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Palestina: una terra troppo amata

Il dramma della Palestina attraverso la voce del Poeta.

 

Sembra che tutto sia iniziato da quell’undici settembre del 1917 quando,

dopo quattrocento anni di dominio ottomano,

ebbe inizio il mandato di gestione britannico sulla “Terra Santa”.

Ma il dramma del popolo palestinese ha radici profonde.

La parola Terra fiorisce copiosa nella letteratura palestinese,

soprattutto nella poesia, non solo nel senso di patria

ma come luogo dell’anima, origine, madre, radice.

Le più belle poesie d’amore sono rivolte all’amata Terra,

E mai un così piccolo luogo è stato tanto amato e conteso.

con passione cruenta.

Una regione che la gente ha reso immensa colmandola di nostalgie.

Tre miliardi di esseri umani, consciamente o inconsciamente,

fanno riferimento a questo “fazzoletto” di terra, luogo di nascita,

di incontro e scontro delle tre grandi religioni monoteiste,

purtroppo in vario modo affette da integralismo:

origine di atroci conflitti e d’ogni dittatura.

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Quando la carestia sarà un ricordo

Una setta? Forse solo degli illusi che voglio fare arte e mettere a disposizione dei governi nuovi strumenti tecnologici per sopperire alla carenza alimentare dei paesi più poveri?

Sta di fatto che l’associazione Scienza per l’Amore ha visto sequestrati preventivamente entrambi i siti web dove promuovevano le loro attività e progetti.

Il Tribunale di Roma, con la Procura della Repubblica – Direzione distrettuale antimafia, ha dato mandato alla Polizia locale di Roma Capitale, con il suo Gruppo di elite sulla Sicurezza Sociale Urbana, all’oscuramento in base al Proc. Pen. N. 13650/11 R.G.I.P. e il Proc. Pen. N. 25093/10 R.G.N.R., probabilmente perché sospettati d essere dei truffatori con il voler contribuire alla crescita e al benessere dell’Africa, mettendo in grado gli stessi africani di sfruttare al meglio le risorse locali, dove sono endemiche le carenza alimentari ed energetiche.

Lo strumento per realizzare questi obiettivi è la tecnologia Hyst, che consente di impiegare a fini alimentari ed energetici qualsiasi scarto proveniente dalle lavorazioni agricole. Si produrranno così farine per alimentazione umana, zootecnica ed energia pulita.

L’Hyst è un sistema innovativo che anticipa quello che, nelle pubblicazioni scientifiche del settore, si auspica di realizzare fra 10-20 anni.

Una tecnologia che trasforma gli scarti di cereali e frutta in prodotto alimentare appare molto simile al sottoporsi a una cura staminale con cellule trattate in ambiente difficilmente ritenuto sterile.

Il Progetto Bits of Future: Food For All lascia per lo meno perplessi sulla possibilità che un macchinario trasformi degli scarti in cibo, ma sequestrare la loro vetrina senza specificarne le motivazioni.

Bisogna diffidare dei soci e simpatizzanti dell’associazione, e perché? Magari sono contagiosi ed è consigliabile non stringere loro la mano.

Sul sito veniva sbandierata l’adesione di una serie di stati africani (Repubblica del Senegal, Governo di Transizione della Repubblica Somala, Repubblica del Burkina Faso, Repubblica del Camerun, Repubblica del Ruanda, Repubblica del Burundi, Repubblica del Congo Brazzaville) al Progetto con lettere di ministri e rappresentanze diplomatiche.

Forse sono solo il frutto di millantato credito o come è spesso accade un’occasione per dei governanti di fare un po’ di business?

L’Ifad (Fondo Internazionale per la Sviluppo Agricolo) interpellato sull’essere a conoscenza del progetto Bits of Future: Food for All ha risposto chiarendo le competenze dell’organizzazione impegnata nello sviluppo agricolo e ha tenuto a chiarire che la Fao (Food and Agriculture Organization of the United Nations: Employment) potrebbe rispondere.

Mentre alle richieste inviate alla Fao di essere a conoscenza del progetto e confermare un loro interesse non è a tutt’oggi giunto alcun commento.

Come non ha fatto seguito alcuna risposta con il Wfp (Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite).

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Italiani in Costituzione

Il 5 dicembre è stato presentato al MACRO di Roma, nell’ambito di Fotografia – Festival Internazionale, l’anteprima del cortometraggio Italiani per Costituzione.

Il video si inserisce nel dibattito sul diritto di cittadinanza dei giovani di seconda generazione, sul rispetto e sulla valorizzazione delle differenze culturali intese come ricchezza e sulla mancanza nel nostro Paese di un’adeguata cultura dell’integrazione.

Prodotto da Camera21 con la regia di Simona Filippini e Matteo Antonelli, le musiche dell’Orchestra di Piazza Vittorio e il Patrocinio del Ministero dell’Integrazione, il progetto è stato ideato in occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia e raccoglie una serie d’interviste a 20 ragazzi, figli di immigrati in Italia e residenti in diverse città: Napoli, Milano, Roma, Trento, Prato e Palermo.

Ognuno di loro ha parlato di sé, della sua famiglia, della scuola e della città in cui vive e ha citato, commentato o declamato l’articolo della Costituzione italiana più amato, ponendo così l’accento sull’importanza del rispetto delle leggi da parte di ogni cittadino.

Il progetto vuole dar voce a questa importante porzione di popolazione giovanile (si stima siano 600.000 gli studenti stranieri, figli d’immigrati, iscritti nelle scuole italiane) che si sente italiana al punto da acquisirne tic, dialetti, pregi e difetti e porre l’accento sull’infinita varietà di culture, tradizioni, usanze e differenze preesistenti in Italia al fenomeno dell’immigrazione.

Questo video è il naturale proseguimento della campagna dell’Unicef dedicata ai nuovi italiani crescono IO come TU o quella di L’Italia Sono Anch’io collegata alle iniziative installative di Inside Out.

Da dicembre si affianca alla campagna L’Italia Sono Anch’Io quella chiama L’Europa Sono Anch’Io lanciata durante il Social Forum 10+10 di Firenze da Pietro Soldini, responsabile immigrazione della Cgil.

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Italiani per Costituzione

Cosa resta di Nassiriya

Dieci anni fa la strage di Nassiriya, dove rimasero uccisi diciannove italiani tra militari e civili e sette iracheni di cui nessuno di noi ha mai chiesto il nome. Come cittadino partecipai alle varie manifestazioni che si svolsero a Roma e scrissi anche almeno due articoli in argomento, uno dei quali molto critico sulle misure di sicurezza della nostra base. Ma sul momento qualsiasi analisi tecnica e politica era sommersa dall’emozione collettiva, mai spontanea e sentita come in quei giorni. Le istituzioni, dal canto loro, presero subito l’iniziativa di coordinare e gestire dall’alto l’angoscia popolare prima che le sfuggisse di mano. Ricordo come fosse adesso le migliaia di mazzi di fiori posati sulla scalinata dell’Altare della Patria e prima ancora del dolore, lo sgomento della gente. L’innocenza l’avevamo persa dieci anni prima a Mogadiscio, dove subimmo le prime perdite in combattimento dopo la seconda Guerra Mondiale, ma Nassiryia fu un trauma: eravamo andati in Irak per aiutare la gente e il mito del Soldato di Pace non era stato mai intaccato. Forse perché ci credevano pure i soldati, la tragedia avvenne inaspettata, anche se alcuni consigli furono inascoltati e la situazione sottovalutata. Quanto successe quel giorno fu unico e irrepetibile, visto che la lezione l’abbiamo imparata subito e non ce ne siamo dimenticati. Abbiamo perso altri soldati in Irak e in Afghanistan, ma mai più in quel modo né in quel numero. Ed era una facile profezia proiettare nel futuro il trauma nazionale di quel giorno: Nassiriya, come Adua o come l’8 settembre, pesa tuttora sull’immaginario collettivo e lo farà ancora per molto tempo a venire.

Quanto è successo quest’anno però rompe una continuità: intendo parlare dell’intervento della parlamentare del Movimento Cinquestelle Emanuela Corda (1) che in Parlamento il 12 novembre, durante la commemorazione nel decennale dell’attentato ha ufficialmente ricordato e giustificato  anche chi guidava quel camion: “il kamikaze era una vittima come loro”. Ora, a parte il termine improprio (ma usato anche dalla stampa – quello giusto sarebbe shahid, martire), la frase è grave: si trasferisce infatti anche l’assassino nell’elenco delle vittime; un esempio di relativismo che ricorda da vicino la santificazione di Priebke da parte di certa Destra, che considera anche lui vittima di un’ideologia che lo ha portato a diventare un boia. Tesi debole: è facile infatti osservare che sia lo shahid marocchino di Nassiriya che il tenente Priebke in quelle organizzazioni ci sono entrati di loro volontà e non hanno mai chiesto di uscirne. Se poi lo shahid fosse stato plagiato dai suoi capi, peggio ancora: significa che quei gruppi sfruttano instabili mentali e psicolabili, il che potrebbe pure anche avere un fondamento reale. Ma la cosa più grave è che l’opinione dell’on. Emanuela Corda è stata espressa ufficialmente nell’aula del Parlamento da un deputato regolarmente eletto da una parte degli italiani, quindi rappresenta qualcosa di più di un pensiero personale, sia pur discutibile. Personalmente lo vedo non solo come una voluta provocazione: è sintomo di una frattura nella coscienza degli italiani. Stigmatizzato da molte forze politiche e da associazioni militari e civili, l’atto della parlamentare Corda è stato sottovalutato e forse neanche compreso nel profondo. Non è solo questione di antimilitarismo, da noi sempre esistente, ma qualcosa di peggio: l’Italia resta come sempre e da sempre un paese diviso, senza una memoria condivisa che non sia continuamente rimessa in discussione dopo pochi anni. Come adesso.

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03 AdN 13112501 Cosa resta di Nassiryia nassirya1Note

(1)            Questa l’attività parlamentare finora svolta dall’onorevole Emanuela Corda (dal sito ufficiale della Camera dei Deputati). Si noti come l’unica proposta di legge presentata come prima firmataria è un provvedimento antimilitarista:

  http://www.camera.it/leg17/29?tipoAttivita=attivita&tipoVisAtt=&tipoPersona=&shadow_deputato=306031&idLegislatura=17