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Doppi Caravaggio

Nei secoli scorsi non era disdicevole, anche presso famiglie importanti, esporre copie di dipinti di autori celebri; non potendo possedere l’originale spesso si affidava a buoni artisti il compito di riprodurlo. Uno dei pittori più copiati fu, per la sua fama, il Caravaggio delle cui opere spesso esistono molte versioni; di lui due originali e due loro copie sono in esposizione presso la Galleria Nazionale di Arte Antica di Palazzo Barberini per permettere ai visitatori di confrontare i vari dipinti e notare le pur minime differenze.

I quattro dipinti sono di proprietà del F.E.C., Fondo Edifici Culto, che ha organizzato la mostra per festeggiare i 30 anni dalla sua costituzione; in realtà si tratta di una evoluzione dell’originario Fondo per il Culto fondato nel 1866 con lo scopo di gestire i beni architettonici, artistici e patrimoniali provenienti dalle confische di beni e proprietà di numerosi ordini religiosi. Attualmente il F.E.C. amministra, restaura e valorizza oltre 800 chiese e conventi, un fondo librario antico, un archivio storico ed infine la Foresta di Tarvisio estesa per 23.000 ettari.

I due originali esposti sono un dipinto da cavalletto rappresentante “San Francesco in meditazione” ed una pala d’altare raffigurante “La Flagellazione di Cristo” e sono in deposito il primo presso la Galleria di Palazzo Barberini l’altro presso il Museo di Capodimonte a Napoli, le copie sono conservate rispettivamente presso le chiese, di proprietà del F.E.C., dei Cappuccini a Roma e di San Domenico Maggiore a Napoli.

La storia delle due tele presenta aspetti oscuri e larghi vuoti nella documentazione: fino a metà ‘900 era conosciuto solo il San Francesco dei Cappuccini, a loro donato forse nei primi decenni del XVII secolo, ed era considerato autografo del Caravaggio finché nel 1968 fu rinvenuto nella chiesa di San Pietro a Carpineto Romano un quadro identico, probabile lascito di qualche famiglia nobile della zona, inizialmente ritenuto una copia; va tenuto presente che di questo soggetto esistono, in musei e collezioni private, più varianti.

Accurate ricerche tecniche, in occasione di restauri, hanno permesso di accertare, scoprendo pentimenti e rifacimenti presenti solo sull’originale, che tale è il dipinto di Carpineto mentre copia di alto livello è quello dei Cappuccini: la gran maggioranza dei critici e storici dell’arte concorda su questa tesi. Diversa è la storia della grande pala d’altare che fu commissionata nel primo ‘600 dai De Franchis per la loro cappella in San Domenico Maggiore, chiesa domenicana a Napoli, ma le prime fonti che la citano risalgono a decine di anni dopo; per ragioni ignote e francamente piuttosto singolari nella chiesa è apparsa quasi contemporaneamente un’altra versione della Flagellazione, ora collocata nella cappella del Rosario, che tradizionalmente, ma senza alcun fondamento, fu assegnata al caravaggesco Andrea Vaccaro.

Fonti scritte e guide della chiesa hanno creato non poca confusione mescolando i due quadri, che hanno peregrinato fra vari altari, le descrizioni e l’attribuzione. Accertamenti condotti in occasione della mostra hanno permesso di identificare con certezza l’originale caratterizzato da pentimenti ed addirittura dalla cancellazione di una figura, la copia sarà restaurata a fine mostra.

Oltre i due dipinti citati il F.E.C. possiede altri tre dipinti di Caravaggio: la “Crocefissione di San Pietro” e la “Conversione di San Paolo” nella Chiesa di Santa Maria del Popolo a Roma e il “Seppellimento di Santa Lucia” a Siracusa.

La mostra è quantitativamente minima ma qualitativamente di grande interesse sia per il visitatore medio che per gli studiosi: è supportata da un catalogo che analizza con accuratezza la storia dei dipinti caravaggeschi e delle copie, i restauri e gli studi svolti negli anni scorsi e completati in occasione della mostra.

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CARAVAGGIO NEL PATRIMONIO DEL F.E.C
Il Doppio e la Copia
Dal 22 giugno al 16 luglio 2017

Palazzo Barberini
via Quattro Fontane, 13
Roma

Orario:
da martedì alla domenica dalle 8.30 alle 19.00

Catalogo:
Gangemi Editore

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Qualcosa di più:

La Finestra del Caravaggio

Roma Itinerari: Girando le chiese tra Caravaggio e i suoi seguaci

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La Bellezza Ritrovata

È il titolo di una mostra piccola, ma di estremo interesse, organizzata dal Centro Europeo per il Turismo e la Cultura e dall’Assessorato alla Crescita Culturale di Roma Capitale ed ospitata in locali al piano terra dei Musei Capitolini dove un tempo era la sede delle Università di Arti e Mestieri.

La mostra è articolata in tre sezioni che presentano i tre maggiori pericoli che insidiano la bellezza dell’arte: i furti, le catastrofi naturali, le guerre. L’esposizione si apre con due vasi antichi, un cratere lucano del IV secolo a.C. ed un’hydria etrusca del VI secolo creati ad imitazione di vasi greci da maestranze locali. Frutto di scavi clandestini erano finiti in Svizzera da cui, con l’ausilio delle autorità locali, sono stati recuperati dai Carabinieri del Comando Tutela Patrimonio Culturale. Risvolti di mistero avvolgono le opere esposte nella seconda sala: parecchi anni fa il Museo Nazionale San Matteo di Pisa affidò alcuni quadri ad un restauratore che ne restituì solo una parte vendendone altri.

Per disattenzione o peggio la sparizione fu scoperta tempo dopo e sulle tracce del furto si sono lanciati i Carabinieri; operazione non facile in quanto i quadri nel frattempo erano passati per molte mani comunque alla fine, tranne due, sono stati recuperati. Sono opere di soggetto religioso di scuola cinquecentesca italiana su cui spicca un olio su tavola a fondo oro dipinta dal fiammingo Quentin Metsys.

Segue la sezione che presenta opere provenienti da chiese e musei delle zone terremotate delle Marche, sono esposte tele di buoni artisti di fine ‘600 ed un pregevole Cristo ligneo scolpito poco dopo l’anno 1000, manca delle braccia ed è vestito con una lunga tunica.

L’ultima sezione riserva una sorpresa, nel 1943 Benevento fu bombardata dagli Alleati e la Cattedrale fu quasi distrutta con la perdita dei due bellissimi amboni medioevali di cui fu recuperata una parte delle sculture divise tra Museo del Sannio e Museo Diocesano.

Soltanto nel 1980, in occasione del terremoto dell’Irpinia, riordinando reperti accatastati nel primo dopoguerra, furono ritrovati leoni e grifi stilofori, statue e frammenti di colonne.

Se fosse tecnicamente possibile sarebbe interessante prevedere una ricostruzione ed un riposizionamento nel sito originale di uno o di tutti e due gli amboni. Scampato alla guerra anche il Tesoro della Cattedrale dovuto all’opera del Cardinale Vincenzo Maria Orsini poi divenuto Papa, tra il 1724 e il 1730, con il nome di Benedetto XIII; tra i vari reperti di oreficeria spicca un ostensorio coperto di grani di corallo, opera di orafi trapanesi.

È una mostra molto piccola ma con opere di qualità e con un elevato significato simbolico sulla bellezza dell’arte e sui pericoli che su di lei incombono.

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LA BELLEZZA RITROVATA
Arte negata e riconquistata in mostra
Dal 2 giugno al 26 novembre 2017

Musei Capitolini (Palazzo dei Conservatori)
Roma

Orario:
tutti i giorni
9.30 – 19.30
la biglietteria chiude un’ora prima
Catalogo:
Gangemi Editore

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Labirinti del cuore

Non si tratta di un vecchio film con Yvonne Sanson e Amedeo Nazzari ne’ di un fotoromanzo di Grand Hotel degli anni ’50 ma dell’inizio del titolo, lungo ed un po’ vago, di una mostra che si tiene nella doppia sede di Palazzo Venezia e di Castel Sant’Angelo; il resto è “ Giorgione e le ragioni del sentimento tra Venezia e Roma”.

La mostra si fonda su un dipinto, di non grandi dimensioni, che si trova dal 1919 nell’allora neocostituito museo di Palazzo Venezia proveniente da una donazione del Principe Fabrizio Ruffo di Motta Bagnara, precedentemente è citato nel 1734 nelle collezioni di Tommaso Ruffo e nel 1624 in quella di Pio di Savoia; anteriormente non esistono dati e solo dal ‘600 il dipinto è stato attribuito al Giorgione mentre per tradizione si indica un possesso da parte del Cardinale Grimani veneziano, uomo di grande cultura, umanista e collezionista di opere d’arte che risiedeva in Palazzo Venezia.

L’edificio fu fatto costruire nei decenni centrali del ‘400 dal Cardinale Barbo poi divenuto Papa con il nome di Paolo II, dopo un suo nipote ed erede vi risiedettero vari cardinali veneziani finché nel 1564 Papa Pio IV regalò alla Repubblica di Venezia il palazzo che prese quindi il nome attuale estendendolo alla piazza prospicente. Da allora vi risiedettero gli ambasciatori della Serenissima fino al 1799 quando subentrò l’Impero d’Austria che lo perdette nel 1919 a favore del Regno d’Italia che lo destinò a Museo con vita alternata dato che per quasi venti anni fu utilizzato come sede ufficiale del Capo del Governo dell’epoca. Per quanto riguarda il Giorgione, anzi più propriamente Zorzi da Castelfranco, è un artista di cui si sa molto poco; nato intorno al 1478 a Castelfranco, forse figlio di un notaio, si trasferì a Venezia lavorando nella bottega di Giovanni Bellini allora massimo pittore nella città lagunare; gli fu affidata l’affrescatura esterna del Fondaco dei Tedeschi  e si distinse anche come pittore di pale d’altare e di quadri da cavalletto. Entrò in contatto con circoli intellettuali veneziani e con la corte di Caterina Cornaro, già Regina di Cipro, che nella sua residenza di Asolo ospitava poeti, artisti e scrittori tra cui Pietro Bembo che vi scrisse gli “Asolani”. Pur essendo morto giovane, nel 1510 per peste, al Giorgione sono attribuite numerose opere enigmatiche con splendidi paesaggi, tra loro spiccano “la Tempesta”, “il Concerto Campestre”, “i Tre Filosofi”, “le Tre Età dell’Uomo”, dipinti enigmatici con forti risvolti simbolici attualmente di non facile comprensione. Per la sua città natale dipinse una grande pala d’altare tuttora sull’altar maggiore del Duomo.

Ebbe grande e duratura fama soprattutto per la sua interpretazione del colore. Il dipinto che è cuore della mostra, convenzionalmente noto come “i due amici” è piuttosto enigmatico anche se per anni i critici d’arte hanno avanzato varie spiegazioni fino a giungere alle conclusioni dei curatori dell’attuale esposizione. In primo piano appare un giovane dal volto affilato, aristocratico e malinconico, una mano sorregge il capo mentre l’altra stringe un melangolo, che nella simbologia del primo ‘500, rappresenta la malinconia. Dietro un altro giovane quasi sorridente, dalle fattezze plebee, si spinge quasi a toccare l’altro. Chi sono, amici? parenti? amanti? servo e padrone? Perché il giovane è malinconico? Amore non corrisposto? Preoccupazioni di vario genere? Probabilmente queste domande sono destinate a rimanere senza risposta anche se i curatori della mostra hanno elaborato una interessante teoria sull’importanza che il dipinto ha assunto nel cambiamento di impostazione del ritratto nel primo ‘500. Al posto della immagini ufficiali ed auliche di cui era maestro Giovanni Bellini cominciano ad apparire ritratti da cui traspare il sentimento e lo stato d’animo dell’effigiato, non bisogna dimenticare che siamo nel Rinascimento con la sua rivalutazione degli autori classici tra cui i poeti di liriche d’amore, anche il Petrarca tornò di gran moda tra i giovani intellettuali. I sentimenti e la loro libera espressione dominarono per qualche decennio la vita privata e culturale delle classi più elevate finché la Controriforma impose un nuovo stile di vita più rigoroso e conformista.

La prima sede dell’esposizione, Palazzo Venezia che, mostra il rapporto strettissimo tra Venezia e Roma, due tra i più importanti centri del Rinascimento, si sviluppa in alcune sale dell’Appartamento Barbo, tra cui quella appena restaurata con il fregio delle figure d’Ercole; sono in mostra opere d’arte, per lo più provenienti dal locale museo, che illustrano i rapporti artistici fra le due città culminanti con il dipinto su cui tutto si basa. L’ultima sala “Delle Battaglie” ospita, quasi per un contrasto, l’istallazione “il Giardino dei Sogni” di Luca Brinchi e Daniele Spanò che proietta su una parete una sorta di giardino rinascimentale animato da immagini e suoni.

La seconda sezione si trova a Castel Sant’Angelo nelle sale dell’Appartamento Papale più antico sottostante quello Farnesiano.

Sono esposte opere provenienti da musei italiani ed esteri; molti sono i libri di poesia, d’amore, di buone maniere. Seguono i dipinti con opere di autori di altissimo livello quali Tiziano,Tintoretto, Moretto, Bronzino, Barocci, sono tutti ritratti, singoli, doppi e in qualche caso plurimi, espressioni di vari sentimenti e stati d’animo, amore, affetto, amicizia, alterigia; sono databili lungo tutta la prima metà del ‘500. Nelle due sezioni sono esposte complessivamente 45 dipinti, 27 sculture, 36 libri a stampa o manoscritti.

La mostra è stata allestita a cura del Polo Museale del Lazio, costituito nel 2015 ed ora diretto da Edith Gabrielli. Il Polo gestisce 43 Musei sparsi nella Regione Lazio e cerca di valorizzare le sue sedi. In particolare Palazzo Venezia purtroppo poco frequentato mentre invece meriterebbe un ben diverso flusso di visitatori per l’ampiezza ed il valore delle sue raccolte.

La mostra è illustrata in un ampio, ben fatto e singolarmente economico catalogo edito da arte’m.

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Labirinti del cuore
Giorgione e le stagioni del sentimento tra Venezia e Roma
Dal 24 giugno al 17 settembre 2017

Palazzo Venezia
Orario:
martedì – domenica 8,30/19,30

Castel Sant’Angelo
Orario:
tutti i giorni 9,00/19,00

Informazioni:
tel. 06/32810410
http://ww.mostragiorgione.it
http://www.art-city.it/labirinti-del-cuore.html

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Il Viaggio Infinito di Jacopo Di Cera

Una mostra fotografica, in contemporanea alla 57^ Biennale Arte di Jacopo Di Cera, di una trentina  scatti a colori dei frammenti delle imbarcazioni che riposano nel cimitero delle barche di Lampedusa, stampati direttamente su pezzi di legno prelevati in parte dagli scafi che hanno traghettato centinaia di migliaia di persone sulle coste italiane.

Si tratta di un viaggio metaforico che parte dall’Odissea di Omero e arriva ai riferimenti visivi di Rothko e Klein per raccontare, semplicemente attraverso le forme e i colori, tutto quello che si nasconde negli occhi di chi abbandona la propria terra per fame, disperazione e paura attraverso associazioni visive e cromatiche.

Quella di Jacopo Di Cera non è solo una mostra fotografica di straordinario impatto visivo, ma è anche itinerante per sensibilizzare chi visita la mostra al dramma migratorio che nel 2016 ha toccato con successo le città di Milano, Roma, Arles, Carrara, Napoli, Torino e Parigi.

Nelle barche di Lampedusa che Jacopo Di Cera ha portato a Venezia sono i contenitori di sofferenza e speranze per un approdo sicuro per un’umanità vittima delle contraddizioni di un Mondo dalle disuguaglianze sempre più ampie e in cerca di una nuova opportunità.

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JACOPO DI CERA
Fino alla fine del mare
Dal 14 maggio al 6 giugno 2017

Galleria Accorsi
Campo San Stae (Santa Croce)
Venezia

Orario:
da martedì a domenica
11.00 – 20.00

Ingresso gratuito

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Il pittore e il mistero svelato

Esaminiamo la frase che sembra il titolo di un libro giallo. Il pittore: Bernardo di Betto più noto come Pintoricchio, soprannome originato unendo la sua professione con una corporatura minuta, nato a Perugia intorno al 1450 iniziò il suo apprendistato, non conosciuto, presso pittori locali associandosi poi con il Perugino.

La sua prima opera nota è la partecipazione al cantiere dell’Oratorio di San Bernardino a Perugia, fu poi a Roma con il Perugino nella Cappella Sistina; nell’Urbe dipinse nella Cappella Bufalini nella chiesa dell’Aracoeli, nel Palazzo Della Rovere, ora dei Penitenzieri, in Borgo e a lui e ai suoi collaboratori sono attribuite due, forse quattro, cappelle in Santa Maria del Popolo. Entrato in contatto con il Papa Alessandro VI Borgia fu chiamato ad affrescare l’appartamento papale; insieme ai suoi collaboratori Piermatteo d’Amelia, Raffaellino del Garbo, Pellegrino Tibaldi, coprì le pareti con una mirabile serie di dipinti seguendo una precisa iconografia religiosa.

Operò anche a Castel Sant’Angelo, intervenendo nella decorazione di un torrione costruito a picco sul fiume e demolito a metà ‘600, nel grande affresco del soffitto del coro di Santa Maria del Popolo e nella Cappella Baglioni a Spello; a Siena dipinse la Libreria Piccolomini nel Duomo. Oltre che per questi grandi cicli di affreschi fu abile pittore di cavalletto lavorando per committenti religiosi e laici. Ricco e famoso morì a Siena l’11 dicembre 1513. Pittore pienamente inserito nel Rinascimento si contraddistinse per il suo stile calligrafico e minuto, per le sue figure composte dalle espressioni serene, per il suo riferirsi a reminiscenze gotiche, per la scelta dei colori sontuosi ed eleganti. Passiamo ora alla seconda parte esaminando con occhio curioso la vita della Roma papale di fine ‘400 in cui operò il nostro Pintoricchio. All’epoca era pontefice Alessandro VI Borgia, di origine aragonese, molto discusso per la sua vita privata; prima di essere eletto papa aveva avuto, da una relaziona con Vannozza Cattanei, quattro figli tra cui Lucrezia e Cesare, detto il Valentino. Anche dopo la sua elezione continuò ad avere una vita dissoluta e dal punto di vista politico coinvolse lo Stato della Chiesa in guerre con altri stati italiani favorendo l’entrata in Italia del re di Francia Carlo VIII. Colto e mecenate di ogni tipo di arte, fece della Curia pontificia uno dei centri culturali più vivaci dell’Italia del Rinascimento. Chiamò a Roma il Pintoricchio per affrescare il suo appartamento in Vaticano e tra i vari personaggi fece dipingere se stesso avvolto in uno splendido piviale dorato, forse la figlia Lucrezia ed il principe Turco Djem, fratello del Sultano, allora in esilio a Roma. Alessandro VI, ultrasessantenne. si innamorò di una giovane, all’epoca ritenuta molto avvenente, conosciuta come “la bella Giulia”; nata Farnese, coniugata con un Orsini, madre di una bimba dalla dubbia paternità, la donna attirò l’attenzione del Borgia che se la tenne sempre vicina, con il tacito consenso del marito e della famiglia d’origine, creando scandalo nella pur tollerante Roma rinascimentale.

L’influenza di Giulia favorì la carriera del fratello Alessandro che a 25 anni divenne Cardinale oggetto di feroci pasquinate ; in giovane età ebbe figli che dettero origine alla dinastia dei Farnese duchi di Parma e Piacenza poi prese gli ordini sacri e divenne  papa con il nome di Paolo III. Fu grande mecenate, si dedicò alla riforma della Chiesa ed iniziò il Concilio di Trento. Tra le varie stanze dell’Appartamento Borgia, in gran parte ancora esistente e visitabile, il Pintoricchio, con il suo stile nitido ed elegante, affrescò la stanza da letto del papa decorando una parete con l’immagine del papa, con un manto rosso, inginocchiato davanti ad una Madonna che tra le braccia ha il Bambino che protende le mani, una delle quali tiene un globo aureo con una croce, verso il papa che a sua volta gli carezza un piede. Nella Corte cominciarono a correre voci malevole propalate da avversari dei Borgia e dei Farnese che sostenevano trattarsi del papa inginocchiato davanti a Giulia rappresentata come la Vergine.

La diceria continuò per decenni tanto che oltre 50 anni dopo il Vasari parlò di “Signora Giulia Farnese per il volto di Nostra Donna” e i papi successivi dovettero intervenire. Giulio II Della Rovere, immediato successore, si trasferì in un nuovo appartamento che fece affrescare da Raffaello e in quello Borgia furono ospitati i Cardinali Nipoti; Pio V Ghislieri, a metà ‘500, fece coprire l’affresco con tappezzerie, nel 1612, durante il pontificato di Paolo V Borghese, l’ambasciatore del Duca di Mantova corruppe un servitore con un paio di calze di seta, fece copiare il dipinto da un mediocre pittore, Pietro Fachetti, e lo inviò a Mantova.

A metà ‘600 papa Alessandro VII Chigi per porre fine ad una leggenda circolante da un secolo e mezzo  fece distruggere l’affresco;  frammenti con la testa della Madonna ed il Bambino furono salvati, incorniciati formando due piccoli quadri separati rimanendo per secoli dei Chigi e finendo poi, decontestualizzati ed ignorati, sul mercato antiquario. Soltanto negli ultimi anni i due frammenti sono stati abbinati al quadro di Mantova ricostruendo l’immagine dell’affresco perduto; già nel 2007 in una mostra a Palazzo Venezia è stato presentato il quadro con il Bambino destando grande interesse e curiosità per due mani, una su un fianco e l’altra intorno ad un piede, appartenenti a due diverse persone mostrando evidentemente che il Bambino faceva parte di un gruppo.

Successivamente è ricomparso, proveniente da una collezione privata, il piccolo quadro con il volto di una Madonna e la Sovrintendenza Capitolina unitamente all’Associazione Culturale MetaMorfosi e a Zetema Progetto Cultura ha organizzato una mostra che riunisce i due frammenti di affresco, il quadro di Mantova ed una trentina di opere, quadri, stampe, documenti riferibili all’attività del Pintoricchio. Ai Musei Capitolini è stata ricostruita una parte della vita culturale dell’ultimo ‘400 romano, riproducendo anche con gigantografie alcuni affreschi dell’Appartamento Borgia. Attraverso il confronto tra i due frammenti e la copia del Fachetti i curatori, Acidini, Buranelli, La Malfa, Strinati,  hanno ricostruito l’immagine dell’affresco originario e sono giunti ad una importante conclusione. L’eguaglianza Madonna-Giulia è insostenibile ed è una diceria falsa; il viso della Madonna non è un ritratto di Giulia, che forse è stata identificata in un affresco molto deteriorato nel castello farnesiano di Carbognano, ma è il tipico volto allungato delle Madonne del Pintoricchio che mantengono sempre un carattere di dolcezza, di soavità.

L’affresco avrebbe rappresentato l’investitura divina al papa Alessandro; non sarebbe il papa che ammira Giulia ma il Bambino, sorretto dalla Madonna, che concede al pontefice la potestà di Suo Vicario. Pittore identificato e mistero svelato.

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Pintoricchio. Pittore dei Borgia
Il mistero svelato di Giulia Farnese
Dal 19 maggio al 10 settembre 2017

Musei Capitolini (Palazzo Caffarelli)
Piazza del Campidoglio
Roma

Orari:
tutti i giorni 9.30 – 19.30 (la biglietteria chiude un’ora prima)

Ingresso:
€ 15 biglietto intero integrato Mostra + Museo (comprensivo della tassa del turismo per i non residenti a Roma);
€ 13 biglietto ridotto integrato Mostra + Museo, per i non residenti a Roma (comprensivo della tassa del turismo per i non residenti a Roma)
Gratuito per le categorie previste dalla tariffazione vigente

Informazioni:
tel. 060608 (tutti i giorni ore 9.00 – 19.00)

Catalogo:
Gangemi

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