica “Lettera a Pier Paolo” (Pasolini): «S’è disseccato Pier Paolo, per sempre / il fiume del sacro primordiale» tuttavia «la palingensi è inesorabile». Campegiani lascia aperto uno spiraglio al rinnovamento, alla rinascita ed alla rigenerazione. Dentro l’uragano ha vinto il Premio Letterario Internazionale Golden Selection, 2021.


Dentro l’uragano
di Franco Campegiani
Editore: Pegasus Edition, 202, pp. 88
EAN: 9788872111758
ISBN: 8872111757
Prezzo: € 10.00