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La Gentilezza di aiutare gli altri rende felici

Guardando il programma “Solidali d’Italia – Cooperare per lo sviluppohttps://www.raiplay.it/programmi/solidaliditalia, in onda su Rai Tre alle ore 10.15 della domenica, appare confortante vedere donne e uomini impegnati nell’aiutare il prossimo, con i volti, magari stanchi ma sereni.

Una serenità propugnata dal libro “Biologia della gentilezza”, di Daniel Lumera e Immaculata De Vivo (Mondadori)  nel quale si trova conferma dell’assioma che l’aiutare gli altri rende felici.

Aiutare gli altri ci distoglie dai nostri pensieri, offrendo un altro scopo nella vita, un’azione che influenza la vita altrui e rimane un indelebile esempio.

Andare incontro agli altri può essere nell’ambito del volontariato, ma poi si può trasformare in lavoro, come viene illustrato dall’AICS (Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, organismo governativo sotto la direzione strategica del Ministero degli Affari Esteri) nel ciclo di 6 docu-film su Rai 3, a firma di Andrea Salvadore, con gli interventi di cooperazione.

Non ci sono solo gli espatriati per studio o lavoro nelle storie raccontate su Rai Radio 3 in Expat https://www.raiplayradio.it/programmi/expat/ ogni sabato alle 10.15, ma anche  italiani che hanno deciso di mettere il proprio sapere professionale a disposizione dello sviluppo di aree critiche del mondo.

È su di loro che Rai Italia racconta la vita quotidiana in zone difficili come il Mozambico, Myanmar, Tunisia, Senegal e Giordania.

Per vedere volti sereni, soddisfatti del loro vivere, non è necessario intraprendere un viaggio tra i cooperanti italiani sparsi per il Mondo, ma anche tra noi, nel bailamme italiano, possiamo trovare chi è felice di aiutare.

Un aiutare per aiutare è anche ciò che fanno i volontari dell’Operazione Mato Grosso http://www.omgroma.com, ad esempio a Roma,  ma ci sono anche vari gruppi sparsi per l’Italia, che non chiedono delle donazioni per i loro progetti di aiuti alle popolazioni del sudamericane, per essere precisi non chiedono solo delle donazioni, ma offrono dei servizi.

Non ci sono solo le antisonanti Ong, ma anche gruppi di ragazzi che svolgendo lavori come giardinaggio, imbiancature, sgomberi ed altro, riescono a raccogliere fondi per destinarli al sostentamento delle missioni in Brasile, Perù, Bolivia ed Ecuador. Parallelamente ai gruppi dei giovani, sono sorti in Italia vari gruppi di adulti che seguono svariate attività, dalla costruzione e gestione di rifugi e case alpine ai mercatini dell’usato ad altre mille attività spontanee che si caratterizzano nella raccolta di fondi ed offerte da destinare per il sostegno delle missioni.

In Italia sono presenti oltre 150 gruppi dell’Operazione Mato Grosso http://operazionematogrosso/ che formano insieme un numero di circa 2000 volontari tra giovani e famiglie.

In America Latina sono presenti 100 missioni aperte ad oggi con più di 400 volontari che realizzano vari progetti educativi-sociali e caritativi: internati, scuole, asili, cooperative agricole, cooperative di falegnameria, guide andine, orfanotrofi e vari oratori.

Un aiutare per aiutare rende felici, come viene provato scientificamente nel libro“Biologia della gentilezza”, dove gli autori ribaltano la teoria darwiniana nella quale: a sopravvivere non sarà il più forte e competitivo, ma il più empatico e vicino al prossimo.

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Qualcosa di più:

Solidarietà anche come lavoro
Africa: le Donne del quotidiano
Le loro Afriche: un progetto contro la mortalità materno-infantile
Africa Solidarietà: il lato nascosto delle banche
Africa: i sensi di colpa del nostro consumismo
Cause Umanitarie
Cibo per molti, ma non per tutti
Le scelte africane
Solidarietà: il lato nascosto delle banche
Un promemoria sul mondo in conflitto
Cellulari per delle cucine solari

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Razzismo: Formare tra Statue e Storia

I monumenti elogiano un personaggio o un evento e possono diventare le vittime dell’esaltazione per la giustizia, ma l’abbattimento delle statue porta ad una rimozione della Storia, senza spiegarne le azioni e le conseguenze. Targhe esplicative che illustrano il personaggio o gli eventi legati a quel luogo e descriverne il contesto.

Non si può modificare la Storia o formare alla convivenza le nuove generazioni abbattendo statue di personaggi dalla scelte riprovevoli o dalle imprese che hanno causato la disgrazia di intere popolazioni, ma occorre  far conoscere i buoni dai cattivi nelle loro scelte e  che ogni azione ha una conseguenza.

Non si possono esorcizzare le tragedie cancellando i nomi degli istigatori, ma è necessario fare i conti con il passato. Un processo modello Norimberga non sarebbe solo un occasione per punire, ma anche per capire gli imputati, per questo esistono la Corte internazionale di giustizia delle Nazioni Unite e la Corte penale internazionale, entrambe con sede all’Aia, per indagare su ogni crimine contro l’umanità.

La morte di George Floyd, per l’azione di soffocamento esercitata della polizia di  Minneapolis, ha scatenato la furia iconoclasta e gli abbattimenti di statue, al grido black lives matter (le vite nere contano), dimenticando che siamo un’unica umanità ed ogni vita è preziosa, aprendo una riflessione su secoli di prevaricazioni di una parte di persone verso l’altra solo perchè ritenuta inferiore per colore o cultura, descrivendola diversa solo per avidità e solo differente per essere nata nel luogo sbagliato del Mondo.

Manodopera gratis, ricchezze da saccheggiare, materie prime da rubare, fondamenti del colonialismo e quando non è sufficiente il bastone si passa al cannone e così, dopo 60anni dall’indipendenza del Congo, il re del Belgio chiede scusa. L’Africa, in questi anni di riconquistata libertà, non è cambiata molto per numerose popolazioni sfruttate non più dalle nazioni europee, ma da multinazionali e dagli stessi connazionali, dove i minori vengono utilizzati per estrarre in zone difficili materie preziose per l’Occidente o per imbracciare un’arma nei numerosi conflitti tribali.

La questione coloniale coinvolge anche l’Italia ed i vari monumenti e targhe stradali che glorificano sanguinose battaglie come quella di Amba Aradam, un altopiano montuoso a nord di Addis Abeba in Etiopia, dove l’uso del gas iprite, nonostante fosse stato messo al bando dalla Convenzione di Ginevra del 1928, venne riversato sugli etiopi dall’aviazione italiana nel 1936.

Amba Aradam non può rimanere solo una via romana o locuzione (ambaaradam) per indicare una situazione di grande confusione, grazie al continuo cambio di alleanza di alcune tribù, ma un’occasione per definire il ruolo, non certo di “brava gente”, delle truppe italiane e magari dedicare l’omonima stazione della metropolitana a Giorgio Marincola, somalo figlio di maresciallo maggiore dell’esercito italiano, partigiano “mulatto” come era uso chiamare gli italo-africani.

La Germania ha fatto i “conti” con la Storia, non solo sviscerando il nazismo, ma anche con il suo passato coloniale, con il permutare il nome di tre strade berlinesi dedicate a personaggi del colonialismo in Africa con quello di altrettanti combattenti della resistenza anti-coloniale tedesca.

Roma è stata testimone, nel 2019, di un cambiamento di titolazione di alcune vie dai firmatari del Manifesto della razza a scienziati che si opposero alle leggi razziali. Permutare la titolazione di un luogo con un’altra dedica è rendere giustizia a chi ha fatto la cosa giusta, ma sarebbe utile dare una spiegazione perché opporsi a delle discriminazioni è legittimo, mentre propagandare la superiorità di alcuni contro altri è un crimine.

Statue come Simboli

Hanno abbattuto anche la statua del presidente Wilson. Per noi poco male: nella memoria italiana Wilson è il responsabile della “vittoria mutilata” nel 1919, tant’è vero che da noi non esiste nessuna via o piazza a lui intitolata. E’ comunque l’ultimo atto della recente, violenta tendenza politica che vuole distruggere le icone di uomini politici altrimenti famosi per ben altro. Il problema è che alla fine non si salva nessuno: anche i più grandi statisti, generali, esploratori e persino i santi erano figli della loro epoca e ne condividevano idee, abitudini e alcuni pregiudizi. Dico “alcuni” perché i grandi uomini, come i protagonisti dei romanzi storici, sentono i limiti della loro cultura e la superano dando l’esempio agli altri. Churchill era razzista, ma ha combattuto come un leone per distruggere i nazisti, senz’altro più razzisti di lui. Kipling esaltava il colonialismo britannico, ma ne percepiva benissimo i limiti e il futuro declino. E così via.

Certo, come romano potrei scrivere molto sulle statue e i monumenti: ho lavorato per anni nei Musei Capitolini, uno dei templi della statuaria greco-romana. Ma anche passeggiando per il centro sei frastornato da monumenti e statue di ogni tipo ed epoca. Entrando poi nelle chiese e ammirando le statue dei santi, magari sospetti che il cristianesimo è dovuto venire a patti con la cultura pagana. Ma quante erano le statue nella Roma imperiale? Migliaia, tutte colorate; quello che resta nei musei è una minima parte di quante erano esposte. Distrutte perché simboli pagani, oppure riutilizzate per far calce o puro ornamento, senza capirne più il senso. Marco Aurelio si è salvato solo perché scambiato per Costantino, e chi volesse distruggerne oggi la statua sappia che per tempo abbiamo messo sulla piazza del Campidoglio una copia. La guerra alle statue come si vede ha una lunga storia. Prima dei cristiani, Abramo e Mosé avevano distrutto tutti gli idoli, e lo stesso avrebbe fatto dopo di loro Maometto. La guerra iconoclasta che indebolì l’Impero Romano d’Oriente nell’VIII secolo vide dunque due visioni del mondo: le zone che rifiutavano le immagini sacre erano non per niente quelle legate alle religioni ebraica e islamica. Ma altrettanto decisi furono i protestanti francesi nel XVI secolo nelle città conquistate al loro credo. Per capire un atteggiamento che per noi è solo fanatismo religioso, bisogna prendere atto delle differenze culturali: quelle per noi sono opere d’arte, per loro sono idoli pagani. Questo non significa che non possa esistere una religione basata sull’idea di una trascendenza pura, intraducibile nelle immagini terrene, che per noi cattolici invece trascendono l’esperienza fisica e diventano un tramite con Dio. Quello che sorprende è che ancora oggi che abbiamo tanti altri modi di esprimerci, esista gente – e non parlo solo dei Talebani – che non riesce a distaccarsi emotivamente dal simbolo concreto quale può essere per l’appunto una statua. Quando nel ‘300 fu scoperta durante uno scavo la Venere Capitolina, abbiamo resoconti di chierici turbati dalla visione di quel “nudo artistico”. L’impatto emotivo dev’essere stato enorme, al punto che nacque persino la leggenda dello scultore sposato con la statua di Venere. Ma non avrei mai creduto che 700 anni dopo la stessa statua sarebbe stata coperta durante la visita ufficiale di una delegazione iraniana ai Musei Capitolini, il che suggerisce che dietro la violenza iconoclasta (dal greco: rompo l’immagine) si possa nascondere qualcosa di ben più preoccupante.

Ritornando però al discorso iniziale, io difendo le statue come difendo le lapidi e i monumenti non solo come opere d’arte (alcune non lo sono affatto, o sono kitsch) ma come documenti storici. Noi siamo quello che siamo in seguito a quello che prima di noi hanno fatto i nostri antenati, buoni o cattivi che siano. Sono da conservare anche i documenti delle imprese negative, altrimenti se ne perderebbe la memoria: restino dunque i nomi dei toponimi coloniali nel quartiere “Africano” di Roma. Resti la scritta DUX nell’obelisco del Foro Italico, che solo un paio di anni fa qualcuno ha proposto di abbattere (chissà perché non prima). La storia non è fatta solo di santi e i documenti non vanno distrutti: piuttosto, vanno contestualizzati, storicizzati. Solo così manterremo o costruiremo la nostra identità, senza pregiudizi ma anche senza ipocrisie.

Clima: Quando un virus limita l’inquinamento

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Il virus che mette a dura prova le capacità dell’umanità nel fronteggiarlo, porta anche a riflettere su quest’epoca Antropogenica ed al rapporto che le persone hanno maturato in questi anni con la natura. Non si può ignorare che alcune settimane di blocco delle attività abbia ripulito l’aria e che nelle città sia la fauna, più che la flora, a riappropriarsi degli spazi urbani che l’invasività della presenza umana ha relegato nella clandestinità.

Sul Covid-19, più noto come Coronavirus, si sono fatte molte ipotesi sulla sua apparizione nella vita quotidiana delle persone e tra queste quella della ribellione della natura alla prepotenza antropocentrica.

Un’ipotesi da prendere in considerazione dopo che la NASA ha pubblicato delle foto satellitari della Cina di gennaio 2020 che confrontate con quelle di febbraio evidenziano  una nuvola rossa dell’inquinamento che in un mese si è ridotta significativamente.

Una pandemia che ha portato al blocco delle attività, all’isolamento di intere città , con milioni di persone segregate in casa, portando a riflettere sul futuro del Pianeta e fare delle consapevoli scelte per non essere vittime della nostra incapacità di ripensare al modello di vita fino ad ora perseguito.

Qualche anno fa era comparso sugli schermi una serie televisiva della CBS basata sull’omonimo romanzo di James Patterson, dal titolo Zoo. La serie preconizzava una pandemia che infettava gli animali in varie parti del mondo, facendogli assumere comportamenti aggressivi verso l’uomo.

Con gli odierni virus gli animali non aggrediscono, ma fanno da silenti vettori, come monito per un periodo sabbatico da dedicare all’ambiente, perché il problema era la normalità e tornare alla sbandierata normalità non potrà essere uguale a quella sconvolta dal coronavirus.

Basterebbe, senza intraprendere svolte radicali, far tesoro della pubblicazione Laudato si’ che papa Francesco ha dedicato al rapporto dell’uomo con la natura, richiamando alla sobrietà per non essere travolti dal consumismo e dallo spreco.

Per questo sarebbe opportuno tenere presente il punto:

95. L’ambiente è un bene collettivo, patrimonio di tutta l’umanità e responsabilità di tutti. Chi ne possiede una parte è solo per amministrarla a beneficio di tutti. Se non lo facciamo, ci carichiamo sulla coscienza il peso di negare l’esistenza degli altri. Per questo i Vescovi della Nuova Zelanda si sono chiesti che cosa significa il comandamento “non uccidere” quando «un venti per cento della popolazione mondiale consuma risorse in misura tale da rubare alle nazioni povere e alle future generazioni ciò di cui hanno bisogno per sopravvivere».

Non si deve soccombere ad una decrescita imposta da una pandemia, ma essere guidati verso un altro stile di vita, la prossima normalità non sarà come quella passata e dovremmo essere consapevoli delle conseguenze che le nostre azioni avranno sul Pianeta , nel quale vorremmo vivere in un modo diverso.

Un Pianeta che non preveda, come nel documentario“Tiger King”, trasmesso da Netflix, lo sfruttamento degli animali selvatici in via di estinzione ed in particolare il confinamento della Natura in spazi sempre più angusti.

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Qualcosa di più:

Clima: Una buona pratica verde
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Il 2012 è l’anno dell’energia sostenibile. Tutte le iniziative a sostegno dell’ambiente
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Immondizia e sud del mondo: un’umanità celata dalle discariche
Un’economia pulita
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Cibo: senza disuguaglianze e sprechi
Spreco Alimentare: iniquità tra opulenza e carestia
Gli orti dell’Occidente
Ambiente: Carta di origine controllata

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Nell’Era del CoronaVirus non diminuiranno i maleducati

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Lorenzo Canova, su Fb, pone il quesito se “Nel mondo dell’arte, e della cultura in generale, andrà ancora di moda fare gli stronzi e i maleducati per sembrare più fighi?”, con quattro possibili risposte.

Stando allo sproloquio imbastito da Filippo Facci, su Twitter, contro Selvaggia Lucarelli, è facile, profetizzare pessimisticamente, che certa umanità continuerà a ribollire di astiosità, ma chiederselo è umano.

Quindi mi chiedo e ci si chiede: perché poi questa moda, usanza, abitudine o come vogliate chiamarla di usare in ambito critico ed esplicativo questo linguaggio da adolescenziale in ritardo? Per sembrare “più fighi” come si enuncia? … Non è questione di esser puri e depurati posando a ridicoli e anestetizzati accademici, si può far satira anche feroce e colpire a fondo, se si vuole, usando l’arma del fine umorismo, ci sono molti modi per ridicolizzare un dilettante presuntuoso o un avventuriero cialtrone… Certo, non possiamo essere tutti Oscar Wilde o Mark Twain, ma senza andar troppo lontano abbiamo avuto in casa nostra penne argute e dissacranti senza l’abuso di ciarpame maleodorante: Marcello Marchesi, Alberto Arbasino, Achille Campanile, Savinio ed altri.

Vi basta?

In definitiva il punto non è che sia necessario scrivere in punta di forchetta come Baldassar Castiglione nè buttarla giù grassa come un Aretino … si può trovare la formula giusta dosando ironia, gusto, equilibrio, sempre sostenuti ovviamente da una base culturale solida e sicura.

Credo che in definitiva sia questa la risposta … e invece si pensa che gridando più forte e sbandierando loquacità da “vaiasse” (serve di infimo ordine in napoletano più educatamente “collaboratrici domestiche”) gli altri ci possano prendere sul serio.

È sempre il dilemma antico che l’urlo da caporal maggiore, anche dicendo fesserie, sia più fruttuoso dell’intelligente risposta magari detta sottovoce.

In fondo è sempre di moda l’esempio del dittatore al balcone: non conta il senso di quel che si dice ma la forza in decibel di quello che urli alla folla.

Così la gente comune tende ad ascoltare e rispettare l’urlatore (“lui sì che si sa far valere!”) e a prendere sottogamba chi usa toni moderati pur criticando efficacemente.

Se si vuol dire, storicamente, l’uso della “parolaccia” per condire il proprio pensiero, fu introdotta per la prima volta dal grande Cesare Zavattini, ahimè pur fine intellettuale ed umorista, che durante una trasmissione in radio, travolto dalla sua passionalità romagnola (o emiliana?), eruppe in un travolgente “cazzo!” … Dopo anni di genuflessa ipocrisia democristiana si applaudì all’efficacia verbale e disinibita dello scrittore.

Da allora e fino ad oggi e chissà per quanto ancora si usa e si abusa a destra e a sinistra del pepe simile e anche peggio del trionfale sostantivo zavattiniano … Dobbiamo dunque rimpiangere la malsana bigotteria e le genuflessioni democristiane? Penso proprio di no.

Perdoniamo volentieri al grande scrittore di aver aperto questo maleodorante vaso di pandora e pensiamo, speriamo, confidiamo, in un futuro ritorno al buon gusto, la misura e “l’humour” a cui ci avevano abituato ben altri maestri.