Archivi categoria: ALTRI DI NOI

Dove la politica è sotto confisca

L’Islam non è solo islamista, ma è un composito universo di religiosità e laicità, con una componente araba che è solo una parte di questo mondo. Sunniti e sciiti, wahabiti e alawiti, salafiti e drusi, socialisti e liberali, nasseriani e baatisti, marxisti e monarchici.

Tante anime che stanno trasformando l’ostilità in conflitto permanente non solo tra chi vuole imporre la componente religiosa come riferimento per le leggi e i comportamenti di intere popolazioni e chi vuol tenere separati gli aspetti della fede a quelli dell’amministrazione pubblica, ma anche all’interno dei singoli ambiti.

Un conflitto che sempre più sta trasformandosi in sistematica violenza degli uni contro gli altri in Egitto e che la Tunisia si appresta ad intraprendere la stessa strada. In Libia si susseguono attentati.

Il Marocco vive una crisi di governo con il passaggio all’opposizione del partito Istiqlal, la componente conservatrice della coalizione governativa che chiude con l’esperienza a guida islamista per l’inadeguatezza del partito islamico di Giustizia e Sviluppo nell’affrontare i problemi economici del paese.

Il presidente Abdelaziz Bouteflika, con la sua gestione autoritaria del potere, non ha ancora permesso che in Algeria si esprima rumorosa la contrarietà per uno stato d’impoverimento dei Diritti, vigilando sullo scontento giovanile e soprattutto su quello islamista.

Il periodo del Ramadam è il tempo della purificazione fisica e dalle tentazioni carnali, ma soprattutto un’occasione di riflessione e mai come in quest’anno giunge in un momento drammatico per il mondo arabo.

I contrasti nell’universo islamico non sono solo tra religiosità e laicismo, ma si addentrano nei diversi riferimenti storici delle varie comunità. Correligiosi che non riescono ad andare d’accordo, dilaniandosi in rivalità che nel panorama geopolitico si muovono con grande senso pragmatico verso i diversi schieramenti. Non tutti gli osservanti o ortodossi e fondamentalisti si trovano dalla stessa parte. Piuttosto si dislocano come in Occidente: secondo i momentanei interessi gli avversari non sono sempre rivali, ma possono essere alleati.

Questo Ramadam possa essere l’occasione per comprendere la divisione tra sciiti e sunniti che da secoli travaglia l’Islam, non nelle dimensioni che conobbe l’Europa del ‘600 tra cristiani, ma che continua a causare quotidianamente vittime in Pakistan come in Iraq, in Siria e nell’ambito delle rivolte arabe del nord Africa e con le ribellioni tentate nei paesi del Golfo.

Uno stillicidio tra sciiti e sunniti, i primi sono minoranza in gran parte dell’Islam, generato da una differente lettura dell’eredità di Maometto. I sunniti riconoscono ad Abu Bakr, amico e padre della moglie di Maometto, l’eredità religiosa e politica, mentre per gli sciita la successione doveva essere riconosciuta ad un consanguineo del profeta come il cugino e genero Ali.

In un Medio oriente dove si muovono in schieramenti sparsi islamisti sciiti come gli Hezbollah impegnati a difendere la laicità siriana impersonata da Assad, mentre i sunniti vorrebbero liberarsi dalle leadership corrotte.

Nel Mali i laici Tuareg hanno pensato di allearsi con gli integralisti della sharia per realizzare il loro sogno d’indipendenza, per poi trovarsi estromessi dalle città conquistate sino all’arrivo delle truppe maliane fiancheggiate dai francesi.

Nell’Iraq di Hussain era la minoranza sunnita del paese a governare sulla maggioranza sciita, come le case regnanti di alcuni paesi del Golfo bloccano ogni rivalsa degli sciiti, mentre finanziano le primavere in altri paesi arabi.

In questa complessa rimescolanza di posizioni il punto fermo, il discrimine, è individuabile nella rabbiosa avversità di alcune fazioni verso la cultura e le adolescenti come Malala che sfidano quotidianamente i Talebani per garantire il diritto allo studio. Quella di Malala è una sfida ribadita anche davanti all’assemblea dell’Onu. Nel Mondo i 2/3 degli analfabeti sono donne e la cultura resta l’unico strumento per superare ogni incomprensione tra i popoli e sconfiggere ogni forma di terrorismo.

Alcune fazioni sciite si trovano in sintonia con quelle sunnite solo nell’emarginare le donne dalla società, ponendole in un continuo stato di controllo, sino ad arrivare ad un vero e proprio abuso psicologico e fisico.

Appare difficile solo pensare che possa esserci un futuro dove i popoli possono vivere in pace, quando le genti con le stesse radici culturali hanno difficoltà nell’andare d’accordo, sino ad arrivare ad essere rivali, pronti a fronteggiarsi a colpi di business o di auto bomba.

Quando il massacro siriano avrà fine, perché prima o poi anche questa mattanza concluderà, nessuno avrà vinto. Ognuno avrà perso qualcuno e qualcosa, tanto vale terminare gli omicidi al più presto, senza attendere che l’Occidente ponga fine allo smisurato guadagno dei trafficanti d’armi. Entrambe le parti hanno potuto collaudare vari armamenti e fatto esplodere auto bombe. Non è una cifra più che rispettabile l’elenco di 100mila vittime o non è questa la quota di morti che si era prognosticata?

A quale numero si vuol arrivare per ritenersi soddisfatti di aver perso il proprio vicino? Un numero pari al confitto Iraq-Iran o quello della guerra dei Balcani è già sufficiente? Magari le vittime causate dallo sradicamento dei gruppi armati islamici in Algeria può essere costo di vite accettabile.

I musulmani, metaforicamente scrivendo, sono rimasti perplessi per il messaggio augurale tweettato del presidente Barack Obama per il Ramadam. Una confusione che ha trovato in Twitter il canale di sfogo per il disaggio di un messaggio augurale pervenuto dal presidente degli Stati uniti impegnato nell’utilizzo dei droni per attacchi mirati, colpendo non solo i terroristi, ma causando anche vittime tra i musulmani innocenti. Oltre al regime di carcerazione al quale i detenuti sospettati di terrorismo vengono sottoposti nel carcere extraterritoriale di Guantanamo.

Un’irritazione ben focalizzata dal tweeter che paragona, con i dovuti distinguo di eccesso, gli auguri di Obama a quelli che Hitler avrebbe potuto inviare agli ebrei per un felice Hanukkah con Auschwitz in attività.

I conflitti potranno dare un successivo stimolo all’economia o magari facilitare la realizzazione di progetti urbanistici, ma perché non vanno a giocare alla guerra nel bel mezzo di un deserto, senza coinvolgere l’infanzia e le loro madri?

È possibile che il dono della parola possa servire ad elargire sproloqui e non a comunicare con il prossimo per capire che nonostante le differenze culturali apparteniamo alla stessa umanità.

Il costante conflitto che il Mondo islamico sta vivendo è la prevaricazione di un essere su di un altro, ma l’Occidente è maggiormente interessato a mettere in sicurezza le forniture d’idrocarburi, come dimostra l’energico intervento in Libia e la flemma con la quale l’Italia si sta impegnando ad espletare l’incarico che la Ue e gli Stati uniti gli hanno affidato nell’organizzare a Roma una conferenza di pacificazione tra le diverse componenti, potrà dimostrarsi tardiva con il susseguirsi di attentati e scontri tra opposte fazioni.

07 OlO Altri di Noi Riflessione islamica Malala adolescente all'Onu per il diritto allo studio malala-yousafzai-Qualcosa di più:

L’Egitto si è rotto

Egitto: laicità islamica

Nuovi equilibri per tutelare la democrazia in Egitto

Egitto: democrazia sotto tutela

Estive cautele d’Occidente

Una Primavera di libertà congelata dall’inverno

Turchia: Autocrazia Ottomana

***********************************

 07 OlO Altri di Noi Riflessione islamica Malala adolescente all'Onu per il diritto allo studio

Aica: Una risorsa per la Cultura

L’Italia non ha mai particolarmente brillato nell’utilizzare i fondi europei per la cultura, come dimostrano gli scarsi investimenti richiesti con l’atteggiamento supponente verso gli altri paesi per il suo ricco passato artistico.

L’annoverare nella propria storia secoli d’arte e letteratura sembra che esenti i nostri governi di incrementare l’impegno nel conservare un posto di rilievo nel panorama culturale mondiale.

Vivere di rendita significa anche finire nell’indigenza a forza di consumare il patrimonio, un’Italia simile a dei letterati che non praticano la lettura e si ritrovano alla lunga analfabeti, dedicandosi solo all’eccellenza vinicola o dell’alta moda, ignorando la ricchezza della parola e dell’immagine, visto che nella musica contiamo ancora su Verdi e Donizetti.

Da questo scenario poco gratificante non si discosta ne anche L’Aica italiana, unica associazione di critica dell’arte riconosciuta internazionalmente, che continua a vivere nel torpore dei gloriosi anni ’60 della presidenza Argan, a differenza degli altri membri.

La sede centrale dell’Aica è a Parigi ed è affiliata all’Unesco come organizzazione non governativa (Ong) dal 1940, ed è riconosciuta e accettata presso i Musei e le Istituzioni artistiche di tutto il Mondo, ma sono anni che la sezione italiana ha intrapreso una strada in discesa ed è solo grazie all’impegno di poche persone come l’attuale presidente Cecilia Casorati che l’Aica non si è dissolta nel nulla in capziose discussioni sul ruolo critico – curatore e figurazione – astrazione, oltre a quello della pittura – fotografia.

Partendo dal semplice assioma che entrambi possono essere intesi come educatori, il dibattito non tiene conto del compito svolto dal curatore come critico, con il suo porre l’arte alle persone. Mentre il critico potrebbe preferire non scendere nell’arena dell’esposizione, ma limitarsi a un’attività di osservatore, diventando un tramite tra l’autore e il “lettore” dell’opera, cercando di far comprendere le contrapposizioni tra tematiche e mezzi.

Il ruolo del critico “militante” che, con il suo visitare gli studi, arricchiva il panorama con proficui confronti, sembra essere tramontato con il passare degli anni sulle spalle degli ex giovani critici, per essere soppiantato da quello del presenzialismo statico. Non più alla ricerca di nuove proposte, ma in attesa che pittori, scultori, fotografi e installatori si propongano, magari sotto le egide di una galleria.

L’arte in Italia è sempre stata dilaniata da sterili discussioni e latenti invidie non solo tra critici, ma soprattutto tra artisti, che hanno agevolato il predominio di altri paesi nel panorama mondiale, sempre più monopolizzato dalla presenza artistica cinese.

La crisi della cultura in Italia si deve anche dalle preferenze governative nel potenziare l’Aereonautica militare con l’acquisto degli aerei F35 dalla dubbia affidabilità e dalla provata necessità.

Una crisi che ha colpito anche l’Aica, ma ora il letargo sembra concludersi con l’annuncio del rinnovo delle cariche che avverrà a settembre con la presentazione di tre candidature per la carica di presidente (Renato Barilli, Raffaele Gavarro, Anna Maria Nassisi), ognuna con un differente approccio alla critica dell’arte, ma con l’unica intenzione di porre l’Aica come punto di riferimento per la conoscenza del contemporaneo, senza mettersi in concorrenza con l’associazione degli storici dell’arte.

L’Aica, oltre a promuovere e difendere gli interessi di categoria, si dovrebbe impegnare nella conoscenza delle arti visive e dell’estetica di ogni cultura anche tramite il sito non proprio all’altezza di quello delle altre sezioni, come reca nello statuto, attraverso una rete nazionale e internazionale dei suoi soci.

Un traguardo pieno d’insidie e difficoltà, non ultimo quello di riconquistare il ruolo d’interlocutore affidabile per le istituzioni, da qualche tempo occupato dalle gallerie private poco inclini a proposte fuori dai loro interessi non solo economici, perché l’Aica ritorni a essere una garanzia per l’evoluzione dell’arte.

Ogni sezione dell’Aica si differenzia dalle sue consorelle nel rapportarsi con l’arte e la sua quotidianità, ma ogni ambito ha un suo posto nella cultura del paese, soprattutto quando sceglie di essere una voce critica verso le politiche governative non solo nell’ambito artistico.

Il futuro per l’Aica ha le fattezze dell’Europa nell’interloquire in modo ufficiale con tutte le rappresentanze dell’associazione, proponendo delle iniziative in partnership con le istituzioni e gli enti preposti alla promozione della cultura italiana come la Società Dante Alighieri, per accedere ai finanziamenti della Ue.

 

Mondezza vicina e prelibatezze lontane

In occasione dell’appuntamento torinese di CinemAmbiente è stato presentato il documentario Trashed sulla gestione irresponsabile dei rifiuti che sta distruggendo il pianeta. Dall’Islanda all’Indonesia è l’attore Jeremy Irons a guidare lo spettatore per una riflessione sui rischi per la catena alimentare e l’ambiente attraverso l’inquinamento del nostro Pianeta.

Un viaggio attraverso i luoghi della vita e della morte, spaventosi e meravigliosi, tra le montagne di spazzatura in Libano e il luoghi suggestivi come quello del Polo, considerati apparentemente incontaminati, ma in realtà tra i più inquinati al mondo.

Una riflessione che trova la sua conclusione nella citazione di Einstein: “L’uomo intelligente risolve i problemi. L’uomo saggio li evita”.

Ora che il grosso del danno è stato fatto rimane solo da dimostrare che l’umanità è talmente intelligente da poter risolvere il problema, non solo acquistando i prodotti non imballati, ma praticando con più impegno il riciclaggio e il compostaggio.

Il tema del cibo è analizzato anche nel film Slow Food Story, accantonando la visione apocalittica dello spreco e dell’inquinamento, ma addentrandosi nei programmi televisivi che ne esaltano le devianze dell’immagine e degli innocui consigli alle casalinghe sino a rasentare lo splatter con i cibi spazzatura intrisi di conservanti e di aromi artificiali, per esaltare la rivoluzione gastronomica che Carlo Petrini ha iniziato prima con il suo impegno sulle pagine dei giornali per poi propagarsi alla fine degli anni ’80 con Slow Food. Un documentario che ripercorre soprattutto l’iter di un movimento nato dall’ingegno di Carlo Petrini che dal nulla ha coinvolto 150 Paesi nel mondo.

Un marchio quello di Slow Food che ha coniugato la filosofia della lentezza, nel concederci il “lusso” di un pasto come fondamentale piacere, con la scoperta dei mille sapori provenienti da ogni luogo del Pianeta.

Un credo quello di Carlo Petrini che è fortemente in contrasto con la vita frenetica e con la politica del Km. 0, per esaltare la paciosità del desinare. Un piacere esclusivo per soddisfare si la golosità dei benestanti nel gustare un cibo prodotto in esigue quantità ma che permette la sopravvivenza di comunità e culture, dedite all’agricoltura e all’allevamento lontano dall’attività intensiva, promossa anche attraverso gli appuntamenti di Terra Madre, opponendosi all’appiattimento delle culture local tout court e utilizzando il global per divulgare non solo le conoscenze gastronomiche.

**********************************

Cinema TrashedTrashed

Regia di Candida Brady
Con Jeremy Irons
Genere: Documentario
Produzione: Gran Bretagna, 2012
Durata: 88 minuti circa
Gran Bretagna 2012.
http://www.trashedfilm.com/jeremy-irons.php

 

——————————————————————————–

Cinema Slow Food StorySlow Food Story

Regia: Stefano Sardo
sceneggiatura: Stefano Sardo
fotografia: Giovanni Giommi
montaggio: Stefano Cravero
musica:Valerio Vigliar
produzione: Indigo Film, Tico Film
distribuzione: Tucker Film, Indigo Film
Italia, durata: 73’
http://www.slowfoodstory.com/

 

Rom(a)

Durante la campagna elettorale, una delle accuse più infamanti rivolte all’attuale nuovo sindaco di Roma è stata quella di aver comprato il voto degli zingari. Accusa paradossale: si fa tanto per integrare i nomadi e poi ci si scandalizza se costoro si valgono dei loro diritti civili. E se poi avessero votato contro chi si vantava di aver eseguito più di mille sgomberi di campi abusivi, era nel loro diritto. Perché allora meravigliarsi? In realtà siamo alle solite: da una parte vogliamo che i nomadi siano integrati nella città, dall’altro vorremmo che ne restino fuori. Ma siccome è sempre difficile affrontare il problema senza pregiudizi, ne propongo una lettura diversa.

Ricordo un film svizzero molto interessante, Lo zingaro e il commissario (1991). Anche se il Centro di documentazione zingara lo definisce “una carrellata di ordinaria opposizione verso gli Zingari in Svizzera, ed in alcune città d’Italia”, ne consiglio lo stesso la visione (1). E’ un documentario dove, a montaggio alternato, vengono fatti parlare un commissario di polizia elvetico e un capofamiglia rom. In Svizzera i nomadi possono fermarsi solo una settimana o due nello stesso campo nomadi, né è loro permesso sostare dove vogliono; eppure i rom continuano a girare per la Svizzera, segno che ne traggono qualche vantaggio. Ragionando controcorrente, arrivo a dire che gli svizzeri in questo modo paradossalmente rispettano l’identità di nomadi, laddove tutti gli stati nazionali cercano invece e da sempre di stabilizzarli e dar loro un documento e una residenza, col risultato di ottenere nel migliore dei casi soltanto dei cattivi cittadini e provocare l’ostilità dei sedentari contribuenti, da sempre poco inclini a mantenere quelli che considerano parassiti sociali (2). Ha più senso dar loro un documento ONU che riconosca invece la loro natura e li esenti da passaporti e frontiere chiuse, visto che per un nomade – sia esso un Tuareg o un Rom o un Sami – lo stesso concetto di frontiera è un’astrazione. Prima di indire un referendum per chiedere se è giusto dare la casa popolare ai rom, dovremmo chiederci che senso ha stabilizzare i nomadi, visto che almeno in Europa quando hanno fame non fanno più le razzie dei villaggi, ma al massimo ripiegano sul furto o sul recupero del nostro superfluo dai cassonetti.

Ma la cosa più curiosa di quel film era l’impressione che lo zingaro e il commissario fossero in realtà due metà della stessa persona, come se dentro di noi convivano il desiderio di ordine e quello di libertà assoluta, ed è forse questo il reale motivo del nostro atteggiamento ambiguo verso i rom.

**************************

Note:

(1) Il documentario è attualmente reperibile presso la Videoteca Rom di Torino:

(2) L’analisi della letteratura sugli zingari non deve ingannare: è scritta esclusivamente da un’élite di antropologi, assistenti sociali, buoni samaritani e frange libertarie, per cui l’immagine dei rom alla fine risulta sempre positiva, un quadro ben diverso da quello che nel profondo pensa la gente.

**************************

Lo zingaro e il commissario
Autore: Filippo DB
R.T.S.I. (RadioTelevisione della Svizzera italiana)
1991
min. 30

Il sottotitolo potrebbe essere:”occasione per una carrellata di ordinaria opposizione verso gli Zingari in Svizzera, ed in alcune città d’Italia

 

La barca è piena

In Europa, modificando l’antico adagio, si può affermare che nessuna notizia è una cattiva notizia per la sempre più incipiente mancanza di unità. Sull’Economist di fine maggio svettava il titolo The sleepwalkers (I sonnambuli) riferito all’incapacità di reagire nella zona euro. Questa apatia non ha solo attecchito nei 17 paesi che adottano la stessa moneta, ma ha contagiato anche gli altri dieci non solo per una energica ripresa economica, ma anche per la sempre più evidente incapacità di avere una comune posizione in politica estera, come dimostra la recente non decisione rispetto all’embargo per le armi all’Opposizione siriana, alla quale l’Europa sembra alquanto simile per la sua frammentazione e la sua incapacità di trovare una leadership. La crisi dell’Europa non è solo dell’euro, ma della comunione di intenti: assodato che tutti vogliono stare bene, non si comprende come e a spese di chi.

La Commissione europea ha aperto con cautela una discussioni sull’immigrazione e le possibili correlazioni con la povertà. Bruxelles vuole prove concrete di fatti e cifre prima di addossare tutta la colpa della crisi sulle spalle di chi attraversa deserti e mari in cerca di un luogo dove poter vivere. Il legame più evidente tra immigrazione e povertà è che chi fugge dai propri luoghi nativi per poter continuare a vivere non ha la possibilità di portarsi dietro il poco che possiede. Lascia tutto e diventa un indigente in un paese libero che vuol chiudergli le porte in faccia solo perché vuol usufruire fraudolentemente degli stessi benefici del cittadino legalmente riconosciuto in quel paese.

In Gran Bretagna aumenta l’indigenza con oltre 500mila persone costrette a utilizzare banche alimentari e il governo limita l’accesso ai servizi sociali ai soli possessori del passaporto britannico.

La Germania accusa l’Italia di distribuire permessi di soggiorno e denaro ai profughi africani perché scelgano di vivere altrove. Migranti che poi vengono respinti e condannati a vagare.

La libera circolazione di persone e merci sarà rivista e corretta per limitare la circolazione anche degli stessi cittadini europei, sulla cui testa incombe la spada di Damocle di un foglio di via per il proprio luogo d’origine. Se questo è il possibile futuro che si prospetta per gli europei meno abbienti, si può immaginare quale destino aspetterà a chi proviene dall’altra parte del Mediterraneo. Più che sonnambuli appaiono sempre più simili a degli zombi affamati del loro individualismo, gridando sempre più veementemente “IO” e utilizzando il “noi” solo quando c’è da spartire i resti della dignità.