Alberto Giacometti è conosciuto soprattutto come scultore e pittore. Disegnava anche molto: era un modo privilegiato per cercare di conoscere la realtà, tramite lo studio delle opere d’arte di ogni epoca. Durante la sua vita, egli ha ugualmente realizzato un gran numero di incisioni e litografie. La produzione grafica di Giacometti è espressione di una profonda ricerca, rimasta meno visibile fino a oggi. Per questa ragione, il m.a.x. museo ha ritenuto di valorizzarla. È esposta così, per la prima volta, una visione globale della sua opera grafica, con oltre quattrocento fogli: dalla xilografia all’incisione a bulino, dall’acquaforte alla litografia; non è infrequente che questi fogli siano legati all’illustrazione di libri. A essi si aggiungono alcuni dipinti, disegni, sculture e fotografie, nonché una scelta di tavole che fanno parte della raccolta intitolata Quarantacinque disegni di Alberto Giacometti, pubblicata da Einaudi nel 1963. L’esposizione, che si avvale di prestiti di prestigiose istituzioni e collezionisti privati su tutto il territorio svizzero e anche a livello internazionale, è a cura di Jean Soldini, filosofo e storico dell’arte, e Nicoletta Ossanna Cavadini, direttrice del m.a.x. museo e dello Spazio Officina, e si inserisce nell’ambito del tema del Centro Culturale Chiasso per la stagione 2019-2020, ossia “confine”.
Il 18 maggio si annuncia l’apertura dei musei e di spazi espositivi, oltre alle biblioteche, gli operatori culturali del settore privato arriveranno impreparati all’appuntamento per non aver adeguato gli spazi alla sicurezza dal contagio, ma sarà l’occasione di ripensare alle proposte espositive.
Una pandemia che porterà ad una più accorta programmazione e ad una prenotazione obbligatoria che eviterà le estenuanti file per visitare mostre con budget pubblicitario rilevante ma da contenuti superficiali.
La quarantena ha modificato le nostre abitudini, invogliando all’utilizzo delle visite virtuali di collezioni museali reali o ricostruite, in “documentario” o interattive, ma comunque limitate alla conoscenza che possono o vogliono dare l’accesso.
Le mostre “visitabili” via internet potranno essere la normalità come quella dedicata a Raffaello.1520-1483, una “passeggiata” nello spazio espositivo per superare le ristrettezze sociali imposte dalla situazione pandemica.
Il PAC (Padiglione d’Arte Contemporanea) di Milano, aumenta l’offerta dei contenuti da vedere su tablet e smartphone, tra performance e incontri divulgativi.
Attraverso gli incontri di Family Lab Digitali, per famiglie e classi, si può sperimentare laboratori a distanza, aprendo il dibattito sul lavoro di artisti come: di Alexander Calder e Ugo Mulas, di Yayoi Kusama e Daniel Buren e di Eva Marisaldi e Armando Testa.
Alcuni artisti, come Cesare Viel (Il Giardino di mio padre. Gli oggetti sotterrati) e Anna Maria Maiolino (Al di là di), hanno reso disponibili online le registrazioni delle performance che hanno realizzato al PAC. Grazie alla disponibilità di molti di loro, saranno pubblicate sul canale YouTube.
Un modo per avere un punto di vista avulso dall’emotività dell’azione per godere del lavoro dell’artista e apprezzarne la professionalità o scoprirne la debolezza.
Un
tempo correva il detto “meglio un morto in casa che un marchigiano fuori della
porta”, era l’espressione della forte avversione dei romani nei riguardi degli
esattori delle tasse che Papa Sisto V, marchigiano, aveva scelto tra i suoi
corregionali. Ma ormai sono passati secoli ed ora Roma festeggia un marchigiano
illustre, Raffaello Sanzio, ospitando, nei suggestivi spazi delle Scuderie del
Quirinale, una imponente mostra sull’artista.
Raffaello
nacque ad Urbino nel 1483, figlio di Giovanni Santi pittore, scrittore, poeta,
intellettuale di valore inserito nell’ambiente umanistico della corte dei
Montefeltro signori di Urbino. Raffaello iniziò il suo apprendistato presso il
padre, e dopo la sua morte nel 1494, il giovanissimo artista continuò a
frequentare la bottega paterna e successivamente fu a lungo con il Perugino.
Insieme con Evangelista di Piero di Meleto lavorò a Città di Castello decorando
uno stendardo con la Santissima Trinità, passò poi a Perugia dipingendo la
“Pala Colonna “ e la “Pala Oddi”; si spostò a Siena collaborando con il
Pinturicchio negli affreschi della Libreria Piccolomini e a Firenze dove
dipinse lo “Sposalizio della Vergine” ed ebbe i primi rapporti con la pittura
di Leonardo da Vinci.
La
fama raggiunta lo portò a lavorare in varie città dell’Italia Centrale finché
Papa Giulio II Della Rovere lo chiamò a Roma per affrescare le Stanze
dell’Appartamento Papale; contemporaneamente dipinse nel 1507 la famosa “Pala
Baglioni” e il noto ritratto di Giulio II. Ebbe ottimi rapporti con il nuovo
Papa Leone X Medici che gli affidò numerose commissioni e lo nominò
Sovrintendente ai lavori architettonici della Basilica Vaticana e alle
antichità archeologiche di Roma verso le quali Raffaello aveva un particolare
interesse. Fu amico di Agostino Chigi all’epoca il più noto e ricco banchiere,
mercante e imprenditore dell’intero mondo occidentale, che aveva fatto
costruire dall’architetto Baldassarre Peruzzi una fastosa villa extraurbana,
ora nota coma “la Farnesina” dal nome dei successivi proprietari, e Raffaello
vi affrescò il “Trionfo di Galatea” e, con i suoi aiuti, la “ Loggia di Psiche”.
Dipinse la “Fornarina “, forse una sua amante, e per vari committenti la
“Madonna di Foligno”, la “Madonna Sistina, l’”Estasi di S. Cecilia”, la
“Madonna della Seggiola”; per il Papa preparò i cartoni degli arazzi della
Cappella Sistina tessuti poi nelle Fiandre e come architetto si occupò dei
progetti di Villa Madama, Palazzo Braconio dell’Aquila e Palazzo Alberini.
Affrescò, con i collaboratori, le Logge Vaticane e nel 1516 iniziò a dipingere la
“Trasfigurazione” rimasta incompiuta.
Morì
improvvisamente il 4 aprile 1520, Venerdì Santo, e come da suo desiderio fu
sepolto nel Pantheon; una settimana dopo morì il suo grande amico e mecenate
Agostino Chigi. La sua morte gettò nella costernazione l’intero mondo artistico
ed intellettuale dell’epoca in quanto Raffaello era stimato e apprezzato dagli
uomini ed adorato dalle donne che l’artista frequentava con un impegno sovente
eccessivo come maliziosamente citato dalle fonti contemporanee. Il “Divino
Pittore” era affabile e di buon carattere, ben diverso dallo scontroso
Michelangelo, frequentava la corte pontificia e le famiglie nobili apprezzato
per le sue qualità, la cultura e le buone maniere. Aveva organizzato una
fiorente bottega con aiutanti di gran valore il che gli permetteva di produrre
opere in gran numero e di ottima qualità; i suoi principali collaboratori
furono Giovanni Penni, Perin del Vaga, Giulio Romano, Giovanni da Udine, l’incisore
Marcantonio Raimondi e lo scultore Lorenzetto tutti destinati in futuro a buona
fama.
La
mostra è stata organizzata per ricordare i 500 anni trascorsi dalla morte
dell’artista ed espone circa 200 opere delle quali 120 assegnate alla mano
dell’Urbinate; i quadri sono poco più di una ventina il resto sono disegni e
bozzetti, purtroppo la parte più grandiosa di quanto prodotto dalla bottega di
Raffaello è costituita da affreschi per loro natura inamovibili; il resto di
quanto esposto è costituito da reperti archeologici, incisioni, disegni,
riproduzioni di altri artisti per far comprendere quale fosse il mondo artistico
dell’epoca. La mostra è articolata in maniera singolare, si svolge in ordine
cronologico al contrario partendo dalla morte di Raffaello risalendo poi fino
agli esordi; anche nel titolo della mostra le date di nascita e morte sono
invertite 1520-1483.
La
mostra, coerentemente, si apre con la riproduzione, a grandezza reale, della
tomba sovrastata dalla Madonna scolpita da Lorenzetto e prosegue esibendo un
autoritratto di Raffaello sulla trentina, con una inconsueta barba, e i dipinti
di due suoi grandi amici gli intellettuali umanisti Pietro Bembo e Baldassarre
Castiglione; il ritratto di un altro amico, Fedra Inghirami, è al piano
superiore. In una bacheca è esposta una lunga lettera, di pugno del pittore e
conservata all’Archivio di Stato di Mantova, nella quale Raffaello, coadiuvato
da Baldassarre Castiglione, scriveva a Papa Leone X lamentando l’incuria nella
quale erano tenute le antichità romane. Il Papa accolse la proposta e Raffaello
divenne il sovraintendente alla curatela delle antichità archeologiche che
amava intensamente e che erano per lui fonte inesauribile di ispirazione.
Una
sala espone due arazzi, tessuti nelle Fiandre, predisposti per la decorazione
della Cappella Sistina ed ora nei Musei Vaticani; Raffaello ne dipinse i
cartoni; i 7 rimasti sono ora in Inghilterra ed in mostra è esposta la
riproduzione di uno di essi, a grandezza naturale, posta di fronte al
corrispondente arazzo vaticano. Il piano superiore accoglie i visitatori con
tre ritratti di donne: una sconosciuta, opera giovanile, e due notissime, la
“Fornarina” e la “Velata”.
Altre
sale esaminano le attività dell’Urbinate in campo architettonico con molti suoi
disegni per progetti per la Basilica di San Pietro e per la Villa Madama, su
una parete spicca la riproduzione della facciata del non più esistente Palazzo
Braconio dell’Aquila in Borgo. In altre sale diverse Madonne tra cui quelle
“della Rosa”, “dell’Impannata” e “Tempi “corredate da numerosi interessanti
disegni preparatori. Con i vivaci toni rossi delle vesti spiccano i ritratti di
Papa Giulio II e di Leone X; la grande tela dell’“Estasi di Santa Cecilia” è
posta a confronto con un busto di Iside che condivide con la Santa la singolare
acconciatura dei capelli. Le ultime sale espongono dipinti giovanili ancora
legati allo stile dei pittori dell’ultimo ‘400 e prima dell’incontro con
l’innovativa arte di Leonardo.
La
mostra si chiude con il famosissimo autoritratto di Raffaello all’età di circa
venti anni fiancheggiato dal quadro della “Dama con l’Unicorno”.e dalle
immagini di due giovani nobiluomini purtroppo anonimi La mostra è piacevole,
interessante, scientificamente valida, unico piccolo neo, come accade sovente,
i cartellini esplicativi sono spesso poco leggibili.
Accanto all’esposizione delle opere sono previste numerose iniziative quali lezioni, incontri, conferenze, laboratori.
Raffaello.1520-1483: Una passeggiata in mostra Una visita virtuale per superare le ristrettezze sociali imposte dalla situazione pandemica
Raffaello 1520-1483 Dal 5 marzo al 2 giugno 2020 Proroga dal 2 giugno al 30 agosto 2020
Presso
la Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Barberini è stata presentata una
mostra dedicata ad Orazio Borgianni un valente pittore operante tra gli ultimi
decenni del ‘500 e l’inizio del secolo successivo troppo sbrigativamente
definito “un caravaggesco”.
Il
nostro artista nacque a Roma del 1576 ed iniziò il suo apprendistato presso
botteghe di pittori manieristi: successivamente lavorò il Sicilia ed in Spagna
maturando e raffinando il suo stile ispirandosi anche a El Greco con il suo
violento luminismo e le caratteristiche figure allungate. Rientrato a Roma all’inizio
del ‘600 aderì alla corrente caravaggesca pur avendo forti contrasti di natura
personale con il Merisi; la sua pittura mostra una tecnica libera e pastosa con
effetti di luce e vivi contrasti. Morì a Roma nel 1616.
La
mostra prende in esame il periodo di attività a Roma ed espone alcune sue opere
accompagnate da altre di pittori suoi contemporanei. L’ esposizione è suddivisa
in due parti: 18 dipinti sono di sua mano mentre 17 sono di altri artisti, più
precisamente i suoi contemporanei Carlo Saraceni, Antiveduto Grammatica,
Giovanni Lanfranco, Simon Vouet, Giovanni Serodine, tranne il Lanfranco gli
altri fanno riferimento più o meno marcato allo stile del Caravaggio; sono
stati scelti per dare una visione complessiva di quale fosse la vita culturale
a Roma nei primi due decenni del ‘600.
Altri
dipinti appartengono a pittori di poco successivi ma che mostrano di aver
assorbito la lezione del Borgianni, sono valenti anche se non di primissimo
piano ma aprono la strada all’arte barocca: Marcantonio Bassetti, Carlo Bonomi,
Guido Cagnacci, Tanzio da Varallo, Loris Tristan, Claude Vignon e Gian
Francesco Guerrieri.
Tra
i dipinti del Borgianni ne spiccano due inseriti nelle collezioni di Palazzo
Barberini: l’Autoritratto dell’artista e una splendida Sacra Famiglia con un
notevole inserto di natura morta consistente in una culla con panni di vari
colori, seguono una visione di San Francesco proveniente da una chiesa di
Sezze, un Cristo fra i dottori ora ad Amsterdam, un San Carlo Borromeo da
sempre conservato a Roma nella chiesa borrominiana di San Carlino alle Quattro
Fontane; tutte queste opere risentono di una impronta caravaggesca
caratterizzata dall’uso della luce e sono eseguite con una tecnica pastosa,
realistica e ricca di colore. I dipinti dei pittori degli anni successivi
seguono, sia pure in maniera differenziata, l’impostazione di stile suggerita
dal Borgianni.
La mostra è collegata a vati eventi: una giornata di studio sull’artista per il 28 maggio, quattro visite guidate, incluse nel prezzo del biglietto, per date che nella attuale emergenza potrebbero essere variate e due appuntamenti per bambini.
Le Gallerie Nazionali di Arte Antica danno inizio, sui canali social, alla nuova rubrica “Le pillole del curatore”
Più
precisamente un quadro del pittore olandese Rembrandt, in possesso del
Rjikmuseum di Amsterdam, è esposto per alcuni mesi presso la Galleria Nazionale
di Arte Antica di Palazzo Corsini dove era stato dal 1737 al 1799 nella
collezione dell’omonima famiglia principesca. Rembrandt Harmenszoon van Rjin
nacque a Leida nel 1606 e giovanissimo iniziò a frequentare gli studi di buoni
pittori della sua città e, poco più che ventenne, aprì una sua bottega che gli
procurò ben presto una vasta notorietà; ebbe anche grandi dolori per la morte
della moglie e di alcuni figli.
Nel
1631 si trasferì ad Amsterdam lavorando
senza posa e producendo dipinti, spesso firmati, incisioni e disegni con soggetto mitologico, storico, religioso,
biblico insieme con numerosi fascinosi
paesaggi. Negli ultimi anni di vita ebbe problemi economici e dovette vendere
la casa e i molti quadri della sua collezione; morì nel 1669.
Contrariamente
a parecchi artisti suoi contemporanei non visitò mai l’Italia ma molto si
ispirò alla pittura caravaggesca, usò il chiaroscuro, sfruttò effetti di luce
ed ombra, utilizzò colori ad olio decisi ottenendo cromatismi di grande
spessore. Il quadro esposto è noto come
“l’Autoritratto come San Paolo” ed è uno dei tanti dipinti , di vario soggetto,
nei quali l’artista amava autorappresentarsi; l’identificazione con l’Apostolo
è dato da un fascio di fogli in mano, le Epistole, da una piccola spada tenuta
in grembo e da una poco visibile inferriata rappresentante le prigioni che
ospitarono il Santo. E’ dipinto nello stile degli ultimi anni di vita
dell’artista con pennellate larghe e pastose, è su fondo scuro e brillante su
cui spiccano il chiarore del volto e il bianco del turbante.
La
storia del quadro è lunga e complessa;
firmato e datato nel 1661 lo si trova più di trenta anni dopo nell’inventario
postumo di un collezionista parigino, in data ignota passò nella collezione del
pittore francese Vleughels, direttore dell’Accademia di Francia a Roma e alla
sua morte, intorno al 1737, la vedova lo vendette al Cardinale Neri Corsini
nipote del Papa Clemente XII. Rimase nel palazzo principesco, esposto nella
“Galleria dei quadri”, fino al 1799 quando a Roma arrivarono le truppe francesi
di Napoleone che imposero sia al Papa che alle famiglie nobili gravose
contribuzioni in denaro. In assenza del Principe Tommaso, che si trovava in
Sicilia, il maestro di casa, Ludovico Radice, propose la vendita di alcuni
quadri e, nonostante l’opposizione del principe, concordò con un mercante, in
cambio di 3.500 scudi, la cessione di 25 dipinti tra i quali il nostro.
l Corsini riuscì a riavere indietro 9 quadri tuttora presenti in Galleria mentre gli altri attraverso mercanti d’arte inglesi andarono all’estero. Il Rembrandt passò per varie mani e diverse collezioni per giungere, nel 1936, ai coniugi de Bruijn che nel 1960 lo donarono al museo che tuttora lo ospita. La mostra espone in una sala il Rembrandt con di fronte il quadro settecentesco del Cardinale Corsini insieme con lo zio Papa, intorno parecchie incisioni dell’artista olandese, per le quali era famoso, provenienti dalla raccolta Corsini ed ora all’Istituto Centrale per la Grafica; tra loro due molto celebri: “I cento fiorini” e “I tre alberi”.
In una saletta laterale un piccolo quadro con il ritratto del Principe Tommaso Corsini e due incisioni di inizio ‘800 una delle quali di Charles Turner; una vetrina ospita lettere e documenti, provenienti dall’archivio Corsini, che hanno permesso di ricostruire le tormentate vicende dell’opera.
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