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Egoismo e generosità dell’Arte

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Forse non esiste individuo nella umana società con un potenziale narcisistico maggiore dell’individuo-artista. Narcisismo non nel senso di gratuito e superficiale autocompiacimento ma concentrazione complessa e profonda sulle proprie prepotenti necessità esistenziali. Tutto ruota intorno al sole di questo inevitabile antropocentrismo, inevitabile perché in definitiva la grande e autentica opera d’arte vive di sé e per sé: figlia dolorosamente e gioiosamente carnale dell’artista e del suo destino.

Narcisismo o se preferite egoismo come nutrimento fondamentale dell’opera: tranne rarissimi (e mediocri) casi di artista-filantropo, artista-sociale o altro, costui elabora e ricrea un universo poetico a sua immagine e somiglianza perché inestinguibile e radicato è il desiderio fondamentale di lasciare impronta di sé e del proprio percorso emotivo. Desiderio struggente di eternità negata all’essere umano, desiderio innato e incoercibile che la maggior parte degli individui realizza con la pretesa continuità di sé nei figli.

L’opera d’arte è per l’artista l’inganno e il sogno della propria eternità edificata intorno al monumento del proprio sublime narcisismo: ogni suo elemento, frammento e divenire vive di questo riflettersi e comunicare col mondo degli altri il tramandare le infinite varianti del proprio autoritratto. E più vive di queste individuali necessità più l’opera d’arte è autentica e grande; più invece l’artista illustra e documenta il suo tempo estraniandosi da sé come puro e semplice obiettivo vivente, più l’opera d’arte è limitata e non travalica i confini della sua epoca se non appunto come documento.

Perché è questo il miracolo: il grande artista che racconta di sé e per sé diventa poi eredità di tutti e per sempre. Ecco che la grande opera d’arte, nata da una necessità individuale, diventa ricchezza universale a cui le generazioni attingono e in cui trovare, oltre che soddisfazione estetica, anche fondamentali risposte alle proprie necessità espressive. E questa solenne e pur commovente condivisione dell’opera d’arte, riflesso di quell’individuale vissuto, diventa sangue e pelle di ognuno di noi, diventa grido e sussurro, bandiera e proclama di altri infiniti individui che non seppero dar voce al mistero e agli enigmi della propria esistenza.

Ecco il miracolo dell’artista egocentrico che seguendo l’imperio della sua voce parla poi per noi e per tutti riflettendo ognuno di noi, pur in modo personale e differente, nella propria vicenda, tracce e risposte nostre. E’ la grande, stupefacente solidarietà dell’uno e degli altri, è l’egoismo come materia iniziale che si trasforma nella umanissima comprensione della universale umana esistenza e del suo mistero. L’artista, raggiando di sé, ci getta corde e appigli per riconoscerci e dar senso e motivo alle nostre più segrete emozioni.

Aldilà di questa straordinaria estetica fratellanza esiste più vera e grande solidale comprensione di sé e degli altri? Noi adottiamo i “figli” dell’artista come nostri consanguinei e ad essi affidiamo ogni risposta; siamo con l’artista che fù e con esso condividiamo il suo nutrimento come nostro. Nel suo specchio ci riflettiamo tutti e il ritratto di un uomo diviene il ritratto stesso dell’umanità.

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Precedentemente:

Dialoghi di un pittore “Out” e di una gallerista “In”: 2 Approfondimento
Dialoghi di un pittore “Out” e di una gallerista “In”: Ovvero come fare per ottenere i favori della lungimirante critica odierna

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Conferenze che passione!

… Anime dannate di conferenzieri e diabolici dispensatori di infinite prolusioni, introduzioni, approfondimenti, precisazioni, parole, parole, parole, fiumi di parole, mentre i sadici torturatori dopo aver esordito con i rituali ed ingannevoli: “Sarò breve!”, infieriscono vispi e contenti sugli incauti spettatori ormai in preda, dopo i vari passamano oratori (anche i carnefici si danno il cambio!), alle inaudite sofferenze da piaghe di decubito ed eroiche resistenze vescicali!… Allora direte: perché ci si va?… Puro masochismo? Lucida follia? Sì, ma anche la vorace necessità di “esserci”, presenziare, ubiqui angeli derelitti del “partecipo, quindi sono!”.

Vittime volontarie intente a subire, esauste dal profluvio verbale, ma pure estasiate di condividere con l’autorità di turno o la celebrità di passaggio una pretesa parentela intellettuale, autoelevandosi partecipi di un circolo chiuso di elette e privilegiate menti superiori… dimenticando che pur fuori di quegli ammiccamenti e sorrisi complici, di quel cenno “rubato” al nume in conferenza, non si è nessuno e fuori da quell’Olimpo si torna alla propria domestica mediocrità!

Dove va Marina? Riflessioni su variazioni

  • di Luigi M. Bruno e Gianleonardo Latini –

GL AdN Dove va Marina Abramovic 2Ho messo qualche “Mi piace” e “Wow” per esprimere il mio disappunto sulle pretestuose critiche di un manifesto che lancia un messaggio, “We are all in the same boat” (Siamo tutti nella stessa barca), ben visibile nel contesto creativo di fratellanza, sulla bandiera bianca tenuta dalla stessa Abramovic ed è triste mettere delle limitazioni all’espressività se non si offende alcuna persona.

Tante parole da politici impreparati che pensano ad un attacco alle loro posizioni e questo mi ha fatto pensare che Marina Abramovic non ha bisogno di essere difesa, la sua arte parla da sola ed è il mercato che si prende cura del suo lavoro.

È l’arte e gli artisti che non vivono sotto i riflettori della notorietà che semmai hanno bisogno di essere difesi come specie a rischio di estinzione, nel ritenerli marginali.

Anche la scelta dell’arcivescovo Antonio Buoncristiani di non benedire il Drappellone per il Palio dell’Assunta che si è corso il 16 agosto a Siena fa riflettere sul ruolo ecumenico della chiesa cattolica verso il dipinto del 70enne artista, di origini ebraiche, Charles Szymkowicz che raffigura la Madonna con in braccio un cavallo invece del bambin Gesù. Un rifiuto motivato dal fatto che non rispetta l’iconografia mariana, ma è in carattere con il Palio.

Quando un’opera viene commissionata, come nel caso di Marina Abramovic, è il committente che deve essere soddisfatto, magari sotto ricatto, e non si può mettere in discussione il gusto quando, come nel caso di Charles Szymkowicz, il dipinto deve passare per l’approvazione di chi si ritiene custode di una verità.

La confusione nell’ambito dell’arte è tanta ma con la grande pubblicità sulla mostra fiorentina per molti è importante che palazzo Strozzi abbia aperto alle artiste, tanto da riaprire, grazie anche alla Rete, il dibattito sull’Arte contemporanea, ed ecco la richiesta di Luigi M. Bruno: “Marina Abramovic. Posso onestamente e spudoratamente rivolgere un onesto interrogativo agli amici di FB?… In breve: cosa ne pensate, con assoluta sincerità dell’artista serba e delle sue performance degli ultimi cinquant’anni? Non GL AdN Dove va Marina Abramovicvoglio assolutamente né infierire né assecondare giudizi negativi o positivi che potrebbero sembrare precostituiti…

La vostra preziosa opinione potrà portare chiarezza nella definitiva analisi di un fenomeno (ormai annoso per non dire “datato”) relativo alla Body-art e nella fattispecie relativo alle esperienze della Abramovic. Grazie.”

Seguita dalla riflessione di Giulia Sargenti (aka Giulia Lich): “Nella mia ignoranza (soprattutto nell’arte contemporanea) credo che questi movimenti abbiano avuto un senso quando nacquero (come rottura dal passato e ricerca di nuove espressioni artistiche, in linea con un mondo che si trasformava velocemente), ma che oggi siano ormai semplici repliche, ottime per fare “cassa” , ma fini a sé stesse. Nelle ultime performance mi sembra che ci sia più la ricerca di essere Abramovic, di non deludere il pubblico (cosa questa comune a molti altri, basta pensare alle provocazioni di Cattelan fatte tanto per essere Cattelan), accreditandosi sempre più come icona dell’arte. Inoltre, senza voler troppo infierire, constato come, paradossalmente, queste personalità femminili, che hanno messo il proprio corpo al centro della loro ricerca artistica, non siano sfuggite dalla trappola del botox come strumento di fuga dalla vecchiaia (vedi anche Yoko Ono), cadendo nel più banale conformismo.”

Ma anche Giovanni Gini Art ha espresso una sua perplessità: “Semmai sono loro a doverci spiegare quali sono i criteri e le logiche per cui si accosta la parola “Arte” a certi personaggi che dovrebbero invece essere catalogati come “illusionisti”, “imbonitori”, “fachiri” o al limite “performers”…”

In seguito Luigi Massimo Bruno non ha trovato altri commenti, oltre a quello di Claudia Bellocchi che è un flash emotivo e lampante e quello Giorgia Kokkini, commenti necessari per aprire un confronto sul suo post e rimanendo spiazzato dalle numerose analisi elogiative, sulle varie testate, delle “performance” della Abramovic afferma: “ora, io non penso di avere una mente retriva e limitata da squallido “pompier”, laddove vedo o intravedo una esperienza creativa legata alla trasformazione della materia in pura emozione lo riconosco senza attestarmi a superate maniere. Io penso che tutte le “esperienze” della Abramovic possono interessare magari la psicanalisi o qualsiasi terapia legata alla corporeità,magari anche alla filosofia naturista ed altro ancora,magari la meditazione trascendentale. Ma se l’opera d’arte è la presentazione, più o meno brutale e narcisistica, più o meno masochista, del proprio corpo come elemento risolutivo di materia estetica, io credo che possa essere tante cose ma non arte.”

Probabilmente i numerosi attestati elogiativi del valore come esperienza profonda e creativa, anche da chi non si è mai occupato di arte, è dovuto dal timore di esporsi ai sedicenti “addetti ai lavori” ed essere bollato come incompetente.

Negli ultimi decenni si è evidenziata l’arte come atto effimero già con Rothko, con i colori che si deteriorano e non hanno la stabilità delle tele dei precedenti maestri, poi c’è Christo con il suo impachettamento di elementi urbani e della natura a conferire all’opera l’esistenza programmata fino alle performance, lasciando dell’evento una documentazione sulla progettazione e la registrazione del compimento, ergendosi a rappresentazione laica del malessere contemporaneo, una sorta di immagine della devozione popolare, ben diverso dalle rappresentazioni sacre.

Sarà difficile che personaggi come la Abramovic o Cattelan possano lasciare una lezione atemporale che non sia legata a questa epoca di scontri e disagi, ma non si può fare a meno di rilevare che spesso sono i titoli l’opera stessa, e tutto si contiene e giustifica nel concetto o “messaggio” come si chiamava una volta. Comunque è eccessivo, se non ridicolo, infervorarsi per un evento del quale rimane una cartolina nel bookshop che non restituisce il disagio della performance, differenziandosi dalle pitture, anche se “classiche” di Charles Szymkowicz.

Il problema di una certa arte contemporanea è una sua sovraesposizione che rende certi artisti sopravvalutati tanto da ergerli ad artefici incontrastati del gusto e della moda, pretendendo del resto un solido e intoccabile piedistallo in contrasto stridente con l’effimero e il “consumo” della loro azione.

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Marina Abramović. The Cleaner
Dal 21 settembre 2018 al 20 gennaio 2019

Palazzo Strozzi
Firenze

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Qualcosa di più:
ARTE ASTRATTA E ARTE DISTRATTA
DISINCANTATA RIFLESSIONE SU CERTA ARTE CONTEMPORANEA
EVOCAZIONE ED AMBIGUITÀ NELL’OPERA D’ARTE

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Hirst e il “pallinismo”
I punti di vista su Hirst

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Tiro Incrociato

LMB adN arteSpesso e volentieri non ho potuto reprimere la mia insopprimibile contrarietà (leggi: disgusto!) per i guasti e le insopportabili cialtronerie da cui siamo sommersi da decenni nel campo cosiddetto artistico.

Occupandomi di critica d’arte da molti anni su diverse riviste cartacee e non mi sono sempre chiesto perché. per prassi acquisita, è “verboten” denunciare in modo netto e inequivocabile i limiti e le assurdità di certa “arte” esposta.

Tra le tante rubriche che ho avuto più di una volta chiesi alle varie redazioni di avere uno spazio preciso e consacrato dove mettere a nudo dietro seria e approfondita analisi (ognuno merita un giusto processo) i limiti e le nullità di tanti concettosi “artisti” rampanti.

Non l’aperto dilettantismo, badate, ma quello ammantato dell’alibi “contenutistico”, arte povera, poverissima, ecc…. Ebbene, questo spazio mi è stato sempre precluso. Perché?… Eppure esiste ed è accettata una critica spietata cinematografica, teatrale, televisiva, financo letteraria, ma per le arti visive la battuta ricorrente è: “Qui non si spara! Se un artista, un’opera è inadeguata alla pur minima valenza estetica, ebbene, passa oltre, ignorala!”… E così è sempre stato.

Un atto di umana e generosa carità?… Ma siamo sicuri che tanta colpevole benevolenza alla fine non dia nulla osta e ossigeno a tanti “eventi” e “avventi” invece meritevoli di feroce e necessaria censura?… Aspetto ancora che mi si dia il mio spazio “a tiro incrociato”.

La cosa peggiore è che nel frattempo, lo confesso, è toccato anche a me talvolta di contrabbandare colpevolmente senso e valori pur inesistenti su spazi, oggetti e proposte nemmeno meritevoli d’essere spazzatura da riciclo!…. Continuiamo a farci del male.

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L’Arte nei suoi sviluppi

Il Profeta dell’Arte “famola strana”

Luci in fondo alla notte

Il sentimento della Realtà nella pittura

L’immateriale della materia

Kounellis: “pittore che non sa disegnare”

L’opera totale nella ricerca di Ugo Bongarzoni

Arte Astratta- Arte Distratta 2

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Una mostra non basta per promuovere l’Arte

Recentemente il Ministero dei beni ambientali culturali e turistici ha pubblicato un avviso, il terzo della serie, “per il finanziamento di progetti culturali finalizzati alla promozione, la produzione, la conoscenza, la disseminazione della creazione contemporanea italiana in Italia e all’estero nel campo delle arti visive”.

 

Il progetto, identificato come Italian Council, si focalizza sulla committenza più che ad un’idea di promozione e conoscenza dell’arte italiana, rendendo l’iniziativa sterile, nel suo appiattirsi su di una semplice richiesta per un progetto di esposizione in una sede prestigiosa, di una o più opere commissionate a degli artisti, per essere apprezzate solo dalle solite persone frequentatrici di musei e mostre, mancando l’occasione di ampliare la platea di spettatori interessati ad interagire con l’arte.

 

L’iniziativa del Ministero sembra entusiasmare forse per l’utilizzo della terminologia anglosassone Italian Council per lanciare l’arte italiana nel firmamento internazionale con lo slogan “bringing our contemporary art to the world” (portando la nostra arte contemporanea nel mondo).

 

Forse agli estensori dell’avviso non è ben chiaro in concetto di promozione, in compenso hanno la creatività linguistica che porta a concepire il termine disseminazione come un vocabolo ponderato, che viene integrato in un progetto, ma disseminare è disperdere e non necessariamente si configura in un’intenzione che possa dare frutti.

 

L’arte contemporanea, che non sia la raffigurazione, può avere un futuro nella quotidianità delle persone solo se la si rende avvicinabile e non irraggiungibile con il suo avvolgente e criptico snobismo.

 

È sicuramente raggiunto lo scopo degli estensori dell’avviso se era quello di stimolare il mercato, ma così facendo si promuovono sempre gli stessi nomi e non si agevola l’inserimento di nuove creatività.

 

La premessa di promuovere la produzione per incrementare le pubbliche collezioni potrebbe essere raggiunta, ma non quella della conoscenza, anche perché le opere vengono “disseminate” in luoghi istituzionali e prestigiose sedi.

 

Per avvicinare l’arte alla quotidianità di ognuno di noi forse l’idea di ” prestare” un’opera d’arte come fosse un libro risulterebbe accattivante.

 

Come nelle biblioteche si può trovare la narrativa, i gialli, la fantascienza e altro ancora, così da Magis si potrebbe trovare il figurativo e l’astratto, il paesaggio e l’informale, in opere di piccolo formato per rendere il trasporto e la collocazione agevole.

 

La Fondazione Magis e il Collettivo degli Artisti Oltre i Confini

mettono a disposizione, nell’ambito di Arte Solidale, oltre cento opere di artisti contemporanei, per lo più dell’area romana, da poter prendere in prestito – come se fosse un libro – per tre mesi e rinnovabile per un altro. L’iniziativa vuole far circolare l’arte delle idee e delle forme, per valorizzare la ricchezza creativa dei singoli artisti e per ampliare i circuiti di fruizione dell’arte.

 

I fondi raccolti con le offerte di iscrizione a PrestArte saranno utilizzati dal MAGIS per acquistare kit didattici (matite colorate e blocchi da disegno, etc.) per i figli delle mamme sieropositive del Centro Esperance Loyola in Togo, centro che si occupa di prevenzione dalle infezioni da Hiv per giovani, donne e famiglie; progetti di formazione e di rafforzamento delle capacità familiari dei malati; di advocacy per i diritti delle persone sieropositive, di ricerca e sensibilizzazione sui problemi etici e pastorali legati alla pandemia; di sostegno psicologico a tutta la famiglia (genitori e figli).

 

Magazine di Spunti & Riflessioni sugli accadimenti culturali e sociali per confrontarsi e crescere con gli Altri con delle rubriche dedicate a: Roma che vivi e desideri – Oltre Roma che va verso il Mediterranea e Oltre l’Occidente, nel Mondo LatinoAmericano e informando sui Percorsi Italiani – Altri di Noi – Multimedialità tra Fotografia e Video, Mostre & Musei, Musica e Cinema, Danza e Teatro Scaffale – Bei Gesti