È una strana mostra quella allestita negli spazi del Palazzo delle Esposizioni in collaborazione con il Museo Nazionale Romano, dove non si limita a portare all’attenzione del visitatore le sculture relegate da anni nei depositi, ma propone anche dei spericolati connubi tra le forme dell’antica Roma e il burlesque degli interventi contemporanei di Francesco Vezzoli, il tutto in un’ambientazione hollywoodiana.
Nel dare il benvenuto al visitatore sono state collocate, nella rotonda, sei grandi sagole luminose, dal corpo di antiche divinità e dalle effigi di dive contemporanee, a mostrare lo spirito della mostra con il suo essere loro stesse dei recuperi dell’iniziativa parigina “24hours Museum”, del 2012.
Schermi con scene di film di argomento “storico”, come Cabiria o Satyricon, Alberto Sordi in Mio figlio Nerone o Il gladiatore e altri ancora, fanno da fondale alle sculture che riemergono dall’oblio, magari non tutte, nelle quali poter incontrare i ritratti di imperatori, veneri e condottieri, in una mescolanza tra cultura classica (solenne, eterna) e cultura pop che potrebbe creare un po’ di confusione nel visitatore.
Un’esposizione che vaga tra l’archeologico con la testa di Medusa, di Alessandro Magno, del dio Marte ed il busto di Antinoo, o d’arte contemporanea, non solo per i 75 ex voto a forma di utero proposti come installazione, ma per le copie di busti con interventi pittorici pronti per una festa e le libere “ricostruzioni” di teste e sculture.
Un percorso espositivo tra arte contemporanea, archeologia e cinema differente dalla “semplice” proposta dei Depositi in mostra al Parco archeologico del Colosseo, che pone la domanda: quanto questa mostra ha l’impronta pop di Francesco Vezzoli o scientifica di Stéphane Verger (Direttore del Museo Nazionale Romano)?
Una mostra che potrebbe avere come sottotitolo le ultime righe della nuova canzone di Blanco e Mina, Un briciolo di allegria, Se non mi domando / Chi eravamo / Io non mi ricordo / Chi siamo.
Una cinquantina di artisti impegnati non solo nella pittura e nella scultura, ma anche in installazioni, in video e in diverse sfaccettature della comunicazione mediatica, avevano bisogno di un ampio luogo come quello l’ex fabbrica di porcellane Maison Demeuldre, con i suoi 3500 mq, per contenere i vari punti di vista su un tema così impegnativo capace di coinvolgere non solo i due terzi del globo terracqueo, ma anche la vita fuori dai mari e dagli oceani.
Un’iniziativa espositiva che è anche un laboratorio di idee, dove artisti e scienziati, come Noel Baker e Ermioni Dimitropoulou, provenienti da tutto il mondo hanno unito le forze per dare voce all’ambiente ed ai cambiamento climatici, contribuendo ad immaginare, con affreschi murali, esperienze visive e sonore, installazioni, eventi scenografici e conferenze, il futuro delle profondità marine.
Noel Baker, come scienziato e artista, ha contribuito con diversi dipinti, ispirati dalle conoscenze acquisite attraverso la sua ricerca, che la confronta quotidianamente con i fatti duri che tutti, in qualche modo, dobbiamo affrontare, mentre Ermioni Dimitropoulou ha collaborato con Rub.qbe (Gabriele Rossi) per proporre una riflessione sugli effetti nocivi delle navi da crociera con le loro emissioni di particelle fini ed altri composti organici volatili nell’ambiente.
L’arte urbana e da interni, per una mostra “immersiva”, capace di sensibilizzare il visitatore sulle questioni ecologiche e sui cambiamenti climatici, accolta in un incubatore culturale.
Dagli idilliaci volteggi delle meduse nel profondo blu al loro ingabbiamento, dalle serene realizzazioni pittoriche alle inquietanti decomposizioni, dove visioni fiabesche e distopiche si susseguono nei vari spazi di questo edificio di altri tempi.
Il video “Narcose – Narcosi” di Raphaël Bluzet invita a lasciasi trasportare da una meditazione guidata della durata di circa 12 minuti. Lo spettatore, sdraiato, è guidato dalle animazioni ipnotiche dell’oceano proiettate sul soffitto della stanza, offrendo un’esperienza meditativa con gli oceani e con le loro specie per sensibilizzare sulla fragilità di questo ecosistema. L’artista ha dipinto digitalmente la sua opera utilizzando tecniche di animazione immagine per immagine.
Olivier Coisne, con le sue meduse sospese (Jellyfish Sculpture), propone The Cube, un’opera realizzata con l’obiettivo di coinvolgere il pubblico sul consumo di massa e portare avanti una valutazione sulla coscienza ecologica, al fine di preservare i nostri ecosistemi. Minacciosi in apparenza questi animali mistici, con movimenti aggraziati, sono una fonte di ispirazione per Olivier Coisne.
Camilla Ancilotto permette al visitatore di comporre e decomporre le sue opere pittoriche, su tre facce rotanti, che partono da raffigurazioni mitologiche o contemporanee per dare vita a delle visioni di altre realtà. Opere modulari policrome ispirate al Tangram, l’antico rompicapo cinese, per dar modo al visitatore di sperimentare le mutazioni.
Un vero e proprio viaggio, scandito dalla creatività mainstream e dalla scienza, di come i mutamenti climatici influenzeranno il globo terrestre e quanto ne subirà l’idrosfera.
Una mostra, quella di Bruxelles, con lo sguardo rivolto ai problemi ambientali, che contraddice Dieter Roelstraete, curatore della mostra “Everybody Talks About the Weather” alla Fondazione Prada di Venezia, l’affermazione avvenuta durante la trasmissione di Rai Radio 3 – A3 il formato dell’arte del 20 maggio, con la quale l’arte contemporanea, la cosiddetta mainstream, non si interessi ai cambiamenti climatici, confutandogli l’esclusiva alla mostra veneziana.
Anche Roma offre, negli spazi dell’Ex Cartiera Latina, un’occasione di riflessione sul Climate Change e sul rapporto che lega il Sapiens e l’ambiente naturale, esprimendo tutta la cecità ancora presente nell’uomo nei confronti dell’attuale situazione, con la mostra “Anthropos e Kainos”, promossa da Maria Rita Bassano Ferretti e Carlo Marchetti, coinvolgendo oltre cento artisti stranieri e italiani dell’interessante panorama romana.
È impossibile avere il monopolio sulle riflessioni dei cambiamenti climatici, tematiche che coinvolgono il futuro di tutti.
Mers & Océans Seas & Oceans Dal 20 aprile al 25 giugno 2023
Al Palazzo Reale di Milano è in corso la mostra di un artista poco noto in Italia e nel resto d’Europa, sebbene presente diversi anni fa alla Biennale di Venezia, ma assai famoso in tutta l’America – da Sud a Nord – e famosissimo in Giappone, dove le sue mostre registrano presenze record di visitatori. Stiamo parlando di Leandro Erlich, un artista argentino di Buenos Aires, le cui opere giungono finalmente anche in Europa, con una mostra antologica realizzata con la collaborazione diretta dell’autore. Si tratta infatti della prima grande mostra di Erlich non solo in Italia, ma anche in Europa, e della più completa al mondo. Progettata prima della pandemia, ma a causa di questa rimandata, è finalmente arrivata alla sua realizzazione.
L’arte di Erlich è un misto di arte concettuale, di realismo, di surrealismo. Le sue opere sono sorprendenti, spiazzanti e divertenti. Ma necessitano, a detta dello stesso artista, di un elemento fondamentale: il pubblico. Lo spettatore infatti è chiamato a partecipare attivamente alla costruzione dell’opera, le sue reazioni sono parte integrante di questa, o addirittura l’elemento che ne consente l’effettiva attivazione.
Così ci si trova spiazzati quando uno specchio non riflette la propria immagine (Changing rooms, 2008), o quando imbocchiamo una scala che non sale e che non scende (Infinite staircase, 2005), come se fossimo per un incantesimo catapultati in un’incisione di Escher, o quando crediamo di affacciarci su un porticciolo in una notte tranquilla rapiti dal dondolio delle barche sul mare e dai riflessi sulle onde (Port of Reflections, 2014), ma restiamo poi disorientati perché non c’è nessun mare davanti a noi: tutto è illusione.
Come è illusione ritrovarsi nella vecchia aula di scuola (Classroom, 2017), ma una illusione che dura poco, perché nella aula ormai cadente c’è solo il nostro evanescente fantasma.
La visita ci evoca talvolta la sensazione di viaggiare nei mondi impossibili di Escher, o altrimenti di attraversare le atmosfere surreali di Magritte, ma con una sorta di ludica leggerezza.
La dimensione giocosa della mostra si stempera però in una analisi più attenta sulla percezione: ciò che io percepisco come viene percepito da un altro? Cosa è reale e cosa è illusione? La meravigliosa nuvola sospesa prigioniera in una teca di vetro (The cloud, 2021), è una vera piccola nuvola o un astuto inganno? E se gli specchi riflettono immagini diverse dalla mia immagine, quante prospettive presenta la realtà?
Nulla è ciò che sembra.
Erlich inoltre evidenzia come le sue opere abbiano assunto connotazioni diverse nel corso nel tempo, e in particolar modo come siano cambiate le interpretazioni e le reazioni di fronte ad esse in seguito alla pandemia. Perché le opere, sostiene l’artista, hanno una vita propria e una evoluzione nel tempo.
La mostra, che comprende video, sculture e installazioni, ha comportato una seria sfida per Palazzo Reale, a causa delle grandi difficoltà tecniche riguardanti le monumentalità di alcune installazioni e la realizzazione delle illusioni ottiche.
Ѐ una mostra che potrà sicuramente divertire e al tempo stesso far riflettere, sia sulle molteplici facce dell’arte, sia sulle molteplici facce della realtà.
Una mostra accogliente, consolatoria, con un’atmosfera d’altri tempi avulsa dai conflitti contemporanei, dove l’arte ha bisogno anche di questo per prendere respiro dagli affanni odierni.
Quello di Primarosa Cesarini Sforza non è un percorso nostalgico, malinconico, ma piuttosto chiave di interpretazione del suo essere costantemente nella contemporaneità, in ciò che è stata e che è circostante.
Disegni, dipinti, istallazioni, grafiche, ceramiche, libri d’artista capaci di avvolgere il visitatore tanto da sentir echeggiare, tra le opere esposte, le note di My Favorite Things, dove “le mie cose preferite” sono i lavori di Primarosa Cesarini Sforza capaci di scandire 50 anni di impegno artistico e di osservatrice dei tempi, sino alla rarefazione delle forme.
Opere come diario di viaggio, nel costante confronto con la materia che l’ha portata a sperimentare le più disparate tecniche e materiali per dare forma al suo processo creativo.
Teche e campane di vetro scelte per conservare, non più bambinelli o ex-voto di cera, ma fiori e rametti dell’infanzia, intrecci della memoria per fermare il ricordo, pronto per essere condiviso con altri occhi e reminescenze.
L’allestimento è una scomposizione critica per periodi che offrirà allo sguardo dei visitatori il lavoro incessante dell’artista che, solo visto nella sua interezza, dimostra tutta la sua compattezza intorno a queste due idee guida.
La mostra prevede anche inserti scritti in cui Cesarini Sforza racconterà la sua biografia, cataloghi degli anni newyorkesi, ma anche cataloghi e fotografie che mostreranno come i lavori dell’artista siano stati visti, ricercati ed apprezzati in molti paesi europei e nel mondo, a New Delhi, in Iran, a Istanbul, in Argentina.
Un percorso espositivo, quello scandito dalla carriera di Cesarini Sforza, capace di ramificarsi, collegarsi, intrecciare relazioni, dialogare con l’arte del suo tempo senza far venire meno la solidità della sua personale ricerca. Una mostra essenziale capace di offrire ai visitatori un esauriente spaccato di un lungo viaggio artistico che ha indagato con cura il suo tempo in ogni suo mutamento intimo e collettivo.
Per Gianni Dessì il 2023 inizia con la presidenza dell’Accademia di Belle Arti di Macerata, dopo essere stato il Presidente dell’Accademia Nazionale San Luca, e l’essere stato individuato come l’artista dell’anno per Rai Radio 3 “A3 il formato dell’arte”. Ora questa esposizione gli permette di confrontarsi con le antichità, anche se solo copie in gesso, in un’alternanza di plasticità classica, alla ricerca della bellezza incentrata sulla forma essenziale e grottesca.
Da’ una continuità non solo alla surreale contaminazione tra antico e contemporaneo, ma anche all’iniziativa “Residenze d’artista”, promossa da Gaetano Lettieri, direttore Dipartimento di Storia Antropologia Religioni Arte e Spettacolo della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università La Sapienza, cocuratore della mostra allestita tra un migliaio di calchi di statue antiche del Museo dell’Arte Classica, per sottolineare l’intento di una coabitazione: un’opera come intervento specificamente ideato in relazione a quanto avviene in un’aula universitaria.
Nella gipsoteca trovano collocazione 19 opere, tra sculture e dipinti, raccolte sotto il titolo “TuttoPieno”, scelte da Gianni Dessì, nell’intento di stabilire un equilibrio tra le opere creando connessioni anche grazie alla presenza viva e costante degli studenti che di quegli spazi ne fanno un uso quotidiano.
Visitare la mostra è come intraprendere una divertente caccia al tesoro, per andare alla ricerca di alcune opere, tra le quali gessi di varie misure, celati tra numerosi copie in gesso. Si cammina ed ecco una testa nera e d’orata che si rivela tra tanto bianco o antropomorfe forme in trame bianche dalle sproporzionate misure e poi delle immagini gialle appese sulle pareti, dei vortici neri e una testa rossa che sembra fuggita da un film horror.
Opere, quelle della gipsoteca, che devono coabitare e dialogare con interventi specifici, pensati e progettati da Dessì per l’università, gli spazi e la vita degli studenti.
Una mostra quindi che testimonia il percorso artistico di Gianni Dessì, dove i termini di scultura, pittura, installazione trovano un originale punto di incontro nella potenza dell’immagine, fulcro e sintesi di innumerevoli altri approdi fisici e mentali.
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