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L’opera totale nella ricerca di Ugo Bongarzoni

arte-lbm-ugo-bongarzoni-2Nella ricerca intensa, appassionata di Ugo Bongarzoni c’è il fervore e la pienezza di raccontare e raccontarsi tutto. C’è l’urgenza delle entusiasmanti scoperte: il Mito, la favola eterna dell’uomo e dei suoi sogni.
Dovrei dire ricerca essenzialmente pittorica, ma anche plastica, materica, tanta è la necessità dell’artista di usare l’elemento tridimensionale, l’oggetto, l’apporto massiccio e continuo del bassorilievo e del mosaico, dell’intarsio o del collage, come se l’esclusivo uso del segno e del colore non bastasse ad andare fin nel profondo dell’idea.
L’artista coniuga la materia e il colore in un sovrapporsi di elementi che rimanda ad antiche tradizioni di nobili artefici, coloro che nell’opera individuavano la totalità di tutte le esperienze percettive e cognitive.
L’opera di Bongarzoni trascende le rarefazioni e le eleganze formali legate ad un unico itineris.
Nell’artista c’è lo slancio di comunicare l’intuizione di un mondo rivelato, un sogno che si manifesta con la misteriosa prepotenza quasi della necessità profetica.
arte-lbm-ugo-bongarzoni-3E attraverso il tripudio cromatico, la generosità dinamica di una struttura complessa eppur felicemente armonica perché ogni sua parte si completa e si richiama in un tutt’uno, si realizza infine nell’artista il concepimento dell’opera totale, epopea e proclama di una indiscussa fede nell’uomo e nella sua inesausta necessità di capire e trasformare il mondo nel miracolo del suo molteplice manifestarsi.

Bentornata Artemisia

mostre-artemisia-gentileschi-in-mostra-a-roma-1Tra la fine del 2001 e l’inizio dell’anno successivo si tenne a Roma, a Palazzo Venezia, una grande mostra su Orazio e Artemisia Gentileschi, ora la sola pittrice torna a Palazzo Braschi con una esposizione di 29 suoi dipinti insieme ad altri 60 di artisti che vissero nella sua epoca e con lei ebbero fecondi scambi culturali.

Artemisia nacque nel 1593 a Roma dove il padre Orazio, originariamente di cognome Lomi poi divenuto Gentileschi per evitare omonimie con un parente anch’egli pittore, aveva uno studio affermato e dipingeva con uno stile caravaggesco allora molto in voga.

La giovane iniziò a lavorare con il padre raggiungendo presto buona fama al punto che i critici la ritengono autrice a 17 anni del quadro “Susanna e i vecchioni”, poi purtroppo incappò in una vicenda giudiziaria; insieme con il padre intentò un processo con accusa di stupro contro Agostino Tassi, collaboratore di Orazio, accusato di violenza carnale. Più probabilmente si trattò di seduzione con promessa di matrimonio in quanto il Tassi si spacciava per scapolo mentre aveva moglie in altra città. Il Tassi ebbe una pena modesta mentre Artemisia ne ebbe conseguenze nello spirito e nella successiva vita artistica.

Nel 1612 sposò un modesto pittore fiorentino e soggiornò a Firenze fino al 1620, tornò poi a Roma e dal 1627 al 1630 operò a Venezia. Nel 1630 si trasferì a Napoli entrando in contatto con i mumerosi pittori caravaggeschi che allora lavoravano nella città; nel 1638 si recò a Londra per collaborare con il padre chiamato ad operare presso la corte inglese. Nel 1640 tornò a Napoli dove morì nel 1653.

La mostra, voluta dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, dalla Soprintendenza Capitolina e da Arthemisia Group con il coordinamento di Zetema, è divisa in tre sezioni che comprendono ed esaminano i tre più importanti periodi della vita dell’artista: fiorentino, romano e napoletano, a ognuno di essi è preposto un curatore tra cui Nicola Spinosa che si occupa del periodo napoletano e trae le conclusione per l’intera opera della pittrice; in particolare viene esaminata l’attività romana ed i rapporti con il Vouet, il soggiorno fiorentino con l’inserimento nella corte medicea di Cosimo II e nel circolo culturale facente capo a Michelangelo il Giovane ed infine la stagione napoletana con l’incontro con Stanzione, Caracciolo e Ribera che influirono sullo stile caravaggesco di Artemisia facendole scoprire una vena classicista di scuola emiliana.

Il tutto si articola sull’esame di decine di quadri, spesso con episodi biblici, che mostrano il rapporto culturale tra Artemisia e i suoi colleghi.

Tra i dipinti spicca il notissimo “Giuditta che taglia la testa di Oloferne” che per molti critici rappresenta il grido di dolore e la rivalsa della donna-pittrice per le tristi vicende delle quali era stata vittima. Si tratta comunque di un soggetto evidentemente molto sfruttato nei primi decenni del ‘600 in quanto sono esposti più quadri di diverso autore con  protagonisti Giuditta ed Oloferne.

La mostra è ospitata in Palazzo Braschi, si tratta dell’ultimo palazzo principesco di famiglia papale ed è frutto del nepotismo di Papa Pio VI Braschi in favore del nipote; fu costruito nel 1792 demolendo un precedente edificio di proprietà degli Orsini.

L’architetto Cosimo Morelli, e successivamente il Valadier, dettero al palazzo una chiara impronta neoclassica che appare soprattutto nel grandioso scalone. Nel 1871 i Braschi vendettero il palazzo allo Stato Italiano che vi ospitò il Ministero delle Colonie, durante il Ventennio vi ebbe sede la Federazione Provinciale Fascista dell’Urbe.

Durante i nove mesi di occupazione tedesca di Roma nel palazzo s’istallò la Banda Bardi-Pollastrini specie di polizia ausiliaria fascista che si rese responsabile di arresti, torture, estorsioni, violenze di ogni genere al punto da venire sciolta dalle stesse autorità della Repubblica Sociale, poi, per qualche anno, fu la volta di alcune famiglie di profughi e di sfollati che arrecarono seri danni all’edificio.

Finalmente recuperato e restaurato dal Comune il palazzo fu adibito nel 1949 a Museo di Roma tuttora esistente e ricco di reperti di ogni genere relativi alla storia e all’arte della città soprattutto per i secoli XVII e XVIII.

La mostra occupa il primo piano del palazzo mentre il museo, ora chiuso per ristrutturazione, è ai piani superiori.

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mostre-artemisia-gentileschi-in-mostra-a-roma-2ARTEMISIA GENTILESCHI
Dal 30 novembre 2016 al 7 maggio 2017

Museo di Roma Palazzo Braschi
Roma

Informazioni:
tel. 060608

Sito ufficiale

Orario:
tutti i giorni dalle 9.00 alle 21.00

Catalogo:
Skira

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La Duchessa più amata dai Parmensi

mostre-magnani-rocca-interno-tersicoreLa mostra si inserisce tra le numerose iniziative per il bicentenario dell’arrivo di Maria Luigia d’Asburgo Lorena a Parma, animando un percorso alla scoperta di Neoclassicismo e Impero.

Come tutti i miti che si rispettino la figura di Maria Luigia d’Asburgo Lorena vive nella tradizione locale tra luci e ombre. In occasione dei 200 anni dal suo arrivo un grande progetto condiviso e diffuso su tutto il territorio ripercorre l’impatto (storico, artistico, culturale, urbanistico, gastronomico e non solo) del suo governo e la percezione di oggi.

Nessun intento nostalgico o celebrativo ma il saper coglier la straordinaria opportunità di riflettere sull’innegabile influenza di un’identità culturale radicata in un contesto più che mai vivace ed attento alla contemporaneità.

Parma Città creativa Unesco per la Gastronomia si avvia verso i 2200 anni dalla sua fondazione romana con una proposta adatta a tutti piccoli e grandi, cultori e semplici curiosi per un 2016 tutto da vivere.

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logo-maria-luigiaL’ETÀ DI MARIA LUIGIA
Duchessa di Parma
Sino all’11 dicembre 2016

Fondazione Magnani Rocca
via Fondazione Magnani Rocca 4
Mamiano di Traversetolo (Parma)

Orario:
dalle 10.00 alle 19.00
(la biglietteria chiude alle 18)
lunedì chiuso

Ingresso:
€ 10,00 valido per le raccolte permanenti e per le mostre in corso
€ 5,00 per le scuole

Informazioni:
tel. 0521/848327 – 848148
Visite guidate su prenotazione (per gruppi)

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Le Periferie dell’Arte

mostre-centro-culturale-aldo-fabrizi-ritorno-a-portonaccio-loLa nuova stagione dello spazio espositivo del “Centro Culturale Aldo Fabrizi” di Roma si apre, il 30 novembre prossimo, con tutti i crismi della dimensione attuale e le relazioni con il passato che non riguardano solo la “verità” espressa dalla poesia di Elio Filippo Accrocca ma interessano l’universo di una certa periferia romana: Portonaccio, la scuola del cosiddetto gruppo di Portonaccio, Pietralata e Pasolini, il gruppo del Presenteismo al Malafronte. Con questa connessione, questa sorta di rinascimento, l‘evento messo in essere, diventa reale e si proietta verso i traguardi dello spirito, ove sono racchiuse emozioni ed altre forme di oggettività tangibili. Pertanto, l’omaggio al poeta di Cori attraverso l’arte e le relazioni di numerosi artisti diventano l’argomento centrale che si ricongiunge al tempo ed allo spazio di Accrocca con un dialogo lineare su cosa è l’arte e cosa può essere la vita umana nell’arte. Da un’osservazione e una riflessione attenta, intensa, partecipativa, emergono le stratificazioni dei simboli e dei significati celati e svelati nella struttura ritmica delle parole e dei versi di “Portonaccio” prima e “Ritorno a Portonaccio” poi, portatrice di una condizione sociale sublime del pensiero, sul ritorno e sulla rinascita vitale.

Luoghi della meditazione diventano pertanto un ponte, un orizzonte, una ferrovia, un gruppo, la cosiddetta scuola di Portonaccio, Buratti, Muccini, Omiccioli, Pinata, Urbinati, Vespignani, Zianna, che cattura dalla poesia forme geometriche, ombre e colori che nel corso delle stagioni affiorano e si organizzano.

La forza di questa mostra va oltre, come lo scorrere delle acque di un mostre-centro-culturale-aldo-fabrizi-ritorno-a-portonaccio-s-ziannafiume e ci porta agli anni 80, al Centro Socioculturale del Malafronte e al Presenteismo ed alla poetica di un manifesto firmato da Piccinini, Signoretti, Fiorentini, Coppeta, Meconi, Teofani, e Levratti, Carcassonne, Gentile, Ochoa che si espande con le idee successive che sfoceranno in “Controcorrente, Prospettive Presenteiste” di Bruno, Campanella, Lombardi, Laura Turco Liveri, Vaglica, Quintini.

La mostra a questo punto si anima e prende vita, si fa comprensibile dimostrando che la bellezza è a portata della quotidianità e può avere la forma lineare, variabile, per una dialettica tra spazio e percezione, tra l’idea e la sua funzionalità. Indimenticabili le opere e gli artisti che con il territorio, amato da Elio Filippo Accrocca, hanno avuto punti di contatto, come Ennio Calabria e Salvatore Provino (affreschi nella sede della sezione ex PCI di San Lorenzo), Franco Mulas, Enrico Benaglia, Bruno Canova, Oliviero Rainaldi, Bruno Ceccobelli, Maria Grazia Dardanelli, Osvaldo Sabene e Turi Sottile. Guardando dal ponte s’intravede il possibile orizzonte che si apre ad una nuova vita, al ritorno: una conversazione tra l’artista, lo spazio ed il visitatore in cui le memorie di uno vengono a coincidere ed a confondersi nella percezione dell’altro.

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mostre-centro-culturale-aldo-fabrizi-ritorno-a-portonaccio-r-mafaiRITORNO A PORTONACCIO 2
Omaggio al poeta Elio Filippo Accrocca

Dal 30 novembre 2016 al 15 gennaio 2017

Centro Culturale Aldo Fabrizi
via Treia 14 (via Corinaldo)
Roma

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Luci in fondo alla notte

arte-lmb-sabrina-carletti-5118253_body_maps_01L’urlo e il silenzio, notti e fuochi improvvisi, gelo di solitudini e amoroso furore nello stringersi al nodo carnale, intimo senso e appartenenza nell’umano ritrovarsi, circondati da tenebre e penombre siderali, là dove nel cuore dell’oscurità il seme dell’uomo getta il miracolo del suo dolce e straziante esistere.

Così nella pittura di Sabrina Carletti, nella pena corporea di mani e occhi come ciechi cercarsi, così nei crepuscoli di deserte stazioni, grumi notturni di città desolate o nel loro tiepido albeggiare, vive e germoglia la sua forte matrice espressionista, il senso e la fede profonda, viscerale, del proprio vissuto come ragione e nuce di un mondo ora lontano e misterioso come remota costellazione, ora vicino e annodato fin negli umori della nostra pelle.arte-lmb-sabrina-carletti-4328215_copia_di_dis-velo

I grigi azzurrati, ferrosi, solcati da segni crudeli come ferite, così come i caldi accenti di vermigli e terre sono sapienti, consapevoli distillati di una cottura alchemica intima e oscura, là dove nel segreto del suo cercarsi l’artista fà del suo racchiuso orizzonte spazio e respiro di un cerchio più vasto, là dove la pena del proprio esistere si fà germe e concepimento d’universale comprensione.

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