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L’Atlantico in canoa

Canoista da anni, mi sono appassionato delle incredibili gesta di Hannes Lindemann, (1922-2015), ma le ho dovute leggere in inglese perché del suo libro, scritto nel lontano 1958, non esiste alcuna traduzione italiana. Strano, vista la quantità e qualità della letteratura nautica pubblicata in Italia. Cultore dei grandi naviganti in piccole barche, ho preso quindi l’iniziativa di tradurre Alone in the Ocean una pagina per sera, per diletto, aggiungendo pure qualche nota in calce. Il testo in inglese è liberamente scaricabile dalla rete, era un peccato non approfittarne. Ancora non ho trovato un editore, ma volevo mettere a disposizione degli appassionati l’esperienza unica di quest’uomo che ha voluto sperimentare i limiti della resistenza fisica e psichica in mare. Lindemann era un medico di professione ed è stato anche pioniere del training autogeno: le sue opere sono state tradotte anche in italiano e godono ancora di una certa popolarità (1). Questa pratica l’ha aiutato a sopravvivere alle condizioni estreme di una traversata oceanica dalle isole Canarie fino ai Caraibi, condotta per 72 giorni a bordo di una Klepper adattata con due velette e un bilanciere, una di quelle canoe tedesche smontabili con intelaiatura in legno e tela cerata che da sempre si vedono in giro per mari e fiumi d’Europa (2). In realtà il nostro eroe ha pagaiato poco, sfruttando piuttosto gli alisei, i venti stagionali chiamati non per niente “trade winds”, i venti del commercio, ben noti a Cristoforo Colombo e a tutti i naviganti oceanici a vela. La canoa di Lindemann è ora conservata a Monaco nel Deutsches Museum, ma quel modello è ancora in produzione, anche se fabbricato con materiali più tecnologici. E’ infatti la tecnologia a marcare la differenza tra Lindemann e gli avventurieri più recenti (3) : non esistevano all’epoca i GPS e i telefoni cellulari, né i pannelli solari e i cibi liofilizzati. Lindemann non aveva radio a bordo, per cui, come altri navigatori solitari dell’epoca, ha trascorso in mare settimane in completo isolamento, soffrendo di allucinazioni e dovendosela cavare sempre da solo nei frangenti più estremi: tempeste, sole equatoriale, mancanza di sonno, disidratazione. Non è stato fortunato con le condizioni atmosferiche e del resto poco poteva fare con una canoa di legno e tela, buona per il turismo nautico, per giunta sovraccarica di viveri in scatola presto eliminati. Ma il nostro eroe scopre subito che il mare offre nutrimento agli audaci e a chi impara a conoscerlo: per sopravvivere, oltre al latte condensato, il pesce crudo e l’acqua piovana possono bastare. In realtà Lindemann non si dimostra sempre un esperto marinaio: zavorra male la prima barca che ha poca chiglia e calcola male il lavoro del timone; un errore fatto comunque anche da capitan Voss, marinaio ben più esperto di lui, il quale con una canoa di legno scorrazzò per il Pacifico all’inizio del ‘900 (4). Usa il sestante e quindi naviga “in parallelo”, ma nel diario di bordo non indica mai la posizione giornaliera, sia pur approssimata. Dimostra invece grandi doti di resistenza fisica, aiutato in questo anche dalla sua professione di medico, che gli permette una completa padronanza del corpo nelle circostanze più estreme, che era esattamente l’obiettivo prefisso. Ma diciamo pure che è stato fortunato, visto che si è trovato per due volte col battello rovesciato di notte in mezzo alla tempesta. E gli è bastato, visto che non mi risultano successive imprese nautiche di Hannes Lindemann.

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NOTE

(1) Come vincere lo stress e come affrontarlo nella vita di tutti i giorni (1976); Sopravvivere allo stress : guida al training autogeno (1978); Training autogeno : il più diffuso metodo di rilassamento (2003)
(2) https://www.klepper.de/de/
(3) Aleksander Doba nel 2011 in 99 giorni ha percorso in canoa il tragitto dal Senegal al Brasile, ma la sua canoa al confronto di quella di Lindemann è un’astronave spaziale.
(4) Gli incredibili viaggi : seguiti da venti consigli sul come governare una piccola imbarcazione in condizioni di mare difficili, non escluso il tifone : considerazioni sui maggiori disastri navali / di Capitan Voss. Ed. it. 1958, ristampati nel 2014.

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Alone at Sea
by Hannes Lindemann (Author)

ISBN-13: 978-1406750799
ISBN-10: 1406750794

Publisher RANDOM HOUSE

Collection universallibrary

Contributor Universal Digital Library

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Denis Mack Smith, l’inglese che amava l’Italia

Denis Mack Smith lo vidi quando ero studente di liceo: al ridotto del teatro Eliseo (oggi Piccolo Eliseo) c’era l’abitudine dei Martedì letterari, e lo storico fu invitato a presentare al pubblico italiano la sua Storia d’Italia dal 1861 al 1969. L’opera era stata pubblicata da pochi mesi ma già aveva creato un vespaio: rifiutata dall’Accademia, piaceva invece al pubblico italiano, sedotto dallo stile semplice della narrazione, dalla precisione delle fonti e dal taglio innovativo dell’analisi storica. Ostile invece la casta universitaria e istituzionale, a cominciare dall’Istituto italiano per il Risorgimento e giù a caduta le varie cattedre di storia moderna. Quando feci l’esame di Storia del Risorgimento nel 1973 con la Morelli – non per niente detta “la vedova di Mazzini” – guai a nominare “l’inglese”. Il testo di base era ancora l’Omodeo, dove c’erano frasi come questa: “<Cavour> da giovane si coricava sognando non di diventare un giorno primo ministro del Regno Sabaudo, ma bensì primo ministro del Regno d’Italia”. Niente di strano che noi giovani fossimo invece affascinati da un testo che, oltre ad essere scritto da un allievo di Trevelyan (molto apprezzato da mio padre), guardava la nostra storia dall’esterno e senza pregiudizi: Mack Smith non era in quota a nessuno, non cercava voti dai partiti né una cattedra universitaria in Italia.
Intanto, i protagonisti del Risorgimento erano riportati alla loro dimensione umana. Dalle scuole elementari fino all’università, nelle piazze e davanti ai monumenti ai caduti la storia italiana era stata per cento anni gestita come una religione laica, con tanto di santi, sacrari, reliquie e miracoli. Che l’unità d’Italia fosse stata un miracolo forse era anche vero, nel senso di essere la risultante di un insieme di circostanze eccezionali abilmente (ma non sempre) sfruttate dalle classi dirigenti e dalle forze che animavano la società italiana. Ma si trattava di uomini, non di santi. E qui Mack Smith smonta la retorica di Stato: Vittorio Emanuele non era il re galantuomo della storiografia di corte, ma un rozzo cacciatore di fagiani e di donne analfabete. Ma anche Garibaldi – assai più onesto del suo sovrano – i figli li ha sempre fatti con donne di bassa estrazione sociale. Cavour? Un abile tessitore – e fin qui lo sapevamo – ma anche meschino e arrivista, e neanche tanto rispettoso del parlamento. Ma nel gioco politico sicuramente era più lungimirante degli altri, anche se gli obiettivi erano in realtà più limitati di quanto la storiografia ufficiale avrebbe fatto credere in seguito. E’ come se Cavour, il Re, Mazzini e Garibaldi si fossero trovati a gestire una situazione che loro stessi avevano creato, forse intuendone le dinamiche possibili, ma senza saperne realmente valutare gli sviluppi e le conseguenze di lungo termine. Il risultato si sarebbe visto dopo: coalizioni deboli e quindi instabilità parlamentare, monarchia tutt’altro che super partes, leggi elettorali tardivamente adeguate alla nuova società, mancanza di rappresentatività di alcune classi sociali e dei cattolici, peso eccessivo dei notabili locali, squilibri sociali tra le regioni (ereditati ma non risolti neanche oggi), politica estera altalenante e infine nazionalismo, militarismo e colonialismo sfruttati in modo spregiudicato per compensare le tensioni sociali e defletterle verso l’esterno. Da buon inglese, Mack Smith nota che l’Italia è l’unico paese che con le colonie ci ha perso: infatti le motivazioni coloniali non erano economiche, anche se da Crispi in poi se ne intuisce la forza aggregatrice sull’opinione pubblica. Stesso discorso con i sacri confini della Patria.
Ma il nostro autore avrebbe ancora scandalizzato il belpaese quando si occupò di Mussolini, attirandosi anche gli strali di De Felice e levandogli il monopolio del revisionismo. A leggere Le guerre del Duce (1976) e Mussolini (1982) c’è da divertirsi, se non fosse in realtà una tragedia nazionale. In sostanza, Mussolini era un opportunista ossessionato dal Potere, prigioniero della sua autoesaltazione, padrone dei mass-media dell’epoca, intelligente in politica ma autocratico e incompetente sul piano militare. Dati alla mano, Mack Smith dimostra che il Fascismo (“parola italiana per un’invenzione italiana”) ha sempre cercato la guerra ma non si è mai preparato per farla, coi risultati che sappiamo. Purtroppo Mack Smith non si è mai occupato di Berlusconi. Ha seguito amorevolmente la nostra storia fin dove la sua cultura e la sua capacità di analisi potevano giungere, poi si è fermato. In fondo è stato onesto. E a suo modo ha amato l’Italia.

 

 

Disinibizione in salsa halal

Tutto il mondo è paese: alla faccia del rigorismo morale, il porno circola anche tra i musulmani, nonostante le censure coraniche. Questo grazie alla diffusione delle antenne paraboliche satellitari, dell’internet e dei nuovi dispositivi mobili, che evitano la circolazione di materiale a stampa o video facilmente sequestrabile, com’era avvenuto finora. Se guardiamo la mappa di Wikipedia (1) notiamo che il porno è illegale in mezzo mondo, con una forte concentrazione nei paesi musulmani e in Cina. Solo che nel frattempo la tecnologia ha di fatto scavalcato la censura: ancora nel 2000 l’Arabia Saudita affermava di essere sul punto di vincere la guerra contro la pornografia online, mentre ora in Malesia, come a Singapore, l’accesso al porno web non è reato mentre tali rimangono il possesso e la circolazione di materiale pornografico. Nell’impossibilità di una censura totale, è in fondo una soluzione pratica: siate discreti, in privato guardate pure quello che volete, ma non conservatelo né fatelo girare, né tantomeno se ne faccia commercio.
Fin qui nulla di strano. La sorpresa è invece scoprire l’esistenza di siti specializzati anche nei paesi dell’Asia musulmana. Le didascalie sono in genere in lingua malese o indonesiana, le immagini non sono di qualità, fatte quasi tutte con dispositivi mobili e nel complesso riportano al privato: gli spazi inquadrati sono quelli dello specchio del bagno, della camera da letto, del giardino di casa, né più né meno come nel sexting ormai esibito nei social da nostrane mogli, figlie e fidanzate. Non è chiaro chi siano queste donne che si fanno i selfie: prostitute o donne libere? Pubblicità fai-da-te o puro esibizionismo? Molte foto sembrano rubacchiate dai social, qualche volta c’è pure il marito o addirittura il pupo, magari ci si fa la foto con un gruppo di amiche. I volti sono in genere asiatici, le facce allegre, i corpi un po’ cicciotti per i nostri gusti di occidentali corrotti e perversi, mentre l’età apparente delle donne forse qualche volta è un po’ troppo bassa per le nostre abitudini sociali. Ma quello che incuriosisce è l’appartenenza religiosa DOC esibita con orgoglio: tutte o quasi tutte le donne in linea indossano il velo, anche quando in sequenza si levano tutto o fanno sesso, segno che per chi si connette a questi siti – si suppone un maschio musulmano – il richiamo identitario è un elemento rassicurante. Come diceva Kipling, “a ciascuno la sua tribù”.

1. https://it.wikipedia.org/wiki/Pornografia_nel_mondo

 

Migrazione: Non bastano le pacche sulle spalle

Per anni l’Europa non ha mostrato interesse alla questione migratoria che coinvolgeva le “frontiere” del Mediterraneo, poi sono cominciati i rimproveri per il poco impegno italiano nello schedare e nel non riuscire a tenere quei fuggitivi in Italia, nel rispetto della convenzione di Dublino, ma solo da poco si è inaugurata l’era delle pacche sulle spalle, dei ringraziamenti per il lavoro svolto.

Ora però sarebbe opportuno andare oltre la semplice rassicurazione del presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker nell’affermare che l’Italia può “continuare a contare sulla solidarietà europea” sul fronte della crisi dei migranti.

Un piccolo passo è stato compiuto da Macron, europeista e sovranista, con la sua critica ai paesi dell’est che hanno confuso l’Unione europea come un emporio dove fare la spesa senza pagare la merce acquistata, mostrando cinismo nel trattare la questione dei rifugiati.

Il presidente francese pone comunque dei distinguo tra i profughi dalle violenze e quelli della carestie, come se morire di fame e sete non fosse una violenza pari a quella di trovarsi vittime di conflitti, solo per ribadire, come aveva fatto Hollande, che la Francia si attiene al nuovo trigono del motto della Rivoluzione francese in “Liberté, Égalité, Telibecchitè”, trovando la Fraternité obsoleta, chiudendo da tempo le frontiere.

Con il vertice di Parigi tra Italia, Francia e Germania, il ministro degli interni italiano ha posto la questione di un codice per le Ong impegnate nel Mediterraneo, oltre ad indirizzare le navi su altri porti per lo sbarco dei migranti ed a maggiori pressioni sui paesi europei non impegnati nella ricollocazione.

Un vertice quello parigino che si è posto come preparatorio a quello del G20 a Amburgo, ma soprattutto all’incontro informale dei ministri dell’Interno dell’Unione a Tallinn per superare le minacce italiane di chiudere i porti italiani alle navi straniere, con una revisione del Trattato di Dublino.

Mentre l’Italia minaccia la chiusura dei porti, Francia e Spagna, insieme ad altri paesi che non si affacciano sul Mediterraneo, sprangano i loro approdi e l’Austria mette in scena un spot elettorale, poi rientrato, con il voler schierare i blindati sulla frontiera del Brennero, come dimostrazione di tanta ammirazione e empatia per lo sforzo italiano.

Anche l’avvertimento del commissario alla Migrazione Dimitris Avramopoulos sul “Ricollocarli o ci saranno sanzioni” gridata contro l’Ungheria, la Polonia e la Repubblica Ceca, pronto a proporre l’apertura di procedure d’infrazione, rimane solo una vaga minaccia.

A Berlino, al vertice preparatorio del G20, il primo ministro italiano Paolo Gentiloni ringrazia “i leader per la solidarietà e la comprensione per le difficoltà che dobbiamo affrontare in comune”, ma aggiunge anche che dopo tante espressioni di solidarietà è ora di passare ad un aiuto più concreto.

Il concreto aiuto che l’Italia si aspetta, viene specificato dal ministro degli interni Marco Minniti, in un maggiore coinvolgimento europeo nell’ospitalità dei profughi e nell’impegno di guardare all’Africa come soluzione e non come fonte del problema. Minniti all’incontro di Tallinn non ha commosso nessuno e vedere l’Africa come una risorsa rimane difficile con una Libia ufficialmente divisa in due governi e centinaia di tribù e milizie, oltre al fatto che la Cina si è radicata proprio negli stati africani da dove proviene gran parte della migrazione.

La Cina ha fatto dell’Africa, in questi ultimi decenni, un suo territorio d’oltre oceano, con gli enormi scambi di dare avere che difficilmente portano del benessere alle popolazioni native che continuano a migrare, anche per la cessione dei terreni più fertili alle compagnie cinesi, oltre ai conflitti per territori e ricchezze.

Tra pacche sulle spalle, tante parole d’incoraggiamento, ma soprattutto risatine di arroccamenti europei e porte chiuse, interviene Emma Bonino affermando che siamo stati noi a offrire i nostri porti, nell’ambito dell’operazione europea Triton, per gli sbarchi, ed ora è complicato disfare quell’accordo.

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Qualcosa di più:

Migrazione: umanità sofferente tra due fuochi
Migrazione: Orban ha una ricetta per l’accoglienza
Aleppo peggio di Sarajevo
Migrazione: La sentinella turca
Migrazione: Punto e a capo
Migrazione: Il rincaro turco e la vergognosa resa della Eu
Europa: la confusione e l’inganno della Ue
Europa e Migrazione: un mini-Schengen tedesco
Migrazione: Quando l’Europa è latitante
Un Mondo iniquo
Rifugiati: Pochi Euro per una Tenda come Casa
Siria: Vittime Minori
Europa: Fortezza d’argilla senza diplomazia
La barca è piena
Il bastone e la carota, la questione migratoria

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Psichiatria e politica

Franco Basaglia ce lo aveva insegnato: la psichiatria afferisce non solo alla medicina, ma anche alla politica. Quello che non poteva immaginare è che si realizzasse anche l’opposto: che fosse la psichiatria a occupare il vuoto lasciato dall’analisi politica. A capo del neonato partito anti-islamizzazione (PAI) c’è infatti uno psichiatra criminologo, Alessandro Meluzzi. La fondazione del suo partito è curiosamente simmetrica e contemporanea a quella del suo omologo, il futuro Partito islamico, che è perlomeno promosso da una persona accreditata: Roberto Hamza Piccardo, l’ex esponente dell’Unione delle comunità islamiche italiane (Ucoii). Il 2 luglio, in via Maderna a Milano, si è riunita la Costituente islamica di cui Piccardo è segretario. Un’assemblea che, secondo l’ex esponente Ucoii, “vuole dare una rappresentanza democratica ai circa 2,6 milioni di musulmani italiani”. Chi pensava di guadagnar voti con l’approvazione dello Jus soli ha fatto male i calcoli: i gruppi etnici o religiosi si organizzano da soli, come del resto proprio in Italia insegna l’esempio della Sudtiroler Volkspartei.

L’iniziativa di Meluzzi ha in realtà un inquietante precedente: anche Radovan Karadzic’ era uno psichiatra. Vi rinfresco la memoria: presidente della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina dal 1992 al 1996, politico e criminale di guerra condannato nel marzo 2016 a 40 anni di reclusione in primo grado dal Tribunale Penale Internazionale per l’ex-Jugoslavia per genocidio (a Srebrenica), crimini di guerra e crimini contro l’umanità durante l’assedio di Sarajevo e le altre campagne di pulizia etnica contro i civili non serbi durante la guerra in Bosnia. Sia chiaro: Meluzzi e Karadzic’ sono due persone diverse (per fortuna!), ma la loro coincidenza professionale è più di una curiosità.

Intanto, il dissenso politico verso l’islamismo è etichettato con una parola che non afferisce alle categorie della politica ma della psichiatria: islamofobia, esattamente come l’ostilità verso i gay è bollata come omofobia. Se io sono contrario all’islam politico perché difendo lo Stato laico, i diritti delle donne e la democrazia parlamentare sono forse un malato di mente? L’unica che affrontò il problema solo apparentemente semantico fu qualche anno fa l’antropologa Ida Magli, oggi ingiustamente dimenticata. In sostanza disse che nelle democrazie post-moderne il dissenso politico non ha un reale diritto di cittadinanza nel conformismo generale. Da qui etichette di comodo, come populismo, che scredita l’avversario ma non ne analizza le reali, profonde motivazioni.

Ma torniamo alla psichiatria. Proprio alla luce delle etichette di cui sopra, la spiegazione del paradosso è definibile come un rovesciamento: se tu non accetti o non capisci la mia opposizione politica e mi screditi come instabile mentale, allora io ti dimostro il contrario: sono uno psichiatra, quindi i pazzi veri li curo io. Le Brigate Rosse, l’OLP e l’ISIS, pur praticando il terrorismo, hanno sempre accusato lo Stato di terrorismo, ribaltando così l’accusa. E Karadzic’ trasformò la sua Bosnia-Erzegovina in un enorme manicomio a cielo aperto, dove l’opposizione al “paradiso” serbo era per l’appunto una malattia mentale.