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Paola Cordischi: il momento e la sua traccia

Siamo tutti figli di qualcuno, o almeno parenti alla lontana. Paola Cordischi e il suo astrattismo che per semplificare definiremo dinamico conta sicuramente ascendenze illustri: prima di tutti Afro, ma senza la sua calda corposità cromatica ancora con echi di Scuola Romana, un padre nobile come Emilio Vedova, ma per temperamento lontana dalla sua tragicità senza compromessi, forse anche un po’ di Mirò, ma assente il gioco dei suoi preziosi aforismi che sanno di favola araba.

Questa è la pittrice Cordischi e il suo albero genealogico, ma poi la sua storia prosegue per motivazioni e necessità tutte sue e indiscusse. La rapidità del segno, senza pentimenti di mezzi toni appartiene ad una semplificazione scabra che non vuole “ritorni” di moderate riflessioni.

Il colore supporta l’ossatura essenziale del segno nell’incorporare il suo scheletro con notazioni cromatiche che sottolineano e assecondano lo slancio istintivo dei suoi elementari crittogrammi, quasi una serie di basilari accordi musicali che completano e racchiudono la folgorazione grafica iniziale.

Il legame che unisce coerentemente i suoi lavori non ammette devianze discorsive o digressioni alternative: il suo racconto è tutto racchiuso in un sentimento spaziale compatto e giustificato da una esigenza essenziale: la cristallizzazione del momento pittorico, la rappresentazione per sequenze di una intuizione dell’attimo e la sua traduzione in proverbiale semplicità.

E qui l’uso che si vuol fare di “proverbio” e “proverbiale” non vuole sminuire la realtà pittorica della Cordischi portandola ad un livello di discorsivo buonsenso. No; i “proverbi” dell’artista hanno l’icasticità dell’immagine conclusiva e assoluta, senza repliche e accordature ad ingentilire la nuce, il suo paradigma e il desiderio di esprimerlo senza compromessi.

La parola, il laconico motto è per l’artista l’arma essenziale del suo percorso. La scoperta e l’amore per la realtà è di per sé sempre illusoria, solo attraverso il linguaggio muto e misterioso del segno si puo’ talvolta intuire e dar corpo all’inesprimibile: l’apodittico suo manifestarsi ne è l’indiscussa ragione.

Dai primordiali graffiti fino a noi si manifesta l’eterna esigenza della traccia, del segno chiaro e incontrovertibile.

E nel segno, quanto più essenziale e lampante, si conchiude e si manifesta l’urgenza di Paola Cordischi: “hic et nuc”, qui e adesso, il momento e la sua tempestiva intuizione ne è l’inizio e la sua nuda conclusione.

https://www.paolacordischi.it/

https://www.facebook.com/PaolaCordischiArtista

Post d’Arte: da Sironi a Canova

Sironi

Nelle lapidarie geometrie urbane di Sironi respira la disperata utopia, il sogno desolato dell’ultimo uomo..

Realismo del ‘900

Il “Realismo” del ‘900. Una impressione di grande rigidità, non solo tecnica ma anche emotiva: vien da dire banalmente che sono più espressivi i manichini della Rinascente…Tutto l’impianto e la struttura della scuola realistica del ‘900 patisce questo difetto di fondo: la carenza di ogni traccia di rigurgito passionale, che invece nel grande maestro del Realismo ottocentesco ( Courbet) viveva e subiva la vitalità degli ultimi strascichi del Romanticismo…Forse eludendo il solo Lucien Freud e la sua tragica carnalità, nei capiscuola del ventesimo secolo aleggia un sentimento anodino della realtà, una inquietante fissità che rimanda ai racconti di fantascienza, altra passione dei nostri tempi, dove l’uomo smarrisce la sua identità umana in un percorso straniante che allude fortemente alla effettiva crisi di contenuti e valori etici di cui soffriamo, almeno dalla fine della seconda strage mondiale…

Caravaggio e i suoi Bari

I “Bari” di Caravaggio. Un dipinto atipico di Caravaggio: non c’è dramma, né tragedia, né santi, né martiri. E’ un documento di cronaca quotidiana, quasi un “flash”, una vignetta che illustra uno scorcio di vita…Ed è per questo che aldilà del suo valore artistico tradisce un Caravaggio “minore”, quasi umoristico, da cartolina illustrata. Un Caravaggio che non dipinge per l’eternità ma si contenta di vivere il suo tempo tra l’osteria, il baro, lo scansafatiche, lo straccione, l’ingenuo, tra il vino, le risse e i soldi da procurare..Quasi commovente nel suo desiderio,naturale una volta tanto, di appartenere al suo tempo!

Non si deve confondere il narcisismo con la pura e semplice vanità…La vanità s’ammira e si nutre degli apprezzamenti altrui, di un’autostima eccessiva e direi anche patetica: per vanità ci si “piace”..Il narcisismo fa di sé il centro di tutto, è un continuo guardarsi dentro senza mai sfuggire al controllo del proprio “io”, è una schiavitù che fa di sé il proprio aguzzino. Il narcisismo è una forma di nevrosi dolorosa e logorante. Basti pensare che l’immaginario dei grandi artisti si nutre di narcisismo: essi traducono il mondo e il circostante a propria immagine e somiglianza, e come ben si sa questo processo sottintende angoscia e sofferenza…

Achille Formis

Achille Formis, 1832-1906. Lago di Como, collezione privata. Sicuramente di lombardo c’è la intensa profondità luministica improntata ad una interiorità intenta al valore poetico del frammento, del dettaglio: luminosità diffusa e dolce, quasi velata, rivelatrice di silenzi e incanti lacustri..

Antonio Canova

Forse l’unico caso nella storia dell’arte di un artista vero le cui potenzialità espressive sono rimaste intrappolate da una tendenza generale (Neoclassicismo) consacrata alla levigata e frigida perfezione formale. Del resto il Neoclassicismo stesso è una tendenza delle arti nata da un equivoco estetico che portava in sé il germe del suo fallimento: resuscitare le virtù formali dei grandi scultori greci del quinto secolo…Ma Fidia o Scopas o Prassitele avevano ben altra vita e sangue nelle vene delle loro splendide divinità: il Mito della bellezza sublime e nello stesso tempo umanissimo, portato di quei tempi gloriosi, che non poteva rivivere agli inizi di quel 19° secolo e di quella società traviata dagli eccessi sanguinari della Rivoluzione e delle manie di “grandeur” di una Francia corrotta politicamente nelle mani di un genio della guerra (Napoleone), mezzo corso e mezzo italiano, cinico perfetto e figlio ideale di Machiavelli, che non poteva somigliare certo al magnifico Pericle dei suoi tempi aurei!

Gli Angeli hanno una Casa

Ѐ in corso a Genova presso Porta Siberia, al Porto antico, la mostra La Casa degli Angeli, da una bella iniziativa di Daniele Crippa, presidente del Museo del Parco di Portofino, che ha una storia molto particolare.
Il progetto di Crippa consiste nella costruzione di una chiesa nel nord dell’Argentina, nella provincia di Salta, in una zona in cui in cui si è formata negli ultimi anni, accanto a una comunità indigena di forte devozione cristiana, una comunità di artisti di varie discipline.
Nei primi anni 2000 inizia la costruzione della piccola chiesa in stile coloniale, i cui lavori procedono piuttosto lentamente in quanto di iniziativa completamente privata, che viene terminata nel giro di qualche anno, bianchissima nel verde rigoglioso della natura; ma la particolarità del progetto di Crippa consiste non solo nella dedicazione della chiesa agli angeli, cosa non particolarmente frequente, ma soprattutto nell’idea di rivestire completamente l’interno della chiesa con piastrelle di ceramica della misura di cm 25×25, che riproducano le opere di artisti di tutto il mondo sul tema dell’angelo.
Daniele Crippa riesce anche ad illustrare il suo progetto a Giovanni Paolo II e ne ottiene l’approvazione.
Su invito diretto di Crippa, artisti italiani e stranieri inviano piccole tele della misura richiesta, ed in seguito con la diffusione della notizia il loro numero comincia ad aumentare.
Le opere poi devono venire fotografate e riprodotte su ceramica da maestranze locali, e poi applicate sulle pareti interne della chiesa, quasi a comporre un mosaico del tutto originale.
Le prime 500 opere sono state esposte in importanti sedi espositive, al Palazzo Reale di Monza, a Villa Olmo a Como, a Santa Maria della Scala a Siena e ora a Porta Siberia a Genova, dove è possibile che se ne possano aggiungere di nuove nel mese di dicembre.
Tra le centinaia di angeli esposti spiccano quelli di Giosetta Fioroni, Mimmo Paladino, Pino Pinelli, Gillo Dorfles, Marco Lodola, Tino Stefanoni… ma l’originalità delle opere è presente in moltissimi angeli di artisti meno noti a livello internazionale, che tuttavia hanno saputo dare un’interpretazione molto personale al tema.
Di questi schizzi ne sono già stati riprodotti in ceramica e applicati alle pareti della chiesa circa 300, ma ne occorrono quasi 2000 per completare il rivestimento. Ѐ possibile per gli artisti che volessero proporsi inviare una mail all’indirizzo museodelparco@gmail.com e candidarsi.
L’allestimento della mostra comprende fotografie della chiesa in costruzione e modellini dell’altare. L’ambientazione tra gli spazi di Porta Siberia (dove fino a poco tempo fa aveva sede il museo Emanuele Luzzati) è di grande impatto. Peccato però che rispetto a precedenti esposizioni della mostra in questa edizione manchi la proiezione del video che comprende interessanti interviste e che illustra le fasi costruttive della chiesa, e l’invito ad utilizzare l’applicazione che commenta ogni angelo di artista.


La Casa degli Angeli
Angeli e Artisti nella Iglesia de los Angeles

Sino al 31 dicembre 2022

Genova
Porta Siberia
Orari:
da giovedì a domenica dalle 11:00 alle 18:00

Catalogo: Bellavite Editore €48


Philip Colbert: Dalla Dolce Vita a Parco Gioghi

Sono lontani gli anni della Dolce Vita e sembra archeologia l’intervento di “impacchettamento” Porta Pinciana che Christo realizzò nel 1974.

Un intervento che mise in luce via Veneto da una parte e Villa Borghese dall’altra, ora la via della Dolce Vita e le Mura Aureliane diventano, per la seconda volta, l’ambientazione per mostrare delle opere giocose.

Ad un anno dall’allestimento degli umanoidi di Erwin Wurm è ora la volta delle aragoste e cactus umanizzati di Philip Colbert.

Sculture giocose, capaci di rallegrare l’infanzia e diventare un’attrazione turistica capace di occultare il degrado che nelle vicinanze soffocano le Mura Aureliane, confondendo un intervento di arte pubblica con uno spot pubblicitario.

Collocare le ingombranti e ironiche realizzazioni del Neo Pop Surrealista Philip Colbert sui marciapiedi e addossate alle antiche Mura si potrebbero confondere come arredo urbano, ma sono un divertente trionfo di colori e forme.

Le realizzazioni di Philip Colbert, come quelle di Erwin Wurm, sembrano una continuazione dei lavori di Jeff Koons, sensibili all’arredo.

Un emulo della pop-art che salta dai grandi formati all’intangibilità del digitale (NFT), Philip Colbert rimane fedele alla sua vocazione di designer di moda e arredi.

Un’iniziativa espositiva che rientra nella strana idea di “Roma Contemporanea”, immaginata dalla dal Municipio I, per un dialogo tra il passato e il presente, così per tre mesi le sgargianti opere potranno stimolare la ilarità dei passanti.

Ben diverse sono gli esempi di arte pubblica ambientate nel verde come Villa Borghese con Back to Nature, ideata da Costantino D’Orazio o alla londinese Frieze Sculpture a Regent’s Park, mentre una riflessione andrebbe fatta sull’arte contemporanea in ambientazioni archeologiche come le sculture di Giuseppe Penone alle Terme di Caracalla o nel Parco archeologico del Colosseo con le videoinstallazione di Laurent Fiévet e le sculture che Giuliano Giuliani dedica, in forma astratta, al paesaggio delle Marche.

Ma è proprio necessario instaurare un “vero” dialogo tra contemporaneo e passato, quando il presente è tale per la storia alle sue spalle?


Philip Colbert
Dal 6 ottobre 2022 all’8 gennaio 2023

Via Vittorio Veneto
Roma


Il mistero della Sfera bronzea

Il complesso ospedaliero del San Camillo oltre ad annoverare edifici chiusi, inutilizzati anche come discarica per suppellettili e attrezzature varie, aree verdi senza decoro, ha anche un mistero di arte contemporanea.

Una sfera bronzea collocata al centro di quello che doveva essere un luogo d’incontro davanti al Padiglione Puddu, ma che l’erba incolta lo ha reso un mondezzaio, tanto da usare uno dei vuoti della scultura come deposito di buste di plastica.

Sulla scultura è presente una targa in ricordo del restauro eseguito da Agostino Ragusa nel maggio 2019, per commemorare gli oltre 15 anni di attività della AOSCF (Aziena Ospedaliera San Camillo-Forlanini) congiunta alla Ong VPM (Voci di Popoli del Mondo), ma non l’autore.

La Ong VPM è impegnata nella cooperazione internazionale allo sviluppo in Africa sub sahariana, documentata nella pubblicazione Health Diplomacy, e il restauro è stato solo l’occasione per pubblicizzare la collaborazione con AOSCF, ma anche per riportare agli splendori degli anni ’70 un’opera sottoposta ad anni d’intemperie, presentando un’ossidazione diffusa con erosioni e infiltrazioni d’acqua stagnante nella struttura interna, che ne compromettevano anche la stabilità.

Una scultura attribuita a Giò Pomodoro, anche se negli archivi di Pomodoro non risulta alcuna documentazione.

Il Dott. Gianluca de Vito della Ong prese a cuore la situazione di degrado, tanto da pulirla dagli aghi di pino e dai vari rifiuti che la fantasia degli operatori e utenti dei servizi ospedaliere abbandonavano anche con cura, magari cercando di occultarli all’interno dalla scultura.

La speranza che la sensibilità, con il buon esempio, verso le opere d’ingegno siano tutelate dall’incuria e dall’indifferenza delle persone verso il patrimonio comune.