Mi ero già occupato su questa rivista della misteriosa fine del Museo Internazionale del Cinema e dello Spettacolo (Mics), museo di storia del cinema fondato e diretto unicamente da José Pantieri (1) ma nel frattempo non sono ancora riuscito a capire dove è finito tutto il materiale. Qualcuno mi ha suggerito un paio di nomi, ma aver frequentato quel matto di Pantieri – perché matto lo era – di per sé non è una prova di furto, perché di furto si tratta: una preziosa anche se disordinata collezione è stata sottratta alla fruizione pubblica in un clima di omertà: nessuno sa l’indirizzo del magazzino (o dei magazzini) dove furgoni privati hanno trasferito il materiale. Il sindaco era all’epoca Alemanno, sicuramente meno attento di Veltroni ai problemi del cinema, ma neanche quest’ultimo mi risulta abbia sollecitato un’indagine che rompa il muro di omertà che circonda il museo e il suo intrattabile fondatore e direttore. Già, perché se le cose sono andate come sappiamo è anche per via del suo carattere nevrotico, incapace di mediare con le istituzioni e di avere collaboratori. Ora una brutta notizia: nello strano rogo che ha interessato lo scorso 8 giugno il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma sono andate distrutte 220 pellicole (e non 500, come si pensava in un primo momento). Non che fosse la prima volta: incendi nei depositi delle pellicole infiammabili custodite nel Centro erano stati registrati anche prima (18 giugno 2009, 446 rulli persi; 27 ottobre 2009, 4 rulli; 8 luglio 2015, 893 rulli; 8 agosto 2018, 40 rulli). Forse sarebbe meglio investire di più nella sicurezza antincendio. Ma quello che è peggio è che sono andate in fumo anche le pellicole straniere facenti parte della collezione privata di Pantieri, prese in carica dalla Cineteca dopo la sua morte. Questo il comunicato ufficiale:
“È stata ufficialmente informata la Soprintendenza Archivistica e Bibliografica del Lazio, titolare del deposito di gran lunga prevalente nel cellario distrutto, il fondo del collezionista José Pantieri, fondatore del Mics (Museo Internazionale del Cinema e dello Spettacolo). È stato concordato con la Soprintendenza un sopralluogo che si è svolto il 21 agosto alla presenza anche dell’Arma dei Carabinieri”. (due mesi dopo!)
Che film erano? Difficile dirlo, visto che non erano stati ancora catalogati scientificamente. Per farlo bisogna vedere ogni “pizza” in moviola e spesso i film del cinema muto non sono facili da identificare. Ricordo p.es. che un raro film ungherese fu scoperto in Germania ma con un diverso titolo per il mercato tedesco. Come si vede, il mistero del Museo Fantasma si è arricchito di un altro capitolo. Se fossi uno scrittore di libri gialli penserei che in mezzo a quei reperti di cineteca c’era qualcosa da far sparire, una pellicola nascosta in mezzo alle altre con scene compromettenti. Fatto sta che – incidente o sabotaggio che sia – abbiamo perso quel poco che restava del Museo Internazionale del Cinema e dello Spettacolo. E il mistero continua.
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Un amore impossibile e passionale
CJRANO de BERGERAC
di
EDMOND ROSTAND
E’ la sera della prima.
La storica gloriosa sala
dell’AMBRA JOVINELLI di ROMA
è carica di curiosità e di emozione
nell’attesa di un nuovo spettacolo
già incredibilmente superpremiato.
Finalente si spengono le luci ed ecco…
declamando i primi versi
nella lingua melodiosa di CJRANO
ARTURO CIRILLO
viene incontro al suo pubblico
con l’eleganza dell’attore nato.
Accade allora qualcosa di incredibile
mi appare come in sogno eppure vivo e fascinoso
il grande Mario Scaccia.
E’ solo un attimo ma non un’illusione:
poetico delirio sospeso tra sogno e realtà
ipossibile a dirsi mentre la storia continua
e colpisce,come un omaggio a Marta Abba,
l’apparizione del viola sulla scena
colore morbido passionale che in questo gioco
tra magia e visioni…ci sembra scaramantico e perfetto.
Ed ecco, in un clima che Eduardo avrebbe definito “Affatato”
ritorna dopo secoli a vivere attraverso la magia del teatro
la tragica storia d’amore tra Cjrano de Bergerac poeta spadaccino
la troppo bella Rossana
e il giovane Cristiano semplicemente innamorato.
Triangolo amoroso dove la poesia è fatale protagonista
tra gli amori impossibili è forse il più cantato
insuperabile capolavoro di Edmond Rostand.
Che altro dire, raffinato “teatro canzone”
come lo definisce ARTURO CIRILLO
un incontro struggente con l’arte poetica
dove attrici ed attori sono tutte e tutti bravissimi
attorno ad un Arturo Cirillo dolce acuto protagonista
adattatore del testo e regista in stato di grazia.
E voglio questi attori ricordarli tutti, uno ad uno.
IRENE CIANI: splendida affascinante Rossana.
GIACOMO VIGENTINI: il giovane Cristiano privo dell’arma poetica.
FRANCESCO PETRUZZELLI: l’inappuntabile De Guiche.
ROSARIO GIGLIO: un perfetto Raguenau
GIULIA TRIPPETTA: l’elegantissima governante.
Inoltre questi attori, da veri professionisti,
come dai tempi mitici della COMMEDIA DELL’ARTE,
si trasformeranno di volta in volta in altri personaggi,
mai minori, come si usa dire nella gloria del Teatro.
Grande spazio meriterebbe l’invenzione geniale delle scene,
talvolta letteralmente rotanti, firmate DARIO GESSATI
e lo sfarzo giocoso dei costumi di GIANLUCA FALASCHI
originali e fantasioni fino alla visione-sogno di Wanda Osiris.
Il tutto poi non apparirebbe se non esaltato dalla bravura
di PAOLO MANTI creatore maestro di sugestive luci
e dalla scelta essenziale delle musiche composte o rielaborate
da Federico Odling con grande sensibilità.
Musiche talvolta evocative di autori amati ombre lievi
che sembrano apparire tra gli attori e muovere con loro
quei misurati passi di danza essenziali che dall’inizio
danno ritmo e tempi armoniosi allo spettacolo.
Vogliamo inoltre ricordare con gratitudine
quel piccolo esercito di lavoratori e lavoratrici
che silenziosamente hanno collaborato
alla realizzazione dell’impresa e che per limiti di spazio
non riusciamo a nominare.
Insomma uno spettacolo perfetto indescrivibile.
Si può solo vederlo e lo ricorderemo a lungo.
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Nota di regia
Andare con il ricordo ad un musical da me visto da ragazzino a Napoli, nell’ancora esistente Teatro Politeama, è stato il primo moto di questo nostro nuovo spettacolo. Il musical in questione era il Cyrano tratto dalla celeberrima commedia di Rostand, a sua volta ispirata ad un personaggio storicamente vissuto, coetaneo del mio amato Molière.
Riandare con la memoria a quella esperienza di giovane spettatore è per me risentire, forte come allora, l’attrazione per il teatro, la commozione per una storia d’amore impossibile e quindi fallimentare, ma non per questo meno presente, grazie proprio alla finzione della scena. Lo spettacolo che almeno trentacinque anni dopo porto in scena non è ovviamente la riproposizione di quel musical (con le musiche di Domenico Modugno) ma una continua contaminazione della vicenda di Cyrano di Bergerac, accentuandone più il lato poetico e visionario e meno quello di uomo di spada ed eroe della retorica, con delle rielaborazioni di quelle musiche, ma anche con elaborazioni di altre musiche, da Èdith Piaf a Fiorenzo Carpi.
Un teatro canzone, o un modo per raccontare comunque la famosa e triste vicenda d’amore tra Cyrano, Rossana e Cristiano attraverso non solo le parole ma anche le note, che a volte fanno ancora di più smuovere i cuori, e riportarmi a quella vocazione teatrale, che è nata anche grazie al dramma musicale di un uomo che si considerava brutto e non degno d’essere amato. Un uomo, o un personaggio, in fondo salvato dal teatro, ora che il teatro ha più che mai bisogno di essere salvato.
Arturo Cirillo
17- 28 aprile Teatro Ambra Jovinelli
Roma – Via Guglielmo Pepe
tel. 06.83082620
ARTURO CIRILLO
Cyrano de Bergerac
La tournée
Dopo il Teatro Ambra Jovinelli di Roma è la volta di
Padova – Teatro Verdi
Dal 08/05/2024 al 12/05/2024
Vigevano (PV) – Teatro Cagnoni
13/05/2024
Quando la Musica non placa l’irrequietudine
Negli anni ’60 molti artisti pop erano attratti dal buddismo e dalle religioni asiatiche in genere, oggi le tendenze sono più diversificate. Intendo parlare delle conversioni di Cat Stevens e di Sinead O’Connor all’Islam. Quella di Cat Stevens (oggi Yusuf Islam) avvenne in circostanze da lui spesso ribadite: nel 1977 stava per annegare a Malibu (California) e questa fu la rivelazione sulla via di Damasco. Da quel giorno si ritira dalle scene, vende le chitarre e diventa un attivista e membro influente della comunità islamica di Londra, al punto di aprire anche la Islamia Primary School e finanziare una serie di attività umanitarie, ma provocando anche la reazione e il boicottaggio dei suoi fan quando nel 1989 difende la fatwa (condanna religiosa) contro Salman Rushdie per i suoi Versetti satanici. Da quel momento il mondo musicale gli è ostile e nel 2004 si vede rifiutare il visto per gli Stati Uniti dopo l’attacco alle Torri Gemelle (2001). Fa però a fine secolo un ben documentato viaggio in Bosnia (1), all’epoca fresca di guerra civile, finanziando attività umanitarie islamiche e cantando in pubblico a Sarajevo (2) per la prima volta dopo molti anni. Ha ripreso a cantare e a tenere concerti praticamente da quest’anno e uno si è anche tenuto a Roma il 18 giugno all’Auditorium Parco della Musica. Yusuf/Stevens ha ormai 75 anni ed era visibilmente invecchiato, ma i suoi fan non l’hanno tradito.
Sinead O’Connor (ora Shuhada Sadaqat) è un caso diverso. La sua conversione è stata presentata come una delle tante mattane di una instabile mentale, ma è un giudizio affrettato e non rende giustizia del rapporto profondo e conflittuale dell’artista con la religione, e chissà che qualcuno non ci faccia la tesi di laurea in teologia. Irlandese di nascita e quindi cattolica, Sinead è sempre stata profondamente religiosa. Nel 1992, ospite del Saturday Night Live, durante la sua performance distrusse una foto di Papa Giovanni Paolo II, vent’anni dopo ha definito le dimissioni di Ratzinger «una saggia decisione». Sono atteggiamenti tipici di un credente, non di uno scettico. In un’intervista, dichiarò infine di volere «salvare Dio dalla religione». Negli anni ’90 Sinead si era fatta addirittura “preta”, ordinata da una setta scissionista cattolica di nome Irish Orthodox Catholic and Apostolic Church e le foto la ritraggono in abiti ecclesiastici. Poco si sa di questa chiesa cattolica scissionista, ma sicuramente la preparazione teologica di Sinead non era superficiale. Ed ecco nel 2018 il gran finale:
“Sono orgogliosa di essere diventata musulmana. Questa è la conclusione naturale di un viaggio di ogni teologo intelligente. Lo studio di tutti i testi porta all’Islam e rende tutti gli altri inutili”
Non sono parole di una popstar, ma di una mistica. Anche se gli atteggiamenti possono sembrare plateali, Sinead O’Connor è assimilabile a Ildegarda di Bingen, monaca benedettina, scrittrice, mistica, teologa e grande musicista, la prima donna a firmare con il suo nome alle proprie composizioni musicali religiose (3). Anche Sinead O’Connor ha avuto con la religione un rapporto comunque profondo, tormentato e lo ha trasmesso anche alla musica. Per questo va rispettata.
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Note:
- https://catstevens.com/tag/bosnia/
- https://www.youtube.com/watch?v=jmVMcMfxm5Q
- https://www.santa-ildegarda-di-bingen.it/
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Gina Bersaglié
Con Gina Lollobrigida scompare forse la penultima (ci resta la Loren) delle dive “nostrane” ,figlie del dopoguerra, del disagio di quelli anni difficili, un po’ provinciali ma con tanta grinta e coraggio da farle capaci di attraversare il turbine della guerra, il travaglio della povertà, i disordini politici, l’affermazione della democrazia in Italia, il cosiddetto “Boom” economico e, non ultimo, l’avventura hollywoodiana!… La nostra Gina nazionale (insieme alla Loren) dopo l’esplosione della cosiddetta “maggiorata” (famoso l’episodio di Blasetti di “Il processo di Frine” nel quale uno scatenato Vittorio de Sica usò per primo questo termine!) con la sua tenacia e la sua volitiva personalità volle affermarsi anche come interprete e attrice: desiderio che ahimè rimase sempre incompiuto perché poche furono le occasioni che ebbe per distinguersi aldilà della sua bellezza.
In genere le furono concessi ruoli che si affidavano al suo fisico perfetto e a un po’ di umorismo nostrano, tanto che anche oggi rimane il suo pseudonimo di ” bersagliera” in “Pane ,amore e fantasia” che poi, a parte il successo del film, è un filmetto di quel neorealismo rosa che tanto imperversò negli anni ’50…. A questo riguardo la Lollo orgogliosamente affermava, per le poche occasioni che aveva avuto, che al contrario di altre (la Loren) lei “non aveva sposato un produttore”, e doveva tutto solo a sé stessa!… La sua avventura nella Mecca del cinema americano diede qualche frutto e qualche film soprattutto spettacolare che più che altro servì a rinforzare il mito internazionale della sua bellezza mediterranea. Ma dietro questa levigata bellezza c’era una donna forte, intelligente, coraggiosa, ammirata oltre che da noi, in Francia, in America, dovunque affermando l’icona proverbiale della sua sicura personalità.
In quelli anni la nostra Gina ebbe occasione di confrontarsi con alcune leggende femminili d’oltreoceano, soprattutto l’indimenticabile Marylin Monroe, in cui risaltò il carattere e la sicurezza della nostra attrice rispetto alla scoperta fragilità della Monroe (cosa che già aveva posto in risalto anche la Magnani al tempo del suo Oscar nell’incontro con la biondissima!)… Lollobrigida, la Magnani, la Loren: tutte dive nostre ma con un denominatore comune: la fierezza anche delle loro umili origini, la creatività, lo spessore umano e la forte capacità interpretativa che, in terra americana, seppe risaltare appieno rispetto ad altre dive e problematiche di donne e attrici “vittime” di una fragilità e di una sofferenza pur imposta forse dalla terribile ghigliottina spietata dei loro “media”, dello “Star-system” e della logica americana del successo che logora :penso, oltre la Monroe, a Judy Garland, a Jane Mansfield, a Liza Minnelli e al mito di Jeane Harlow… Le nostre dive, soprattutto la Lollobrigida che oggi piangiamo, seppe conservare la sincerità, la franchezza e la solidità delle sue origini; ecco perché oggi la ricordiamo con affetto e la ammiriamo come una nostra piccola eroina, un po’ sfacciata e orgogliosa della sua terra e delle sue tradizioni di cui anche noi viviamo e godiamo. Per tutto questo volentieri e con affetto salutiamo una ultima volta la Lollo come fece allora de Sica: “…Salutammo bersaglié!”
Un volto antico, per una musica moderna
Una musica trasgressiva e stimolante, quella di Kirk, che traeva la sua fonte di ispirazione dal ricco patrimonio musicale e dal folklore afroamericano: dal blues (del quale era un grande interprete e un prolifico compositore), alla church music, al soul.
Il tempo ha la straordinaria capacità di lasciare intatta dietro di sé, una quantità di ricordi e di sensazioni che possono affiorare improvvisamente, e inaspettatamente, a distanza di anni, per dar vita a rinnovati stimoli e a percezioni concernenti una sfera della realtà mai dimenticata; crepitante sotto le ceneri della storia minore in esilio temporaneo nel subconscio collettivo. L’eredità del passato, alla stregua di un fantasma jamesiano, vaga irrequieta alla ricerca della sua identità dissolta ma immanente, altrimenti incorruttibile. “La carne è sepolta – fa dire William Goyen a un personaggio protagonista della novella: Raccontami la storia della povera Pezzie – ma abbiamo ancora il fantasma. La tomba della povera Pezzie contiene soltanto metà della storia … l’altra resta ancora da dire”.
Faccio mia questa citazione al preciso scopo di presentare il “fantasma” di un musicista di jazz, conosciuto soprattutto fra la ristretta cerchia degli appassionati: mi riferisco a “Rahsaan” Roland Kirk.
Nato a Columbus, Ohio, nel 1936, Kirk ebbe una infanzia di vicissitudini: rimase infatti cieco all’età di due anni, e questa tragica esperienza segnò per sempre la sua vita. Dedicatosi fin da giovanissimo agli studi musicali, Kirk iniziò a suonare in piccole formazioni locali da lui stesso capeggiate e in seguito nelle allora famose Territory Bands. Lo scoprì a Chicago, quasi per caso, il noto critico musicale Joachim Berendt, sul finire degli anni ’50, quando il nostro suonava tre sassofoni contemporaneamente per le strade del South Side: allora per un pubblico costituito in gran parte da passanti frettolosi, bambini incuriositi, prostitute e lenoni occupati al gioco d’azzardo. Sempre Berendt ebbe il merito di proporlo all’attenzione della ribalta europea, dove ben presto Kirk si guadagnò la stima dei colleghi musicisti e della critica che, sulle prime, lo accolse favorevolmente per la veemente carica espressiva che lo caratterizzava, e per l’esuberanza della sua musica viscerale e swingante che ben sapeva coniugare la lezione del bop all’avanguardia. Una musica trasgressiva e stimolante, quella di Kirk, che traeva la sua fonte di ispirazione dal ricco patrimonio musicale e dal folklore afroamericano: dal blues (del quale era un grande interprete e un prolifico compositore), alla church music, al soul.
Il polistrumentismo, l’aspetto scenico e teatrale, sono elementi caratteristici e inconfondibili della sua musica; concepiti forse inconsciamente al fine di mitigare quasi per incanto l’impietosa barriera della cecità.
Grazie alla tecnica della respirazione circolare, che gli consentiva una emissione continua di fiato, Kirk era in grado di suonare più strumenti simultaneamente e di ingaggiare delle estenuanti chases con sé stesso.
Possedeva, oltre agli strumenti canonici, una collezione di aerofoni e idiofoni davvero impressionante, fra cui spiccavano per singolarità: il manzello, una sorta di sassofono soprano in si bemolle, dalla campana più lunga e lievemente incurvata, lo stritch, simile al sassofono contralto ma modificato nella tastiera. Strumenti antichi e di origine spagnola che aveva scovati presso il negozio di un rigattiere. A questi si aggiungevano una serie di flauti e fischietti e di strumenti assemblati bizzarramente da lui stesso ideati: il “Surolophone”, una specie di trombone giocattolo con l’imboccatura del sassofono, le “Black MisteryPipes”, strumenti a fiato in bambù forniti di una campana metallica, e ancora carion dall’intenso potere evocativo, come la sua “evil box”, annoniche e un piccolo registratore completo di nastri preregistrati che gli consentivano, nel corso dello spettacolo, di duettare e di dialogare con personaggi e musicisti del passato.
Quando questo eclettico one-man-band entrava in scena, accompagnato da una selva di strumenti appesi al collo e altri nella campana del sassofono, si poteva assistere a uno spettacolo nello spettacolo; ma il tutto mai a discapito della buona musica che sapeva elargire al pubblico con classe e generosità. Per la sua innata predisposizione alla teatralità, fu spesso accusato di eccessivo istrionismo fine a sé stesso, di essere, in poche parole, un bonario intrattenitore circense. Niente di più falso. Basti ascoltare, con attenzione, la grande messe di incisioni pubblicate nel corso di circa un ventennio di attività e che rivelano, pur con qualche comprensibile flessione creativa e obiettive cadute di gusto, un artista completo e originale, difficilmente classificabile; anticipatore tra l’altro di alcune tendenze musicali del jazz contemporaneo, e non solo (vedi New Age e World Music), ma soprattutto, che attende ancora oggi di essere studiato seriamente.
(1 continua)