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Un pittore toscano a Roma

Dal 19 luglio è aperta a Roma, presso i Musei Capitolini, una interessante mostra su Luca Signorelli pittore toscano del Rinascimento. Il Signorelli, che ebbe gran fama soprattutto nella prima parte della sua vita, nacque a Cortona intorno al 1450, sembra che abbia iniziato a lavorare presso la bottega di Piero della Francesca anche se non si ha conoscenza di sue opere anteriori ai primi anni ottanta del ‘400; dopo tale data si hanno i suoi dipinti a Loreto nel Santuario della Santa Casa e nella Sagrestia.
Papa Sisto IV per la grande impresa della Cappella Sistina chiamò a Roma i più celebri pittori della seconda metà del XV secolo e tra loro vi fu anche il Signorelli prima come aiuto del Perugino poi come artista autonomo. Successivamente lavorò a Perugia, Firenze e Volterra riscuotendo grande successo. Nel 1497 fu nel Monastero di Monte Oliveto Maggiore affrescando nel chiostro molti episodi della vita di San Benedetto proseguendo la serie iniziata dal Sodoma.
Nel 1499 fu chiamato ad Orvieto per dipingere, nella Cappella di San Brizio, il grande Giudizio Universale iniziato dal Beato Angelico. Entrò in crisi spirituale per la morte del figlio e, secondo una versione improbabile del Vasari, avrebbe espresso tale stato d’animo nel “ Compianto sul Cristo morto “ a Cortona e poi, forse temendo il confronto con gli artisti della generazione successiva quali Raffaello e Michelangelo, si ritrasse in una dimensione provinciale dipingendo ad Arcevia, nel 1507, un grande polittico di gusto tardo gotico; anche in età avanzata continuò a lavorare producendo nel 1519 l’ultima sua opera nota, ad Arezzo, “ Madonna con Banbino e Santi”.
Morì nel 1523 a Cortona. Ai suoi tempi ebbe grandissima fama anche se suoi critici parlano di grande abilità tecnica ma talvolta di mancanza di stile personale in quanto si sarebbe spesso ispirato ad altri artisti e, per compiacenza verso i committenti, avrebbe dipinto, negli anni della tarda maturità, secondo loro indicazioni.
La mostra “Luca Signorelli e Roma. Oblio e riscoperte” che espone una sessantina di opere, di cui quindici del Signorelli, è promossa da Assessorato, Sovrintendenza e Zetema e curata da Federica Papi e Claudio Parisi Presicce. Non è una antologica sull’artista ma un esame sui rapporti tra Signorelli e la città di Roma dove si recò più volte, alcune documentate altre solo presunte, e lo studio dell’arte antica che lo ispirò in molte sue opere.
L’esposizione è articolata in sette sezioni la prima delle quali si interessa del vero volto dell’artista che non è quello notissimo presentatoci dal Vasari ma quello che si ricava dal Giudizio Universale di Orvieto in cui l’artista si ritrasse con una elegante veste nera ed una folta capigliatura chiara. Seguono un paio di sale dedicate alla Roma di Sisto IV, dotto teologo proveniente dall’ordine francescano, che promosse grandi commissioni artistiche in città tra cui la decorazione della Cappella Sistina. In una sala è esposto la “Spinario” bronzeo di età classica che servì da modello all’artista per inserti nelle sue opere che riproducono corpi in pose statuarie quali “Madonna con Bambino con nudo maschile”, “Martirio di San Sebastiano” e “Battesimo di Cristo”.
Nella quarta sezione sono esposte riproduzioni fotografiche su pannelli retroilluminati degli affreschi che costituiscono i grandiosi dipinti della Cappella di San Brizio che presentano un Giudizio Universale che forse ispirò Michelangelo.
Seguono tre dolcissime immagini di Madonne una delle quali con fondo oro che si identifica nelle fonti con un quadro che l’artista donò ad una figlia. Invano sperò in committenze nella Roma di Giulio II e Leone X ed in un suo scritto il pittore Caporali narra di una cena, nel 1507, a casa del Bramante a cui parteciparono Signorelli, Pinturicchio e Perugino tesi ad aggiudicarsi la decorazione di un nuovo appartamento papale che però non riuscirono ad avere; ormai a Roma erano apparsi Michelangelo e Raffaello con i loro nuovi stili.
Le ultime due sezioni riguardano la fortuna del pittore in pittura e letteratura nei secoli XVIII e XIX ed infine la riscoperta, dal tardo ‘800, dei dipinti dispersi e smembrati del Signorelli finiti sul mercato antiquario, sono esposti la “Flagellazione”, olio su tavola, e “Santo Stefano lapidato” anch’esso sullo stesso supporto. Mostra certo non grande e non completa sull’opera dell’artista ma piacevole a vedersi e di estremo interesse.


Luca Signorelli a Roma
Oblio e riscoperte

Dal 19 luglio al 3 novembre 2019

Musei Capitolini. Palazzo Caffarelli
Roma

Orario:
9,30 / 19,30

Catalogo:
De Luca Editori d’Arte


Veronica Gaido: Il fascino della sfocatura d’arredo

Veronica Gaido

Gli scatti di Veronica mettono in scena un intenso corpo a corpo tra la figura della città e quella della donna che si intrecciano in una specie di osmosi: la metropoli, con le sue architetture, i suoi grattacieli si umanizza in un turbolento dialogo tra gli edifici, svelando la sua struttura spoglia, spettacolare, luminosa; mentre la donna si libera mostrandosi nel proprio intimo dinamismo, e generando nell’ombra, a sua volta, i gesti, le forme, i tagli e la geometrica evidenza dei volumi di un’architettura solitaria, dai tratti a volte scultorei. Nei trasparenti “esterno-giorno” delle città e nei densi, ombrosi “interno-notte” dei nudi femminili, stilisticamente dominano la sfocatura, la moltiplicazione dell’immagine, il movimento, lo spirito di trasformazione, una calcolata, metodica visionarietà.
Un doppio tema ricorrente nelle opere della fotografa che attraverso un utilizzo ricercato della macchina fotografica realizza opere in movimento, una tecnica sofisticata che gioca con tempi di esposizione e messa a fuoco. La sua è una “fotografia liquida” che mescola la grazia ottocentesca degli Impressionisti, come un pennello che dipinge la tela, e il dinamismo del Novecento, che coglie il ritmo fluido della contemporaneità.


DOPPIO CORPO
Veronica Gaido
Dal 19 giugno al 20 settembre 2019

Musei di San Salvatore in Lauro
Complesso Monumentale del Pio Sodalizio dei Piceni
piazza di San Salvatore in Lauro
Roma

Informazioni per le aperture
tel. 06/6865493

Il nordico Rinascimento meridionale

Ma chi l’ha detto che il Rinascimento sia stato soltanto un affare del centro e del nord? Proviamo a cambiare prospettiva, a partire dal sud. Dalle sponde di quel Mediterraneo che è incrocio di culture e di civiltà, di gente e di arti, da sempre. Scopriremo un Rinascimento diverso, che dialoga con Firenze, Milano, Roma e Venezia senza perdere la sua peculiarità. E sarà tutta un’altra storia.

Questo l’obiettivo di “Rinascimento visto da Sud”, una mostra a cura di Marta Ragozzino, Pierluigi Leone de Castris, Matteo Ceriana e Dora Catalano che presenta una rilettura inedita su uno dei periodi più floridi del nostro Paese. Il percorso si aprirà con il Mediterraneo e ci condurrà verso Napoli, la Spagna, la Provenza e le Fiandre, una mappa che ritrae un mondo e gli artisti e studiosi che lo hanno popolato. Le opere, più di 180, provengono dai più prestigiosi musei italiani ed europei, e sono il simbolo di una cultura eclettica, che non dimentica le sue origini: i ritratti e le sculture si alternano a mappe e portolani, in un gioco di rimandi e interconnessioni che rimandano ad una cultura fatta di scambi e contaminazioni, il punto d’incontro tra Rinascimento e Mediterraneo.

Una storia meridiana, fatta di contaminazioni culturali e scambi intensissimi tra le sponde del Grande Mare, in quel secolo speciale durante il quale, con la scoperta dell’America, si è ‘allargato’ il mondo. Che mostra come e quanto questo spazio equoreo sia stato percepito come esiguo, facilmente percorribile e passibile di continui rapporti e, allo stesso tempo, avvertito come vasto, irrelato e ostile.

In Palazzo Lanfranchi e nell’attigua chiesa del Carmine ad essere proposta, in un percorso arricchito da grandi immagini e postazioni multimediali di approfondimento, è una stimolante rilettura di testimonianze culturali e scientifiche le più diverse: dipinti, sculture, miniature, medaglie, oreficerie, maioliche, libri e stampe ma anche oggetti preziosi, carte geografiche, portolani, strumenti di navigazione con l’obiettivo di mettere a fuoco una storia originale, diversa da quella sviluppata nelle grandi capitali del centro e del nord, come Firenze, Milano, Venezia, Roma, seppur continuamente interconnessa agli eventi e ai linguaggi che caratterizzarono queste capitali.


Rinascimento visto da Sud
Matera, l’Italia meridionale e il Mediterraneo tra ‘400 e ‘500

Dal 19 aprile al 19 agosto 2019

Matera
Palazzo Lanfranchi

Manolo Valdés e le sue Dame


La mostra, la prima in Svizzera, curata da Rudy Chiappini e riunirà oltre 50 tra i lavori più significativi della lunga carriera del grande maestro, realizzati dalla metà degli anni Ottanta fino ai giorni nostri.

Le suggestive sale e la corte di Casa Rusca saranno animate dai dipinti e dalle sculture di eleganti figure di dame, di teste maestose dai lineamenti femminili, di statue equestri di nobildonne e cavalieri. Lo spazio esterno al Museo ospiterà inoltre una selezione di sculture monumentali, precedentemente protagoniste di importanti installazioni a Parigi, Valencia, Dubai e non solo. Al pubblico si offrirà così una panoramica sulle diverse tecniche e le multiformi sperimentazioni di questo eclettico e poliedrico artista.

Le opere di Manolo Valdés fanno parte delle più prestigiose collezioni pubbliche e private; lo si può ammirare al Metropolitan Museum of Art di New York, al Musée National d’Art Moderne Centre George Pompidou di Parigi, al Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía a Madrid, alla Fundaciòn del Museo Guggenheim a Bilbao, al Kunstmuseum a Berlino, solo per citarne alcune.


Manolo Valdés
Dal 7 aprile al 6 ottobre 2019

Locarno (Svizzera)
Pinacoteca Casa Rusca

Un antiquario a Caserta


La Reggia di Caserta è uno splendido edificio degno di confrontarsi alla pari con Versailles; la costruzione fu iniziata nel 1752 dall’architetto Vanvitelli per disposizione di Carlo di Borbone capostipite dell’omonima dinastia che regnò sul reame delle Due Sicilie fino al 1861. Durante tale periodo l’edificio fu ampliato e abbellito, successivamente ebbe una certa decadenza in quanto i Savoia vi fecero solo visite saltuarie; negli anni Trenta del ‘900 ospitò l’Accademia Aeronautica, trasferita poi a Pozzuoli nel 1961, come si può constatare vedendo il film del 1943 “I Tre Aquilotti”, successivamente vi fu istallata la Scuola Specialisti, ora Sottufficiali, dell’Aeronautica, che ancora ne detiene una piccola porzione. Nel 1944 fu occupata dagli Alleati che vi posero il loro Comando e all’inizio del maggio 1945 vi fu firmata la resa delle Forze Armate Tedesche in Italia. Nel dopoguerra la Reggia fu musealizzata con il suo immenso edificio di cinque piani, l’acquedotto che la alimenta e i 120 ettari del parco popolato di statue e fontane. Nel 1997 l’Unesco ha dichiarato tutto il complesso Patrimonio dell’Umanità.
Nella Reggia dal 13 settembre prossimo sarà ospitata la mostra “ Da Artemisia ad Hackert. Storia di un antiquario collezionista alla Reggia”; coordinata da Vittorio Sgarbi espone un centinaio di opere provenienti dalla collezione del noto antiquario Cesare Lampronti. I due artisti citati non hanno una particolare rilevanza nell’ambito della mostra, indicano soltanto i termini temporali dell’esposizione che copre il periodo tra i primi decenni del ‘600 e gli ultimi del ‘700. La mostra sarà ospitata nelle sale degli Alabardieri e delle Guardie del Corpo ed in più contenute retrostanze settecentesche ed è articolata in cinque sezioni: pitture caravaggesche, a loro volta suddivise tra autori napoletani, romani e nordici, pitture del ‘600, vedute, paesaggi, nature morte.
Si inizia con il “Bagno di Betsabea” di Artemisia a cui seguono dipinti di Stanzione, Cavallino, Salvator Rosa, Micco Spadaro, Luca Giordano, Mattia Preti, Baciccio, Pietro da Cortona, Cavalier d’Arpino, Hontorst, Therbruggen, Rubens, Crespi, Cagnacci, Domenichino, Guercino, Canaletto, Bellotto, Carlevarijs, Batoni, Guardi, van Wittel, Dughet, Poussin, Solimena, Van Lint. In pratica una veloce ma densa carrellata sulla pittura di quasi due secoli attraverso autori, scuole, mode. Il termine finale della mostra è un dipinto di Jackob Philipp Hackert rappresentante “Il Porto di Salerno”; l’autore fu un celebre vedutista tedesco che raggiunse grande fama in Italia, nel 1788 Ferdinando IV di Borbone gli commissionò una serie di 17 dipinti illustranti vari porti del suo regno. Sono attualmente tutti conservati nella Reggia di Caserta tranne quello relativo a Salerno che, per motivi ignoti, si è staccato dal resto della serie finendo a Londra passando poi per varie mani fino ad un’asta recente che lo ha attribuito all’antiquario Lampronti.
Con l’occasione della mostra, per quattro mesi, riprenderà il suo posto nella serie dei porti. L’antiquario Lampronti è l’erede di una attività iniziata dall’omonimo nonno nel 1914 e proseguita dal padre nonostante gravissimi problemi provocati dalla guerra e dalle leggi razziali, l’allora giovane Cesare negli anni ’60, in pieno boom economico, potenziò la sua attività di antiquario colto, informato ed attento al mercato italiano ed estero.
Dal 2012 in dissenso con la legislazione italiana sulla gestione e commercio dei beni artistici e a fronte della diffidenza nei confronti del lavoro di antiquario ha preferito spostare la sua attività a Londra creando la Lampronti Gallery che espone un rilevante numero di opere d’arte e da cui sono state selezionate quelle in mostra nella Reggia di Caserta. A fine mostra il Lampronti donerà un dipinto di Salvator Rosa ed un altro di Pompeo Batoni.

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Da Artemisia a Hackert
Storia di un antiquario collezionista alla Reggia
Dal 15 settembre 2019 al 13 gennaio 202

Reggia di Caserta
Caserta