Archivi categoria: Mostre

La Belle Epoque al Vittoriano

Mostre Boldini - Franca Florio aLa pittura sontuosa ed elegante, le linee sinuose, le dolci cromie di Giovanni Boldini sono in mostra al Vittoriano; sono esposte circa 130 opere provenienti da almeno 30 musei italiani ed esteri e da altrettante collezioni private; sono in mostra anche una trentina di dipinti di artisti suoi contemporanei per un utile ed interessante confronto. E’ una rivisitazione dell’arte del pittore alla sua epoca di grande fama ed poi purtroppo un po’ in ombra e che la mostra si incarica di riabilitare completamente. Il Boldini nacque a Ferrara nel 1842 e fece il suo apprendistato con il padre, pittore di tipo accademico, fu poi a Firenze a contatto con l’ambiente dei Macchiaioli di cui per qualche tempo seguì lo stile. Il salto di qualità lo fece trasferendosi a Londra dove acquistò larga notorietà come ritrattista dell’alta società.

Nel 1871 si spostò a Parigi, pur con frequenti viaggi in Europa, frequentando gli Impressionisti ed appoggiandosi alla Maison Goupil dell’omonimo importante mercante d’arte; attraverso la Contessa Gabrielle de Rasty, che divenne sua amante, entrò in contatto con la nobiltà e l’alta borghesia parigina. Assieme ai suoi compatrioti De Nittis e Zandomeneghi, un trio noto come “les Italiens de Paris” si specializzò nella ritrattistica effigiando i maggiori esponenti della vita mondana e della cultura internazionale. Si distinse per una eccezionale abilità tecnica, per l’uso accattivante del colore, per le linee dolci, caratteristiche che fecero di lui un maestro nell’interpretazione dell’eleganza femminile e dei costumi dell’alta società del suo tempo. Per molti anni fu uno dei pittori più richiesti dai committenti, apprezzato e corteggiato dal bel mondo fino a diventare uno dei simboli della Belle Epoque.

La Grande Guerra e gli epocali mutamenti sociali ed economici intervenuti negli anni Venti del ‘900 spazzarono via il suo mondo di grazia, di stile, di eleganza e misero in ombra il Boldini che morì a Parigi, quasi novantenne, nel 1932.

La mostra si articola in quattro sezioni: la prima, “la luce nuova della macchia” (1864-1870), riguarda il suo primo periodo fiorentino e i rapporti con i Macchiaioli, la seconda, “La Maison Goupil tra chic e impressione” (1871-1878), tratta dei suoi esordi parigini e dei suoi contatti con gli Impressionisti, la terza, “la ricerca dell’attimo fuggente” (1879-1890), è relativa al suo periodo di maggior fama ,alla quarta infine, “Il ritratto della Belle Epoque” (1892-1924), appartengono gli anni dei grandi ritratti, tra cui quello di Giuseppe Verdi, con un ripetersi di immagini sensuali, colorate, piene di vita. Le donne sono bellissime, con lunghi colli flessuosi, con forme generose, gli uomini seri, austeri, con un’eleganza semplice e severa. I suoi ultimi dipinti, di poco anteriori alla guerra. Risentono di un qualche influsso delle nuove mode, quali il futurismo di Boccioni, quasi un tentativo di “adeguarsi” con colori stridenti ed ampie linee di movimento. Ma ormai l’arte del Boldini era al tramonto, la Storia aveva distrutto il suo mondo, le Avanguardie artistiche demolivano la figura, annullavano il disegno, scomponevano il colore.

La mostra è un susseguirsi di immagini piacevoli e, soprattutto nelle sezioni terza e quarta, una sfilata di ritratti femminili di grande fascino. Tra loro spicca quello della Baronessa Franca Florio che ha una storia interessante; fu dipinto nel 1901 ma non fu apprezzato da Don Ignazio che trovò il ritratto troppo scollato e provocatorio e sostituito nel 1903 da un altro successivamente sparito.

Il primo, conservato nello studio del Boldini, fu acquistato anni dopo da Donna Franca ma nel 1928, a seguito della bancarotta dei Florio, fu venduto e dopo diversi passaggi è finito nella raccolta Bellavista Caltagirone a cui è stato confiscato a seguito di una procedura giudiziaria; è eccezionalmente esposto in mostra e poi andrà in asta. Accanto ai dipinti sono esposte una quarantina di lettere scritte dal Boldini a Telemaco Signorini nel 1889 nella sua qualità di presidente della commissione d’arte per la sezione italiana dell’Esposizione Universale di Parigi del 1889.

La mostra è stata organizzata da ARTHEMISIA Group e dall’Assessorato alla Crescita Culturale del Comune di Roma.
******************************

GIOVANNI BOLDINI
Dal 3 marzo al 16 luglio 2017

Complesso del Vittoriano
Roma

Orario:
da lunedì a giovedì 9,30 – 19,30
venerdì e sabato 9,30 – 22,00
domenica 9,30 -20,30
la biglietteria chiude un’ora prima

Catalogo
SKIRA

******************************

Claudia Bellocchi: In bilico tra sogno e tenebre

Nel presentarvi la mostra Inquieta Imago, inaugurata la scorso 19 febbraio nel piccolo e accogliente teatro di Villa Pamphilj, ho scelto di incominciare da qualche citazione d’autore sulla follia.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

Se non ricordi che l’amore t’abbia mai fatto commettere la più piccola follia, allora non hai amato. (William Shakespeare)

Le idee migliori non vengono dalla ragione, ma da una lucida, visionaria follia. (Erasmo da Rotterdam)

Tutti siamo costretti, per rendere sopportabile la realtà, a tenere viva in noi qualche piccola follia. (Marcel Proust)

Alcune persone non impazziscono mai. Che vite davvero orribili devono condurre. (Charles Bukowski)

Ci sono pochi grandi spiriti che non abbiano un grano di follia.  (Seneca)

Gli uomini mi hanno chiamato pazzo; ma la questione non è ancora risolta, se la follia sia o non sia l’intelligenza più alta.  (Edgar Allan Poe)

E’ evidente che per provare grandi emozioni, fare grandi cose possibilmente originali, diverse, addirittura per cambiare il mondo, ci vuole un certo grado di follia, di irregolarità, oserei dire di sana trasgressione. Sana perché l’impulso interiore ad andare oltre, quella certezza irrazionale che è la cosa giusta e che non rischiare equivarrebbe al suicidio di una possibilità che è appena nata, l’abbiamo provata tutti e non ce ne siamo pentiti a distanza di tempo. Anzi, spesso sono i momenti in cui ci siamo sentiti più vivi. L’esempio naturale è quando si perde la testa per una persona, l’innamoramento. Come diceva anche Shakespeare, come ci si può innamorare senza essere un po’ pazzi, senza rinunciare al controllo della ragione che, se alla guida o durante un colloquio di lavoro è molto utile, in tale circostanza sarebbe di grande ostacolo? Ma come pensare che Caravaggio avrebbe rappresentato in maniera così potente l’irruzione del divino nel quotidiano, nel miserevole e abbietto, senza essere quell’artista “maledetto” e ribelle capace di vedere dietro il volto sofferente di una prostituta la grazia e la dolcezza di una Madonna? Capace di dipingere una canestra di frutta avvizzita come si dipinge una persona. Come avrebbe mai potuto Michelangelo affrescare da solo la Cappella Sistina, soffrendo molti stenti, se non avesse avuto quella sublime ispirazione che lui considerava un dono divino ma che noi sappiamo essere,in realtà, il suo intimissimo genio? Ancora Cézanne, Matisse, Picasso, Modigliani e tanti altri. Anche Galileo Galilei ha avuto bisogno di una sana dose di follia per prefigurare il futuro della scienza moderna e sovvertire le regole del mondo e dell’Universo tolemaico, rischiando la sua stessa pelle: Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo. Doveva apparire un pazzo agli occhi dei contemporanei! Occorre però fare una distinzione, sottile ma decisiva, tra la pazzia sterile, priva di qualsiasi slancio poetico anzi atrofizzante del poveraccio, e la follia visionaria del genio e dell’artista, che sublima il suo sentire nei rossi, nei neri, nei gialli delle pennellate, nella sinuosità della linea, nella forza del trapano che toglie la materia e regala luci e ombre profonde. Questo per dire che non bastano due bicchierini di troppo, un abbigliamento stravagante, andare in giro con un leopardo al guinzaglio e i baffi all’insù per essere degli artisti e dei folli nel senso che abbiamo cercato di spiegare. Non c’è genialità e non c’è alcuna grande espressione creativa se essa è sepolta in acqua ristagnante, se gli occhi sono senza scintille, se non sono in grado di cogliere quella che Picasso chiamerà “la quarta dimensione”. In poche parole senza una sconfinata sensibilità che prende tutto il corpo. Ma questa non riesce a parlare da sola, a scorrere veloce come fa l’acqua da un’altissima cascata, senza il saldo possesso di un linguaggio artistico: il mestiere, l’adorato onesto saper fare dell’artigiano che ha familiarità con i diversi materiali e si sporca le mani con l’ orgoglio di chi impasta e sforna il pane.

Ho voluto fare questa premessa perché noto che il concetto di follia dell’artista è suscettibile di innumerevoli confusioni e strumentalizzazioni. In sostanza, tutti vogliono essere degli artisti ma pochi lo sono veramente: è un privilegio raro non uno status symbol.

Ho conosciuto per la prima volta Claudia Bellocchi all’apertura della sua mostra. Leggo dalla sua biografia che è un’ artista eclettica, che si muove tra Roma e Buenos Aires e non si limita alla pittura, esplorando anche le istallazioni, i video, la poesia fino al teatro. Quale luogo più adatto di questo, dunque? Infatti le piace molto per i suoi quadri. Capisco subito che le categorie di “normale” e “disciplinata” non fanno per lei, artista veemente e smisurata. Mi dice che il tema della follia è fondamentale nella sua vita e nella sua creazione artistica, ma riesco a “cavarle” con l’ingenuità di chi fa tante domande due cose per me importantissime: il modo saggio di vivere questa follia come occasione di esplorazione appassionata del mondo, per andare oltre la realtà materiale e logica delle cose verso orizzonti invisibili e ignoti a chi si ferma all’apparenza; in secundis, l’auto consapevolezza del mestiere: sono un’artista innanzitutto perché so fare, conosco la corretta esecuzione di un’opera. Prima dello stato di invasamento provocato dalla musica (come una moderna sibilla), quindi, prima dell’istinto, c’è la fase preparatoria del pensiero, dello studio, di ricerca con se stessa. Non è una folle sprovveduta e non è che i quadri si possono buttare giù di sola foga espressiva.

Questa volta sono nati dieci oli su papel misionero, dieci presenze dotate di vita propria nel magma instabile di una pennellata fortemente gestuale e dal segno graffiante e violento. Mi ha ricordato molto De Kooning, in particolare quegli inquietanti archetipi femminili, La Madre, così mostruosi e detentori di un grande potere sull’Universo. C’è tanta materia che si incrosta sul supporto, denotando una forte urgenza espressiva che ci riporta ai tempi di Van Gogh e all’Espressionismo di Heckel, ma la tavolozza è tutt’altro che solare come nei girasoli o nei campi di grano. C’è tanto dell’angoscia e dell’instabilità delle forme di Munch. Dominano le tinte fredde, il blu, il viola, il nero, con lampi di rosso crudo e verde acido e improvvise incandescenze lunari (a mio avviso, il punto forte della pittrice) che rappresentano la conquista del mondo irrazionale e sovrasensibile la cui unica porta d’accesso è la follia: insieme un privilegio e un prezzo

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

da pagare alla società dei cosiddetti normali. I soggetti sono per lo più tratti dall’infanzia, dal mondo delle favole (Claudia organizza anche laboratori creativi per bambini): c’è la volpe con grandi occhi di civetta, il lupo mannaro, il clown, la terribile casetta nel bosco della nonna di Cappuccetto Rosso o della strega di Hansel e Gretel;

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

c’è la bambola con le grandi labbra rosse, una femminilità che non riesce a prendere vita e movimento, a fuggire dalla fissità di una creatura di pezza, da quello che gli altri si aspettano. La grande scimmia che ridacchia: una risata perfida, la paura di impazzire. Titoli che rimandano ai doppi che si completano, ragione e sentimento, allegria e tristezza, a un dissidio interiore che deve rimanere un enigma inestricabile, pena la piattezza emotiva, l’assenza di ispirazione, la normalità. Mi ha colpito molto l’immagine di un asino a riposo nel pulviscolo dell’atmosfera rosata, di un’alba amena. Lì ci ho visto il sentimento più positivo di tutti, il sogno come ricreazione dell’anima e Paradiso perduto, e ho subito pensato ai quadri notturni e romantici di Chagall, dove l’asino è un elemento presente nella mitologia popolare e contadina e, naturalmente, all’Asino d’oro di Apuleio: la mente è volata verso Amore e Psiche, la mia favola preferita. Si rivela qui l’“anima gentile”, la ricerca di un mare calmo dentro un inconscio in burrasca.

Rileggo il testo poetico e bellissimo che introduce l’opuscolo della mostra, di Sarina Aletta: «Quando l’impulso irresistibile del gesto svela abissi tormentati dell’anima dove bellezza e orrido lottano in passionale amplesso.» In queste poche e preziose parole, c’è tutto. L’abisso, l’estasi, la ricerca, l’angoscia, la Donna.
****************************
OLYMPUS DIGITAL CAMERA

INQUIETA IMAGO
di Claudia Bellocchi
da domenica 19 febbraio a sabato 11 marzo 2017

Teatro Villa Pamphilj (Villa Doria Pamphilj)
Via di S. Pancrazio, 10
Roma

Finissage ed incontro con l’artista Sabato 11 marzo alle 16:30

Orario mostra:
martedì – domenica 9.00 – 19.00

Informazioni:
tel. 06/5814176

Ingresso libero

****************************

Le linee di Strazza

Mostre Roma Gnam Guido Strazza Segni-di-roma-gesto-e-segno-dettaglioL’antologica dedicata a Guido Strazza (Santa Fiora, Grosseto, 1922), a cura di Giuseppe Appella, ripercorre oltre mezzo secolo attraverso la sua attività: 56 dipinti, 3 sculture, 42 disegni, 31 incisioni (le cartelle Ricercare del 1973 e Orizzonti olandesi del 1974, insieme ad alcune incisioni datate 1974-2001 legate ai dipinti e ai disegni dal 1942 al 2016).

Le opere scelte, che provengono dalla collezione dell’artista e da alcune collezioni pubbliche e private, sviluppano metodologicamente la didattica del segno, ovvero l’elaborazione di ogni immagine possibile, il pensiero in dialogo con ciò che possiamo vedere e far vedere. Nel corso della sua lunga carriera, in cui – come l’artista spesso ha sottolineato – grande importanza ha avuto, come elemento originale di confronto e creatività, il “momento” didattico, Strazza ha sviluppato una forte connotazione personale, che ne rende impossibile l’inquadramento in uno qualsiasi dei tanti movimenti che hanno attraversato il dibattito artistico del dopoguerra, al quale ha partecipato con contributi a tutto campo.

Il nucleo di opere provenienti dallo studio e collezione dell’artista sarà donato alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea.

****************************

RICERCARE
Guido Strazza
Dal 7 febbraio al 26 marzo 2017

Gnam – Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea
Roma

Orari:
martedì-domenica
dalle 8.30 alle 19.30
(ultimo ingresso ore 18.45)

Ingresso:
gratuito

tel. 06/3229 8221

****************************

El Greco: Un’Annunciazione mistica e astratta

Mostre AK El Greco Annunciazione ai Musei CapitoliniUna sola opera è l’oggetto della nuova mostra inaugurata il 24 gennaio ai Musei Capitolini, L’Annunciazione di El Greco, proveniente dal Museo Thyssen Bornemisza di Madrid, in un progetto di scambio che ha già portato nella capitale spagnola la celebre Buona Ventura di Caravaggio.

Una singola opera che però rivela potentemente il genio visionario e irregolare dell’artista che la produsse.

Domínikos Theotokópoulos, meglio conosciuto con il soprannome in dialetto veneziano di El Greco (Candia, 1541-Toledo, 1614), fu un pittore di origine cretese formatosi in Italia, tra Venezia e Roma, divenuto la prima grande personalità di riferimento del Siglo de Oro in Spagna.

Dopo l’iniziazione presso la locale Scuola cretese, erede della tradizione bizantina ieratica, spirituale e cromaticamente esuberante, continuò la sua formazione in Italia, dove assimilò la pennellata libera e veloce dell’ultimo Tiziano (di cui fu forse “discepolo”), la tensione drammatica della pittura di Tintoretto e, in generale, si appropriò della locale cultura manierista, mostrando probabili influenze dalle figure allungate ed estremamente eleganti di Parmigianino.

A Roma si distinse, oltre che per il talento, anche per il suo carattere deciso e indisponente che gli procurò non pochi fastidi, come la cacciata da Palazzo Farnese per una lite con il cardinale Alessandro. Desta il sorriso la sua stroncatura di Michelangelo che, a suo avviso, «era un brav’uomo, ma non sapeva dipingere»; propose al papa Pio V il rifacimento del Giudizio Universale secondo modi più consoni alla dottrina cattolica ma, a dir la verità, non fu il solo a non capire la grandezza di quell’umanità derelitta, che pure il fidato Daniele da Volterra aveva provveduto ad “imbraghettare” per celarne le nudità più scandalose… Tuttavia il suo stile visionario e inconfondibile può dirsi maturato soltanto dopo l’arrivo a Toledo, nel 1577, a contatto con la fervida spiritualità della Chiesa cattolica spagnola del periodo della Controriforma.

Molto bene lo storico dell’arte Harold Wethey spiega che «anche se era greco di origine e italiano come preparazione artistica, l’artista si immerse così a fondo nell’ambiente profondamente religioso spagnolo da diventare l’artista visuale più rappresentativo del misticismo spagnolo».

Dominikos non aveva intenzione di passare il resto della sua vita a Toledo, ma ambiva ad una posizione ben più in vista come pittore di corte di Filippo II, sovrano molto esigente nella scelta dei maestri per decorare la nuova residenza dell’Escorial. Purtroppo due tele del nostro artista non piacquero al re ma il fallimento del progetto in grande fu consolato da un successo sicuro con le altre commissioni, che gli permisero un tenore di vita sempre molto alto e appagante.

La commissione in assoluto più pagata fu quella per il retablo destinato all’altare maggiore del Colegio de Nuestra Señora de la Encarnación di Madrid, composto da sei grandi tele alte più di tre metri e racchiuse in una complessa cornice lignea che comprendeva anche delle sculture.

La gigantesca pala d’altare fu realizzata da El Greco tra il 1594 e il 1600 e la nostra piccola Annunciazione era proprio il modello finale da presentare ai committenti per la relativa tela posta in opera , oggi al Museo del Prado. Essa costituiva la scena centrale del retablo che fu poi smembrato all’inizio dell’Ottocento con grande dispersione dei suoi pezzi. Il quadro è diviso in due registri, in basso la scena dell’Annunciazione dell’Angelo ad una Madonna turbata, in alto il concerto di angeli musicanti sulle nubi sorrette da vortici di cherubini. In mezzo il volo dello Spirito Santo che discende sulla Vergine e, squartando l’oscurità con il suo bagliore accecante, sembra planare anche sull’osservatore.

La composizione è tutta impostata verticalmente, seguendo l’innaturale allungamento delle figure totalmente prive di consistenza materiale, definite solo da una linea tormentata e dai contrasti di luce e ombra che rendono cangianti i colori acidi delle vesti. Sono sospese in una dimensione completamente astratta e trascendentale, intrisa di un misticismo religioso molto pungente. Infatti, l’uso di una luce sovrannaturale provoca bagliori improvvisi che rendono il freddo impasto cromatico instabile e vibrante, conferendo alla scena tutta la spettacolarità e l’indefinitezza di una visione religiosa. Siamo alle sorgenti della pittura astratta, molti secoli prima delle composizioni di Kandinskij. Caratteristica saliente di El Greco è la velocità di esecuzione, evidente in alcuni punti delle vesti dove egli con scioltezza stende il colore puro alla prima, alla veneziana. Attraverso una fusione ben calcolata tra personaggi e sfondo, El Greco precorre l’horror vacui che caratterizzerà prima i lavori di Cézanne e a seguire i quadri cubisti di Picasso e Braque e che affonda le sue radici nei mosaici bizantini.

L’analogia tra il roveto ardente di Mosé, che si infiamma senza consumarsi materialmente, e la Verginità di Maria stabilita dal teologo agostiniano Alonso de Orozco, ci aiuta a spiegare la presenza di quell’insolito simbolo nel contesto di un ‘Annunciazione. Tuttavia la prima traccia di questo uso la rintracciamo in una pala di Tiziano per la Chiesa di San Salvador a Venezia, a dimostrazione del bagaglio italiano che l’artista portò sempre e orgogliosamente con sé. Una lettura attenta dei diversi elementi iconografici ci conduce alla sorprendente scoperta: il soggetto vero del quadro non è l’Annunciazione bensì l’Incarnazione di Cristo sulla Terra, quel momento in cui l’Arcangelo Gabriele pronuncerà la frase «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio». In questo modo si spiega la presenza del roveto ardente e degli angeli musicanti, tipici delle scene di natività.

Il curatore della mostra, il dott. Sergio Guarino, sottolinea come negli stessi mesi della nascita a Roma del moderno classicismo di Annibale Carracci e del Naturalismo di Caravaggio, sancito dalla prima commissione pubblica per San Luigi dei Francesi, lo stile visionario ed espressionista di El Greco rappresentasse una terza alternativa completamente diversa. Dopo un lungo oblio subito dalla letteratura artistica, finalmente il Romanticismo riscopre questa originalissima figura di artista, celebrato come l’eroe romantico ideale, il «talentuoso», l’«incompreso», il «folle».

La strada era spianata per arrivare dritto all’ammirazione delle avanguardie del Novecento, dagli espressionisti, ai cubisti, a Chagall fino a Scipione della Scuola di via Cavour e Francis Bacon, che ne daranno una lettura estrema in chiave allucinatoria.

Mentre Picasso stava lavorando a Les Demoiselles d’Avignon, fece visita all’amico Ignacio Zuloaga nel suo atelier di Parigi e studiò l’Apertura del quinto sigillo dell’Apocalisse di El Greco (che era di proprietà di Zuloaga dal 1897). Picasso dirà che Les Demoiselles non sarebbero esistite senza il confronto con El Greco. Secondo Efi Foundoulaki, «pittori e teorici fin dall’inizio del XX secolo ‘scoprirono’ un nuovo El Greco ma, nel mentre, scoprirono anche se stessi».

****************************

L’Annunciazione di El Greco
Dal 24 gennaio al 17 aprile 2017

Roma
Musei Capitolini
Piano terra – Palazzo dei Conservatori

Orario
tutti i giorni 9.30-19.30

Ingresso:
la biglietteria chiude un’ora prima

gratuito per i residenti a Roma e nell’area della Città Metropolitana nella prima domenica di ogni mese

biglietto integrato mostre e Musei Capitolini
intero € 15,00
ridotto € 13,00 per i cittadini residenti nel territorio di Roma Capitale (mediante esibizione di valido documento che attesti la residenza):
intero € 13,00
ridotto € 11,00

Informazioni:
tel. 060608
utti i giorni dalle 9.00 alle 21.00

****************************

 

La piccola bottega dei ricordi

mostre-ateliers-a-trastevere-e-i-suoi-artistiQuando ci s’impegna nel dare uno spaccato di Roma e della sua intellighenzia è sempre difficile sapere se si può ritenerlo esaustivo, ma è più facile se si prende in considerazione solo la cosiddetta “economia emersa” e non quella “sommersa”.

C’è sempre chi sguscia tra le maglie della rete del “censimento”, anche se in un’area ben delimitata come quella di Trastevere e con lo sguardo rivolto più verso il passato che guardando al futuro, ed ecco che mancherà sempre qualcuno per rendere il panorama soddisfacente, tanto da far supporre una superficialità nel mostrare luoghi e protagonisti di una certa Roma trasteverina.

È quello che sembra sia successo con la mostra pensata da Andrea Fogli, e con una lunga gestazione, per accogliere in un grande abbraccio i frequentatori dei luoghi trasteverini.

L’iniziativa espositiva si può definire una piccola bottega dei mostre-ateliers-a-trastevere-e-i-suoi-artisti-1ricordi, nel museo, per aprirsi all’esterno in una sorta di esposizione diffusa sul territorio di Trastevere, difficile da afferrare nella sua completezza perché, ma a fiuto, tra i numerosi andirivieni, qualcuno sembra mancare.

Forse manca qualcuno perché era troppo impegnativo condurre delle indagini accurate e ci si è accontentati dei conoscenti o magari perché c’è chi ha trovato l’iniziativa vagamente vintage e ha deciso di snobbarla.

Per fare solo qualche nome su chi sembra essere scivolato tra le maglie, Anna Maria Angelucci su via Dandolo, poco prima di Daniele Luchetti che ha realizzato 12 piccoli ritratti sugli artisti romani “Dodici pomeriggi”, come anche Silvana Leonardi, Augusto Pantoni (via Emilio Morosini), Lydia Predominato |(vicolo del Cinque), Alberto e Raphael Gasparri (via degli Orti d’Alibert), Eughen (Eugenio Floreani vicolo del Bologna), Leonetta Marcotulli e Carlo Montesi (via della Lungara), ma anche Pietro La Camera che risiedeva vicino a piazza san Cosimato.

****************************

TRASTEVERE. INTRECCI D’ARTE E DI VITA
Dal 18 novembre al 26 febbraio 2016

Museo di Roma in Trastevere

Informazioni:
tel. 060608
(tutti i giorni ore 9.00-21.00)

Orario:
da martedì a domenica
dalle ore 10.00 alle 20.00
chiuso lunedì

La biglietteria chiude alle ore 19.00

Ingresso:
intero € 6,00
ridotto € 5,00

****************************