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Cronache di tela

hopper-cronache-americane-su-tela-1La mostra è suddivisa in sei sezioni: ritratti e paesaggi, disegni preparatori, incisioni e olii, acquerelli e immancabili immagini di donne, sono tutti i protagonisti della retrospettiva romana. Narrando l’incredibile potenzialità dell’esperienza quotidiana che caratterizzò la sua opera, l’esposizione vuole essere una vera e propria “cifra hopperiana”, ereditata in molteplici campi dell’espressione visiva che hanno reso i suoi quadri poster, copertine di libri e citazione cinematografiche.

Sfuggente e raffinato, poco avvezzo alla frequentazione del mondo dell’arte ma allo stesso tempo popolare, riconosciuto e amatissimo, Edward Hopper si distingue e si rende riconoscibile per la sua capacità di fotografare e trasformare in quadri i tratti e i modelli del mito americano.

Ieri come oggi amato da diverse categorie di appassionati, hopper-cronache-americane-su-tela-2nonostante – o forse proprio per questo – nella sua lunga carriera abbia perseguito una posizione fortemente “anti-avanguardista”.

Nelle sue tele c’è la frenesia di una ricerca del nuovo, quello dei bar di notte, delle strade desolate senza un’anima viva, delle pompe di benzina e dei paesaggi di campagna che egli stesso raccontò mettendo in discussione il sogno americano e indicando la strada di una rinascita oltre a quella della conquista di una esistenza più consapevole.

Le prime sezioni illustrano le opere del periodo accademico e gli schizzi inondati di luce e le opere del periodo parigino. Capolavori come Night Shadows (1921) ed Evening Wind (1921) mettono in evidenza la sua tecnica elegante e quel “senso di incredibile potenzialità dell’esperienza quotidiana” che riscuote grande successo e che segna l’inizio di una felice carriera.

Nella sezione che celebra la straordinaria mano di Hopper disegnatore e il suo metodo di lavoro, è presentato un importante gruppo di disegni preparatori come Study for Gas (1940), Study for Girlie Show (1941), Study for Summertime (1943), Study for Pennsylvania Coal Town (1947).

La mostra riunisce anche alcune delle più significative immagini di donne da sole e in interni, affaccendate o contemplative: dipinti che raccontano al meglio la poetica dell’artista, il suo discreto realismo e soprattutto l’abilità nel rivelare la bellezza dei soggetti più comuni, usando spesso un taglio cinematografico.

Non solo nei dipinti, ma anche nelle incisioni di cui era maestro, nei disegni, negli acquerelli, dall’inizio del secolo agli anni Sessanta del Novecento, la sua carriera inscena uno straordinario repertorio di motivi e generi della pittura figurativa: ritratto, paesaggio, scena d’interno sono i protagonisti dei suoi capolavori.

All’esposizione delle opere si aggiunge una sezione del tutto inedita, dedicata all’influenza di Hopper sul grande cinema come nei film che hanno per protagonista Philip Marlowe, i lavori di Hitchcock – Psycho e Finestra sul cortile -, quelli di Michelangelo Antonioni, fino ai diversi riferimenti hopperiani ne Il Grido, Deserto rosso e L’eclisse.

In Profondo rosso, Dario Argento ricostruisce come “Nighthawks” la sequenza del bar; in Velluto blue Mullholland Drive, il grande David Lynch s’ispira a molte opere di Hopper, così come Wim Wenders in Paris, Texas, Todd Haynes in Lontano dal Paradiso e i fratelli Coen in L’uomo che non c’era.

Working Title/Artist: Edward Hopper: The Lighthouse at Two Lights Department: Modern Art Culture/Period/Location:  HB/TOA Date Code:  Working Date:  photography by mma 1980, transparency #9ad scanned and retouched by film and media (jn) 5_16_07

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EDWARD HOPPER
Dal 1 ottobre 2016 al 12 febbraio 2017

Roma
Complesso del Vittoriano (Ala Brasini)

Prenotazione ingresso

Informazioni:
tel. 06/678.0664
prenotazioni tel. 06/8715.111

Sito web

Catalogo:
Skira

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Hopper Cronache americane su tela
di Gianleonardo Latini
dal Gambero Rosso
dell’agosto 1992

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Ricostruire il patrimonio

mostre-roma-colosseo-rinascere-dalle-distruzioni-ebla-testa_toro_d0 Il Toro di Nimrud con la testa dalle fattezze umane non esiste più: polverizzato. Del soffitto del Tempio di Bel a Palmira: restano frammenti. La sala dell’archivio di Stato del Palazzo di Ebla, che custodiva 17.000 tavolette cuneiformi, versa in grave stato di abbandono.

Con un eccezionale lavoro di ricostruzione in scala 1:1 realizzato in Italia, i tre monumenti rivivono nella mostra al Colosseo.

Questi tre importantissimi manufatti distrutti, danneggiati o sviliti dalle guerre e dalla furia iconoclasta nel vicino Oriente si ergono nuovamente davanti ai milioni di visitatori del Colosseo. Lo scopo è sensibilizzare il pubblico internazionale alla conoscenza, alla cultura e alla salvaguardia di luoghi e monumenti, patrimonio dell’umanità. Un modo anche per favorire il dibattito sulla ricostruzione di quanto viene distrutto, e sul restauro di quanto resta.

La rinascita di questi monumenti, clamorose testimonianze delle antiche civiltà del Medio Oriente e del loro profondo rapporto culturale con il Mediterraneo, è stata possibile grazie al lavoro altamente qualificato e specializzato svolto da tre aziende italiane, con il ricorso a tecnologie innovative. Tutta la lavorazione è stata eseguita sotto la guida di un comitato scientifico di archeologi e storici dell’arte.

A tale proposito un eccezionale prestito suggella la riflessione che la mostra propone. Sono due altorilievi provenienti da Palmira, violentemente danneggiati dalla furia iconoclasta. I ritratti panneggiati di un uomo e una donna, scolpiti nella pietra, riportano profonde ferite. Dopo la mostra saranno presi in consegna dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo per essere restaurati e riconsegnati poi al Museo Nazionale di Damasco.

Un’esposizione che non è solo un’occasione di far rivivere ciò che l’ottusità iconoclasta voleva cancellare, ma anche un omaggio al coraggio di Khaled al-Asaad direttore del museo e del sito di Palmira, nel difendere la storia di una civiltà.

La mostra si completa con un affascinante video installazione firmata da Studio Azzurro, che contribuisce a immergere lo spettatore nelle atmosfere assolate dei paesi dei tre monumenti ricostruiti: Siria e Iraq. Gli occhi delle persone incontrate e riprese in quelle terre, da custodi di una memoria condivisa, sono adesso divenuti gli attoniti testimoni della sua distruzione. Media Partner della mostra è Sky ARTE HD.

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mostre-roma-colosseo-rinascere-dalle-distruzioni-ebla-statuaRINASCERE DALLE DISTRUZIONI
Ebla, Nimrud, Palmira
Dal 7 ottobre 2016 all’11 dicembre 2016

Roma
Colosseo

Ingresso:
intero € 12, ridotto € 7,50
comprensivo delle mostre in corso nell’area archeologica Foro Romano – Palatino – Colosseo.

Riduzioni e gratuità secondo la normativa vigente.
Lo stesso biglietto consente l’accesso al Colosseo, al Foro romano e al Palatino.
È valido 2 giorni per un solo ingresso al Colosseo e un solo ingresso al Foro Romano-Palatino

Informazioni:
tel. 06/39967700

Sito ufficiale

Curatori:
Francesco Rutelli, Paolo Matthiae

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La folle gloria dei Paladini

mostre-orlando-furioso-500-anni-ariostoUn’esposizione dedicata al capolavoro della letteratura italiana del Cinquecento, l’Orlando furioso di Ludovico Ariosto. Concepito nella Ferrara estense e stampato in città nel 1516, il poema è uno dei capolavori assoluti della letteratura occidentale che da subito parlò al cuore dei lettori italiani ed europei.

A celebrarlo nel quinto centenario della sua prima edizione non sarà una mostra documentaria o di fortuna pittorica, bensì una vera e propria mostra d’arte che condurrà il visitatore in un affascinante viaggio tra le pagine del poema, tra battaglie e tornei, cavalieri e amori, desideri e incantesimi.

La mostra presenterà una selezione di capolavori dei più grandi artisti del periodo, da Giovanni Bellini a Andrea Mantegna, da Giorgione a Dosso Dossi, da Raffaello a Leonardo, da Michelangelo a Tiziano. Accanto a questi, sculture antiche e rinascimentali, incisioni, arazzi, armi, libri e manufatti di straordinaria bellezza e preziosità, faranno rivivere il fantastico mondo cavalleresco del Furioso e dei suoi paladini, offrendo al contempo un suggestivo spaccato della Ferrara in cui fu concepito il libro e raccontando sogni, desideri e fantasie di quella società delle corti italiane del Rinascimento di cui Ariosto fu cantore sensibilissimo.

 

ORLANDO FURIOSO 500 ANNI
Cosa vedeva Ariosto quando chiudeva gli occhi
Dal 24 settembre 2016 all’8 gennaio 2017

CT161885.tifFerrara
Palazzo dei Diamanti

Informazioni:
tel. 0532/244949

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Indagini su Giotto

editoria-stefaneschiNon è una notizia di cronaca nera ma di storia dell’arte. Nell’autunno scorso si è tenuta a Milano, a Palazzo Reale, una mostra su Giotto e, tra i tanti capolavori, è stata esposta un’opera proveniente dalla Pinacoteca Vaticana: il Polittico Stefaneschi.

Si tratta di una grande tempera su tavola in tre scomparti, con una predella divisa in tre parti, dipinta su tutti e due le facciate. Fu commissionata a Giotto e alla sua bottega dal Cardinale Jacopo Stefaneschi, ricco e colto prelato romano, che lo destinò all’altar maggiore dell’antica basilica di San Pietro fatta costruire dall’imperatore Costantino. Era l’anno 1320 e sia il Papa che il Cardinale si trovavano ad Avignone. Nella parte rivolta verso i fedeli nello scomparto centrale giganteggia la figura di San Pietro in trono, avvolto in una splendente veste rossa, affiancato da Angeli e Santi con davanti la piccola immagine inginocchiata del donatore presentato da San Giorgio; dall’altro lato un’altra figuretta identificabile con Papa Celestino V santificato pochissimi anni prima. Lo Stefaneschi, con le mani velate, offre all’Apostolo una piccola ma precisa miniatura del polittico con la sua originaria cornice gotica.

Nei due scomparti laterali due santi per parte identificati da scritte. La predella sottostante contiene una sola tavola, essendo andate perdute le altre due, con dipinti tre santi. La faccia posteriore, che si ritiene rivolta verso l’abside dove si trovavano i sacerdoti, ha al centro la maestosa figura di Cristo in trono sotto un elegante ciborio, con una veste blu, circondato da angeli; di fronte un uomo inginocchiata, forse sempre lo Stefaneschi, in abiti modesti.

Negli scomparti laterali due scene animate, la Decollazione di San Paolo e la Crocifissione di San Pietro con numerose figurette vestite con abiti dai colori squillanti; le tre tavole della predella contengono i dodici apostoli, cinque in ognuna delle due laterali mentre in quella centrale sono dipinti due Angeli, due Santi ed al centro la Madonna con Bambino.

L’iconografia del polittico rispondeva ad una ben precisa strategia, poneva di fronte ai fedeli l’immagine di San Pietro, con in mano una gigantesca chiave, ribadendo il concetto dell’immediata sequenza Cristo, Pietro, Papa in carica che in quanto vicario di Cristo assumeva la veste di prima autorità della Cristianità, superiore all’Imperatore e ai Re, secondo quanto già affermato in precedenza da Gregorio VII e Bonifacio VIII. Il polittico che ha quasi settecento anni, ha avuto una vita lunga, tribolata e. in certi periodi, oscura. Fu istallato sull’altar maggiore e vi rimase per un certo tempo poi, forse dopo il rientro del Papa dalla Cattività Avignonese, nel 1377, potrebbe essere divenuto di ostacolo alla liturgia e quindi spostato, ma le fonti tacciono in proposito; nel ‘500 viene citato nella Sagrestia dei Canonici e successivamente nel ‘600 nell’ Archivio Capitolare utilizzato come dipinto a parete celando la faccia con S. Pietro forse danneggiata e scurita dal fumo delle candele.

Nel 1618 il polittico viene presentato smembrato e ridotto a quadri indipendenti, scomparsa la ricca cornice gotica e forse già da allora due tavole della predella; solo a fine ‘700 il dipinto viene riscoperto e rivalutato, montato su cerniere in modo da essere visibile da ambedue i lati e sistemato nella Sala Capitolare della Basilica. Nel 1931 Papa Pio XI Ratti nell’ambito di lavori destinati a dare un volto definitivo al nuovo Stato della Città del Vaticano scaturito dal Concordato del 1929 fece costruire un edificio appositamente destinato a ospitare i molti dipinti sparsi per i palazzi vaticani; la Pinacoteca fu progettata dall’architetto Beltrami e ad essa fu destinato il polittico che fu restaurato con la supervisione di Biagio Biagetti che non volle creare un falso storico con una cornice gotica posticcia ma ideò un supporto ligneo semplice e lineare che dura tutt’oggi.

Un altro restauro fu fatto tra il 1965 e il 1971 lasciando il dipinto in condizioni tali da non rendere necessari ulteriori interventi. A seguito delle indagini sulle tavole svolte in occasione della mostra di Milano si è giunti alla decisione di predisporre una protezione climatologica del polittico sistemandovi sopra dei vetri speciali che proteggono ma non impediscono la massima visibilità. Altre indagini si sono svolte sulla questione discussa da molti anni sull’intervento della bottega e su quanto del dipinto sia autografo di Giotto; è da tenere presente che le botteghe degli artisti medioevali erano costituite da parecchie persone con differenti specializzazioni, dai garzoni che preparavano colori e tele ai pittori di sfondi e parti secondarie a pittori di qualità con capacità di mimetismo con il Maestro titolare.

Le indagini non hanno dato un risultato definitivo e Giotto è stato “assolto” per mancanza di prove. Il “verbale” delle investigazioni, insieme ad altri interessanti spunti sul polittico, la storia, le vicende costruttive, i restauri, le analisi su singole parti, è contenuto nel libro “Ricerche sul Polittico Stefaneschi. Giotto nella Pinacoteca Vaticana” edito insieme da Edizioni Musei Vaticani ed Electa.

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editoria-stefaneschi_1coverRicerche sul Polittico Stefaneschi
Giotto nella Pinacoteca Vaticana
A cura di Antonio Paolucci, Ulderico Santamaria e Vittoria Cimino
AA.VV.

Presentazione di Antonio Paolucci

Edizioni Musei Vaticani – Electa
Città del Vaticano – Milano 2016

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Arte Astratta- Arte Distratta 2

arte_astratta_distrattaA proposito della pittura astratta, ancora è in auge la logora e sciocca frase dell’ignaro spettatore; “….Ma questo saprei farlo anch’io!”.
Si deve dire che sì, nel passato e forse ancor più oggi, eserciti di mediocrissimi pseudoartisti si sono rifugiati furbescamente in un “astratto” pasticciato, sciatto e volgare, avvalorando l’antica frase di Nietsche a proposito dei falsi profeti; “…che intorbidano l’acqua del catino perché sembri più profonda…”.
Ma noi sappiamo bene che tutti i grandi astrattisti hanno avuto trascorsi figurativi di alta qualità, esperienza e maturità artistica a tutta prova.
L’astratto non è il “refugium peccatorum” degli incapaci, né il gioco aleatorio di chi ancor oggi tira a stupire l’impreparato spettatore.
Se c’è una ricerca che va nel profondo è la ricerca dell’astrazione, essa non è il puro e semplice pretesto di chi è inadeguato per la Realtà ma, al contrario, è il massimo dell’attenzione per il fenomeno, è un Realismo che va oltre la superficie illusoria delle cose, indagando fino alle ultime conseguenze moventi, connessioni e forze che sono alla radice degli eventi universali, perché sappiamo bene che in ogni frammento, pur apparentemente insignificante, si cela il senso e la ragione del Tutto.
Perché le leggi dell’Assoluto si manifestano allo stesso modo nell’infinitamente piccolo come nell’infinitamente grande.

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Dello stesso argomento:

ARTE ASTRATTA E ARTE DISTRATTA 1

DISINCANTATA RIFLESSIONE SU CERTA ARTE CONTEMPORANEA

EVOCAZIONE ED AMBIGUITÀ NELL’OPERA D’ARTE

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