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Trump: Un uomo per un lavoro sporco

Trump Un uomo per il lavoro sporco e le personeDonald J. Trump si è insediato a Washington come 45° presidente degli Stati uniti, ma si è trovato costretto a mantenere alcuni funzionari del Dipartimento di Stato e della Sicurezza nazionale nominati da Obama per garantire la “continuità di governo”.

Un presidente che si insedia, con il più basso indice di gradimento degli ultimi 50 anni, su di una delle poltrone dalla quale si decidono le sorti del Mondo, ma dovrà attendere l’approvazione della commissione del Congresso sulle tutte le persone scelte da Trump per ricoprire gli incarichi di governo per iniziare a trasformare lo slogan “America First” in una realtà, imprimendo un radicale differente indirizzo nella politica estera.

Intanto il Presidente inizia a firmare i primi ordini esecutivi per “alleviare” l’onere economico della riforma sanitaria voluta da Obama che garantisce l’assistenza a 20 milioni di cittadini.

Una riforma che Trump si dovrà limitare a ridimensionare e non a smantellarla completamente, come avrà delle difficoltà a far comprare solo prodotti statunitensi fabbricati negli Stati uniti, ma probabilmente potrà contare sull’appoggio anche dei democratici per il rilancio delle infrastrutture, se per finanziare i lavori non effettuerà tagli alla spesa sociale.

È strano che un presidente come Trump possa riscuotere così tanti eccitatissimi sostenitori nella schiera di quelli che ieri erano dei ferventi anti-americani, quando il suo slogan è fare Grande l’America, attraverso il protezionismo, chiudendo le frontiere e rispolverando la politica isolazionista di Harding.

Mr. “American First” abbandona ufficialmente il TPP, l’Accordo Trump Un uomo per il lavoro sporco2 Transpacifico di libero scambio, firmato da Barack Obama lo scorso anno con altri 11 Paesi del Pacifico, esclusa la Cina, ma che il Congresso non aveva finora ratificato, e vuol rinegoziare l’accordo Nafta che coinvolge, oltre agli Stati uniti, il Canada e il Messico.

La scelta di penalizzare i prodotti provenienti dal Messico, anche aumentando i dazi, avrà anche delle conseguenze nei rapporti economici con altri stati, portando gli Usa verso un’autarchia economica laddove è internazionalmente riconosciuta la sua carenza produttiva in alcuni campi che potrebbe far retrocedere una grande nazione di qualche decennio.

Al confine messicano vuol completare il muro, ma non è sufficiente una firma, ha anche necessità di fondi. Dopo il Messico forse sarà la volta anche di blindare il confine canadese.

La migrazione è nel cuore di Trump, non si vuol limitare a blindare i confini, congelando per alcuni mesi l’ingresso negli Stati uniti di profughi e dei cittadini provenienti da sette paesi islamici (Iraq, Iran, Libia, Somalia, Sudan, Siria e Yemen), ma non dall’Arabia saudita, Pakistan e Afghanistan luoghi non certo immuni dalla presenza jihadista.

Un ordine esecutivo che sta creando confusione negli aeroporti, creando tante surreali situazioni vissute come da Tom Hanks nel film The Terminal di Steven Spielberg, intere famiglie rifiutate all’imbarco e persone bloccate all’arrivo, senza poter andare avanti o indietro. Trump doveva prendere in considerazione di firmare un ordine “meno” esecutivo per dare il tempo di organizzarsi e non trovarsi con un’umanità che può contare solo sulla pressione dei gruppi attivisti per la salvaguardia dei Diritti umani come l’UNHCR o International Rescue Committee per uscire dall’empasse nel trovarsi ad essere dei detenuti in aeroporto.

La migrazione è il fronte sul quale Trump si sta maggiormente, impegnando tanto da arrivare a minacciare tutte quelle amministrazioni locali marchiate come sanctuary cities (città santuario) di un taglio di fondi federali per lo stato sociale se non si adeguano alle direttive di Washington.

Potrebbe anche pensare alle espulsioni, iniziando con il confezionare Fethullah Gulen come un pacchetto regalo per Erdogan.

Un’altra forma di isolazionismo è l’imposizione al silenzio delle agenzie che ritiene inutili (protezione ambiente, agricoltura, etc.) interrompendo qualsiasi tipo di comunicazione pubblica sui siti istituzionali e i social. Il web è un altro fronte per rafforzare la sua presidenza, togliendo la versione in ispanico dal sito della Casa Bianca.

Così Donald Trump non subirà dei contraddittori nel ritenere una bufala che la causa del cambiamento climatico sia dovuto all’inquinamento prodotto dall’uomo e al riscaldamento globale, ma solo da una manovra della Cina per ostacolare l’industria statunitense. Che la salvaguardia dell’ambiente non sia tra le priorità del presidente è evidenziata dalla scelta di inimicarsi anche i nativi americani, sbloccando la costruzione dell’oleodotto sulle terre sacre dei Sioux in North Dakota.

Anche le critiche che Trump ha più volte esternato verso la NATO (North Atlantic Treaty Organization) è un ribadire l’isolazionismo basato su meno Alleanza atlantica per tutti e più interessi nazionali.

Trump Un uomo per il lavoro sporco1L’insofferenza di Trump per ogni organizzazione transazionale come l’Onu o che con Putin condivide anche la voglia di disgregare l’Unione europea, fomentando il caos e seminando zizzania attraverso i movimenti nazionalisti ed euroscettici, cercando di instaurare un nuovo rapporto con la Gran Bretagna di Theresa May, nell’inconsapevole strategia del dividi e domina – Divide et impera – dei condottieri dell’antica Roma.

Un presidente che in una decina di giorni è riuscito a ridisegnare l’immagine degli Stati uniti e ha ancora quattro anni per continuare a sovvertire le regole, esaltando la tortura, rintroducendo il Waterboarding, per rispondere al fuoco con il fuoco.

Il risvolto nella scelta isolazionista nel bene e nel male, è che comunque gli Stati uniti non si intrometteranno, per i prossimi anni, negli affari di altri paesi.

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La fluidità di un Movimento

la-fluidita-di-un-movimento-politico-grillo-tra-i-personaggi-del-2017-politico-675Tra la fine di un anno e l’inizio del nuovo si perde il conteggio dei giornali e dei periodici che stilano graduatorie di personaggi che frequentano o operano in vari ambiti, ma tra i tanti elenchi spicca quello redatto da Politico.eu su chi potrebbe “rovinarci” il 2017.

Una sporca dozzina, come viene decantato nell’occhiello, dove non vengono inseriti personaggi come Putin o Erdogan, Trump o Marine Le Pen che continueranno a rendere il nostro futuro incerto, ma tra il governatore catalano Carles Puigdemont che sogna l’indipendenza per la sua regione da Madrid, e il nuovo segretario al commercio statunitense Wilbur Ross, favorevole a accordi con i singoli paesi piuttosto che con l’Unione europea, fa capolino Beppe Grillo con “le sue invettive alla Robespierre”.

Una dozzina accomunata se non da un euroscetticismo sicuramente dal nazionalismo e isolazionismo, per esaltare l’individualismo e ostilità ad ogni forma di cooperazione che non sia quella per destabilizzare le certezze come gli hacker russi, anche se tra i “demolitori” dell’Europa troviamo anche il capo gabinetto di Juncker, l’ex presidente francese Sarkozy e la commissaria danese alla Concorrenza Margrethe Vestager.

Il nome del fondatore del movimento 5 Stelle tra i “guastatori” dell’Europa, e non solo della politica italiana, viene visto dai pentastellati come un moto d’orgoglio, trasformando la stigmatizzazione negativa, nel blog di Grillo, in “uno dei 12 personaggi più influenti d’Europa nel 2017”.

L’autore dell’articolo Tunku Varadarajan, ricercatore alla Hoover Institution dell’università di Stanford, su Politico non utilizza il vocabolo “influente”, ma Beppe Grillo riesce a rivoltare la frittata.

Il Movimento di Grillo è fluido come la società teorizzata da Zygmunt Bauman che gli permette di presentare un concetto in modo completamente opposto a quanto si era fatto e detto in precedenza.

È l’assenza di qualunque riferimento “solido” per ogni individuo di oggi che permette la fluidità dei concetti e ancor prima delle regole.

Un Movimento fluido in una società di nonluoghi e non solo dei supermercati o degli aeroporti analizzati da Marc Augé, ma anche di quei non luoghi di confronto politico come il web, dove ormai si svolgono in gran parte le scelte politiche e gli avalli della Rete all’indirizzo impresso da Grillo.

Scelte che di volta in volta vanno a sollecitare la curiosità della destra o della sinistra, ma prese nel loro insieme sono per il superamento degli schieramenti in una visione qualunquista, scegliendo di combattere le caste e la corruzione, i politicanti e i lobbisti, nella solitudine di coniugare sia chi vuole il profugo accolto e chi lo vuole fuori dalle scatole, per chi propende per garantire i diritti a tutti e chi vuole i distinguo di rito per non irritare una parte della Curia romana.

Tra i nonluoghi anche il parlamento può diventare un luogo di transito, nella fluidità dei concetti per sottolineare, se mai ci fosse stata la necessità, l’effimero della vita e soprattutto non permettere la realizzazione di infrastrutture di potere a fini personali, quello che viene definita semplicemente concussione.

Forse Beppe Grillo è più un cane che abbaia all’Europa, come se fosse la luna, ma morde anche gli affaristi che siedono nel Parlamento italiano e magari anche in quello europeo, perché l’Unione riformata è una grande ricchezza, non solo per la Germania, e se ne renderà conto, se non l’ha già fatto, quando rifletterà come hanno fatto alcuni pentastellati.

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Baruffe di paternità sul Social

social-baruffe-scuole-accendere-i-riscaldamenti-paolo-masini La decisione della giunta Raggi di accendere il riscaldamento nelle scuole, per far trovare agli studenti le aule calde, un giorno prima della riapertura dopo le festività, ha innescato un’articolata riflessione su Facebook.

Una riflessione sull’importanza del dovuto riconoscimento della paternità di iniziative che ha portato anche all’ovvia esclamazione: “Ma a noi cittadini non importa chi le fa …..importa che qualcuno lo faccia”.

Raramente il politico ha delle idee, ma dovrebbe avere la capacità di saper scegliere i collaboratori che sappiano mettere in moto la mente, perché il loro “capo” possa convincersi a fare opera di promozione per tessere la rete di supporto per la realizzazione.

Il politico è la faccia dell’idea, ma non sempre ha la capacità di scegliere dei collaboratori competenti e educati, spesso sono invece arroganti e inesperti, o anche la capacità di vagliare una iniziativa di ampio respiro.

Nelle riflessioni c’è chi ha evidenziato come “Berlusconi ha inventato cose che poi sono state messe in pratica da Renzi il pappagallo…”

Si può rimanere bloccati all’infinito nel redigere elenchi di chi ha pensato cosa per primo, ma poi sono i fatti che demarcano la differenza, tra il pensiero e l’azione, anche se nel caso del riscaldamento anticipato delle scuole è risultato trascurabile, visto che i dirigenti scolastici hanno comunque consigliato ai genitori di coprire bene gli allievi.

Ad esempio qualche anno fa qualcuno aveva proposto un meeting degli istituti artistici nel Museo di Roma in Trastevere per far emergere l’eccellenza attraverso una selezione tra docenze.

A distanza di anni quello spunto si è trasformato nella 1ª Biennale Nazionale dei Licei Artistici che esalta la partecipazione collettiva più che delle singolarità.

Nel 2007 era stata promossa una iniziativa espositiva itinerante denominata Visioni dell’Umanità http://www.ex-art.it/visioni_dell_umanita’/visioni_dell_umanita’.html per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla migrazione e sull’arricchimento culturale, forse la proposta precorreva i tempi per poter ottenere la giusta attenzione.

Mentre la mostra Opere Solidali, promossa dal Magis (Movimento e Azione dei Gesuiti Italiani per lo Sviluppo) per raccogliere i fondi per finanziare progetti di sviluppo nelle aree disagiate dell’Africa e dell’America latina, ha potuto contare solo su vaghe promesse, perché magari poteva far diminuire la migrazione per la povertà o per carestie.

Ora il Mibact (Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo) promuove MigrArti per offrire delle occasioni di espressione nel cinema e nello spettacolo.

Per fortuna che qualcuno fa qualcosa, avendo i mezzi oltre che le menti da mettere in moto per dare amplio respiro all’interculturalità.

L’arte di Henry Moore è l’essenza di quella Henri Gaudier Brzeska e le figure di Modigliani sono state affinamento da Brancusi, ma tutti hanno trovato nel Primitivismo la scintilla iniziale.

 

Arabia Saudita: Le donne si ribellano al controllo maschile

olo-le-donne-si-ribellano-al-controllo-maschile-35938970_303Nel 1963 Lesley Gore cantava, con voce suadente e ferma, You Don’t Own Me (Tu non mi possiedi) e nel testo si ribadisce: «E non dirmi che cosa fare / E non dirmi cosa dire / Per favore, quando esco con te / Non mi mettere in mostra».

Un remissiva Mina, nel 1966, invece pubblica il 45 giri Sono come tu mi vuoi, per la tranquillità di un “sano” rapporto di abituale dipendenza.

Mezzo secolo è passato, ma non è cambiato molto nel vedere la donna come trofeo e proprietà esclusiva, ed è su questo concetto che le donne saudite hanno proposto una petizione contro la tirannica custodia maschile delle loro vite.

Un primo risultato si è avuto con il tweet del principe saudita Alwaleed Bin Talal, noto miliardario e filantropo da sempre schierato in favore delle donne, con il quale chiede di rimuovere il divieto alle donne di guidare, ma non tanto per una questione di eguaglianza, o almeno non solo per questo, ma soprattutto perché toglie forza all’economia del Regno.

Si deve calcolare l’inutile spreco di tempo e denaro che comporta olo-le-donne-si-ribellano-al-controllo-maschileall’oltre 1milione e mezzo di donne saudite nel dover raggiungere il proprio posto di lavoro con i trasporti pubblici, taxi o autisti stranieri, senza contare le volte che i parenti maschi si vedono costretti a dover prendere un permesso dal lavoro per accompagnare mogli, figlie e sorelle, per un ricovero in ospedale o una visita specialistica.

La dura risposta di Riad ai sempre più numerosi atti di sfida alla “tutela” maschile è l’arresto di una ragazza che si è fatta fotografare con abiti occidentali e pubblica l’immagine sul web.

Dall’altra sponda del Mar Rosso, al Cairo, le donne manifestano per tornare a indossare liberamente gli abiti occidentali come negli anni’60 ( né per questo le donne venivano molestate ) prima che il velo aspettasse il titolo di difensore della moralità.

È dagli anni ’70 che già la propaganda islamista consigliava l’uso del velo alle donne per proteggerle dagli sguardi indiscreti, ma il risultato stranamente è nell’aumento dei casi di violenza.

Quello del controllo è una mania che l’Oriente e l’Occidente maschilista condividono, nell’imporre o vietare il velo, senza chiedersi cosa le donne vogliano.

Un’ossessione che ha un esempio traumatico con la “cerimonia dello svelare” che il potere coloniale francese impose ad alcune donne musulmane, obbligandole a sottomettersi nel bruciare il proprio velo in una piazza d’Algeri il 13 maggio del 1958, in una sorta di “missione civilizzatrice”.

Missione che ieri era rivolta all’emancipazione delle indigene, oggi è per volerle liberare dal giogo dell’islamismo maschilista, ma cosa vogliono davvero le donne ?

La spiaggia diventa il campo di battaglia per chi vuol vietare il bikini, ma anche per gli altri che chiedono di togliere il divieto di prendere il sole in topless.

Le donne possono essere coperte o nude, ma ciò che le accumuna in Africa come nel subcontinente indiano, nelle Americhe come in Europa, è il poco rispetto che ricevono per quel che è loro dovuto, come per l’eguaglianza di genere in ogni ambito.

A woman holds a banner reading "Equal pay women/men now" as people take part in a march as part of the annual May Day workers' events on May 1, 2011 in Paris. Hundreds of thousands of people around the world attended May Day rallies today to defend workers' rights many say are under fresh attack, and to press for social justice and democratic reform. From Hong Kong to Indonesia, Moscow to Paris, protesters marched and rallied in largely peaceful demonstrations for international Labour Day. AFP PHOTO / MIGUEL MEDINA (Photo credit should read MIGUEL MEDINA/AFP/Getty Images)

A Parigi le donne sono scese in piazza per rivendicare l’uguaglianza di salario, in Argentina manifestano contro i femminicidi non solo perpetrati nel Sudamerica, con lo slogan Ni Una Menos, olo-le-donne-si-ribellano-al-controllo-maschile-argentinaQahera l’eroina del fumetto egiziano, combatte le discriminazioni con il velo, mentre le scacchiste vogliono boicottare i mondiali di scacchi in Iran per l’obbligo che viene fatto loro indistintamente di coprirsi con l’hijab (il velo), in programma per il febbraio del 2017 a Teheran.

 

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Donne e Primavera araba. Libertà è anche una patente

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Democrazia e conflitto per una Sinistra da rifondare

renzi-matteo-scompostoIn un articolo pubblicato il 29 novembre scorso dal New York Times, la giornalista Amanda Taub, citando uno studio di due giovani scienziati politici, sintetizza i tre fattori coi quali si può misurare il grado di stabilità di una democrazia: 1) il sostegno dei cittadini e delle cittadine; 2) l’ampiezza della disponibilità pubblica a forme di governo non democratiche, financo a regimi militari; 3) la crescita di consenso dei cosiddetti “movimenti e partiti anti-sistema”[1].

Utilizzando questo metro di valutazione, dovremmo dare una valutazione positiva dell’esito del referendum costituzionale del 4 dicembre scorso in Italia: l’affluenza del 65% (nonostante non fosse necessario il raggiungimento del quorum) dimostrerebbe una discreta coscienza dell’importanza politica che rivestiva questo passaggio istituzionale e una rinnovata disponibilità alla partecipazione nei processi decisionali attraverso gli strumenti di democrazia diretta individuati dalla nostra Costituzione; la vittoria del NO, con più del 59% dei suffragi, a sua volta dimostrerebbe una netta volontà popolare di difendere non solo gli strumenti e le architetture istituzionali definite dalla carta costituzionale, ma in questo modo di difendere anche i valori e principi affermati nella prima parte di questa.

Tuttavia, provando ad andare un po’ più a fondo e cercando di capire le motivazioni più profonde che hanno animato il variegato fronte politico e sociale del NO referendario, la situazione si presente, a mio avviso, molto meno omogenea e molto più problematica. Per sintetizzare, in questo rifiuto della presunta “riforma costituzionale” targata Renzi-Boschi si sono incrociate almeno tre motivazioni politiche fondamentali: 1) l’effettiva volontà di salvaguardare il testo e l’impianto costituzionale da una riforma che vedeva, come ha scritto Gaetano Azzariti[2], la democrazia come un intralcio e che avrebbe nei fatti aperto le porte ad un inasprimento autoritario della forma di governo, con la concentrazione oggettiva del potere anche legislativo e di controllo nelle mani del governo (governo che, con la riforma elettorale dell’Italicum, rischia tuttora, se questa riforma venisse applicata anche per l’elezione del Senato, di rappresentare una esigua minoranza del corpo elettorale); 2) l’opposizione politica e sociale all’operato non solo del governo Renzi e del Partito Democratico, ma a anche a tutti quegli esecutivi che lo hanno preceduto negli ultimi anni; 3) questa opposizione politica e sociale era a sua volta divisa fra chi, come ha scritto Anna Fava, difendeva «l’idea di una società plurale e eterogenea, fatta di razze e generi diversi, di diverse opinioni politiche e fedi religiose […] fisiologicamente percorsa da conflitti[3]», e chi invece era mosso da un’idea di società chiusa, permeata dall’egoismo sociale (di classe, di razza e di genere), per il quale la soluzione dei problemi sociali passa per la sopraffazione di chi sta peggio o solamente di chi è diverso.

Uno dei principali insegnamenti della Costituzione, che ci piaccia o meno, sta proprio nel riconoscimento del carattere conflittuale della società moderna e nella necessità di individuare soluzioni il più possibile condivise per garantire alla cittadinanza quei diritti che la Carta stessa sancisce nella sua prima parte. L’ex premier Renzi, la maggioranza di governo che lo ha sostenuto (e che ora sostiene Gentiloni), il Partito Democratico, avrebbero dovuto interrogarsi, già subito dopo l’uscita dei primi exit poll nella tarda serata del 4 dicembre, su come i provvedimenti di questi anni non solo non abbiano fatto uscire l’Italia dalla profonda crisi economica in cui versa, ma abbiano di fatto spaccato ulteriormente il Paese, aumentando fortemente le diseguaglianze: basti solo pensare al decreto “sblocca Italia”, al famigerato Jobs Act, alla “Buona Scuola”, al cosiddetto “Decreto salva banche”, quello “taglia sanità” della ministra Lorenzin, solo per fermarci a quelli più importanti (e più odiati). Provvedimenti sui quali il PD e le forze politiche alleate non solo non hanno mai aperto un serio confronto con le forze sociali e sindacali impattate da quelle leggi, ma che nei confronti dei movimenti che hanno protestato e manifestato in questi due anni, hanno spesso solo usato il linguaggio dell’arroganza e della repressione, come dimostrano gli almeno cinquanta episodi di cariche violente della polizia, di pestaggi di contestatori, fossero essi lavoratori, studenti, correntisti bancari.

Col Referendum del 4 dicembre il segnale di sfiducia popolare al governo Renzi e al PD è stato inequivocabile, ed è arrivato proprio da chi questi provvedimenti legislativi li ha subiti nel modo più drammatico: il meridione del Paese (col dato quasi plebiscitario della Sardegna), le zone periferiche delle grandi città, i/le giovani (vittime della interminabile precarietà e disoccupazione). Invece dal segretario del Partito Democratico non solo nessuna autocritica, ma neanche il tentativo di capire il “grido di dolore” che arriva dalla “periferie” (geografiche, sociali, generazionali) del Paese, solo negazione o rimozione. Lo dimostrano non solo le parole di Renzi già la sera del 4 dicembre, il limitare gli errori ad aspetti di “comunicazione”, o quelle imbarazzanti di Gennaro Migliore sul Jobs Act (il problema dei voucher sarebbe stato semplicemente che qualcuno ha pensato che si potesse abusare di loro), o ancora quelle del nuovo presidente del consiglio Gentiloni, per il quale sui temi del lavoro (e in particolare sull’art. 18) il governo non farà alcuna marcia indietro.

Di fronte a questo scellerato esempio di arroganza e di inettitudine, chi incasserà nel breve periodo i risultati dell’esito referendario saranno paradossalmente proprie quelle forze politiche non solo lontane ai valori di eguaglianza e solidarietà sociale, ma anche dai valori e dai principi stessi della Costituzione repubblicana, (si pensi non solo e non tanto al Movimento 5 Stelle o a Forza Italia, ma soprattutto a forze politiche apertamente razziste come la Lega Nord o dall’eredità politico-culturale inequivocabilmente fascista come Fratelli d’Italia.

Per questo, oggi nel variegato campo della Sinistra più che arrovellarsi il cervello su formule elettorali e proposte di governi di coalizione, sarebbe necessario un serio processo di rifondazione, fatto innanzitutto di presenza e lavoro politico nei luoghi e fra i settori sociali che hanno espresso il loro NO alla riforma costituzionale. È l’unica possibilità per ricostruire una politica credibile ed alternativa a quella imposta dai centri del potere economico e finanziario europeo, ed eseguita dai vari governi tecnici o a guida PD che si sono avvicendati in questi anni. Una politica che ascolti il conflitto sociale e sia capace di risvegliare la partecipazione dei tanti uomini e delle tante donne che non hanno niente a che vedere tanto con la tecnocrazia renziana, quanto col becero populismo liberista del M5S e con quello razzista di Lega e Destra.

[1] Cfr. L’URL http://www.nytimes.com/2016/11/29/world/americas/western-liberal-democracy.html?_r=0.

[2] Cfr. G. Azzariti, Contro il revisionismo costituzionale, Laterza, Roma-Bari, 2016.

[3] Cfr. l’URL http://effimera.org/partire-dal-no-rilanciare-la-partecipazione-anna-fava/.