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Rita Ackermann: Disastrosa Armonia

“Rita Ackermann. Hidden” si concentra su una selezione di dipinti recenti legati all’opera giovanile dell’artista a partire dagli anni ’90 e presenta una cinquantina fra dipinti e disegni realizzati da Ackermann negli ultimi 30 anni a New York.

Nata a Budapest nel 1968, Rita Ackermann vive e lavora a New York. Fra il 1989 e il 1992, studia all’Università ungherese di Belle Arti di Budapest e al New York Studio School of Drawing, Painting and Sculpture.

Ackermann inventa immagini che si traducono in sensazioni istantanee, le sue ragazzine conturbanti oggi appartengono a un universo visivo globale. I disegni e i dipinti realizzati fra il 1993 e il 1995 (e presenti in mostra) sviluppano composizioni di figure femminili adolescenti moltiplicate come cloni e intente a diverse attività autodistruttive e rischiose. Con la loro presenza ambigua, le sue prime opere fungono da ponte fra cultura alta e cultura bassa, proprio come i miti e le leggende popolari che spesso le valorizzano.

Vent’anni dopo Ackermann abbandonerà la figura, rimuovendo così il vero fulcro del proprio lavoro. Nella serie “Mama” linee e gesti, figure e motivi affiorano in superficie solo per dissolversi e riapparire di nuovo, ma altrove. Una stratificazione complessa del linguaggio visivo, che oscilla fra astrazione e figurazione in un dispiegarsi inconscio della forma – nascosta in profondità nell’astrazione dell’onnipresenza. Nei primi mesi del 2022, Ackermann avvia le sue serie di dipinti più recenti, intitolate “War Drawings”. Olio, matita grassa e acrilico sono densamente lavorati dentro la superficie di tela grezza. Le figure si perdono e le linee sono raschiate e abrase per dar luogo a composizioni frammentate. Ogni dipinto si piega al disastro come elemento purificatore verso un’inevitabile armonia.


Rita Ackermann
Hidden

Dal 12 marzo al 13 agosto2023

LAC – Arte e Cultura
piazza Bernardino Luini 6
Lugano (Svizzera)

A cura di Tobia Bezzola con Chiara Ottavi


Werner Bischof: Guerra e Glamour

Attraverso circa 100 stampe digitali a colori dal 1939 agli anni ’50 vengono esplorate per la prima volta in modo completo le opere a colori del fotografo svizzero, considerato uno dei grandi maestri del reportage e della fotografia del Novecento.

Le immagini del fotografo svizzero è anche un’occasione per riflettere di “quando la storia si ripete” e vedere nei ponti distrutti o nelle città rese fantasmi di se stesse, monumenti alla follia senza tempo, ieri in Germania oggi in Ucraina o Siria, passando dalle tragedie inflitte a quelle subite, dalla vita quotidiana a quella sognata.

L’esposizione si propone come un libero viaggio attraverso i mondi visitati e vissuti da Bischof e copre tutto l’arco della sua carriera. Il percorso presenta un’alternanza di immagini a colori ottenute dall’utilizzo di una macchina fotografica Rolleiflex, dai particolari negativi quadrati, e di una Leica, dai classici rullini da 35 mm. L’esplosione del colore si apprezza soprattutto in un gruppo di opere scattate con la Devin Tri-Color Camera, che garantiva una resa cromatica di altissima qualità e definizione. Le immagini scattate da Bischof con questa macchina sono presentate al pubblico per la prima volta. I soggetti in mostra sono quelli noti dell’artista, che, in scatti fotografici realizzati dai quattro angoli del mondo, riesce sempre a combinare come pochi altri estetica ed emozione in composizioni perfette.


Werner Bischof
Unseen Colour

Dal 12 febbraio al 2 luglio 2023

LAC – Lugano Arte e Cultura
piazza Bernardino Luini 6
Lugano (Svizzera)

A cura di
Ludovica Introini e Francesca Bernasconi con Marco Bischof


Maria Pina Bentivenga e Mei Chen Tseng

La mostra, a cura di Michela Becchis e Gabriella Bocconi, presenta una trentina di opere grafiche di Maria Pina Bentivenga e Mei Chen Tseng, così da poter mettere a confronto due mondi espressivi, quello dell’artista italiana e quello dell’artista di Taiwan la quale, pur avendo studiato in Italia, porta con sé una concezione estetica legata alle sue origini. La direttrice dell’Istituto, Maura Picciau, sottolineando che la mostra è stata realizzata grazie ad un protocollo d’intesa tra l’Istituto centrale per la grafica e l’Ufficio di rappresentanza di Taipei in Italia – Divisione Culturale, auspica che tale protocollo costituisca una tappa significativa per entrambe le istituzioni, con l’obiettivo di portare avanti la cooperazione e lo scambio culturale tra Taiwan e l’Italia.
L’Istituto centrale della grafica è il luogo espositivo perfetto per questa mostra, infatti le due artiste, nate entrambe negli anni Settanta, convergono su due punti: la scelta dell’incisione come mezzo espressivo e la scelta del paesaggio come soggetto. Le lega anche la peculiare concezione del paesaggio, inteso non già sotto il profilo vedutistico, bensì come metafora di un luogo d’elezione. Eppure, nonostante i punti di contatto, le opere delle due artiste sono molto diverse e questo consente un interessante raffronto. Infatti, pur partendo da un denominatore comune, che è costituito dall’opera grafica, cioè quella che si ottiene tramite il trasferimento su carta da una matrice inchiostrata, le due artiste, utilizzando matrici diverse, hanno realizzato opere nelle quali soprattutto emerge una diversa valutazione dello spazio: ampio e arioso è quello dell’artista italiana, esaltato da un segno morbido e largo; completamente esautorato dai segni è lo spazio dell’artista di Taiwan. Ne scaturisce una esposizione in cui le idee sottese nelle varie incisioni si intrecciano e si valorizzano reciprocamente.
Maria Pina Bentivenga utilizza il metodo calcografico, cioè una matrice di metallo sulla quale lascia fondi vuoti o al massimo crea sottofondi tenui su cui far spiccare il segno. Per le opere in mostra ha utilizzato carte italiane (Magnani e Fabriano), giapponesi (Gampi) e cinesi (Shengxuan).
Mei Chen Tseng utilizza la matrice di legno di testa, per le sue xilografie, ma lascia spazi minimi tra segno e segno, offrendo una visione d’insieme compatta che sembra dettata dall’horror vacui. Utilizza prevalentemente Carta Puo Luo, con le fibre delle foglie di ananas Taiwanese.
Maria Pina Bentivenga, si è diplomata all’Accademia di Belle Arti di Roma ed ha subito seguito un suo percorso nel campo grafico dedicandosi anche al libro d’artista. Impadronitasi di tutte le tecniche incisorie ha insegnato presso la Scuola delle Arti Ornamentali del Comune di Roma ed insegna ora all’Accademia di Belle Arti di Roma e alla Rome University of Fine Arts. Numerosi sono i workshop da lei tenuti in Italia e all’estero (Londra, New York, Lussemburgo).
Mei Chen Tseng si è formata in Italia, prima all’Accademia di Firenze, poi alla Rome University of Fine Arts. Ha insegnato a Taipei, Taiwan, sia alla Fu-Jen Catholic University sia alla National University.
Una sezione della mostra è dedicata ai libri d’artista concepiti in dialogo con i testi poetici di Leonardo Sinisgalli, Reiner Maria Rilke, Dante e del filosofo taiwanese Peter Mau-hsiu Yang.


Maria Pina Bentivenga e Mei Chen Tseng
Immediati dintorni
Dal 24 marzo al 30 aprile 2023

Istituto centrale per la grafica
via della Stamperia 6
Roma

A cura di Michela Becchis e Gabriella Bocconi


Corrispondenza e altro

Il testo autografo di un grande autore o di un personaggio storico è ammantato da un indubbio fascino. Vedere la sua scrittura, sfiorare le stesse carte ricche di operosità e di messaggi, leggere le parole indirizzate a un lettore lontano, creano immediatamente un legame con quel tempo e quella persona. Non è così facile però collezionare pezzi come questi, proprio per la loro rarità. Raccolte legate a singoli autori si possono trovare in istituti di studio o conservazione – come l’Archivio Prezzolini della Biblioteca cantonale di Lugano – o presso antiquari e appassionati che rintracciano manoscritti di molti autori, evitando che vadano perduti. È questo il caso della raccolta di Valeria e Franco Masoni che, nel corso degli anni, hanno scovato e conservato decine di autografi di personaggi famosi della storia: da re e sovrani – Filippo II di Spagna – a politici – Francesco Crispi, Giuseppe Mazzini –, dagli scienziati e filosofi – Guglielmo Marconi, Benedetto Croce – agli scrittori – Vincenzo Monti, Giovanni Pascoli, Giuseppe Ungaretti, Elsa Morante –. Una serie incredibile di testimonianze che, nella mostra, sono accompagnate da prime edizioni e testi rari posseduti dalla Biblioteca cantonale di Lugano.


La penna tra le dita
Autografi e edizioni preziose, da Vincenzo Monti a Elsa Morante

Dal 16 marzo al 14 maggio 2023

Biblioteca cantonale (BCLu)
viale Carlo Cattaneo 6
Lugano (Svizzera)

A cura di Luca Saltini e Franco Masoni


Bosch: Un Surreale Rinascimento

Si è chiusa da poco a Milano la mostra “Bosch e un altro Rinascimento” promossa dal Comune di Milano-Cultura, Palazzo Reale e Castello Sforzesco e realizzata da 24 ORE CulturaGruppo 24 ORE con il sostegno di Gruppo Unipol, main sponsor del progetto.

L’affluenza a Palazzo Reale è stata tale da prolungare gli orari di ingresso dell’ultima settimana di apertura.

Evento di per sé importante, giacché raccoglie opere provenienti da 29 musei nazionali e internazionali e da collezionisti privati, ma la sua vera originalità sta nel percorso espositivo che non si attiene ad una monografica convenzionale sul pittore neerlandese ma ne evidenzia tutta l’originalità e modernità introducendo peraltro un concetto fondamentale che è stato menzionato nel titolo stesso della mostra.

In estrema sintesi, nel Rinascimento accanto alla forma espressiva che ripercorreva un “classicismo aulico ed egemonico” convivevano tendenze altre che privilegiavano temi alternativi, qualificabili come bizzarri, eccentrici, comici. Le opere di Bosch intrise pienamente dello spirito del loro tempo e che riscossero immediato successo in gran parte dell’Europa, appartengono ad una di queste altre forme espressive che rientrano a pieno titolo nella temperie rinascimentale. Il classico in Bosch non riguarda l’interesse per la misura e la proporzione o come direbbe il Vasari la ricerca della “retta misura, disegno perfetto, e grazia divina”, ma è relativo alle espressioni oniriche, fantastiche e bizzarre dell’antico. Per chi non avesse visto l’esposizione o volesse approfondire l’impianto teorico è possibile far riferimento ai cataloghi della mostra   o agli articoli/saggi dello storico dell’arte Bernard Aikema.

A dimostrazione della tesi, sono stati messi in dialogo capolavori tradizionalmente attribuiti al Maestro, come il monumentale Trittico delle Tentazioni di Sant’Antonio, il Trittico del Giudizio Finale, Trittico degli Eremiti con importanti opere di altri maestri fiamminghi, italiani e spagnoli che ne furono influenzati.

Infatti, la fama di Bosch non iniziò nelle Fiandre ma in Europa meridionale e sarà proprio in Italia che il linguaggio fantastico e onirico di Bosch e dei suoi seguaci, protagonisti di un ‘altro Rinascimento’, troveranno il terreno più fertile e maturo per crescere e diventare modello figurativo e culturale per quel tempo e per molte delle generazioni di artisti successive, anche a distanza di secoli.

André Breton, teorico del surrealismo, definì il pittore neerlandese come “il padre fondatore del Surrealismo” e le sue opere continuano tutt’ora ad influenzare l’immaginario collettivo che confluisce nelle forme d’espressione artistica più differenti come il cinema e il fumetto. 

Interessante è l’associazione effettuata sul trittico del Giardino delle Delizie di Bosch con le famose Wunderkammer che raccoglievano oggetti rari, bizzarri e preziosi e che caratterizzavano la moda delle collezioni eclettiche tipiche del gusto internazionale cinquecentesco. L’opera sembra fare da controparte pittorica al gusto per il collezionismo enciclopedico (contenuto delle Camere delle Meraviglie) tra i ceti più elevati tra cinquecento e seicento, volto a suscitare la curiosità del pubblico e il dialogo tra i visitatori oltre che a stimolare la ricerca scientifica.

Nell’iconografica religiosa in cui introduce visioni oniriche, mondi fantasmagorici esseri ibridi a volte grotteschi, l’artista fiammingo costringe lo spettatore a spostare il fuoco d’attenzione da un punto all’altro dei suoi quadri alla ricerca di infiniti dettagli come in genere accade al visitatore di una Wunderkammer.

La potenza evocativa delle sue opere, e dei suoi “mostriciattoli” che, come nelle drôleries richiamano una mostruosità come forma dell’alterità – nella sua dimensione di fuoriuscita dall’armonico non necessariamente condannato da un DIO – crea una spinta immaginativa in grado di richiamare l’intera possibilità dell’esistenza dando forza dinamica alle possibilità esperienziali psichiche che sfilacciano il tessuto del reale aggiungendo ad esso dimensioni e gradi ulteriori.

L’esposizione “Bosch e un altro Rinascimento” quasi suggerisce la possibilità che la nostra Epoca possa attraversare un nuovo Rinascimento dove potremmo abbandonare gli incubi della peste (COVID) che ha marcato il biennio scorso e ricombinare le possibilità dell’esistenza per una visione ricostruttiva non necessariamente apocalittica.

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